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Autore: ClodiaSpirit_    02/04/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clo's: e ci siamo, siamo alla dirittura di arrivo. Non posso spiegare quanto ritornare a scrivere mi sia stato d'aiuto, quanto mi abbia riempito e svuotato; quanto l'idea di poter lasciare andare i pensieri nocivi via per quel poco tempo, nelle mie ore, dopo l'uni, dopo l'insicurezza, dopo il senso di fiacchezza.
E non posso spiegare che bello sia stato ritrovare qualcuno interessato a leggere, dedicando un'ora o anche meno del suo tempo, a questa serie di OS. O se proprio devo dare un nome, sono piccole storie.
Il ringraziamento finale va a Simone e Manuel,
senza loro ad ispirarmi, non sarei riuscita a riprendere.
Grazie.
Grazie a voi, vi voglio bene.
E.... apprestoavederci






E dopo l’estate passata con notti un po’ insonni, un po’ tra il sale del mare, un po’ tra i baci che venivano dati sotto il Colosseo colmo di turisti, un po’ sotto al portone del liceo da cui spesso erano passati, tenendosi per mano, anche la stagione era passata. Nonostante le ore lunghe non fossero mai abbastanza, troppo poche per entrambi, quei tre mesi erano passati portandosi via dei bei ricordi. La casetta di legno era diventata un rifugio fisso, in cui scappavano quando il mondo faceva troppo rumore intorno a loro, ci si svestivano, tra baci scomposti, mani che ricreavano il profilo nel buio, intrecci di dita col calare del sole. Un rifugio a cui dedicarsi, passare la notte a chiamarsi tra il dormiveglia e l’insonnia, l’osservarsi sempre col cuore troppo scoperto. Pieni custodi e protettori sacri di momenti come quelli. Le tende colorate erano rimaste, ufficiali - dal compleanno di Manuel - in quello spazio tutto loro, così come le foto, attaccate alle pareti. Frammenti di un pezzo di anno insieme, 365 completi, un giro completo attorno ai pianeti, alla terra. C’era solo qualche altro elemento in più come una bandiera della pace, qualche libro, qualche piccolo poster, qualche pupazzo sulla brandina, aggiunto - ovviamente - da Simone.
Fuori e dentro quel rifugio, Simone e Manuel avevano passato l’estate come mai pensavano di aver potuto fare: tante erano state le foto e tanti altri i litigi stupidi scatenati per nulla.
Ma la cosa più bella, era quando si riprendevano con la stessa forza con cui si lasciavano qualche ora prima. Così come si era spenta la discussione, si riaccendeva la scintilla.
Arrivava uno scusa, un so un coglione, o anche un me fa schifo non parlarti, famo pace su che riportava tutto nella sua forma originaria.
Manuel si fermava a guardare Simone e l’altro pensava di aver appena sprecato del tempo per poter fare altro. Puntualmente, finiva tutto per incastrarsi come un puzzle.
Le intenzioni e la dedizione a cui si prestavano, erano superiori: le mani servivano per prendersi, gli occhi aiutavano a leggersi dentro, i nasi erano fatti per schiacciarsi.
E anche dopo tante parole, i due, ritornavano sempre a cercarsi, era più forte di loro. Due pezzi di una metà mancante, una stella priva delle punte, un quadro senza colore.
La paura veniva tagliata fuori e in tutti i modi possibili, il mondo messo sullo sfondo, quando si sentivano liberi, addosso l’uno sull’altro. Anche adesso, con il risveglio di una nuova stagione, l’abitudine continuava: il teppistello che lo aspettava ansioso sotto casa, per passarlo a prendere. Simone si presentava poco dopo, infilando malamente il giubbetto di jeans, l’altro lo riprendeva per il ritardo, scatenandogli un sommesso sospiro.
Se lo tirava contro, gli premeva le labbra, salivano sul mezzo e poi con un click, il portachiavi con la piccola riproduzione del veicolo che pendeva, Manuel metteva in moto e partivano percorrendo le strade romane durante la mattina.
Le occhiaie evidenti, i capelli ricci quasi di medusa o di uncini, che fuoriuscivano dal casco, il tipico giubbotto verde militare stinto, il sorriso sbilenco che gli veniva fuori, quando lo ammirava dallo specchietto: era tutto ciò che Simone aveva voglia di vedere, ogni giorno.
Avevano deciso così, a giorni alterni seguendo turni, avrebbero dato un passaggio all’altro, per comodità ma anche per voglia. La comodità delle sere a dormire nei letti, a lasciare impregnate le lenzuola del loro odore, era diventato più un rito troppo atteso per il fine settimana, dove le scuse erano quasi sempre diverse sapendo, in ogni caso, che i loro genitori non ci avrebbero creduto più di tanto.
Ma lo facevano lo stesso. La verità era che in ogni occasione, Manuel non si sognava di dormire senza Simone affianco ed era per questo, che ogni domenica puntuale, il suo ragazzo era diventato l’ospite usuale d’onore a casa Ferro.
La fine delle giornate soleggiate e l’inizio degli allenamenti di rugby per il suo ragazzo, avevano un po’ modificato i loro orari e adesso, con la scuola, sarebbe stato un po’ più difficile. Ecco perché, quando Simone aveva esordito con quella proposta, Manuel non aveva potuto fare a meno di condividere.ì
E con quel ritmo, avevano ripreso con le lezioni, si era fatto spazio di nuovo il mese di ottobre, tra i compagni di classe, le prime campanelle che suonavano scandendo il tempo lento come una clessidra rotta, le risatine tra i corridoi che smorzavano la pesantezza.
Le giornate scorrevano come uno yo-yo, andando su e giù, le prime spiegazioni di matematica e le prime corse di Manuel a casa Balestra, come se fosse davvero un chiaro motivo per mettersi davvero studiare e capirci qualcosa di quella roba numerica e di calcolo. Quella era – l’ultima cosa – che davvero succedeva.
In ogni caso, bastavano solo pochi minuti e Simone rimetteva in riga Manuel, dopo aver completamente messo a soqquadro la stanza, quando uno dei due decideva di smettere di perdere tempo con le pagine e i capitoli dei testi e confrontarsi corpo a corpo, in un duello senza sconfitti.
Simone accettava la presenza del suo ragazzo, ogni volta che veniva spiegato qualcosa di nuovo, pur sapendo in anticipo che si sarebbero concentrati solo per un’ora su tre. Le restanti le passavano a discutere su qualche stupidaggine, si scambiavano opinioni e gusti musicali, Manuel lo stuzzicava e Simone lo colpiva con il libro, si toccavano, allungavano le mani.
Simone contava tutte le volte che l’altro lo guardava, dopo tutto quel tempo, quell’attenzione era sempre una sferzata al petto. Contava tutte le volte che non lo faceva, anche. Ed era per lo più nei momenti in cui era concentrato su altro e non su Manuel.
Quando lo faceva, lo vedeva masticare il tappo della penna, cercando di risolvere un problema o una traduzione di latino: quella immagine era in poco tempo, diventata la sua casa.
I martedì e i giovedì, aveva i soliti allenamenti di rugby e così un giorno, per scherzare, Simone la aveva buttata lì, proponendogli di venire per guardarlo giocare.
Non ci aveva creduto, quando il ragazzo aveva visto Manuel tra gli spalti, un giovedì pomeriggio, intento a urlare – pur non capendoci assolutamente nulla di quello sport, che seppure Simone gli aveva spiegato più di qualche volta – e a sorridergli.
Erano passati da rugbista sfigato a Simò sei stato bravissimo, ma ve fate male vero sul campo?
Al rugbista piaceva prenderlo in giro, la mano si chiudeva e gli strofinava i capelli, mentre l’altro si tirava la spalla contro. E così Manuel si lamentava e allora l’altro trovava il modo di scoccargli un bacio sulla bocca, prima di ritornare a casa, sudato com’era e farsi una doccia.
E procedeva così la quotidianità, durata per ben un anno, un anno pieno.




Manuel camminava per strada, il colletto della maglia gli schizzava fuori dal collo, forse un po’ troppo largo. Le cuffie larghe sopra i ricci, il passo spedito. La porta dell'officina venne aperta, quel venerdì pomeriggio, buttate le chiavi a lato del tavolo da lavoro, la musica gli pompava un pezzo ritmato alle orecchie.
Manuel si mise l’usuale tuta da meccanico, lasciando i vestiti piegati da una parte, facendo attenzione a non coprire i pezzi di bici e di moto da ricambio. Afferrò gli strumenti, posandoli sul tavolo. Storse la bocca, osservando i fili disposti in ordine e di colore diverso. Il pezzo di carta attaccato da schizzo gli dava le linee generali su come proseguire. Aveva passato tutta la giornata a scuola a scarabocchiarlo, cercando di nasconderlo agli occhi di Simone, in mezzo alla pagina del quaderno di matematica. Tanto, era giornata di interrogazione e lui era già andato qualche giorno prima. La penna aveva rimarcato con attenzione alcuni passaggi e accentuato dei particolari. In realtà Manuel aveva pensato a più di un’opzione, ma la prima era quella che la convinceva di più.
Quanto potrà essere complicato lavorarlo, ce faccio pure de cognome così.
Non sapeva dove avrebbe iniziato e con quale di quei fili, tutti di colori diversi. In realtà, aveva seguendo il primo disegno, aveva pensato a qualcosa di semplice, ma di impatto visivo. Il ragazzo sospirò. Uscì fuori il telefono dalla tasca poggiandolo di fianco. Poi notò la casella delle chiamate perse incombere sulla parte superiore - 4 notifiche : alzò gli occhi al cielo. Tolse le cuffie. Il pollice scorse sul nome in rubrica e gli squilli cominciarono.
Ne bastarono solo due.

