Chissà come ti passa addosso questa notte
E poi mi appari quando
meno me l’aspetto, un dolore sordo
e quasi controtempo
E poi ti sento in bocca
come il sangue dentro e vado fuori giri,
è come un tradimento
Daniele Barsanti – Fuori dai locali
*
Quanto velocemente possano correre le notizie, Castiel l’ha
imparato da tempo e spesso a proprie spese. Viaggiano di bocca in bocca
e di social in social così in fretta che è
impossibile arrestarne la diffusione. Basta una parola, una frase, e
non c’è mistero che possa essere tenuto oscuro
tanto a lungo, soprattutto a chi, come lui, è ormai abituato
a sentirne di tutti i colori, in special modo sul proprio conto;
è il rovescio della medaglia del successo, del suo
più profondo e sincero desiderio di far conoscere al mondo
la sua musica.
Poiché ha imparato presto a subodorare l’atmosfera
di chi ha intorno che si sente irrequieto. Sa, lo vede, lo sente:
c’è il luccichio degli occhi di Rosalya e di
Alexy, c’è il sorrisetto sornione di Ambra,
c’è la faccia ancor più di bronzo di
Priya. Gli amici sembrano proiettati in una bolla di
felicità in cui non è stato riservato posto per
lui.
Probabilmente, se non avesse torchiato Ambra fino a farle sputare il
rospo, Castiel avrebbe saputo del ritorno di lei soltanto in quel
momento. Soltanto quando, in mezzo alla folla di studenti
dell’Università Anteros davanti al cancello, ha
scorto una figura di spalle che, seppur diversa nel taglio di capelli,
un po’ nella corporatura, gli è comunque
familiare. Quella camminata, quella disinvoltura, quel modo di
gesticolare, sembra tutto assurdamente familiare.
Castiel si ferma per far disperdere la calca. È
così che vuole raccontarla e non ammetterà mai il
contrario, non dirà mai di essersi trovato schiacciato tra
certezza e ragionevole dubbio, tra istinto e ragione.
Quando lei volge il viso lateralmente, riconosce quel profilo che
è così simile a tanti altri ma appartiene a lei
sola. Lei che procede lentamente verso l’edificio di Arte, al
fianco di un’allegra Rosalya. Ridono insieme, come ai vecchi
tempi, come se fossero le due liceali inseparabili di una vita fa, come
se fosse rimasto tutto immutato, fermo a quattro anni fa.
Ma il tempo è trascorso, altrimenti quel sussulto,
quell’accelerazione del battito cardiaco,
quell’affanno nel respiro e la gola stretta e il sangue che
si ghiaccia nelle vene non avrebbero avuto luogo.
È solo sorpresa, non è dolore. Castiel si rifiuta
di provarne ancora.
È anche delusione e amarezza. Lei sembra felice –
e perché avrebbe dovuto essere altrimenti?
E sa di quella disperata rabbia che ha dovuto ingoiare tre anni fa, che
ha poi tentato di affogare qualche sera dopo nell’alcol e
che, infine, ha vomitato in una canzone – Lips
of
ashes è ancora molto trasmessa dalle
radio locali.
Castiel distoglie lo sguardo e riprende il controllo di sé.
Nulla è accaduto, la terra non ha appena tremato e
così lascia che lei passeggi indisturbata, ignara, con
Rosalya, lascia che continui a porre altra distanza, infiniti metri tra
loro. Infiniti metri che non sarebbero mai stati abbastanza ma che, in
realtà, non sono che pochi, talmente pochi rispetto ai
chilometri che li avevano separati al trasferimento di lei in
un’altra città.
Adesso quella distanza sembra così percorribile che a
Castiel sarebbe servita una manciata di minuti a macinarla. Non ore.
Sarebbero servite poche falcate. Non un treno.
Castiel abbassa lo sguardo sul braccio allungato e la mano distesa.
Rivolge il palmo vuoto ai propri occhi chiedendo se davvero sia
rincoglionito fino a tal punto, a tal punto da sentire i capelli di lei
passare attraverso le falangi e solleticargli l’epidermide.
