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Autore: ThorinOakenshield    03/04/2022    1 recensioni
Raggiunta una certa età, tutti i giovani draghi devono superare delle determinate prove... nonostante le sue paure e insicurezze, Iku decide di cimentarsi in questa nuova avventura. Ce la farà?
Storia scritta a quattro mani con Emmastory, tornano le avventure del draghetto blu! :D
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La forza di Iku

Erano passate settimane dalla disavventura alla spiaggia, e ripensandoci, Sendrix e Visirya sentivano di aver schivato l’avvelenata freccia di un cacciatore. Il ricordo di quanto accaduto era ancora nelle loro menti, ma per fortuna tutto era andato per il meglio. Volevano bene al loro piccolo, e avevano seriamente temuto di perderlo, quel giorno. Che sarebbe successo allora? Sendrix e Visirya non volevano neanche immaginarlo. Era orribile, ma per quanto cercassero di relegare quel pensiero agli angoli più oscuri e remoti della loro memoria, non ci riuscivano. Era stato orribile, ma l’avevano già visto succedere, in passato. La sfortuna aveva voluto che accadesse a due dei loro più cari amici, e nel loro caso, alla più piccola dei loro figli. Giovanissima e dalle scaglie rosa, Kaida si era allontanata dal nido senza una parola, spinta da una curiosità che pur parlando non sarebbe riuscita a spiegare, e dopo chissà quanto camminare, non era più riuscita a tornare a casa. Disperati, i due genitori non avevano mai smesso di cercarla, e nonostante alla fine l’avessero trovata, in cima a una rupe e con lo sguardo rivolto all’orizzonte, lei non si era più fidata di loro. Avevano fatto tutto il possibile, ed era vero, ma non era stato abbastanza, e passato troppo tempo, neanche il rituale era servito a ricongiungerla alla sua famiglia. La madre aveva provato, e come lei anche il padre, ma sotto i loro occhi esterrefatti era accaduto l’impensabile. Lenta, la draghessa aveva mostrato alla figlia la zampa perché la sfiorasse, e per un attimo lo aveva anche fatto, salvo poi ricredersi, e sbuffando fumo dalle narici poiché troppo giovane per farlo con del vero fuoco, ritrarsi istintivamente, la rabbia negli occhi in tutto simili alle scaglie. Sconfitti, i genitori si erano voltati, e con l’amarezza nel cuore, si erano convinti a desistere. Soltanto qualcuno più in alto di loro poteva comprendere quanto avessero voluto riprovare, ma a che scopo? Per quanto piccola e indifesa, Kaida aveva già iniziato a dar retta a una sorta di istinto primordiale, repellendo qualunque altro drago vedesse, e richiudendosi lentamente in sé stessa. Con le lacrime agli occhi, la madre si era costretta a voltarsi per guardare negli occhi la figlia per l’ultima volta, non riuscendo a non piangere quando la vide mostrare i denti, scappare e nascondersi in una cavità poco distante. Era roccia, il che significava che sarebbe stata al sicuro, ma sarebbe stato davvero così? Né lei né il marito potevano dirlo con certezza, ma la piccola aveva già preso la sua decisione. Volar via e allontanarsi da quella vista era stato difficilissimo, ma alla fine erano entrambi tornati al nido, e come loro anche Iku, che sin dal mattino, non sembrava affatto sé stesso.
Più il tempo scorreva, più lui cresceva, e sia Sendrix che Visirya non mancavano di notarlo, ogni giorno sempre più orgogliosi di quello che sarebbe sempre stato il loro cucciolo, o come proprio a Visirya piaceva chiamarlo, il loro ovetto.
Da poco tutta la famiglia era tornata al Monte, così che il draghetto potesse essere riportato alla sua società d’origine, e lentamente, riabituarsi a tutto ciò che si era perso durante la sua breve “vacanza” in spiaggia. Non che ai genitori quel termine piacesse poi tanto, specie se collegato al ricordo del rischio che avevano corso, ma stando a ciò che raccontava Iku si era divertito un mondo. Era capitato lì per caso, chiaro, ma in breve si era fatto degli amici, e ormai non passava giorno in cui non parlasse di loro. Shelldon, George e Lupe, senza sosta. Distrarlo poi era inutile, quando iniziava a raccontare delle loro scorribande. Divertiti, mamma Visirya e papà Sendrix lo lasciavano fare, anche se ultimamente farlo sorridere era diventato più difficile che mai. Se ne stava tutto il tempo in silenzio, seduto in un angolo della loro caverna, le braccine corte conserte e il musetto imbronciato.
Iku, con il passare del tempo, era diventato sempre più bravo non solo a parlare, ma anche a disegnare. Era la sua passione. Il piccoletto aveva fatto un bel disegno dei suoi tre amici. Lo guardava e riguardava diverse volte durante l'arco della stessa giornata, malinconico. Spesso i suoi genitori si fermavano a guardarlo di nascosto, preoccupati. La madre in particolare, pensava che Iku tenesse più al trio che ai suoi genitori.
Il protagonista, dall'altro lato, a volte si sentiva fuori posto... Come se il suo posto nel mondo non fosse con il Clan. Triste e stanco, si rialzò da terra scuotendo leggermente le ali per liberarle dalla polvere, e fatti pochi passi, raggiunse lo specchio. Lì osservò la sua immagine riflessa, o il poco che riuscì a vedere, piccolo com’era, e sospirò. Il vetro si appannò, e anche quando cercò di ripulirlo con una zampa, la macchia non sparì. Attraverso quest’ultima, si rivide ancora, ma appena, e per colpa degli artigli che avevano rigato la superficie, più volte, come in una strana fotografia distorta.
Che strana, la sensazione che covava nel cuore da tempo… Ora che aveva imparato a parlare era felice, ancor di più nel continuare a migliorare e imparare parole nuove, ma nonostante tutto, ancora non conosceva quelle giuste per descrivere ciò che provava, né le aveva trovate. Solo e pensoso, sbuffò seccato, poi si voltò. Le ali avevano vibrato, il che significava che qualcuno era vicino. Gli era successa la stessa cosa alla spiaggia poco prima di conoscere Lupe, ma almeno in quel caso non si era trattato di paura. Veloce, volse lo sguardo alla porta della stanza ancora chiusa, poi sentì bussare. “Iku? Tesoro, sono io. Posso entrare?” Era la mamma, ed era ovvio che potesse entrare, ma lui lo voleva davvero? Sì, e no al tempo stesso. Maledizione! Perché crescere doveva essere così complicato? E che dire dei sentimenti? Se avesse ricevuto una moneta per ogni volta in cui non era riuscito a controllarli, ora avrebbe potuto ricreare il forziere trovato quel giorno sulla sabbia. “Non lo so” sussurrò, parlando più con sé stesso che con la madre ancora oltre la solida pietra.
“Vuoi che me ne vada?” chiese ancora Visirya, preoccupata come non mai.