« Buon pomeriggio, ma dov'eri finito? »

La voce di Simone gracchiò dal vivavoce, con Manuel che cominciava ad avvitare il filo lungo il tubo metallico e afferrava un paio di pinze appese alla parete.

« Simò sono in officina, sto lavorando a un pezzo de un cliente, avevo il silenzioso »

« Da quando lavori all'ora di pranzo? »

Madonna mia che è un questionario?

« Me volevo portà avanti, oggi non se studia, è giornata di festa, no? »

« Sì, però quanto meno potevi mandare un messaggio, » dal suono sembrò sospirare « non puoi farti vedere in video? »

Ma che semo matti.

« E no, Simò, » inventò una scusa, morse il labbro inferiore « sto sotto una macchina, te parlo col vivavoce »

Ecco, così va meglio. Simone me piacerebbe ma te leverei tutto l'entusiasmo.

« Vabbè, ma pure stamattina sei dovuto scappare di fretta, » espordì un po' rabbuiato « manco il tempo di chiederti- »

« Simone, » Manuel cominciò a girare il filo, facendo molta attenzione a non piegarlo nella direzione sbagliata, lo sforzo gli fece aggrottare la fronte « t'ho detto stasera a casa mia, che mi madre non c'è. Così festeggiamo »

« Ma da te... a cena? »

« Sì, da me a cena » mormorò esausto « tranquillo non te avveleno col cibo »

Il silenzio si depositò nel momento in cui Manuel guardò la forma venire fuori, che si annodava attorno al lungo tubo di sostegno sul tavolo, cercò lo sgabello in fondo alla stanza e decise di sedersi sopra per guardare meglio e metterlo in verticale.

« Guarda che se non ti va, possiamo anche vederci un film, uscire, passi da me, robe così. »

Ma che stai dicendo. Aspetta, mi fermo sennò me se rompe sto lavoretto.

« Simone non provacce nemmeno per scherzo, facciamo un anno e te cucino io, mia madre dorme fuori e c'abbiamo casa libera, » Manuel trasformò il suo tono in velluto morbido « C'avevo da fà una commissione per questo lavoro qua, poi da fà la spesa » in realtà quella doveva ancora farla, ma ovviamente l'altro non ne sapeva nulla « mi dispiace se ti sono sembrato distaccato » sussurrò.

« Ho esagerato mi sa, scusa- » si scusò Simone.

Manuel si sentì leggermente in colpa, la pinza si fermò sul tavolo, la mano si massaggiò le tempie.

« No, no, te lo dovevo dire Simone, c'hai ragione, » si inumidì le labbra « solo voglio che assicurarmi che stasera vada tutto bene, c'avevo pure sto pensiero in testa »

Silenzio, rumore di una risata, o comunque l’accenno di una, gli arrivò all'orecchio.

« Non sono uno che pretende, vorrei solo passare l'anniversario col mio ragazzo »

Manuel annuì, un sorriso venne fuori e avrebbe tanto voluto che Simone vedesse cosa stava facendo in quel preciso momento.

« E sarà così, te lo prometto » inspirò. Immaginava l'espressione di Simone una volta che avrebbe visto quel piccolo pensiero, sempre se gli fosse riuscito. Non era granché amante di grandi doni, però Simone gli stimolava soltanto grandi gesti. Se c'era anche la remota possibilità e opportunità di fare qualcosa in grande, quella sarebbe stata per lui, unicamente per lui. Era forse da egoisti volere i meriti e il bene infiniti per una sola persona al mondo?

« A che ora? »

« Te presenti alle otto e mezza sotto casa mia, » riprese in mano la pinza e riprese ad avvolgere la materia sotto entrambe le dita da artigiano « e porta na bottiglia de vino, niente birra stasera, facciamo i signori come se deve »

Simone rise dall'altro capo della cornetta, un rumore emerse dal telefono, come qualcosa di pesante, di fogli. Manuel non lo afferrò bene, per quanto il suo udito fosse acuto e affilato quanto la sua lingua.

« Ne porto anche due »

Il rumore in sottofondo smise all'istante.

« Che stai a combinà lì, che è sto casino che sento? »

« Cose »

« Ah ho capito, » aguzzò il tono di voce curioso « è na sorpresa »

Simone si ingegnò all'istante.

« Le famose cose che starai facendo anche tu, immagino, no? »

Manuel incurvò le labbra, una smorfia all'ingiù che tradiva un battito nel petto che veniva a mancare subito dopo.

« Non sto capendo de che stai a parlà, io sto lavorando qua dentro » si alzò veloce dalla seduta e diede un colpo a un pezzo di ferraglia: era un vecchio cruscotto di una macchina che teneva come cimelio, la sua prima furbata da ladruncolo. Pezzo di una vita con cui ormai aveva smesso, datato di lontananza per anni, quasi secoli.

« Lasciami sognare almeno un po' » sbuffò Simone, ridendo subito dopo.

« Perché con me non sogni Simò? »

Era ritornato a sedersi, stringendo forte il cellulare tra le mani, il respiro era diminuito, così come la sua sfacciataggine. Tutto d'un tratto gli venne in mente una frase ad effetto ma se la tenne per sé.

« Oh, » Simone cambiò voce, quasi fosse la cosa più ovvia « purtroppo Manuel, tu ci sei sempre, nei miei sogni »

L'officina si alleggerì, cambiando il suo aspetto, cambiando la luce fissa e fastidiosa della lampada che ogni tanto vibrava e si fulminava, cambiò addirittura i pezzi di ricambio, adesso erano tanti testimoni di quelle parole sussurrate durante una chiamata. Non sembrava si trovasse più in un luogo di lavoro. « Vabbè, tagliamo, altrimenti mi becco gli insulti anche oggi che è il giorno nostro »

« Sono quelli più belli » tagliò corto Manuel, « i sogni di me e te »

Ci fu silenzio, mentre si rifletteva sull'importanza delle immagini, dei frammenti della memoria.

« Non te ne puoi uscire con queste dichiarazioni però, » l'amore tattile nella voce « io ora vorrei vederti »

« Te posso descrivere la situazione: mani sporche de grasso, tuta da meccanico e sorriso da coglione a trentadue denti in vista »

« Ma non puoi smettere per qualche minuto e ci vediamo un attimo? »

L'urgenza di Simone gli colpì il petto, portandolo a deglutire e subito dopo a sorridere fiero.

Anche io te vorrei tanto vedere. Stasera Simone, devi avè pazienza.
Manuel strizzò la lingua in mezzo ai denti, ruotò la forma del filo, facendolo girare, poi fissò il piccolo foglio strappato attaccato con lo scotch al tavolo.

Qua me tocca cambià verso per il motivo ad intreccio.

« E te l'ho detto Simone, sto sotto una macchina, oltre che sotto per te » suonò leggermente distratto, ma fu sincero.

« Va bene va, io c'ho provato… » il rumore di una busta, adesso fu evidente all'orecchio del teppistello « Volevo sapere se posso presentarmi con una camicia, come ultima cosa e poi ti lascio al tuo grasso per motori »

« Se porti la bottiglia de vino, porti pure la camicia Simò. Devi metterla, » abbozzò un sorriso furbo, che risultò luminoso sostituendo la lampada mezza rotta dell'officina « perché casa mia stasera diventa meglio de un ristorante a cinque stelle »
Una pausa, poi Simone prese per ultimo la parola.

« Ho capito porto pure qualche medicinale dietro, se uno dei due si sente male, non si sa mai »

« T'ho detto che non ti avveleno, non succede mai nei posti rinomati »

« Eh appunto, quelli. Casa tua è una cosa a parte, a stasera Manuel »

« Non me offendo solo perché te ricrederai appena lo vedi, a stasera, oh mia croce rossina. Puntuale, me raccomando! »

« Se l'idea è quella di un infermiere sexy, sappi che passo »

Saresti perfetto come medico.

Lo tenne per sé. Al contrario, Manuel rise fragorosamente mentre il ragazzo chiudeva la chiamata. Si portò il telefono al viso, inspirando. Manuel rise fragorosamente mentre il ragazzo chiudeva la chiamata. Si portò il telefono al viso, inspirando.
Sogno, immaginazione.
Cosa aveva sognato di recente? Il volto del ragazzo gli balenò colorandosi in testa, gli apparve vestito di un camice lungo, uno stetoscopio, ma stranamente non provò malizia, perché capeggiava con un paio d'occhi innocenti. Due pozze di fiducia, d'aiuto, di premura.
Sorrise, stupendosi come anche l'immagine risultò di una dolcezza inaudita. Chiuse gli occhi e ritornò al suo lavoro.
Spero ti piaccia, Simone. Spero che valga un minimo di quello che me fai provare.