Chiude il pugno e sente tirare quei fili sottili, li sente
aggrovigliarsi attorno e spandere nell’aria il loro profumo,
il profumo di lei.
È di lei anche la risata che gli esplode in testa
– e forse è lì davvero, è
nelle sue orecchie, sebbene lontana. Quella risata dolce e carezzevole
che fuoriusciva da labbra al sapore di albicocca, al sapore di cenere.
Ma il passato è passato.
Il passato non ritornerà.
Così come lei, che non è tornata per lui.
La schiuma della birra comincia ad esaurirsi e sembra domandargli
perché l’abbia ordinata se non ha alcuna
intenzione di berla.
Castiel aggrotta la fronte e tamburella le dita sul tavolino del pub.
Ambra è in ritardo ma è sicuro che
l’abbia avvisato per messaggio, quello che non ha letto al
suono di ricezione della notifica. Può aspettare, non ha
alcuna fretta, né intenzione di uscire dal conforto dello
Snake Room con la sua musica assordante, il chiasso dei clienti e il
tintinnio dei bicchieri colmi di colorati drink.
Pensa sia un’ottima occasione poter suonare nel locale
più famoso e frequentato della città, un bel
trampolino di lancio per i futuri progetti che presto avrebbero
lanciato i Crowstorm. I poster sono già affissi ad ogni
angolo delle strade, in centro e in periferia, e alle bacheche degli
edifici dell’Università. Radio e quotidiani locali
li vogliono per interviste esclusive e persino il rigido professore di
Storia della Musica si era complimentato con lui per il risultato
raggiunto.
Chissà se…
«Mio dio, Castiel! Ti è-No,
fingi che non
l’abbia detto».
Castiel sbuffa una risata alla sentita costernazione nella voce
dell’amica. Certo, il suo fedele compagno di vita, Demon, non
c’è più ma una semplice battuta non
avrebbe riaperto alcuna ferita. Apprezza comunque il suo sforzo e la
sua gentilezza e la giustifica, poiché immagina di avere
un’aria davvero pessima.
Alza gli occhi scrollando le spalle.
«Dovresti chiederlo a tuo fratello».
Ambra schiocca la lingua affermativamente, getta la borsa a bordo
tavolo e si siede di fronte a lui. Adocchia la triste birra e arcua un
sopracciglio perfettamente pettinato, arricciando le labbra di un
pesante e scuro rossetto; l’impeccabile make-up, che la fa
apparire patinata come la copertina di Vogue, è la prova che
il suo ritardo è dovuto al lavoro.
«Non la bevi?» gli chiede.
Castiel spinge il bicchiere verso di lei con un mezzo sorriso.
«Serviti pure».
La modella non se lo fa ripetere due volte e ne prende una generosa
sorsata, sospirando appagata al sentore dell’alcol che le
risveglia bocca e gola.
«Brutta giornata?» investiga lui, notando la sua
ingordigia.
Ambra emette un brontolio. «Sono solo stanca».
Castiel annuisce con un cenno di comprensione. Sebbene stiano
inseguendo due carriere differenti, il mondo della moda e quello della
musica hanno in comune l’equazione della fama e
ciò comporta duro lavoro e sacrificio.
La invita a prendere gli stuzzichini, intoccati come la birra, ma lei
li osserva distrattamente e li lascia lì, all’aria
a sfumarsi.
Castiel sospira tra sé: almeno, ha fatto un tentativo.
«È orrenda. Calda e sgasata» borbotta
Ambra, ingurgitando l’ultima goccia di bevanda. «Da
quanto sei qui a piangerti addosso?»
Lui le lancia uno sguardo di disappunto. «Sei tu che sei in
ritardo».
«Ti ho scritto» risponde piccata. «Tu non
mi hai risposto».
Castiel incrocia le braccia al petto e le caviglie sotto al tavolo,
allungando le gambe accanto a quelle di lei. Non replica.
Ambra appoggia un gomito sul tavolo e gli si avvicina. Inclina il viso
di lato, accomodando il mento sul palmo del braccio piegato. I boccoli
biondi e il perlaceo incarnato le danno l’aria innocente di
una bambola, che stride con il guizzo malandrino negli occhi verdi.