“No…” rispose Iku, facendo del suo meglio per non sentire che quasi piangeva. Alla sua risposta seguì solo un breve silenzio, spezzato come un fuscello quando finalmente la madre aprì la porta. Incerta, Visirya rimase lì sull’uscio prima di entrare davvero, ma poi si decise, e senza proferire parola, si sedette a terra vicino al nido di paglia del figlio. “Allora? Nulla da raccontarmi, ovetto?” azzardò, sfiorandolo con un’ala.
“Sì, ma niente ovetto. No, ovetto” replicò il piccolo drago, con la voce corrotta da un dolore che ancora tentava di celare. Mossa stupida, c’era da dirlo, specie se considerava meglio con chi stava parlando. Visirya era una draghessa adulta e sua madre poi, tenere dei segreti con lei era praticamente impossibile. Ma come raccontarle quello che gli passava per la testa? Come fare senza farla sembrare una cosa stupida, e soprattutto senza ferirla? Non lo sapeva, e non aspettava che di scoprirlo.
In silenzio fino a quel momento, Visirya sorrise di fronte a quelle frasi incomplete. Il suo Iku stava ancora imparando, e lei ne era sicura, presto avrebbe abbandonato quella tendenza infantile. Parte di lei desiderava che non accadesse, ma prima o poi ogni cucciolo di drago doveva lasciare il nido. Ed era proprio quello a terrorizzarla. “Sarai sempre il mio Iku. Ricordalo sempre” disse poi, rompendo di nuovo il silenzio che intanto era calato fra di loro.
Chiaramente Iku aveva un bel rapporto con i genitori, ma i suoi tre improbabili amici gli mancavano troppo. Era combattuto. Sulla spiaggia aveva sentito la mancanza di mamma e papà, e adesso che si trovava con loro, sentiva la mancanza della scimmia, del tucano e del granchio. “Se solo potessi portarli qui!” pensava disperato.
La madre non ebbe bisogno di chiedergli ulteriori delucidazioni, era suo figlio, lo conosceva. Se alla fine Iku avesse deciso di tornare dai suoi tre amici, ebbene lei lo avrebbe lasciato andare. Il suo cuore si sarebbe di sicuro spezzato a metà, ma voleva un'unica cosa: che suo figlio fosse felice e prendesse le sue scelte.
Iku, non riuscendo però a parlare e a confessare davvero, rovistò per l’ennesima volta nel vecchio baule, poi ne estrasse il disegno più recente che aveva fatto. C’erano lui, Shelldon, George e Lupe, e più lontano, sullo sfondo, una montagna.
Osservandolo, Visirya non disse nulla, ma all’improvviso ebbe l’idea perfetta. Finalmente sapeva, finalmente capiva cosa stava succedendo. Erano tornati a casa da poco, forse ad Iku serviva soltanto del tempo per reintegrarsi, e chi lo sapeva, magari sarebbe davvero riuscito a rivedere quello sgangherato trio. “Ascolta, perché non andare al Monte? Ti va?” azzardò, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. Per sua sfortuna, questa tardò ad arrivare, tanto, perfino troppo per i suoi gusti, ma si guardò bene dal dirlo e dal forzare il figlio a parlare, e anzi attese, non nascondendo però il suo sollievo quando lui le sorrise e annuì.
“Monte” ripeté, felice. “Cielo!” fece poi, indicando l’infinito azzurro fuori dalla finestra tonda e pulita.
“Sì, voleremo in cielo, Iku, hai ragione” convenne con lui la madre, non riuscendo a non sorridergli. Detto fatto: fu questione di soli istanti, e quando anche papà Sendrix fu informato e pronto, i tre partirono. Gli adulti vicini, Iku sulla schiena del padre. Sapeva volare, ovvio, ma come con il parlare, stava ancora imparando, e di certo non sarebbe riuscito ad affrontare un viaggio così lungo con le sue sole forze. All’arrivo poi, tutti i presenti furono felici di vedere il giovane drago, che confuso e imbarazzato, quasi rischiò di arrossire. Fra i tanti, un drago più anziano fu il primo a salutarli. Molto più grande degli altri, con le squame e la pelle grigi e gli occhi dello stesso colore. A Iku ricordava tanto la polvere che spesso nascondeva sotto il nido. A quel pensiero, il draghetto ridacchiò, ma poi si fece serio, esibendosi anche in un breve inchino. Non sapeva molto di come portare rispetto ai grandi, ma per qualche motivo gli era sembrata la cosa giusta da fare.
“Saggio Fergal!” esclamò Sendrix, irrigidendosi di colpo. Contrariamente a lui, la compagna si limitò a mostrare la zampa, abbassandola solo quando l’anziano chinò il capo.
“È un piacere riavervi al Monte, cari. Sono sicuro che il piccolo Iku stia crescendo bene” osservò, lanciando uno sguardo al cucciolo ormai quasi non più tale, che timido come non mai, quasi si nascondeva dietro la mamma.
“Facciamo il possibile, saggio Fergal” rispose Sendrix, nervoso come mai era stato.
“Me ne compiaccio. Potrei parlargli… da solo?” replicò l’anziano, calmo e tranquillo.
A quella richiesta, anche Visirya fu spiazzata. Di solito non accadeva, e l’ultima volta che era successo altri due draghi avevano rischiato di essere esiliati. Cielo, se sperava che non accadesse… Annuendo, si sforzò di mantenere la calma, e indietreggiando, spinse amorevolmente il cucciolo verso il più anziano. “Ti farà solo qualche domanda, Iku, tranquillo. Rispondi come riesci, d’accordo?” gli disse, forzando un sorriso che purtroppo non raggiunse i suoi occhi.
Fergal, nonostante il suo aspetto e la sua posizione, in quel momento appariva rassicurante. Sorrideva dolcemente a Iku, facendogli cenno con l’ala. Certo, era un capo, ma era in primis un leader, quindi l'empatia faceva parte del suo essere. “Vieni qui, caro Iku.” Quindi il giovane drago non esitò più e si avvicinò a Fergal. “So che hai avuto difficoltà nell'imparare a volare e a parlare” gli disse, non appena si furono allontanati ed ebbero un po' di privacy.
Iku annuì e balbettò un “sì”.
“Adesso però non hai più difficoltà?” Continuò ad indagare il grande drago.
Il protagonista non rispose subito, dopo un po', preso coraggio, disse: “Ancora un po', però...”
“Ascolta” lo interruppe Fergal, mettendo le sue ali sulle spalle del giovane, guardandolo dritto negli occhi.
Iku ricambiò lo sguardo.
“Se non te la senti ancora, non sei costretto a farlo... Va bene? Non voglio rischiare che ci siano incidenti, non voglio rischiare che tu ti faccia male.”
Iku rimase sorpreso da quelle parole, ma non aveva alcuna intenzione di rimandare. “Nessun problema, sono pronto, davvero.”
Fergal lo guardò con ammirazione: sembrava tanto piccolo, indifeso e insicuro, invece a quanto pare aveva una riserva di forza sorprendente.
Iku infatti non voleva tirarsi indietro, non voleva essere inferiore a nessuno, voleva essere al pari di tutti gli altri draghi della sua età. Doveva fare le prove quel giorno, quell’anno... E le avrebbe fatte, avrebbe dimostrato a tutti che ne era capace.