Un'altra idea gli venne subito in mente. Annuì mentre avvitava il ferro attorno al tubo, e lo incastrava, il movimento gli risultò facile una volta presa confidenza. La materia sembrava piegarsi, più ci stava dietro, come se si fosse posta in ascolto e lui fosse l’artista. Manuel si alzò dalla seduta e continuò così, con la testa colma di parole già dette.

Manuel, tu ci sei sempre, nei miei sogni.







Manuel si ipnotizzò con le buste della spesa su una piccola margherita, lì in una delle aiuole vicino al supermercato. Quel fiore colpì la sua attenzione, allora si chinò piano, le buste si accasciarono sul breve lato del marciapiede. Sfiorò con il pollice e l'indice la corolla di petali bianchi attorno al centro giallo chiaro. In ottobre, resistevano ancora, piccole e aggraziate, nonostante il freddo.
Sorrise inconsapevole, ripensando vividamente a qualcosa.

« Dai, avanti su » Simone cercò di farlo smettere, sull'erba nel parco in cui avevano visitato prima il museo, sentendo le dita di Manuel che lo solleticavano. Allora lui aveva provato a fare la stessa identica cosa, atterrandolo, ma l'altro si era messo a strofinargli l'orecchio di continuo tra il collo e il mento ed era come se ripetesse il gesto di prima solo senza le mani. Poi iniziò a depositare piccoli baci lungo gli stessi punti.

« Simone sono preso bene, e poi se non ti piace me lo avresti già detto »

La risata di Simone uscì come un gorgoglio fuori dal petto, su cui sopra adesso, si trovava la sua mano per tenersi la pancia.
Quando Manuel si scostò e terminò la sua tortura, Simone si mise su un fianco, la mano toccava ciuffi d'erba, tirandoli un poco. I suoi occhi erano fermi in quelli del ragazzo, il berretto gli copriva metà della fronte e i capelli uscivano ridicoli dall'indumento.

« Sai che non avrei mai pensato che saresti venuto qui? »

La Scozia era appena diventata un posto condiviso insieme, lo sapeva. Sapeva che quando ci avrebbe pensato, l'altro ne avrebbe fatto parte.

« Te l'ho detto, Simone col cavolo che non venivo. Io ormai sono la tua ombra, che te piaccia o no »

« È una minaccia? »

Simone arricciò il naso, inclinò la testa. Manuel annuì, ridendo di sbieco, le dita accarezzarono qualche fiore lì in mezzo a loro. C'era qualche piccola viola, e qualche piccola margherita schizzava fuori, col suo candore. Staccò il fiore dallo stelo con delicatezza e si allungò verso Simone.
« Che fai? »

« Aspetta, Simò »

Le dita posizionarono la margherita dietro l'orecchio di Simone, incorniciandogli quella piccola porzione di spazio tra l'attaccatura dei capelli e del lobo.

« Sei più carino così, ti dona » indicò il piccolo ornamento che aveva appena depositato.

Simone sorrise imbarazzato, scuotendo il capo e Manuel glielo tenne fermo, poi con la mano frugò sempre tra l'erba, prendendo un'altra piccola margherita ripetendo l'operazione precedente.

« Stai cercando di farmi una composizione floreale addosso? Cosa sono un vaso umano? »

Manuel lo guardava attento, mentre gli infilava il fiore sull'altro orecchio, un altro ancora, dentro un boccolo nascosto.

« O sai Simò, le opere la dentro, erano belle, » mormorò Manuel studiando quei ricci dove poter infilarci dentro la prossima margherita « pezzi rari, però non me pare de aver visto una cosa che assomigliasse a te »

Simone deglutì, il sorriso era piccolo, accennato e si sporse a baciarlo. Contava già quattro margherite in testa. La mano gli si fermò sulla guancia di Manuel.

« Stai staccando tutti i fiori del parco, attento che ci cacciano » lo schernì, in tono basso.

Manuel sbuffò, incurante.

« Se vogliono, glie posso spiegà che me servono per fà un po' d'arte »

Simone soffiò sulle labbra del suo ragazzo, quello continuava il suo lavoro meticoloso.

« Il ragazzo con la margherite » sussurrò intitolando l'opera.

« Mi suona famigliare »

« I diritti de copyright so' miei, così come il modello, » gli baciò l'angolo della bocca « non li cedo manco se me pagano »

« Però per ogni margherita che mi hai messo, » Simone sospirò socchiudendo gli occhi « ci starebbe un bacio »

Manuel raccolse qualche altro fiore e incoronò quei pochi ricci liberi rimasti. Poi con il dito contò ognuno, annuì veloce.
« Nove » guardò bene Simone, catturando l'espressione che aveva dipinta in volto, sembrava davvero un quadro vivente « va bene, mettiamoci a lavoro »

Sentì una piccola risata del ragazzo con le margherite, mentre si fiondava sulla sua bocca.

Manuel sorrise di sbieco, si alzò di nuovo, mentre proseguiva lungo la strada. Quello che non calcolò, fu un veicolo che non lo vedeva attraversare le strisce. Arrivò a tutta velocità, l'impatto fu veloce, in un nano secondo, Manuel si trovò sdraiato sulla strada, le buste della spesa si aprirono, mentre la maglia si squarciava impigliandosi al piccolo cavallino decorativo sul paraurti. Il giubbotto attorno alla vita gli attutiva il colpo, facendogli da cuscinetto. Per un attimo non capì, nulla, gli occhi fissavano il cielo sopra di lui: pensò di stare sognando quella scena. Si tastò la fronte, sentendo qualcosa di gonfio. Manuel riprese in pochi minuti coscienza, si guardò, controllandosi: non aveva nulla di rotto. Fece forza sulle braccia, sollevandosi in piedi. Davanti a lui la macchina non c'era già più, si era sicuramente spostata all'angolo, per proseguire il suo cammino, fregandosene del ragazzo che aveva quasi stirato sotto.
Questo bastardo, non si è manco fermato.
Stava riprendendo le buste della spesa, quando notò del sangue che gocciolava sulla plastica, in una linea netta, che correva lungo la busta. Fu allora che osservò il suo braccio sinistro: un lungo taglio partiva da sotto il polso, fino all'avambraccio. Il liquido usciva copioso e per un attimo cercò di pensare fosse tutto tranne che suo. Subito, afferrò il cellulare, sua madre non rispose dopo quattro squilli. Si avviò verso il motorino. Strappò parte della maglia legandosela al braccio per tamponare il sangue. Manuel poggiò le buste della spesa davanti ai suoi piedi, le mani si mettevano al manubrio e partì. Nelle vicinanze c'era un piccolo centro di pronto soccorso, si sarebbe fermato lì prima di tornare a casa.
Che culo, Manuel.
Giusto oggi te dovevano parà.





- - -




Su un lettino di un piccolo pronto soccorso, fuori dal centro, Manuel si guardava la fasciatura al braccio. Mentre i suoi occhi scrutavano ancora l'immagine dei punti e della pelle che veniva ricucita, dalla porta apparì sua madre che venne subito osservata da una delle addette alle punture. La coda di cavallo le penzolava agitandosi insieme a lei, la maglia a righe la si sgualciva, il piumino la rendeva ridicolmente muscolosa con quel fisico slanciato. Sgusciò dentro la stanza, scavalcando due signori fuori dalla stanza.

« Sono la madre!» entrò finalmente e si precipitò accanto a Manuel. Gli mise le mani attorno al viso, a scostargli i capelli, come se quello scottasse o avesse la febbre. Notò il piccolo bernoccolo a sinistra della fronte, così che Manuel sentendola ansimare e partire con le domande cercò di fermarla, recuperando in extremis almeno un minimo di preoccupazione.

« Stai bene, tes-»

« Prima de tutto, come sei arrivata qua e seconda cosa, mamma, sto bene » le prese le mani e le spostò sulle spalle, sul petto in modo che con quel gesto capisse che era ancora fatto di carne « m'hanno solo scambiato per un palo della luce o forse chi guidava era mezzo ubriaco »

« Sono arrivata perché mi hanno chiamato dal tuo cellulare, grazie al cielo direi. Mi hanno spiegato che un tizio ti ha investito e che sei stato fortunato ad avere urtato di fianco. Potevi rimetterci una gamba o peggio »

Manuel rimase un attimo a boccheggiare, guardò la colonnetta e subito si voltò verso l'addetta del reparto che stava entrando nella stanza.

« M'avete preso il cellulare senza dirmelo? » risultò scorbutico e brusco. La signora, doveva all'incirca essere sulla quarantina, rispose in modo calmo ed educato.