«Facciamo che io ti racconto cosa mi è successo
stamattina e tu mi dici chi è morto» propone.
Castiel raddrizza la postura mimando il suo stesso sorrisino. La
conosce sin dall’infanzia e negli ultimi anni il loro
rapporto si è così solidificato da consentirgli
di leggerla meglio del suo gemello.
«Qualcosa mi dice che non vedi l’ora di dirmelo,
quindi no. Niente giochini».
Ambra, infatti, sbotta stizzita: «Quanto ti diverti a
distruggere tutto il mio entusiasmo…»
«Avanti» la sprona lui. Non gli è mai
piaciuto tergiversare.
L’amica si riaccomoda in modo più composto sulla
sedia. «Ho bisogno di bagnarmi la gola».
Castiel rotea gli occhi al cielo per quel modo di fare da reginetta del
liceo, che non ha mai abbandonato e ben si sposa con la carriera da
top-model che ha intrapreso, e chiama il primo cameriere che passa
accanto al loro tavolo.
Servono pochi minuti – ed è un bene che lo staff
sia così efficiente, data la mole di persone che si
troveranno a gestire la sera del concerto dei Crowstorm –
perché entrambi si trovino serviti: una nuova birra per
sé e un bicchiere di raffinato rosso per lei. Dopo che
brindano alla loro, Castiel finalmente approfitta dell’alcol
e sospira soddisfatto: la serata è rientrata sui giusti
binari.
Ambra ridacchia. «Non ci crederai mai» comincia per
intrigarlo.
Castiel curva le labbra con scetticismo. Da quando ha rivisto colei che
gli ha ispirato la prima canzone come autore completo, colei che
l’ha lasciato al telefono, colei che gli ha recriminato di
non amarla abbastanza quando lui, invece, ha fatto di tutto per rendere
incrollabile la loro storia nonostante la distanza, pensa che
null’altro possa stupirlo, né distruggerlo di
più.
Al suono del nome di lei, pronunciato dalla voce giuliva di Ambra,
abbassa gli occhi sulla birra e si riscuote in tempo per riportarla
alle labbra e dentro la propria gola.
«È tornata davvero. Era con Rosa, ovviamente. A
vederle insieme mi è sembrato di tornare al
liceo!» Ambra ride ricordando i burrascosi trascorsi che ha
avuto con la Wonder Woman della loro scuola. «Avresti dovuto
esserci! Mi ha guardata come se avesse visto un fantasma».
Castiel, nonostante tutto, è contento di vederla quasi
piangere dalle risate e cerca di condividere la sua gioia.
«Immagino» commenta, ma Ambra ormai parla a briglia
sciolta e non lo ascolta.
«Non so cosa si aspettasse da me».
«Che le tirassi i capelli?» scherza lui.
Ambra approva la battuta. «Sono passati quattro anni! Non
sono più quella peste».
«No», Castiel scuote la testa con aria sorniona e
quel sorrisetto dice più del tono canzonatorio.
Lei, infatti, lo colpisce sulle gambe con un calcio e il tacco della
scarpa fa più male di quello che lui ricorda. Ovviamente,
sebbene il volto gli si contragga dal dolore, l’amica non ne
è minimamente dispiaciuta e riprende come nulla fosse
accaduto.
Per un bel quarto d’ora Ambra si perde a raccontargli il
minimo dettaglio e qualsiasi commento le venga in mente di
quell’incontro e, alla fine, ha un quieto sorriso a
illuminargli l’espressione.
«Quindi avete sotterrato l’ascia di
guerra?» Castiel non può fare a meno di
punzecchiarla.
Ambra scrolla le spalle. «Eravamo due bambine allora. Adesso
siamo due persone adulte e diverse».
Diverse, sì.
Castiel la invidia. Di sicuro, Ambra poteva dirsi totalmente
trasformata, ma come fa a dirlo di lei?
Il solo fatto che lei non l’abbia cercato lo fa dubitare,
sebbene anche lui è cambiato dai tempi del liceo. Ha dovuto
imparare a gestire il temperamento caldo e
l’impulsività che lo rendeva inviso alla maggior
parte degli studenti, scoprendo così un lato di
sé stesso più quieto e riflessivo e che
è stato, ed è ancora, il propulsore di una
fertile vena creativa. Neppure Lysandre ha mai avuto da ridire sui
brani dei Crowstorm che portano il proprio nome tra gli autori di testo
e musica.