Quante volte la mamma gli aveva detto che fra il dire e il fare c’era di mezzo il mare? Tante, eppure non aveva mai capito davvero cosa significasse, almeno fino ad allora. Voleva fare almeno un tentativo, buttarsi nella mischia con tutti gli altri draghetti come lui, ma all’improvviso le ali gli tremarono, ed ebbe paura. E se gli fosse davvero successo qualcosa? Se avesse sbagliato tutto, e gli altri lo avessero deriso? Conoscendosi, cercava di pensare positivo, ma per quanto ci provasse, la tensione proprio non lo lasciava andare. Nervoso, scosse la testa più volte, e pestando una zampa per terra, si decise. In fondo che cos’erano quei pensieri se non insicurezze? Nulla, ecco cosa. Ed era ora che imparasse a non ascoltarle, non più.
Così, dopo altro camminare, saggio e allievo giunsero insieme alla piazza principale, un luogo di ritrovo poco lontano dal monte e conosciuto da ogni drago degno di rispetto. Colpito, Iku si guardò attorno, e poco dopo, proprio ciò che sperava di non vedere. Suoi simili a perdita d’occhio, ovunque si voltasse, soltanto loro. Gran parte di questi erano adulti, ma a una seconda occhiata, si accorse che ce n’erano alcuni che, a occhio e croce, avrebbero potuto avere la sua età. Incerto, rimase a debita distanza, non allontanandosi dal maestro e quasi tremando quando uno dalla pelle verde mostrò i denti, minaccioso. Non parlava, ma le sue intenzioni erano chiarissime. Accanto a lui, poi, uno nero, con uno sguardo, se possibile, ancor più malevolo di quello del precedente. Seppur lontano, sibilò qualcosa che Iku non riuscì a capire, poi sembrò ringhiargli contro. Che stava succedendo? Era appena arrivato, perché sembravano avercela tutti con lui? E da quando erano tutti così cattivi? Nei suoi tempi da cucciolo appena uscito dal suo uovo i suoi simili erano gentili, mentre ora proprio non capiva. Scuotendo di nuovo la testa, si impose di non pensarci, concentrandosi invece sul saggio che ancora camminava. “Siamo arrivati, Iku” disse poi, rompendo il silenzio che si era creato fra di loro.
“Dove, esattamente?” non poté fare a meno di chiedere, confuso.
A quella domanda, l’anziano sorrise debolmente, con fare quasi paterno. Essere criptico non lo avrebbe portato a nulla in quel momento, così si preparò a riformulare e parlare ancora, ma prima che potesse farlo, una voce sopraggiunse in lontananza. “Siamo tutti qui per le prove, sciocco! Vanno completate, altrimenti come dimostri di essere un drago?” quello il discorso dello sconosciuto, con ogni parola che suonava più aspra della precedente. Ognuna investì Iku come un’onda di marea, e metafora o meno, barcollò fin quasi a cadere.
“E intendo uno vero, di quelli forti!” aggiunse un altro, dando manforte al primo.
Rifiutandosi di guardarli, Iku si era sforzato di tenere gli occhi bassi, ma poi non era più riuscito a trattenersi, e non appena aveva rialzato lo sguardo, li aveva rivisti. Di nuovo, uno verde e l’altro nero, simili a lui solo per ciò che riguardava l’età. Avevano ali grandi e denti aguzzi, e per un attimo fu come guardarsi allo specchio e non riconoscere nessuno, o meglio, soltanto sé stesso. Il draghetto che era piccolo, azzurro, ingenuo e… debole. Che parola triste per descrivere qualcuno… non che quei due l’avessero usata, anzi, ma non importava, specie perché a Iku le insinuazioni non piacevano affatto. Come si erano permessi? Chi erano per dirgli cosa fare e chi essere? In quel momento, le ali gli fremettero di nuovo, ma per una volta la colpa non fu della paura, ma anzi della giusta rabbia che sentiva crescere in lui come una robusta quercia. Stringendo i pugni, sbuffò fumo dalle narici. Ebbe appena il tempo di muovere un solo passo verso di loro, prima che Fergal lo trattenesse attirandolo di nuovo a sé come prima. “Mi meraviglio di questo comportamento, sapete? Sbaglio o anche voi avete dovuto imparare a reggervi sulle zampe con il mio aiuto?” azzardò, apostrofandoli entrambi.
Colti alla sprovvista, i due non risposero, ma l’anziano non perse tempo. Era vecchio, certo, ma non stupido. “Allora, Xadox? Yrkov?”
Anche in quel caso, da parte loro, nessuna risposta. Solo nervi e spavalderia che non tardò a tramutarsi in fredda indifferenza, quando voltandosi, andarono ognuno per la propria strada.
Sollevato, Iku si voltò a osservare di nuovo Fergal, che con un gesto teatrale di una zampa, indicò l’area che avevano intorno. Di lì a poco le prove sarebbero iniziate davvero, ormai non c’era più tempo per esitare. La prima consisteva in questo: volare attraverso dei cerchi di metallo, sistemati apposta nell'area dei “giochi”. Non solo bisognava non mancarne nemmeno uno, in più bisognava arrivare per primi nel punto stabilito, ovvero oltre al laghetto, per poi posarsi sopra alla roccia più grande. E le cose non finivano certamente lì! Bisognava pure tornare indietro, avendo cura di essere sempre i primi a raggiungere il traguardo.