« Sei svenuto mentre ti mettevano i punti, » precisò, tastandosi in tasca « non sapevamo se ti saresti ripreso subito e avevamo bisogno di qualcuno da avvisare, visto l'età, c'è bisogno del consenso di un genitore per firmare e andarsene. »

Manuel ricordava vagamente il primo punto, il secondo... dopo il terzo non penso più a come era fatto il suo braccio, né a la carne che si rincollava col sangue secco di mezzo, né al filo che veniva tirato. Non era come i tatuaggi, lì potevi togliere l'ago e modificare la pressione quando volevi.
La donna del reparto porse il cellulare al ragazzo, che le faceva il dono di due occhi a fessura pronti a sganciare una fiamma potente, adesso.

« C'ho diciannove anni, so maggiorenne! Se volete vedere i miei documenti potete controllà dentro il giubbotto visto come siete veloci a frugare tra la roba degli altri!»

Anita gli mise una mano lì, sul petto, come in segno di stop. L'addetta si limitò a guardarlo in modo antipatico questa volta, senza nemmeno rispondergli. Sua madre intervenne, pacifica.

« Non si preoccupi, vi fornirò tutte le credenziali una volta che lo avrete dimesso » annuì, cercando di confortare la signora, la quale sembrò quietarsi un po' prima di uscire dalla stanza. Sua madre ritornò a guardare Manuel, che fissava ancora la porta da dove era uscita quella "specie" di donna.

« Meno male che sei tutto intero » esalò un respiro di sollievo, e Manuel abbozzò a un piccolo sorriso sollevando solo un lato del viso.

« C'ho sette vite, come i gatti mà »

« Ma lo hai visto almeno il tipo che ti ha messo sotto? »

« Eh no, mà, ero troppo impegnato a sdraiarmi per strada e contà le nuvole... » mormorò, peggiorando il tono. Cercava di ricomporsi, non poteva agitarsi quel giorno. Quel giorno era suo e di Simone.

« A sti cafoni dovrebbero togliere la patente, anzi, manco dargliela »

« Lascia stare, ci sono cose più importanti...tipo che devo tornare a casa e devo preparare tutto per stasera, con questo » alzò il braccio fasciato che sentiva premere sulla pelle « coso addosso. Avevo pensato a tutto, ce mancava solo il pirata che me metteva sotto. Quando dici la fortuna » suonò leggermente irritato, meno di prima ma comunque scosso, Manuel fissò il materiale plastificato del lettino sotto di lui.

« E che problema c'è scusa, ti aiuto io Manuel » sua madre gli fece spostare lo sguardo.

« Davvero me daresti na mano? »

« E come no, » gli baciò la fronte « prima che vado da Luisa, la mia collega, ti aiuto con la cena »

« Facciamo che tocchi solo quello che te dico io, » puntualizzò Manuel « e in più me devi consigliare come mette la tavola, ho comprato qualcosa… »

Anita roteò gli occhi al cielo, suo figlio le stringeva la mano con il braccio sano, il destro.

« Va bene, ti prometto che tocco solo lo stretto indispensabile. Dove riesci a fare, me lo dici tu. »

« Me sento un po' sollevato, ho passato mezza giornata in officina tra l'altro » buttò fuori una nuvola d'aria, avvertì i passi di un'infermiera lungo il corridoio stretto.

« Che gli hai regalato? » Anita fu curiosa.

« Appena torniamo a casa ti faccio vedere... è una cosa un po' melensa, me ce sono messo d'impegno »

Anita annuì, accarezzandogli piano la testa. Manuel si guardò le mani: una libera e l'altra subito dopo il polso, imbrigliata dalla fasciatura che si era leggermente sporcata di sangue ai bordi. Avrebbe dovuto cambiare ogni due giorni, per due settimane, questo è quello che gli avevano consigliato.

« Simone apprezzerà » lo disse più per autoconvincersi che non come domanda.

« Certo che gli piacerà, » Anita gli sorrideva calorosa « cercate solo di non distruggere casa »

« Tranquilla mà » aveva gli occhi dell'amore « al massimo buttamo giù qualche piatto a terra o ce lo tiriamo addosso »

Cominciò a ridere e Anita oscillava la testa, arrendevole.




« Me fai vedere sì o no? »

Anita si pulì le mani sul grembiule che portava addosso, mentre alzava lo sguardo sul figlio che aveva messo un nastro sopra il pacchettino semplice, in cartone, il nastro era di spago rosso, gli dava un tocco più artigianale. Manuel tamburellò sulla confezione e sciolse il nodino che aveva appena fatto. Si avvicinò a suo madre e quella aprì la bocca in stupore.

« Non te fà strane idee... è un simbolo, di questo anno passato insieme a Simone » chiarì. Osservò illuminarsi sua madre, e fu come una carezza, un balsamo che lo tranquillizzò un po'.

« Manuel... ma c'hai le mani d'oro, amore! » la donna teneva il piccolo dono tra le mani, mentre la parte superiore portava le due dita di Manuel.

« Le mani sì, le finanze purtroppo, no » rise, grattandosi la testa.

La camicia bordeaux che indossava per l'occasione era arrotolata per via del braccio fasciato. Aveva indossato la collanina di Simone, quella estiva che gli aveva regalato la sera del falò in spiaggia, perché gli sembrava che dovesse in qualche modo, fare onore anche a quel ricordo, quella sera. Si sentiva un po’ la pressione addosso, ma ormai gli veniva naturale l’idea di rimanere da solo col suo ragazzo.

« C'hai lavorato parecchio, eh? »

« Un po', avevo quasi perso le speranze, ho buttato metà del materiale, » mormorò, mentre accarezzava la scatolina con le dita « spero vada bene. Per lavorarci la prima volta, non è poi venuto malaccio »

Anita lo guardò, scoccò un bacio rumoroso a suo figlio e gli porse di nuovo il dono.

« Simone è un ragazzo fortunato »
Manuel biascicò qualche parola, ma l'unica che gli venne in testa era e raccontava una sola verità.

« Lo sono io ad avere uno come lui, mamma » e dicendo così, osservò la tavola. Mancava qualche altra rifinitura.

« Adesso mi vado a fare una doccia veloce, poi prendo il cambio e vado, » Anita si slacciò il grembiule di dosso, affiancandolo al bancone da cucina « tranquillo per l'ora prestabilita sarò già via » la donna camminò via dalla stanza « lascio piccioncini da soli! »

La sentì urlare da dietro la porta, dopo che ebbe oltrepassato il soggiorno.
Manuel annuì, guardando sul punto dove prima si trovava sua madre. Le mani gli sudavano, poi rivolse i suoi occhi al contenuto della scatolina, fissandolo. Forse era vero che l'amore era una salvezza, pensa che viaggio la vita, formulò subito quel pensiero nella sua testa.


- - -



Simone arrivo sotto casa di Manuel, con solo due minuti di ritardo, almeno così riportava il suo orologio al polso. Sospirò, torturandosi l'orecchino all'orecchio destro, quando bussò alla porta. Ci vollero solo cinque secondi - Simone lo aveva contati - per vedere apparire il suo Manuel che sorrideva. Trovandosi a baciarlo velocemente a stampo, per prima cosa Simone non ci fece molto caso, poi inquadrandolo per bene, adocchiò la fasciatura al braccio.

« E quella? Che è successo- »

Manuel scrollò le spalle.
« Niente Simò, oggi hanno deciso di scambiarmi per striscia pedonale...un pezzo di merda mi ha messo sotto »

Simone si allarmò subito, gli prese il viso tra le mani, tastandolo. Manuel ridacchiò. La mano lo portò al piccolo bernoccolo sulla fronte, poi inspirò piano.

« Chi è questo stato il pazzo, hai visto la targa? Si può denunciare? » suonò premuroso, a metà preoccupato, forse trasalì un po’ troppo. Manuel gli schiacciò il naso, la sua mano ancora ferma sulla fronte.

« No, non l'ho vista. Oh, tranquillo Simò, c'ho solo questo piccolo vulcano qua... e sette punti sul braccio, per aver strisciato contro un oggetto del cofano »

Simone annuì piano, gli prendeva ora, la stessa mano che lo aveva condotto sul piccolo bozzo e se la portava alla bocca, baciandone le nocche.
« Mi potevi chiamare, lo sai, sarei venuto »

« Simone, ti saresti preoccupato per nulla, non volevo rovinà niente » sospirò, lasciò che gli sfiorasse la mano col pollice « e poi, ho avuto un piccolo aiuto » si girò e lo trascinò in cucina.

Una volta davanti alla tavola, quella riportava una candela al accesa al centro, qualche petalo sparso qua e là, due piatti l'uno, con accanto dei tovaglioli nello stesso colore del runner, che rosso correva, lungo tutta il centro tavola, dove svettava la candela. Simone sentì percorrere i suoi occhi, ma decise di fermarli. Quello che vedeva era per loro due, ed era una cosa bella. Anche se piccolo, quello spazio a Simone sembrò subito accogliente.
« Ce sta pure er dolce in frigo… per fine cena » gongolò soddisfatto. Simone annuì distratto, quel mobile nella stanza gli sembrava diverso.
« Ma quel tavolo non era diverso e contro la parete? » fece notare, vedendo Manuel ai fornelli. Simone indovinò subito il piatto, vedendo le uova, il pecorino, il guanciale messi a lato. Era uno dei suoi piatti preferiti.