«Ehi». Ambra lo riporta con i piedi a terra e lo
osserva con attenzione e un pizzico di apprensione. «Stai
bene? Non ti ho infastidito con il mio racconto, vero?»
Castiel scuote la testa. Non fa fatica a credere alle sue parole, allo
sgomento di lei che l’amica ha tanto accuratamente descritto,
e sicuramente ingigantito. Chiunque avrebbe reagito allo stesso modo,
se avesse incontrato la Ambra del liceo e quella attuale senza aver
assistito ai piccoli cambiamenti che negli anni l’avevano
resa più seria. Il divorzio dei suoi genitori e il trasloco
di Nathaniel l’avevano sconvolta e fatta soffrire
terribilmente.
Non può capire fino in fondo cosa abbia provato in quel
frangente, poiché i suoi due vecchi sono sempre via, in
viaggio per lavoro, e, quando rientrano, lo forzano a mettere in scena
la recita della famiglia felice. Castiel fa, ogni volta, buon viso a
cattivo gioco e perché, in fondo, vuole loro bene anche se
ha dovuto imparare presto a bastarsi da solo e a non chiedere. Ha
imparato a non attaccarsi troppo alle persone.
E poi, un giorno, è arrivata lei.
E ora sa cosa si provi ad assistere, impotente, allo sgretolarsi di
ciò che di più prezioso si ha tra le mani.
«È acqua passata» la tranquillizza.
Ormai, non prova più niente.
Allora, perché è così turbato?
È come un pugno allo stomaco e non ha alcun senso che le
rimproveri di essere tornata in città senza avvisarlo, come
se dopo tre anni di mutismo e di finzione – “sto
bene” ripeteva quando non riusciva nemmeno a dismettere
l’abitudine di guardare il cellulare alla ricerca di un
messaggio o una chiamata mai giunti – lei gli dovesse qualche
spiegazione.
O delle scuse.
Per cosa, poi?
Sono inutili, non le vuole, è nauseato al solo pensiero
della pietà che avrebbe trovato nella sua voce.
Aveva avuto ragione lei: perché mantenere un rapporto a
senso unico?
Il palmo caldo di Ambra copre la propria mano e lo distoglie dai
ragionamenti.
Castiel riporta lo sguardo sui suoi occhi e abbozza un sorriso stanco:
tende spesso a dimenticare quanto anche lei fosse migliorata nel
capirlo.
«Ti va di venire da me?» lo invita. «Per
questa settimana sto ancora in hotel e c’è una
vasca idromassaggio che devi assolutamente provare».
Castiel si crogiola nelle carezze della sua mano, delle sue dita che
disegnano piccoli e stuzzicanti cerchi sul proprio dorso, e
nell’allettante proposta. Non è la prima volta che
valicano i confini platonici dell’amicizia, portandoci dentro
anche la parte più fisica e sessuale di un rapporto, e
trascorrere la notte a fare sesso senza fisime mentali, né
sentimenti ingombranti ed ingestibili in mezzo, ma per il semplice
gusto di trovare appagamento carnale dalla reciproca compagnia, magari
fumando una sigaretta dopo, è certo sia quello che gli serva
in quel momento.
Ma ha il cervello in cortocircuito e non riesce ad afferrare il capo di
quella matassa in cui si è intrappolato. Così
scombussolato, quel risvolto di serata avrebbe dato giovamento soltanto
a lui e lei è Ambra, l’amica di una vita.
«Questa volta passo» rifiuta.
Ambra scosta la mano e stende le labbra in una linea mesta.
«Sei cambiato anche tu, Cassy».
Castiel la fulmina con lo sguardo. «Prova a ridirlo e ti
faccio pagare il conto» sibila, rabbrividendo dal disgusto
per quel nomignolo che solo sua madre usa.
«Stavo scherzando» si giustifica lei, pacatamente.
«Volevo dire che una volta ne avresti approfittato».