A Iku tremavano le ali. “Non importa se non arrivo per primo,” pensò, “anche perché sarebbe impossibile. Mi basta non fare brutte figure, raggiungere un buon risultato e, soprattutto, superare la prova!” Chiuso in un silenzio tutto suo, si ripeté quelle parole nella mente una, due, mille volte, tutto mentre si avvicinava ai blocchi di partenza. Dei quadrati dipinti nel terreno, equidistanti gli uni dagli altri sul sentiero da cui lui e gli avversari sarebbero partiti. Il problema? Quei due piccoli gradassi. Preoccupata, mamma Visirya un giorno gli aveva parlato, ricordandogli che in vita avrebbe sempre incontrato draghi come quelli, che bisognosi di darsi un tono, non facevano che umiliare e sminuire chiunque avessero intorno. Era vero, solo ora lo capiva, e memore di quell’insegnamento, si guardò ancora intorno. La mamma e il papà erano lì con lui insieme agli altri adulti, lontani ma presenti. Tentando di ignorare la distanza, sforzò gli occhi, e infine riuscì a vederli. Notandolo, papà Sendrix fu il primo a salutarlo, già orgoglioso. Felice, Iku gli sorrise, ma ebbe appena il tempo di sollevare una zampa per ricambiare che subito un corno risuonò nell’aria. Era il segnale, e distratto, sentiva di aver già perso tempo. Annuendo a sé stesso, respirò a fondo, e dopo una breve rincorsa, spiccò il volo. L’altezza che toccò non fu pari a quella di Xadox, già un bel pezzo avanti, né tantomeno a quella di Yrkov, in testa a quella sorta di marcia. Spavaldo come al solito, volava veloce e sicuro, guardandosi indietro solo per tenere d’occhio la concorrenza e sbattere forte le ali per creare folate di vento. Mossa sleale, Iku lo sapeva, ma allo stesso tempo non era affar suo. Se davvero Yrkov sentiva il bisogno di imbrogliare per vincere, ne avrebbe subito le conseguenze. E quel piano funzionò alla perfezione. Investito dal getto d’aria, Xadox perse l’equilibrio rischiando di schiantarsi al suolo, salvo recuperare nell’ultimo istante possibile. Nel farlo, sollevò polvere e pietrisco, mentre Iku, ancora indietro, arrancava stancamente. Si sforzava, lo faceva per sé stesso, ma più il tempo passava, peggio si sentiva. Non essere allenato quanto loro non giocava certo a suo favore, ma anche quella, come tutte le situazioni, aveva un lato positivo. Rimanere indietro lo aiutava a prepararsi per affrontare Yrkov e i suoi sporchi trucchi, che sulla via del primo cerchio da oltrepassare non sembravano cessare neanche per un istante. Deciso a uscire vincitore, continuava a sollevare sabbia e vere e proprie pietre, e non appena possibile, sputare fuoco per distrarre, no, ferire, Iku lo sospettava, i suoi avversari. La conferma di quel brutto presentimento arrivò quando vide una giovane dragonessa fermarsi, scendere a fatica e nel mentre massaggiarsi un’ala offesa. Incredibile. Come poteva essere capace di tanta cattiveria? E per di più senza alcun rimorso! Si conosceva, sapeva che aiutarla o almeno provarci sarebbe stata la cosa giusta da fare, ma proprio non poteva. Non se voleva dare il meglio di sé stesso. Provando pena per lei, le lanciò un’occhiata colma di dolore ed eloquenza, poi, schivato l’ennesimo colpo e addirittura una roccia che rischiò di ferirlo, ripartì. Per sua fortuna, i primi tre cerchi furono facili da superare, ma lo stesso non si poteva dire degli ultimi due. Uno era stato incastrato fra due alberi dai rami quasi intrecciati, e avvicinandosi, Iku intuì il pericolo, lanciandosi in avanti con tutte le sue forze e chiudendo gli occhi per lo spavento. Da allora in poi non vide che oscurità, e approfittando del momento, Xadox sopraggiunse da dietro, sorprendendo Iku con uno spintone. Colpito in pieno, il draghetto barcollò, e perso malamente l’equilibrio, avvertì subito un gran dolore all’ala destra. Il quarto cerchio era superato, ma la ferita gli doleva, bruciando intanto come fuoco vivo. Per un attimo pensò di ricambiare il favore e restituire il colpo, ma all’ultimo momento cambiò idea. Non si sarebbe abbassato a quel livello. In fin dei conti vincere non gli importava, la cosa importante era sforzarsi e finire la gara. I suoi genitori sarebbero stati comunque fieri, ne era sicuro. Disorientato, fece del suo meglio per ignorare il dolore, e in breve non udì altro che il battito delle sue ali. Fu questione di attimi, e fu di nuovo da solo con sé stesso. Finalmente ebbe tempo di pensare e concentrarsi, anche se pur riaprendo gli occhi, non vide nulla. Un odore gli disturbò la vista ancora prima di raggiungergli le narici, e fu allora che capì. Vento, rocce e spinte non erano stati abbastanza per quel malefico duo, e così avevano deciso di sfoderare un’ultima arma, ovvero il fumo. Come cieco, Iku dovette lottare per orientarsi e volare al meglio nonostante l’ala già malmessa, ma alla fine, un lieve clangore metallico riaccese le sue speranze. Anche il quinto dei cerchi era diventato solo un ricordo, e felice, sorrise a sé stesso, esibendosi come poteva in una sorta di piccolo spettacolo aereo, svolazzando a pelo d’acqua con tutta la delicatezza di cui era capace.
Il saggio e gli altri draghi osservavano la gara volando a loro volta, e a quella vista, Fergal non mancò d’incoraggiarlo. “Puoi farcela, Iku!” gli gridò, non provando che orgoglio. Nel tempo aveva assistito a tantissime gare come quella, ma mai a una, o a un partecipante che lo sorprendesse tanto.
Lontano com’era, Iku udì appena il suo maestro, ma notandolo, sorrise ancora. Aveva ragione, ce la stava facendo nonostante tutto, e soprattutto senza abbassarsi a imbrogliare.
Lento, il tempo continuava a scorrere, e con esso il paesaggio davanti ai suoi occhi mentre volava, mentre di attimo in attimo, la meta si avvicinava.
Iku era ormai stanco, gli sforzi erano stati tanti, ma non poteva arrendersi, non ora che era così vicino. Così, con uno sforzo che gli parve immane, investì le sue energie in uno scatto avanti, che un potentissimo colpo stroncò sul nascere. Sfinito e senza forze, Iku tentò di evitarlo, ma colto da un capogiro, rovinò in terra, sentendo in bocca il sapore del sangue misto a quello della terra e del selciato.
La prima prova era finita, ma purtroppo non come sperava. Ancora una volta, le parole di suo padre si erano rivelate vere. A vincere erano sempre i mostri e mai gli eroi.
Inutile dire che i genitori di Iku presero una tale paura! Tutti quanti erano sussultati, dai giudici al saggio.
Iku era ancora a terra, ma per fortuna non si era fatto nulla di grave (era piccolo, ma comunque resistente, soprattutto per quanto concerne il carattere).
I bulli non ebbero nemmeno il tempo di gongolare, che vennero immediatamente redarguiti da uno dei giudici: “La prova finisce qui! E voi due siete squalificati! Sono intollerabili dei comportamenti simili!”
Fergal si fece avanti possente, non permettendo al drago verde e al drago nero di replicare: “Barare per vincere una gara, ferendo oltretutto i propri avversari, è la cosa più sciocca e sleale che si possa fare. Pensate che ciò vi faccia onore?!” Detto questo, volò verso il protagonista, con l’intenzione di aiutarlo ad alzarsi. Non ce ne fu bisogno: Iku si alzò in volo da solo, dimostrando ancora una volta la propria forza. Tutti lo guardarono stupefatti, mentre i suoi genitori furono orgogliosi come non mai (e questa fu la gioia più grande per Iku).
Fergal parlò a gran voce: “Avete visto? Il piccolo Iku ha dato ancora una volta mostra del proprio coraggio e delle proprie capacità! Se non fosse stato per dei vili, avrebbe concluso la prova egregiamente. Per quanto mi riguarda, la prova l'ha superata comunque, al contrario di qualcun altro.”