« Sì, il tavolino vecchio... questo qua me lo sono fatto vendere qualche settimana fa... con i soldi delle riparazioni. Mi hanno fatto un buon prezzo. »

Simone rimase stupito. Lo guardò con lo stesso modo e si avvicinò.

« Tu hai comprato un tavolo solo per questa sera? »

« Simò ho comprato un tavolo perché l'altro era rognoso, e anche minuscolo... in più ho fatto felice due persone, » pesò la pasta in bilancia, sul fornello c'era anche un'altra padella ma quando Simone fece per sollevarla, Manuel lo fermò con il braccio « almeno, mi madre è rimasta contenta »

Simone gli depositò un bacio sulla guancia, Manuel sentì un leggero brivido, non capì se dall'acqua della pasta il cui vapore gli arrivava in faccia, o se per colpa del suo ragazzo.

« È bello, sì, si intona con la stanza »

Manuel ridacchiò, sentendo il tono falso del suo ragazzo « Cretino, è ovvio che mi piaccia, » gli strinse le mani attorno alla vita, infilando il viso nell'incavo del suo collo, respirò l'odore del suo bagnoschiuma, menta? « anche se non ti facevo un tipo da candele, atmosfera, cose del genere...»

« Nemmeno io, Simò » vide l'acqua bollire e buttò giù la pasta, poi vide l'altro adocchiare il bancone « però è una serata speciale... Mi rompi le uova che stanno de là?»

Il più alto annuì ed eseguì i comandi. Quando Simone ruppe le uova e si preparò con il formaggio, Manuel gli gettò addosso un occhio di rimprovero.

« Simò ho detto di romperle, non facci la cremina »

« Ti do una mano, visto che non dovresti sforzare sennò ti saltano i punti » sospirò « te lo hanno detto questo mentre ti ricucivano, vero? »

Simone lo vide esitare, poi Manuel annuì vigorosamente.

« Prima di svenire, forse. Però pe' quattro uova, non ce vuole certo la forza de Sansone »

« Anche a me hanno dato qualche punto, sbucciandomi un ginocchio da piccolo, ricordo ancora come l'ago entrava-»
mormorò, mentre prendeva la forchetta e raccoglieva il composto ai bordi della ciotola.

« Ecco perché non potrei mai lavorà in ospedale, me ha fatto troppo senso » rabbrividì.

Manuel era girato verso di lui in quel momento e allora, Simone, furtivo, gli stampò un bacio, la forchetta amalgamava gli ingredienti. Sentiva Manuel sciogliersi, quando staccati, gli baciò la punta del naso. « Metti il sale e il pepe ora, al guanciale ce penso io »

Simone annuì. Ad azione eseguita poi, si allontanò un attimo, cercando ciò che doveva nella sacca che aveva portato dietro. Manuel di girò, per vederselo arrivare con un pacchetto ripiegato con cura.

« Devo piagne sulla pasta, Simò? »

« Ho pensato che fosse meglio dartelo ora, così magari se mi avveleni hai pure un motivo valido » scherzò.

Manuel si pulì le mani sulla piccola tovaglia posizionata sul il forno, poi afferrò la carta del pacchetto e cominciò a scartarla. Quello che vide gli suscitò una risata divertita. Aprì la maglia, che riportava davanti la scritta "PROPRIETÀ DI " e girandola, lesse il continuo: una foto con la faccia di Simone, riportava la scritta completa "SIMÒ RUGBISTA BALESTRA".

« Ecco, ora puoi benissimo metterci del veleno per topi lì dentro » indicò la pentola con la pasta dentro.
Manuel osservò la maglia, guardandola ancora. Baciò rapidamente Simone e poi fece per mettersela. Il braccio fasciato gli suscitò un piccolo lamento poco dopo, e Simone intervenne.

« Aspetta, ti aiuto io » infilò la maglia dalla testa, scorrendola sulle braccia quando le alzò piano, fino a farla ricadere sulla figura di Manuel, che sotto portava quella camicia rosso bordeaux. Era ridicolo, ma adorabile allo stesso tempo.

« Come mi sta?» Manuel si indicò.

« Guarda che se non ti piace puoi dirlo eh »

« È caruccia, come idea, simpatica. Mi piace, Simone » lo tirò per il mento e gli baciò l'angolo della bocca « E poi te sei impegnato, hai scelto una foto che non me distrae per niente » rise di gusto.

La foto era appunto Simone, colto nell'alto di fare la linguaccia, gli occhi caricati di ironia e portava la tuta da rugby addosso. Ma la cosa più bella era sicuramente l'espressione in generale.

« Puoi usarla per casa o quando lavori in officina»

« No, Simò, altrimenti la sporco, la voglio usare per dormici, quando non ce sei »

Oh.

Simone rimase fermo, si sentì le guance un po' più rosse.
Manuel, come se avesse detto la cosa più innocente, invece tornò al bancone, dedicandosi a tagliare il guanciale.

« Girami la pasta va, altrimenti tra una smanceria e l'altra non mangiamo proprio qua »

« E il mio regalo? » il sorriso di Simone si incurvò curioso, come un bambino in cerca delle caramelle nascoste in qualche angolo della casa. Già si posizionava al fornello.

« Il tuo, lo apri dopo cena » mormorò Manuel, « altrimenti davvero non mangiamo più »

« Un piccolo indizio? »

Manuel si girò a guardarlo, aveva quell'espressione con gli occhi grandi, le labbra in un sorriso, con gli incisivi evidenti, la camicia che portava era blu carta da zucchero e gli stava davvero bene. L'orecchino gli oscillò un poco, mentre girava il viso e ritornava alla pentola. A Simone in realtà sarebbe stato bene anche un sacco addosso.

« Ferro »

Simone corrugò la fronte.

« Hai deciso di regalarmi te stesso? »

« Simone non te posso fà spoiler, però è una parola che c'entra » depositò il grasso dentro la padella, accese il gas.

« Va bene, va bene porterò pazienza » sospirò, arrotolò un filo di pasta col cucchiaio di legno e se lo portò alla bocca « qua manca un minuto ed è cotta »

Si beccò un occhiata dal ragazzo e allora avvolse un filo di pasta sul mestolo di legno e Simone si premurò di avvinarglielo, quella scena era così quotidiana: due ragazzi alle prese in cucina, nel loro anniversario. « Attento che scotta »

Manuel assaggiò la pasta, lo sguardo attento del più alto che attendeva.

« Beh? »

« E’ bona » mormorò.

« Uomo di poca fede »

Manuel ridacchiò, se lo tirò un secondo per baciarlo. Poi preparò lo scolapasta, aprendo il piccolo sportello a lato.


- - -




Dopo aver lavato i piatti – o meglio, dopo che Simone si era offerto di lavare i piatti – dopo cena, Manuel e lui se ne stavano sul divano. Manuel stava disteso con la sua testa sulle gambe di Simone e il ragazzo gli accarezzava i ricci. Messi così, in silenzio, ogni tanto si scambiavano qualche sguardo di troppo, non trovando nulla da dire o forse troppo.
Simone osservò come Manuel giocherellava con la collanina al collo, attenzionando con cura ogni pietruzza.

« Ci pensi che è già passato un anno? E che tra meno di un altro sarà il nostro ultimo di liceo? » mormorò Simone, la mano si muoveva lenta sul groviglio sotto di sé. Manuel alzò gli occhi, sospirando sommessamente.

« Sì, ma non sono triste… voglio dì, sì c’ho paura del futuro » abbozzò una mezza smorfia « ma se penso che in mezzo, ce siamo scontrati noi due, non potrà andare tanto male »

Oh.

« Il perfettone e lo stronzo, tratto da una storia vera »

Era così serio, che per un attimo l’altro sembrò quasi cascarci, poi però entrambi scoppiarono a ridere.

« Un accoppiata meglio de Batman e Robin, Simone » lo tirò piano per la camicia e il più alto si fece dare un bacio.

« Se sento una piccola vocina dentro di me, la paura la sento anch’io, » Simone si fissò su un riccio ribello che ricadeva sulla fronte di Manuel « penso che andrà bene però, qualsiasi cosa accada »

« Simò non fà il tragico, perché dovrebbe succede qualcosa? »

Simone scrollò le spalle.

« Nulla è scritto, non è detto che ciò che c’è adesso, ci sarà più avanti »

« Noi, ci saremo sempre »

Simone accarezzò il polso di Manuel con la mano libera, avvertendo i peli che si rizzavano appena sulla pelle.

« Puoi promettermelo? »

Manuel si fece serio in volto. Di colpo, si alzò sulle sue gambe, rovesciandosi quasi a terra dal divano per la fretta. Quell’immagine convinse Simone che sì, sto proprio con un comico nato.