Lo sfiora appena l’ipotesi che Ambra avesse voluto distrarlo,
a prescindere dall’indole capricciosa che ogni tanto le piace
riportare alla luce, ma mantiene salda l’espressione arcigna.
Lei sospira, portando le mani avanti in un gesto di resa. «Va
bene, va bene. Ho capito. Ci vediamo domani, okay?» Raccoglie
la borsa e si rimette in piedi. Da vera diva compie qualche passo verso
l’uscita, prima di far finta di ricordarsi e girarsi verso di
lui. «Grazie per l’alcol e la compagnia».
Castiel solleva la mano a mo’ di saluto, scuote la testa e
mastica una risata.
Certo. Come sempre.
La sigaretta, alla fine, riesce a fumarla comunque. Non ha
null’altro da fare per passare il tempo e gli serve da scusa
per attardarsi davanti al dormitorio
dell’Università Anteros. Il fumo fa il suo dovere
e lo rilassa abbastanza da zittire la vocina in testa che continua a
riprenderlo per quella bassezza umana, quella debolezza che lo inchioda
lì, come il grandissimo coglione che non pensava di essere.
Ha iniziato a martellare allo Snake Room da quando ha scollato il culo,
ormai appiattito, dalla sedia e ha proseguito con più forza
quando, dopo essere uscito dal locale, si è diretto dalla
parte opposta rispetto a casa propria.
E adesso che si confonde al ronzio dei lampioni non è meno
fastidiosa.
Castiel non sa bene cosa spera di ottenere da
quell’appostamento. Forse di forzare la mano al caso, o di
trovare qualcosa che lo spinga ad andar via. Forse, abbandonare il
locale non è stata una delle sue idee più
brillanti: la serata stava entrando nel vivo e, se non con Ambra,
avrebbe presto trovato distrazione e calore tra le cosce di
qualcun’altra.
Invece, sta lì a prendersi in pieno la frescura della notte
e già sente la ramanzina che i suoi compagni di band gli
faranno l’indomani, al primo accenno di raucedine o tosse.
L’oscurità, interrotta da sporadici punti di luce,
lo nasconde alla vista degli studenti di rientro dai bagordi,
così che lo oltrepassino senza riconoscerlo e, di
conseguenza, disturbarlo. Castiel espira il fumo in una nuvola seccata.
La sigaretta sta finendo e lui non ha voglia di farsene
un’altra.
Ambra ha detto che lei adesso alloggia in una di quelle camere. Se lui
ancora non l’ha vista passare significa che è
dentro, oppure che è ancora fuori.
Sa bene di star dando il peggior spettacolo di sé stesso e
ringrazia l’assenza di testimoni, ma c’è
questa curiosità che non riesce a scrollarsi di dosso. Una
malsana curiosità di sbucarle alle spalle e dirle
“ehi, io sono qui”.
Ehi, io sono sempre stato qui.
Chissà se lei avrebbe avuto la stessa reazione comica, come
è capitato ad Ambra? L’immagine gli fa produrre un
riso sarcastico e scrolla le spalle, scuote la testa per scacciarla.
È del tutto inverosimile che accada.
Gli piacerebbe soltanto vedere la faccia che lei avrebbe fatto.
Vorrebbe leggere nei suoi occhi tutte le sfumature di emozioni che
l’avrebbero attraversata – sorpresa, malinconia?
Vorrebbe vedere se la sua bocca si sarebbe aperta e chiusa in una linea
neutra, se avrebbe formato un sorriso imbarazzato.
La voce di lei avrebbe pronunciato il suo nome con gioia, oppure con
disprezzo? L’avrebbe salutato come un vecchio amico? Come uno
sconosciuto?
Non gli pare verosimile, ma tant’è… Ha
creduto di meritarsi un messaggio di circostanza, di interesse anche
simulato, un “ciao, sto tornando in città, magari
ci si incontra in giro”, che invece non è
pervenuto.
Come sono i ricordi che lei ha di lui? Lo ha così totalmente
e facilmente rimosso dalla sua vita?
Tre anni sembrano abbastanza per farlo, per passare oltre i taglienti
pezzi di vetro in cui si è frantumata la loro storia.