La soddisfazione crebbe in Iku, soprattutto dopo la brutta figura che avevano fatto quei due dragacci... Che ovviamente ora erano diventati gialli di invidia! A pensarci bene, un sentimento che il giovane non ricordava di aver mai provato, eccezione fatta per quando non riusciva a parlare, o almeno non correttamente. Sentiva i genitori farlo, udiva perfettamente le loro parole, eppure all’inizio queste proprio non volevano saperne di uscire dalla sua, di bocca. Era stato brutto, ma per fortuna era tutto passato, sparendo come nebbia portata via dal vento. A soffiare su di lui ora c’era la calda e rilassante brezza della vittoria, e che bello era stato essere proclamato vincitore... Tronfio e orgoglioso di sé stesso, Iku sentì un peso svanirgli dal petto, ma quando provò a muoversi, dolore. Dopo tanti spintoni e due cadute aveva l’ala ancora indolenzita, e con il muso contratto in una smorfia, fece per raggiungere i genitori. Ora che iniziava a crescere, risolvere i problemi si faceva più complicato, ma loro avrebbero di sicuro saputo cosa fare. “Mama…” chiamò, stringendo i denti.
Veloce, Visyria fu subito lì con lui, stringendolo in un abbraccio delicato, così da non fargli male. “Iku, tesoro, sono qui. Starai meglio, te lo prometto” gli disse poi, gentile ma convinta.
“Saggio Fergal, serve un medico!” esclamò poco dopo Sendrix, allarmato.
Annuendo con decisione, il drago anziano non perse tempo, e con un gesto della zampa richiamò a sé altri draghi, che più esperti di lui in quel campo, accompagnarono Iku portandolo via dal percorso di gara.
Preoccupata, Visirya chiese di potergli stare accanto, e ottenuto il permesso, andò con lui. Lo stesso non valse però per Sendrix, che rimase invece con il saggio. “Tuo figlio starà bene, Sendrix. C’è più coraggio in un’ala ferita che in un corpo sano, ricordalo” gli disse quest’ultimo, rivolgendosi a lui con una serietà mai vista prima.
Interdetto, Sendrix quasi non rispose, ma poi, ravvedendosi, lasciò che la sua espressione, una maschera a metà fra tensione e gratitudine, parlasse per lui.
Intanto, e ancora in compagnia dei draghi medici, Iku era stato portato in una sorta di piccola infermeria, con la mamma a tenergli una zampa per dargli sicurezza e un’altra draghessa che applicava una garza e un cerotto. Osservando la scena in silenzio, Visirya si sentì subito meglio. Lo spavento c’era stato, il cuore aveva minacciato di scoppiarle in petto dopo quell’incidente, ma se la cura era così semplice, allora poteva significare solo una cosa. Il suo eterno, bellissimo ovetto sarebbe tornato a volare. “Starà bene? Si riprenderà?” non riuscì a non chiedere, apprensiva come al solito.
“Totalmente, signora, non si preoccupi. Presto dimenticherete tutto, e questo piccoletto sarà come nuovo” commentò la draghessa, sorridendo tanto alla simile quanto ad Iku. “Vero, campione?”
Divertito, Iku battè le zampine in una sorta di piccolo applauso, poi sorrise. “F-Forte” disse poi, serissimo.
“Certo, Iku, sei forte. E sai una cosa? Finirai quella gara. Perché puoi, e perché ne sei capace.” A parlare in quel momento fu una voce diversa, una che Visirya era certa di non aver mai sentito. Confusa, alzò gli occhi, e fu allora che la vide. Lì insieme a tutti quei draghi tanto esperti in medicina, una nuova, stranissima conoscenza. Si reggeva su due zampe esattamente come loro, ma non ne aveva altre, e quella che ben presto capì essere la sua bocca aveva una singolare forma allungata. E che dire dei colori? Rosso, giallo e azzurro sapientemente mescolati, e che a giudicare dalla reazione del figlio, doveva essere gentile, oltre che amichevole.
“Vero” fece subito Iku in risposta, convinto.
Intenerita da quella scena, Visirya sentì il cuore sciogliersi, e in silenzio, riportò Iku alla pista, ma non prima di aver ringraziato la nuova, piumata infermiera. “Dovere, signora Visirya, dovere. A proposito, sono Lupe. Iku mi conosce. Ho un becco grande, ma non lo mangerò, può starne sicura” rispose la stessa Lupe, rompendo il ghiaccio con quella battuta.
Fu in quel momento che la draghessa ricordò i disegni del figlio, e fra questi proprio uno della nuova conoscenza. Ridacchiando, la salutò con un sorriso e un gesto della zampa, per poi darle le spalle e allontanarsi, finalmente tranquilla.
Tornati in pista con gli altri giovani atleti, madre e figlio non poterono fare a meno di notare che durante la loro assenza qualcosa era cambiato. Ora la gara non era controllata soltanto dal saggio Fergal e dai suoi colleghi giudici, ma bensì anche da un’altra… creatura. Anche questa del tutto sconosciuta a Visirya, che si scambiò con il marito un’occhiata alla ricerca di lumi, rimanendo tuttavia nel buio. “Ne so quanto te” sembrava dire infatti Sendrix, confuso quanto e forse più di lei. Incerta sul da farsi, anche lei si strinse nelle spalle, e di lì a poco, la voce di uno dei giudici riportò tutti alla realtà. “Giovani atleti, vi presento il vostro nuovo allenatore. Il sollevamento è più complicato di quanto sembri, anche con pesi minimi, perciò dategli retta, d’accordo?” lì ammonì, serio ma tranquillo. In totale onestà nessuno di loro era cattivo, e sia lui che gli altri ci tenevano a dimostrarlo, perfino nel mezzo di una gara.
Finita l’introduzione da parte del drago, il misterioso essere si fece avanti, e fu allora che Iku, felicissimo, capì davvero. “Shelldon! Shelldon!” chiamò, sorpreso e contento di vederlo.
Sentendosi chiamare, il diretto interessato girò lo sguardo, con il suono dei suoi passi, se così potevano essere chiamati, a ticchettare sul selciato.
Forse incuriositi, forse semplicemente divertiti, due draghetti vicini, ridacchiarono nel vederlo muoversi in quel modo, così ritmico e a scatti. Punto sul vivo, il granchio li fulminò con un’occhiataccia. Avrebbe voluto farsi più vicino e rispondere per le rime come aveva fatto in spiaggia con Iku, ma poi, pensando invece a Lupe e al suo blaterare qualcosa su distese d’acqua, voci interiori e calma, si trattenne. “Sono solo cuccioli, Shell. Solo cuccioli” si ripeté nella mente, imitando nel mentre la voce della variopinta. Fra tanti, il suo modo preferito di prenderla in giro. Non che lei non se ne accorgesse, non era certo stupida, ma questo fermava Shelldon? Assolutamente no. E così, il granchio si divertiva, ora ridacchiando fra sé e sé.
Composto e in silenzio, invece, Iku aspettava solo di iniziare l’allenamento. Usare gli artigli delle zampe inferiori avrebbe significato riposo per le sue ali, e curioso, attendeva. Ricordava ancora il gioco che aveva improvvisato sulla spiaggia, quello con le perle che aveva finto di sotterrare nella sabbia come vere e proprie uova, e a quel pensiero, si ritrovò a fantasticare su cosa sarebbe successo di lì a poco. Fu questione di soli attimi, al cui scadere la voce di Shelldon ruppe di nuovo il silenzio. “Va bene, piccoletti, mettiamo subito le cose in chiaro: il sollevamento pesi non è per i deboli, non credete?” iniziò, rivolgendo quella domanda a tutta la giovanissima platea.