« Aspetta, sta fermo qua! Non te move »

« E chi si muove? » lo osservò cambiare stanza, per poi ritornare qualche secondo dopo. In mano teneva un pacchetto, piccolo e con un fiocchettino di spago rosso. Simone si girò sul divano, era in ginocchio adesso, e il braccio destro era sorretto sul cuscino dello schienale. Manuel si sedette di nuovo, inspirando molto piano. Agganciò gli occhi piccoli e furbi a Simone, che ora erano tinti solo di emozione, agitazione, ci lesse anche un po’ di speranza.

« Questo è per te » tremò leggermente, porgendogli il pacchettino. Manuel accompagnò il tono con un piccolo gesto con le dita, in fare nervoso.

Simone teneva la scatolina tra le mani, sentendo lo sguardo del suo ragazzo addosso. Quasi per paura di romperla, sfilò piano lo spago che la avvolgeva e aprì il coperchio. Quello che vide lo lasciò senza parole.
Deglutì visibilmente, incontrando lo sguardo di Manuel davanti a sé: avrebbe voluto dirgli che era lui che lo avrebbe fatto piangere, quella sera, che quello sicuramente, era inaspettato.

« Manuel… » sussurrò. Si ammutolì all’istante.

« Simone, puoi prenderlo non è incandescente eh » doveva suonare simpatico, ma in realtà il pomo d’adamo si mosse in uno spasmo nonostante il commento.

Simone prese delicatamente l’anello al centro della scatolina: era rotondo, seguiva una forma intrecciata con più di un fil di ferro avvolto su se stesso, come se fosse un motivo decorativo zigzagato. Dava l’impressione di tanti tralci di foglia fitti e sottili, l’idea di qualcosa di costoso, ma in realtà era molto semplice. Era lucido e non riportava una singola ammaccatura, e concludeva la sua forma con una piccola stilizzata dietro. Era minuscolo, ma bastava affinché si capisse cos’era, era innegabile: il filo si piegava in un cuore, nel punto di giuntura dove finiva il filo.

« E’ un simbolo, di quest’anno passato insieme » cominciò Manuel, schiarendosi la voce « ho pensato subito a cosa fare, a cosa poteva andare bene. Me sono detto che in realtà l’idea ce l’avevo: me piace pensare che quello lì e questo, » tirò fuori dalla tasca dei jeans lo stesso identico anelli, mettendoselo al dito « siano come noi, due metà mancanti che se sono trovate, Simone. E’ come se fossimo stati spezzati, vaganti senza meta, in una giornata di pioggia… e quando è ritornato il sole, noi due ci siamo visti e abbiamo deciso di camminare insieme. »

Simone sentiva già pizzicargli gli occhi grandi, ricaddero sul piccolo dono che teneva tra le dita, avvertendo dentro di sé la voglia di urlargli che quella era davvero la cosa più bella che qualcuno avesse fatto per lui.

« L’hai fatto tu? » invece riuscì unicamente a dire, flebile.

« Sì, Simò… avrei voluto comprartene uno vero, ma non c’avevo i soldi, e poi me sono detto che era meglio qualcosa di unico…che non avresti potuto trovare in giro »

Simone annuì. Quello lo aveva solo lui, così come Manuel, del resto.

« E’ bellissimo » mormorò.

« Quando ho cominciato a lavorare il filo, ho trovato anche un’altra metafora: hai presente quei fili che si spezzano e non tornano più come prima? »

Simone annuì, senza però riuscire a guardarlo negli occhi « Ecco, questi sono fili che non si spezzeranno mai, neanche se li maltratti Simone. Sono difficili da piegare, c’ho messo un po’ io stesso a lavorarli… noi siamo difficili da spezzare, se siamo insieme. Come in questo anno. »

Sento che potrei piangerti davanti, in questo momento. Quello che mi sento di dirti già lo sai, sei la cosa più bella che ho, Manuel.

« E’ stato un anno pieno di tutto, pieno di… di tante cose che non avevo mai avuto » finalmente Simone alzò quegli occhioni grandi su Manuel, trovandoci tanta anima « Non avevo mai avuto qualcuno che ci tenesse così tanto a me, Manuel. Qualcuno che mi navigasse i pensieri, come hai fatto tu.
Non ho mai pensato di passarci nemmeno lontanamente un anno pieno, non avevo mai avuto relazioni così lunghe… e so anche la risposta. So che cercavo qualcosa che non avevo e non potevo avere. Questa cosa, mi fa sentire vivo, il semplice dirti che mi hai regalato un anno di ricordi, di momenti, dirti che ti amo, non sarà mai abbastanza per me. Urlartelo forse rinforzerebbe il concetto, ma è così, » Simone aveva già le lacrime agli occhi « ti amo e non trovo davvero altro modo. E’ assurdo io ti ho appena regalato una maglia stupida e tu… tu mi hai praticamente fatto capire ancora una volta quanto per me sia importante questo. Quanto siamo importanti io e te »

In un lampo, Simone si gettò tra le braccia di Manuel, respirando contro la sua pelle, avvertendo le lacrime che cadevano. Manuel gli accarezzò la schiena, baciandogli la nuca.

« Non te volevo fare piangere, Simò! »

« Non sono lacrime di tristezza, » sussurrò con la voce un po’ bassa « sono lacrime felici, Manuel »

Manuel lo strinse di più, temendo potesse staccarsi, ma Simone non ne aveva proprio intenzione. Non lo avrebbe fatto nemmeno se a chiederglielo fosse stato proprio l’altro. Quel cuore si era duplicato, legandosi in un altro posto come custodia protettiva: lo portava ancora stretto nella mano, ne stringeva il corpo, ora, circondato dalle sue braccia.

« Ti prometto che quello che porti al dito, sarà solo una serie di tanti altri giorni, di noi due che ce mandiamo affanculo, che ci prendiamo per il culo-» lo sentiva ridere nel pianto.

« Di te che mi baci, che mi piombi a casa disperato… »

Simone si sporse solo per baciarlo, spingere la sua bocca contro la sua, tirandolo, facendo attenzione al braccio fasciato per evitare di fargli male. Il petto gli risuonava come una grancassa, scandendo il ritmo tra il fiato che veniva ingoiato, cancellato dall’incontro delle loro labbra. Quando si staccarono, Manuel prese quell’anellino che Simone stringeva ancora nella mano destra e glielo mise in una delle dita. Al ragazzo alto venne un po’ da ridere, tra i solchi delle lacrime sulle guance.

« Quello non è proprio il dito giusto, sai cosa significa-»

« Sssh, Simone, in mancanza de uno vero, accontentati »

L’anulare che aveva appena scelto era il sinistro. In realtà Manuel non sembrò dare segno di sbaglio, ne tanto meno di voler sfilare l’anello e scegliere qualche altra delle dita della mano di Simone. L’idea lo mandò seriamente in ansia, il rossore si fece più vivido e Simone notò che lo stesso era successo per la faccia di Manuel.
Ah bene.
Si guardò adesso il dito contornato dal piccolo anello, valeva per lui anche cento volte di qualasia altra cosa, che fosse in ferro o fosse stato in carta, non gli importava.
« Oh, Simò non ce allarghiamo però, prima dobbiamo finire la scuola, poi dobbiamo capire se vuoi fare il matematico… eh, hai capito, insomma è c’è tempo »

Simone gli circondò il viso a coppa e gli stampò un bacio.

« Lo so, tranquillo...però non ti nego, che l’idea mi dispiacerebbe » si mangiò le labbra, deglutendo. Come sarebbero stati tra dieci, quindici anni? Chi poteva dirlo. Forse uno dei due avrebbe trovato una professione ben precisa o forse, sarebbero sempre stati gli stessi ragazzini, anche una volta diventati adulti. Come sarebbe stato sopportarsi nella stessa casa, e fare l’amore ogni volta che volevano, senza compiti, senza banchi di scuola?
Simone ebbe un sussulto: il petto gli bussò in gola, inevitabilmente.
Manuel toccò la fronte con quella di Simone, chiuse gli occhi, la camicia sotto la maglia, si stava già tirando e spiegazzando. La mano era già dietro la nuca del più alto.

« Beh nel caso ipotetico, se quello che porti al dito dovrebbe trasformarsi, quello che porterebbe la pagnotta a casa saresti tu, Simò, sicuramente. Io, forse, farei l’insegnante de filosofia… sempre se potrò permettermi l’università, me la immaginerei così »

Simone guardò le palpebre chiuse, le labbra pronte e dischiuse: era una visione.

« Ci riuscirai. L’università, dico, ti darò una mano se mi permetterai »

« Non devi, è troppo »

« Sono il tuo ragazzo, sì? Lascia decidere a me » la sua voce si mischiava al silenzio dello spazio, era riempito solo da quel piccolo attimo, come due protagonisti di un atto unico « Ti prometto che ogni volta che mi dirai no, io tornerò più rompi palle di prima. E tornerò a sollevarti, Manuel. Se vorrai odiarmi, mi farò odiare. Ma che sia una singola volta oppure ogni volta, io tornerò. »

Manuel aprì di scatto gli occhi, verificando le due pupille piene, ancora in fase di riempimento, come se l’acqua volesse uscire un’altra volta fuori.