Castiel a volte si era ritrovato a calpestarli per sbaglio, venendone
trafitto.
È stato lo stesso per lei?
E, cazzo, perché gli importa così tanto?
Non riesce proprio a digerirlo. Non riesce a digerire il fatto di aver
davvero contato così poco per lei, così poco da
non aver avuto il tempo di reagire allora, troppo abituato ad evitare i
legami, né che lei abbia avuto così poco a cuore
quello che c’era stato tra loro.
Castiel impreca e butta la cicca nel cestino. Fa il giro del fabbricato
poiché è stato tante volte lì, a
trovare colleghi e amici, e la camera di lei non dà sulla
facciata in cui si trova l’entrata principale dello
studentato. E, merda, ormai che è lì…
perché no?
Più in basso di così non potrebbe cadere, no?
Chissà perché lei non sta nel vecchio
appartamento in città, con i suoi genitori… Non
che siano affari suoi. Se lei ha preferito quella sistemazione, a
Castiel va bene così, anzi, non gliene può fregar
di meno.
Anche lui ama la privacy e i comfort del proprio loft e non avrebbe
scambiato quell’indipendenza per nulla al mondo.
Castiel rivolge lo sguardo in alto. La finestra della stanza
è quella proprio sopra la sua testa, al primo piano, e la
luce è accesa.
Sarebbe bastato lanciare un sasso per colpire il vetro, come in quegli
stupidi film che lei ogni tanto amava guardare, e forse si sarebbe
affacciata.
Cosa abbia di romantico quel gesto gli è sempre sfuggito.
Pare più la mossa di un disperato.
Non che stare fermo lì sotto possa definirsi altrimenti.
Si lascia andare ad una risata isterica, come se fosse ubriaco sebbene
avesse consumato quell’unica birra in compagnia di Ambra.
È l’effetto del freddo, che finalmente gli
è entrato nelle ossa e soprattutto nel cervello, e della
vocina insistente della propria coscienza, che d’un tratto
non gli sembra più così sciocca.
Avrebbe dovuto prestarle ascolto prima.
Un altro scoppio di risate amare lo scuote mentre si immagina di
chiamare quel numero che ha ancora in rubrica, immagina di dirle di
chiudere qualsiasi puntata di una di quelle interminabili serie tv che
lei si ostina a seguire, perché lui sa che è
sveglia, perché lui è lì,
giù, perché sa che è tornata
nonostante il suo silenzio, ed è certo che lei non abbia
altro di meglio da fare e allora può portarla lui in giro
per la città, che è un po’ diversa da
quando lei l’ha vista l’ultima volta; possono bere
qualcosa allo Snake Room, possono fare tutto e niente.
Possono ridere insieme, come due amici, come due conoscenti. Come se
non ci fosse stato niente tra loro, come se non avessero troncato
bruscamente una relazione traballante senza neanche tentare di
ricostruirne le fondamenta.
Castiel può fingere, è sempre stato bravo a
mascherare i sentimenti, né ha niente di cui pentirsi,
neppure scuse da farle. Lui c’è stato e ci sarebbe
stato ancora.
Lei no, non ci ha nemmeno provato, ha preferito scomparire e ignorarlo.
E Castiel ha una band da portare avanti, da portare al successo, e non
vuole, non può, permettersi distrazioni. Se è
così che gestisce le delusioni, allora avrebbe fatto prima a
cambiare mestiere.
Così, gira i tacchi, le mani nelle tasche della giacca, e si
allontana.
Sotto le dita ha il pacchetto di sigarette e, fintanto che è
ancora all’aria aperta, gli conviene approfittare e occupare
proficuamente il tempo che ha a disposizione per raggiungere casa.
Che cazzata fingere di sapere come dimenticarsi e basta.
Grazie per aver letto ♥
Dopo aver dato voce al punto di vista della Dolcetta (che potete leggere QUI oppure aprendo la serie), mi è ispirato quest'altro momento dal punto di vista di Castiel. Anche se è una sorta di prequel del suddetto missing moment, non è nato come tale e può essere letto anche senza conoscere l'altro.
(Il titolo è preso dalla stessa canzone della citazione)