“Ha ragione, signor allenatore!” fece una cucciola a pochi passi da Iku, con un lieve sorriso e una voce dolcissima.
“Potete chiamarmi Shelldon” corresse gentilmente lui, con una calma rara per il suo carattere.
“Ora? Ora?” azzardò Iku, che intanto fremeva davvero d’impazienza. Non mancando di notarlo, Shelldon fu vicino a sbuffare per la noia, ma trattenendosi ancora una volta, schioccò le chele, lo sguardo fisso su uno dei giudici prima e sul vecchio saggio. Capendo al volo, questi non si fece attendere, e nello spazio di un momento sparirono e tornarono, portando con sé tre oggetti di diverso peso e dimensioni. Per prima una piuma, poi un blocchetto di legno, e ultimo, ma non per importanza, un piccolo cubo di ferro. Vedendoli arrivare, Shelldon ringraziò con un cenno del capo, facendone poi un altro perché si allontanassero. Lento, poi, si avvicinò al pezzo di legno. “Come vi dicevo, questo sport…” ricominciò a dire, mentre chiudeva una chela attorno e la sollevava, lentamente e fingendo un minimo di sforzo. Ovvio era che fosse forte abbastanza da tenerlo senza problemi, e per un istante aveva anche pensato di farlo con il cubo di ferro, ma poi si era ricreduto, sia per evitare la fatica che per dare speranza ai giovincelli che aveva davanti. “Non è per i deboli” terminò poco dopo, rimettendo a terra l’oggetto. Una volta fatto, aprì e chiuse la chela appena usata per prevenire un crampo, poi, indicando di nuovo gli oggetti, rimase fermo e in silenzio. Da allora in poi, il tempo sembrò smettere di muoversi, e già seccato, riprese la parola. “Beh? Non c’è nessuno che vuole testare la propria forza? Avanti, sceglietene uno, quello che volete” disse, sforzandosi quanto poteva per incoraggiarli.
Rimasto in disparte fino a quel momento, il saggio Fergal si schiarì la voce, poi intervenne a sua volta. “Le regole non sono esattamente queste, signor Shelldon” spiegò, serio ma calmo come sempre.
“Aspetti, cosa?” azzardò Shelldon, confuso. “Ma allora…” balbettò, non riuscendo quasi più a parlare.
“Allora, caro signor Shelldon, a ciascun drago è data una possibilità. Il primo a sollevare tutti gli oggetti uno per volta supererà la prova. Pronti, atleti?” concluse poco dopo, per poi rivolgersi a tutti i piccoli draghi presenti. Seppur silenziosi, annuirono all’unisono come gemelli, e di lì a poco, la gara ebbe davvero inizio.
Con Xadox e Yrkov squalificati nella manche precedente, il numero di partecipanti era sicuramente più esiguo, e Iku non ne conosceva nessuno, ma per il momento non importava. Era meglio concentrarsi, avrebbe sempre potuto fare amicizia più tardi.
Visto il silenzio dell’intero gruppo, il saggio e i giudici furono vicini a scegliere un partecipante a caso, ma prima che potessero farlo, qualcuno si fece finalmente avanti. Piccola e adorabile, la stessa cucciola che si era rivolta a Shelldon poco prima, che timida come non mai, zampettò verso il primo dei tre oggetti, ovvero la piuma. Fu questione di istanti, e al segnale di partenza, che uno dei giudici diede sollevando una zampa, la cucciola si preparò a iniziare. Silenziosa e concentrata, respirò a fondo, e con una lieve spinta delle ali, sollevò la piuma con gli artigli. Felice, la tenne ferma per qualche attimo, sorridendo finché non fu il momento di lasciarla andare. Subito dopo fu la volta del ciocco di legno, che nonostante gli sforzi, la piccola non riuscì a spostare neanche di un millimetro. Già stanca, si arrese dopo un unico tentativo, per poi voltarsi e rimettersi in disparte, lasciando il campo libero al prossimo dei suoi compagni. Il secondo a cimentarsi nella prova fu un maschietto come Iku, diverso da lui solo per il colore delle scaglie. Se quelle di Iku erano azzurre, infatti, le sue erano gialle. Di un giallo vivo e simile all’oro, che a Iku stesso tanto ricordava il colore delle monete trovate quel giorno in spiaggia, ben chiuse in quel forziere arrivato per caso galleggiando fra onde e schiuma. A quel ricordo, il draghetto si distrasse, e sempre in silenzio per non disturbare il compagno, lo osservò afferrare la piuma quasi senza sforzi, per poi fare la stessa cosa anche con il blocco di legno. Ora che c’era riuscito, quello di ferro era l’ultimo rimasto, ma anche in quel caso, nulla da fare. Quello era il secondo concorrente che si arrendeva, ed era allora che nella mente del piccolo Iku la domanda sorgeva spontanea. Era davvero così pesante? Non lo sapeva, e pur potendo immaginarlo, era sicuro che l’avrebbe scoperto solo provando a sua volta, come gli altri. E dopo quello dei due compagni arrivò il suo di turno, che intimorito ma fiducioso a sua volta, decise in quel momento di far contare. Era un tentativo e nulla più, chiaro, ma se davvero voleva superare la prova, gli toccava impegnarsi. Lento, avanzò verso la piuma, e imitando la compagna osservata in precedenza, si diede una lieve spinta con le ali prima di afferrarla. Nello spazio di un momento, i suoi artigli fecero il resto, e passato qualche secondo, sotto muto consiglio di Shelldon, la rimise a terra. Leggera come da proverbio, volteggiò in aria per un po' prima di posarsi, e seguendola con gli occhi, Iku sorrise contento. Una era andata, ora toccava agli altri due. Cambiando obiettivo, si diresse verso il pezzetto di legno, e respirando per concentrarsi al meglio prima di agire, si preparò a fare la sua mossa. Di lì a poco, il tempo sembrò fermarsi, e guardando per un’ultima volta l’oggetto, Iku finalmente si decise. Complici le ammaccature della prova precedente, afferrarlo non fu esattamente facile, ma testardo come pochi, lui ci provò comunque, e riaprendo gli occhi che neanche ricordava di aver chiuso, scoprì la verità. Alla fine ce l’aveva fatta, il che poteva significare soltanto una cosa. L’ultimo oggetto rimasto, l’incubo degli altri piccoli draghi. Il cubo di ferro. Bastò un attimo, e tutta la sicurezza di Iku sembrò svanire nel nulla, tanto che sentì la gola riarsa. “Brutto segno… proprio non ci voleva” pensò, parlando con sé stesso. Colto da un brivido, tremò dalla testa ai piedi, ma scuotendo la testa, non si diede per vinto. Il fatto che i suoi compagni avessero fallito non significava che la stessa cosa sarebbe successa anche a lui, e in silenzio, ricordò le parole del padre. “Le paure nascono dalle insicurezze, ovetto. Credi in te stesso e ce la farai.” Aveva ragione, ma che stava facendo? Dubitare in un momento così importante. Quello sì che era da vili, come aveva detto il saggio