« Sono così fortunato… che ce sia sta legge morale o no, a me interessa solo la nostra di legge, Simone »

Simone sprofondò, il cuore si fece piccolo e l’unica cosa che rispose fu un sussurro debole, l’altro lo avvertì a malapena, trascinandoselo in un bacio umido. Simone ripeté la parola e Manuel scoppiò a ridere.

« E’ un colpo basso » sembrò più la voce di un bambino che di un rugbista grande e grosso.

« Madonna neanche la cipolla me sa che te fa piagne così tanto…» Manuel scacciò i piccoli solchi, sollevati dal sorriso aperto del ragazzo davanti a lui. Lo vide ridere, mentre si trascinava Manuel addosso, come fosse l’unica coperta che desiderava, l’unica persona che avrebbe scelto ancora e ancora.

« A tanti altri anni, insieme » sussurrò Simone. I nasi già si schiacciavano, i corpi erano già spalmati come un corpo solo sul divano del piccolo soggiorno. Manuel respirò il profumo speciale di vaniglia del suo ragazzo prima di travolgergli le labbra, così, vicino com’era al suo viso.

« A un anno e a tanti altri, Simone »



- - -





Sentendo il battito premuto contro l’orecchio e intrecciando la mano nella sua, ora contornata da quei due gioielli, Manuel sentì di starsi riempiendo totalmente con Simone, sopra di lui. Era corso rapidamente per recuperare la bottiglietta di lubrificante e un preservativo dal cassetto, nella camera di Manuel. Poi, Simone, era corso rapido di nuovo e mentre Manuel lo aiutava, aveva avvertito uno sguardo abbastanza divertito da parte di quello.

« Guarda che non è divertente prendersi gioco dei sentimenti degli altri » lo canzonò Simone, posizionandosi in mezzo alle cosce del suo ragazzo. Manuel rise, tirandoselo addosso avvertendo la sua mancanza.

« Scusa, Balestra » soffiò, seguendo con una delle dita delle mani la linea dorsale della schiena.

Simone lo baciò con calma, senza fretta. Il divano era un po’ piccolo, ma avrebbero comunque trovato il modo di farlo risultare comodo. In realtà, Manuel aveva proposto di andarsene in camera, ma Simone era stato deciso a volerlo prendere lì, a incidere quella sera lì. Fu attento a non schiacciarlo, evitando di incastrare il suo braccio fasciato che comunque, si spostò poiché Manuel vagò con le dita – visto che quelle poteva ancora muoverle - lungo la spina dorsale della schiena di Simone. Quando Simone entrò dentro di lui, la prima cosa che Manuel fece fu appigliarsi e frugare tra i ricci del ragazzo. Simone notò i suoi occhi chiusi, la bocca che si spingeva per richiedere un bacio.

« Tutto bene? »

« B-benissimo, ‘na favola S-simò » biascicò, catturandogli le labbra.

La spinta successiva risultò già più veloce, e piano piano Simone cadenzò il ritmo, avvertendo Manuel aggrapparsi con tutta la forza che aveva al suo fianco. Simone si lasciò baciare l’orecchio, Manuel tirò il lobo con la bocca, le loro mani si incastrarono, stringendo i due anelli portati alle dita come parte integrante e fusa dei loro corpi. Sembrava un gioco di forme: dalle matasse dei due ricci, ai corpi incastrati, i piccoli bagliori come due fedi indistruttibili.

« Manuel » esordì Simone, quando gli bisbigliò qualcosa nell’orecchio, che non percepì bene. Gli sembrò una frase sconnessa, priva di senso. Spingendosi un’altra volta, il gemito gutturale fu bene evidente.

« Ho d-detto ADESSO PIANGO IO »

Simone fece una sana risatina, in mezzo al sudore che già scendeva in goccioline sul suo petto, travolgeva quello magro e più in basso di Manuel. L’odore della stoffa già bagnata gli entrava nelle narici e pensò subito che non lo aveva mai fatto su un divano. Adesso, in un anno, aveva fatto l’amore col suo ragazzo in alcuni posti inimmaginabili o che vagamente si sarebbe sognato.

« Se piangi, lo farò anch’io » gli stampò un bacio sulla clavicola, sulla spalla, seguì la linea della barbetta sul mento e ad aspettarlo ci fu Manuel che chiuse un gemito dentro la bocca, la lingua di Simone che giocava con la sua.

« M-mmh » mormorò Manuel.

Simone riprese vigore, sotto quei piccoli mugolii del suo ragazzo, che adesso stringeva le ginocchia contro il suo bacino, di cui una sembrò ricadere da una parte, più stretta del divano. Al ritorno della sua vista su quello, però Manuel era già scomparso, perché la sua bocca era impegnata a lasciargli un marchio ben evidente lungo il collo. Toccò a Simone questa volta sforzarsi di non impazzire, continuò a spingersi dentro Manuel che a tratti – si svincolava solo per emettere piccoli versetti di consenso e approvazione.

« Simone »

Avvertendo la presa salda su di sé, Manuel si dedicò ancora alla piccola zona dietro il collo, come se ne dipendesse un po’ la sua volontà. Stava così bene ogni volta che si sentiva legato all’altro. E quando non c’era, non riusciva a non pensare a tutte le volte che avrebbe voluto farci l’amore.

« Manuel, » mormorò, un piccolo tocco tamburellò sull’addome del ragazzo « voglio vederti » basso, grave, quel tono portò il ragazzo sotto a smettere all’istante. Spingendosi per le ultime volte, Simone prese le loro mani strette e se le portò alla bocca, baciando quei piccoli luccichii. « Se mai dovesse succedere qualcosa, voglio che ti rimanga impressa » si spinse ancora. Manuel si contorceva e lo guardava, portarsi le loro mani al suo petto madido di sudore « questo qua è tuo »

Manuel annuì più volte, come se si fosse rotto qualche osso del collo, annuì senza fiato, mentre se lo riportava per baciarlo. Se la promessa era quella, avrebbe voluto imprimersi l’immagine di Simone sopra di lui e rivederla continuando a mettere play, nella sua testa, per tutta la sua vita. Quando arrivarono all’apice, Simone gli ricadde sopra, il sottofondo si battezzò con le loro voci acute e goffe e il divano si macchiò inevitabilmente.
Manuel si sistemò meglio contro il cuscino dietro la testa, un braccio – quello sano - veniva portato alla testa e si voltava a guardare Simone che si faceva piccolo di lato, contro di lui.

« Un altro regalo, pensandoci, ce l’avrei Simone »

Quello lo guardò dal basso verso l’alto, in fare confuso. Il naso si arricciò, il petto si abbassava e si alzava.

« Vuoi farmi piangere ancora? »
Manuel rise, accarezzando con la sua mano la pancia di Simone « Sono serio, come pena niente grattini per una settimana »
Simone avvolse il viso di Manuel, picchiettando un dito sopra il naso, che si arricciò di conseguenza.

« Non te farà piangere, te lo avevo promesso tempo fa, » soffiò fuori, lo sguardo dolce « se cerchi nello scaffale, quello accanto all’armadio, in camera mia, dovrebbe esserci un quadernetto »

Simone aprì largamente gli occhi – sempre se era possibile – e rimase un po’ sospeso. Manuel si mangiò le labbra risucchiandole, indicandogli con la testa di andare. Il ragazzo si mosse piano, cercando di non fargli male e corse in quella caccia al tesoro. Ritornò con un piccolo taccuino, poi energicamente si mise in ginocchio dall’altra parte del divano, ma Manuel non accettò la nuova posizione. Simone si distese di nuovo contro il suo ragazzo e quello, aprì il taccuino.
« Sono le tue poesie? » chiese con un sorriso ampio. Un giorno te le leggerò gli aveva detto una volta. Manuel annuì, sfogliando qualche pagina.

« Vuoi ancora che te le legga, Simò?»

« E me lo domandi? »

Si fece più comodo contro il cuscino del divano, e la spalla di Manuel.

« Scegline una, dai »

Simone girò alcune pagine con un dito, fino a trovarne una dal titolo interessante o che comunque lo colpì. Si intitolava La notte.

« Questa qui » indicò la grafia abbastanza ordinata, anche se piccola. Era leggibile, ma avrebbe preferito sentire la voce del suo autore, in diretta, dal divano di casa sua.

Manuel si schiarì la voce, anche se tradì un po’ un mezzo sospiro.

« La notte ti cerco e non ti trovo
quando ti chiamo, non arrivi, mi perdo
nel ricordo dei tuoi occhi e
nella voce sapiente e cosciente, nella notte,
dormo: è un’illusione.
Perché il tuo nome mi rimbomba nelle ossa.
La notte ormai, si chiama come te e io non la distinguo più »

Scandì tutto perfettamente, con le giuste pause, prendendosi il tempo di arrivare fino alla fine. Simone lo osservò attento, come quando si osserva un maestro all’opera. « Ti sei scelto quella più depressa, Simò »

« Scemo, è davvero bella invece… ti sottovaluti troppo »
Poi con uno scatto degli occhi, guizzò sul foglio, Manuel gli guardava la bocca. « Posso sceglierne un’altra? »

Manuel annuì, catturando il sorriso sincero dell’altro, mentre stropicciava piano la carta del taccuino e cambiava pagina. Lesse una data ben precisa riportata in alto sul foglio, lo conosceva proprio quel giorno: il cuore gli si fermò un attimo.

« E’ di quando ero a Glasgow? » articolò male, balbettando sulla lettera ‘g’. Appena quello gli diede conferma, la morsa stretta al suo petto venne rilasciata.

« Sì e manco questa è felice, se lo vuoi sapere » ridacchiò.

Non mi interessa, ora sono qua.

« Me la leggi lo stesso? » gli strinse forte la mano, era ancora tiepida. Simone si accoccolò sulla sua spalla e Manuel sospirò. Stampò un bacio sulla testa boccolosa, inspirando il sentore che tanto aveva imparato ad apprezzare.

« Non te da fastidio? Magari vuoi che te ne legga una più felice-»

Simone fece cenno di no, le labbra dischiuse.

« Ah e comunque posso dirti che qui, c’è una virgola di troppo » indicò un punto della scrittura, da professorino.
Manuel lo guardò subito dopo, annoiato, ma Simone non sembrò darci peso, anzi, si fece più piccolo contro di lui. Il poeta allora, schiarì di nuovo la voce e riprese la lettura.

« Se mai tra le strade dovessi pensare a me
un miracolo cascherebbe giù e io
sarei risucchiato via
dal mondo, verrei a stringerti,
io che non credo
ma che per te crederei »

Silenzio, poi il poeta parlò.

« E’ un po’ bruttarella »

Io credo che tu ti sbagli.

Simone gli baciò la guancia, gli formicolava la mano adesso, la libera.

« Smettila di dire cazzate e leggimene qualche altra »







Il divano diventò presto un letto, perché ci si addormentarono sopra.
Il taccuino era rimasto aperto sul piccolo tavolino del soggiorno, il più grande stringeva il più piccolo, coprendolo quasi del tutto col suo corpo nudo. Manuel, aveva finito per leggergliene circa una decina, di quelle poesie a penna, scarabocchiate, schizzate sulla carta, e il suo ragazzo i aveva fatto da recensore: solo parole positive. Gli aveva anche suggerito di pubblicarne alcune. A Manuel era sembrato molto di parte, ma gli occhi di Simone non avrebbero mai mentito. Era il suo potere nascosto: traspariva l'anima da quelle pozze.
Sei la cosa più bella gli aveva detto poi prima che Manuel smettesse di leggere. Più tardi e dopo qualche altro bacio, Morfeo li aveva presi entrambi. La vista di Simone si chiuse, un po' come una finestra sul mondo, il respiro calmo, la menta mischiata alla stoffa dove dormivano, entrambi distesi, stretti l'uno all'altro.




La manina si mosse nell’oscurità, in corrispondenza del braccio scoperto dell’uomo. Quando la incontrò capì subito chi era. Simone, si svegliò, un occhio era aperto, l’altro ancora chiuso, la spalla del pigiama gli ricadeva sulla spalla, segno che non aveva dormito pienamente.

« Andrea, amore, che cosa c’è?» la voce era impastata dal sonno, per via del turno della sera precedente e del ritorno tardo a casa. Il piccolo bambino, i suoi capelli corvini e ondulati si mossero per primi, le mani invece erano impegnate in altro gesto: si stava tirando i lembi del pigiama rosso con dei motivi di tartaruga stampati sopra, nell’atto di nasconderci le mani. Con i suoi occhi grandi, il naso all’insù, le labbra gentili, era forse la personificazione più simile a quella di un putto. A Simone ricordava sempre più lui, da piccolo.

« Papo non si alza, gli ho tirato la coperta… ma niente, papà io devo andare a scuola! » borbottò in tono preoccupato, ma suonò solo tanto dolce.

Simone annuì, sospirando sommessamente. Si alzò, mentre una mano si portava sulle lenzuola e l’altra scombinava i capelli del figlio. Poi, diede una gomitata – non tanto carina – a Manuel che gli dormiva, a sinistra.
La coltre del lenzuolo, quasi tutta tirata dalla sua parte, si mosse come se fosse viva. Un mostro di coperte.


« Manuel, tocca a te oggi »

Si sentì un lamento in protesta, così Simone si voltò verso la fonte e gli tastò il braccio, accarezzandolo con le nocche « Avevamo deciso, io i giorni pari e tu i giorni dispari »


« Veramente ho deciso io, papà! » disse il piccolo Andrea, prendendo voce in capitolo, alzò le braccia in fare drammatico e suo padre sorrise intenerito, annuendo col capo. Le coperte si mossero, per rivelare la figura completamente stravolta di Manuel. La barba gli era cresciuta ancora di più, la maglia era tutta tirata da una parte, scoprendogli un fianco. Stropicciò gli occhi e si mise seduto sul letto.

« Ehi campione, buongiorno, hai già fatto colazione? »

Andrea fece cenno di no con la testa.

« Male, invece, molto male, che ore sono? » Simone osservò la sveglia al capezzale. Erano le sette e un quarto, tra meno di mezz’ora sarebbero dovuti arrivare a scuola.


« C’abbiamo tutto il tempo » Manuel vide Andrea venirgli incontro e gli stampò un bacio sulla testa, poi gli diede un buffetto sulla schiena quando si girò per fare lo stesso con Simone, salì sul letto a cavalcioni e suo padre lo abbracciò.


« Così papo non è geloso » chiarì il piccolo Andrea, di soli cinque anni.
Simone rise, mentre gli accarezzava delicatamente la testa.

Manuel gli sorrise di sbieco, gli prendeva la mano e se la portava alle labbra. Ci stampava un bacio sopra.


« Adesso fila in cucina, altrimenti niente porta pranzo dei supereroi oggi! » lo ammonì poi, guardandolo in finta aria minacciosa.

Andrea non se lo fece ripetere due volte e scese di corsa dal letto, fiondandosi oltre la porta. La sua piccola figura scomparve, come una saetta.

« Dove la trova tutta questa energia, me chiedo » Manuel si grattò la testa, mentre si voltava per guardare Simone. Quello, inclinò la testa, facendo la stessa cosa.

« Non lo so, ma non è una cosa che ha preso sicuramente da te »
Simone arricciò il naso, beccandosi un occhiata torva dall’altro.


« Ah-ah, simpatico! » grugnì in tutta risposta. Non sembrava per niente un adulto, forse non lo era mai stato. Ma a Simone piaceva lo stesso.

Ecco perché Simone lo ghermì con un braccio, scivolando sotto la curva del suo collo, il bacio risultò pigro, ma efficace perché Manuel si riprendesse dall’offesa.

« Dovresti rimetterti a dormire, ci penso io oggi » gli soffiò preoccupato sul viso, vedendolo leggermente sbadigliare poco dopo.

« Ci provo, anche se esattamente tra un’ora e mezza ho il turno e devo muovermi » mormorò, la mano si posava sul viso, qualcosa di scintillante brillava all’anulare sinistro, esaltando il resto delle dita lunghe, affusolate.

Simone si mosse sul cuscino del divano, scomodo per com’era, il naso cercò la stoffa annusandola, mentre combatteva per non svegliarsi dal sonno. La figura dell’altro ragazzo era già accovacciata dietro di lui.

Manuel lo baciò leggero, il respiro fu caldo. Poi si mosse, le ginocchia si piegavano e si alzava finalmente dal letto. Afferrò la camicia piegata sulla sedia della camera e allungò le braccia.
« Te l’ho detto, ce vuole una pausa per passà del tempo tutti e tre insieme »

Simone annuì, portandosi una mano a coprirsi di nuovo il corpo col lenzuolo.

« Aspetto le ferie per quello »

« Potremmo fà una scappata anche solo di due giorni, Simone »

« E Andrea salta la scuola? »

« Che c’entra, » Manuel infilò la camicia, lasciandola aperta « ci organizziamo con le feste di Pasqua, così siamo sicuri »

Simone annuì, sbadigliando di nuovo. Si sarebbe ficcato il viso in mezzo al cuscino, se non fosse stato per suo marito che gli si piazzava davanti, e gli strizzava le guance per baciarlo di nuovo.

« Pensace che passi più tempo in clinica, che non a casa »

Simone allungava un braccio e lo trascinava di nuovo, la barba gli pungeva il mento, ma non gli dava fastidio.

« Lo farò »

Vide Manuel dirigersi verso la porta, nella penombra sembrava ancora più piccola la sua figura. Non era allungato, né accorciato in quei dieci anni: quell’immagine gli provocava sempre una certa dose di tenerezza dentro, inspiegata.

« Buona giornata, filosofo » sussurrò.

Simone sorrise improvvisamente, come se la discussione di poco prima si fosse appena trasformata in realtà. Il suo inconscio aveva proiettato tutto.

Manuel si voltò verso Simone, un ammasso indistinto tra le coperte, l’uomo che lo doveva sopportare, ma che amava comunque farlo. Sorrise, sembrò scintillare nella penombra della stanza.

« Buona giornata a te, pediatra »

E dicendo così, svanì dietro la porta della camera.







   
 
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