Fergal. Con quel pensiero in mente, il draghetto finalmente mosse un passo in avanti, e con gli occhi fissi sul nuovo obiettivo, smise di esitare. Anche quella volta la tecnica fu la stessa. Occhi chiusi, respiro profondo, spinta con le ali. Uno schema ritmico e cadenzato, rubato con gli occhi dalla prima concorrente, che nonostante la paura eseguì perfettamente. Fu allora che, sorpreso, si guardò intorno e rivide i genitori, e con loro anche il saggio Fergal e l’amica Lupe, uscita da un’infermeria ora sgombra di paziente. Felice di vederla, la salutò come poteva date le zampe occupate, mentre lei ricambiò sventolando un’ala. Il silenzio che seguì quell’istante fu fortissimo, rotto solo dall’incredibile fragore di un applauso. Confuso come mai prima, Iku abbassò lo sguardo, e un altro brivido lo scosse da capo a piedi. Stringeva davvero il blocco di ferro, mentre tutti i compagni lo osservavano meravigliati. La compagnetta poi gli sorrideva e sembrava sul punto di arrossire, tanto che Iku, seppur ancora giovane e ingenuo, sentì il cuore battere forte nel petto. Non capì bene perché, seppe solo di essere felicissimo. Guardandosi di nuovo intorno, incrociò lo sguardo del saggio prima e dell’allenatore e amico Shelldon poi, che condividendo la sua felicità, agitava una chela in aria in segno di vittoria. Sostenendo lo sguardo di Iku, invece, l’anziano annuì con soddisfazione, e imitandolo in quel gesto, il draghetto si rilassò, scendendo fino a toccare terra. Per lui era incredibile. Aveva iniziato le prove con addosso solo una grande paura, ma adesso? Adesso ce l’aveva fatta, e non restava che affrontare l’ultima. Toccare terra non aveva cambiato nulla in Iku, neanche le sue emozioni, poiché nonostante ora non fosse più in volo, gli sembrava comunque di toccare il cielo con un dito. Contenti di vederlo trionfare, i due compagni gli si avvicinarono per congratularsi, e lasciandoli fare, lui accettò un abbraccio da entrambi. Il draghetto gentile e color dell’oro, poi, si offrì di accompagnarlo nel luogo della prossima prova sorridendogli e prendendolo sottobraccio, e seguendolo, Iku non riuscì a smettere di sorridere a sua volta.
Minuti dopo, si ritrovò con l’amichetto, che scoprì chiamarsi Sparky, in un posto mai visto prima. Sempre lì con gli altri, sempre al Monte, anche se ora il selciato e i sentieri erano stati sostituiti da erba soffice, fresca e verde come speranza. A quanto sembrava la terza prova si sarebbe tenuta lì. Dopo la corsa a ostacoli e i pesi, era arrivato il momento di cimentarsi nell’arte per i draghi più antica, ovvero quella di maneggiare il fuoco. Un’abilità con cui tutti nascevano, e che soltanto il tempo poteva permettere loro di affinare. Era in momenti come quello che Iku desiderava aver avuto quella fortuna. Al contrario degli altri, lui non aveva quasi mai fatto pratica con il fuoco, essere finito su quella spiaggia lontano dai genitori non gliene aveva dato modo, e ora si ritrovava indietro. Sapeva di non dover aver paura né preoccuparsi, ma intanto il pensiero restava. Sparky camminava con lui, gli parlava e lo distraeva, e grato, si sforzava di distrarsi e pensare ad altro. Ad esempio l’altra compagna, di cui ancora non conosceva il nome ma che tanto avrebbe voluto salutare prima di tornare a casa e che forse era anche già arrivata, e ora aspettava come lui solo l’inizio della gara. “Sei pronto, Iku?” gli chiese Sparky, fermandosi a guardarlo.
Mantenendo il silenzio, lui si limitò ad annuire, poi indicò qualcosa di distante da entrambi. Diversamente dalla piuma, dal pezzetto di legno e dal cubo di ferro, qualcosa di totalmente nuovo per lui, e che non ricordava di aver mai visto.
Guardando nella sua stessa direzione, Sparky capì subito, poi illuminò l’amico. “Sono bersagli. La sfida è cercare di centrarli sputando fuoco. Può essere difficile, ma non c’è un limite di tempo. Faremo a turni, come prima” spiegò semplicemente, calmo e tranquillo.
Alle sue parole, Iku si rilassò visibilmente. Poteva sembrare strano, ma sapere che nessuno gli correva dietro fu una bellissima notizia. Per sua fortuna non era davvero mai successo, e anzi, i suoi genitori erano sempre stati pazienti con lui, come quando ancora stava imparando a parlare, ma immaginava che la sensazione fosse tutt’altro che piacevole. Mentre camminavano, poi, entrambi potevano vedere quel luogo brulicare di vita. Non erano più da soli, anzi, era pieno di draghetti come loro, stranamente tutti riuniti attorno a una figura ancora sconosciuta. Erano troppo lontani per vederla chiaramente, così decisero di avvicinarsi.
Curioso, Iku incalzò l’amico Sparky prendendogli una zampa, e ridacchiando, questo lo seguì senza protestare. “Piano, Iku, così cado!” si lamentò, prendendolo bonariamente mentre ancora rideva. Ma invano. La vista dei draghi piccoli come lui non era perfetta, ma comunque molto sviluppata, ed era sicuro che la sua non lo stesse ingannando. Avrebbe riconosciuto quel pelo marrone e quella coda tanto lunga ovunque, e non riusciva a credere che avrebbe fatto da allenatore per l’ultima prova. Che bello, il solo pensiero! Chissà quanto sarebbe stato contento di vederlo!
In breve, i due amici si ritrovarono nel bel mezzo di quella calca, a muoversi e sgomitare per conoscere il nuovo allenatore per l’ultimo dei loro giochi fra draghi.
“George! George! Iku!” chiamò il piccolo, mentre, felicissimo, si sbracciava per farsi notare.
E come d’incanto, la folla si disperse. “Datemi un attimo, giovincelli, c’è un mio grande amico che mi aspetta” disse George, ridacchiando come era solito fare mentre si faceva spazio fra i piccoli atleti. Fra un passo e l’altro, raggiunse Iku con un sorriso stampato sul volto, salutandolo poi con il solito. “Iku! Come va, piccoletto? Trovate altre cose luccicanti, di recente?” gli chiese, divertendosi al ricordo del loro primo incontro e dell’avventura in spiaggia.
“No, George, mi dispiace, ma no. E poi non sono piccoletto, uffa!” rispose di rimando Iku, stando allo scherzo meglio che poteva ad eccezione della battuta sulla sua altezza. Era raro che ne sentisse, ma una cosa era certa. Non gli piacevano affatto. In fin dei conti era molto più di un semplice draghetto o il prezioso ovetto di mamma e papà. Lui era sé stesso, aveva belle idee e sani valori, che era molto più di quanto draghi come Xadox e Yrkov potessero vantare. A contare per loro c’erano soltanto slealtà e vana gloria, ma no, Iku non era così. Era diverso. Diverso e genuino.
Notando che George discuteva con lui, gli altri rimasero a osservare la scena senza parlare, almeno finchè il simpatico primate non si voltò di nuovo a guardarli. “Bene, ragazzini, pausa finita, torniamo al lavoro” annunciò, serio forse per la prima volta nella sua vita. “Conoscete tutti le regole. Il punto è centrare i bersagli con un gran bel respiro di fuoco. Proprio quello che ci vuole per una banana arrosto, non credete?” finì di dire, buttandosi su una delle sue solite battute. Tutti i presenti risero di cuore, anche Sparky, che subito spalleggiò Iku. “E tu lo conoscevi? Dove lo tenevi nascosto? È così divertente!” commentò, fra una risata e l’altra.
“Vero? Ci siamo conosciuti per caso” disse semplicemente Iku, per poi zittirsi e tornare ad ascoltare. Era come essere a scuola. Lui non c’era mai andato, aveva imparato e stava imparando tutto il possibile dai genitori, ma non importava. Imparava lo stesso, ed era quello l’importante.
In quel momento, la voce dell’amico peloso lo riportò alla realtà. “Un trucchetto, se volete saperlo, cari, è concentrarsi su una cosa sola in particolare. Qualcosa che vi piaccia, che sia abbastanza da motivarvi, diciamo così. Prendete me, mi diverto un mondo a dondolare dagli alberi, anche quelli più grandi” spiegò, rivolgendosi a quelli che considerava bambini in termini a loro comprensibili.
“E se non ce la fai ad arrampicarti?” azzardò un draghetto nascosto fra la folla, così piccolo e basso da risultare quasi invisibile.
“Chi ha parlato?” azzardò allora George, confuso.
In risposta, una zampina bianca come la neve si levò nell’aria.
“Oh, eri tu! Dimmi, come ti chiami, ragazzo?” chiese la scimmia, curiosa e intenerita.
“Arad” rispose subito il draghetto, sorridendo apertamente.
E George lo guardò, piegando leggermente la testa di lato. “Beh, Arad il drago, è come dicevo prima. Cerco sempre qualcosa che motivi a scalare gli alberi, sai? Per esempio, non lo so… il gran casco di banane che c’è in cima.”
A quella risposta, tutti i piccoli presenti risero divertiti, e battendo le mani, George diede inizio alla sfida. “Okay, ora facciamo sul serio, chi vuole cominciare alzi una zampa” disse, per poi ridursi al silenzio e guardare dritto davanti a sé, verso la folla di squame e artigli. Come c’era d’aspettarsi, tutti avevano alzato la zampa nello stesso momento, così fu costretto a scegliere, optando per una piccoletta rosso rubino. “Tu, signorina, avanti. Non essere timida” la incoraggiò, comprensivo.
Annuendo, la giovane draghessa non si fece attendere, e preso il suo posto dove George le indicò, a una decina di metri dai bersagli, si concentrò meglio che poteva. Come gli altri, Iku osservava in silenzio e senza interrompere per non distrarre la compagna, finchè Sparky, ancora accanto a lui, non gli picchiettò una spalla. “Quella è Hara. Sarà anche piccola, ma è bravissima” gli sussurrò, parlando a bassa voce per non essere udito che da lui.
Sorpreso, Iku sgranò gli occhi, e proprio allora, una fiamma gli sfrecciò davanti agli occhi. La compagna aveva fatto la sua mossa, e ora toccava al prossimo volontario. Non aveva fatto centro, che significava che Iku aveva ancora una possibilità. O due, in caso di un altro errore. Non restava che aspettare e vedere, e così fece, sempre in silenzio. A farsi avanti fu un piccolo drago che non conosceva, piuttosto alto per la sua età, e anche goffo, ma nonostante questo, Iku non osò ridere di lui. Era sbagliato, e sapeva che non sarebbe stato bello se qualcosa di simile fosse accaduto a lui. Lì accanto, però, Sparky ricominciò a bisbigliare. “Angus. Un bonaccione, ci divido sempre la merenda. Con lui puoi stare tranquillo, non preoccuparti” disse soltanto, tornando a osservare la scena.
Annuendo, anche Iku fece lo stesso, e di lì a poco, ciò che videro li sorprese entrambi. Proprio mentre si preparava a sputare la sua, di fiamma o palla di fuoco, il povero Angus fu colto dai singhiozzi, e il proiettile fiammeggiante finì per colpire non il bersaglio ma il sostegno che lo teneva sollevato da terra. Grazie al cielo almeno allora nessuno rise, ma comunque pieno di vergogna, Angus si ritrasse senza una parola.
Triste, Iku volle consolarlo, ma prima che potesse muoversi, qualcuno chiamò il suo nome. Si voltò. Era il saggio Fergal. “Avanti, giovanotto, tocca a te” disse soltanto, sorridendogli mentre con un gesto della zampa lo invitava a farsi avanti.
Insicuro, Iku esitò ancora, ma incoraggiato tanto dall’anziano quanto dagli amici Sparky e George, che fece addirittura una faccia buffa per farlo sorridere, avanzò. Fatti pochi passi, si mise in posizione, e chiusi gli occhi, non vide più nulla. Solo il buio, solo il nero, e dentro di sé non avvertì che pace. Le parole di George gli tornarono in mente chiare come e più del sole, e concentrato come non mai, espirò a lungo. Per la prima volta, accadde qualcosa di diverso. Riaperti gli occhi, non vide certo la nuvola di fumo che si aspettava, ma anzi, una palla di fuoco. La sua prima, vera palla di fuoco, azzurra come le sue scaglie e che andò a colpire, contro ogni sua aspettativa, proprio il centro del bersaglio. Attonito, per un attimo non riuscì a respirare, né seppe cosa dire, e anzi, volle solo piangere. Grosse lacrime gli riempirono gli occhi, ma non li asciugò. Era troppo, troppo felice per farlo. La voce del saggio poi ruppe il silenzio creatosi fra lui e il resto dei partecipanti. “Abbiamo un vincitore!” esclamò, serissimo.
In un istante, anche tutti i compagni urlarono di gioia, correndo verso di lui per abbracciarlo e congratularsi. C’erano davvero tutti. La mamma e il papà, Shelldon, Lupe, George, Sparky, e perfino Hara, che seppur timida, osò farsi abbastanza vicina da sfiorarlo come gli altri, ma a differenza loro, si alzò anche sulle punte per regalargli un bacio sul muso ruvido. Colto alla sprovvista, Iku arrossì immediatamente, poi sorrise.
Così si concludeva quella lunga giornata. Le prove erano tutte finite e così il suo lavoro, che gli aveva conferito sul finale il successo più grande. Dimostrare a tutti chi fosse il vero Iku, un piccolo grande drago con il cuore puro e una forza e una determinazione incrollabili.
   
 
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