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Autore: Yellow Canadair    06/04/2022    3 recensioni
Lucci, Kaku e Jabura si svegliano nudi in un laboratorio sconosciuto. Dove sono? che è successo al resto del gruppo? perché non riescono più a trasformarsi? Tutte domande a cui risolvere dopo essere scappati, visto che sono giustamente accusati di omicidio plurimo.
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Nefertari Bibi è sparita da Alabasta: Shanks il Rosso l'ha portata via per salvarla da morte certa, perché qualcuno vuole il suo sangue per attivare un'Arma Ancestrale leggendaria. Ma i lunghi mesi sulla Red Force suggeriscono a Bibi che forse chiamare i Rivoluzionari potrebbe accelerare i tempi...
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Intanto Caro Vegapunk ha una missione per gli agenti: recuperare suo padre, prigioniero nella Sacra Terra di Marijoa. Ma ormai Marijoa è inaccessibile, le bondole sono ferme, e solo un aereo potrebbe arrivare fin lassù...
I Demoni di Catarina, una long di avventura, suspance e assurde alleanze in 26 capitoli!
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Nefertari Bibi, Rob Lucci, Shanks il rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Le urla dei prigionieri e l’odore del sangue riempivano l’aria, si respirava dolore, e frustate, e sudore che scivolava su corpi di fame. Le celle stipate di prigionieri urlavano bestemmie e lanciavano preghiere, che diventavano insulti, che diventavano rantoli di morte.

Per terra nei corridoi giacevano i corpi dei guardiani e ruscellava il sangue dalle ferite inferte da una lama implacabile, splendida e sfavillante in mezzo alla lercia e umana miseria che albergava a Impel Down.

Giù al sesto livello un prigioniero in catene aspettava nel buio e nel silenzio l’ultimo dei suoi giorni, in un supplizio senza fine di dialoghi con sé stesso e con la propria coscienza. Sollevò la testa e vide una sagoma oltre le sbarre che torreggiava tra le fredde mura.

«Fufufu… ma che bella sorpresa. Eri l’ultima persona che mi aspettavo.» ridacchiò Do Flamingo.

«Allora mi aspettavi. Quindi sai anche perché sono qui.» rispose lugubre Drakul Mihawk.

Occhio umano non poté percepire la lama nera della Yoru fendere l’aria e lacerare le sbarre della cella, che con rumore di seta crepitarono e caddero a terra.

Do Flamingo scherzò: «Potrebbero arrestarti per aver aiutato un condannato a fuggire, sai?»

«Ma non sono qui per farti fuggire.»

«Ho capito... si tratta di Uranos.» ammise Do Flamingo sospirando.

Mihawk sollevò la Yoru sulla gola dell’ex flottaro in catene. «Hai delle ultime parole?»

Doflamingo sorrise nel buio, fissò l’ultima immagine della sua vita: l’orlo cupo del soprabito di quel frigido di Mihawk e le linee regolari delle lastre del soffitto della cella. 

«Salutami Im.»


 

Capitolo 1

Trasformazione senza ritorno

 

Il sole scintillava sulle acque blu dell'Arcipelago di Catarina, tra le coste frastagliate e le vele bianche delle piccole barche.

L’arcipelago di Catarina era fatto così: cinque grandi isole disposte come i cinque punti sulla faccia di un dado; su quella centrale c’era la Torre di Catarina, che ospitava la base del Ciper Pol Aigis Zero su quella sperduta zona del Mare Occidentale. 

Le altre quattro isole erano collegate con quella centrale con un ponte ognuna, percorso a tutte le ore da persone a piedi o, per chi aveva fretta, da carrozze sferraglianti tirate da animali di vario genere, che galoppavano per tutto il giorno portando i cittadini da un’isola all’altra.

Il bar di Gigi L’Unto quel giorno era stato molto movimentato, una piccola folla si stava radunando davanti alle porte chiuse e la figlia del proprietario, Souzette L’Unto, correva a perdifiato via dalla cittadina dirigendosi verso il piazzale da dove partivano le carrozze.

Ne aspettò una per diversi minuti, e infine montò su uno scattante tiro a quattro dipinto di verde, che venne subito lanciato a tutta velocità lungo il ponte, verso la Torre del CP0. «È un’emergenza, può andare più veloce??» gridò al vetturino seduto a cassetta davanti a lei, un tipo completamente vestito di verde, così tanto da sembrare un grosso grillo.

«Signorrrrina siamo già al massimo, non possiamo andarrrrre più veloce di così! Ci sono i pedoni, ci sono le altrrrrrrrre carrrrrrrrrozze, non voglio fare incidenti!» trillò stridulo.

La giovane ostessa Souzette strinse i denti e si resse con più energia ai maniglioni della carrozza, tra i soffici cuscini, guardando in lontananza il parco dell’Isola Centrale che era sempre più vicino. Nonostante il vetturino avesse detto di non poter accelerare, aveva frustato di nuovo i cavalli e ora stavano galoppando verso la destinazione. I capelli del suo caschetto nero frustavano l’aria, la carrozza era stata privata del suo tettuccio di stoffa per farla andare più veloce lungo il ponte di ferro nero dell’Isola dell’Autunno.

 

~

 

BAM BAM BAM!! BAM BAM BAM!!!

Il pesante portone della Torre risuonò di colpi forti e nervosi, dati con foga e disperazione.

«Arrivo, maledizione!» berciò Spandam, nervoso. Aveva cominciato a fare un caldo inusuale, strano per il clima mite dell’isola centrale, ed era più arrabbiato del solito.

BAM! BAM! BAM!

«Arrivo, eccomi!»

Chiunque fosse, aveva una fretta indiavolata.

Il galoppino giunse nell’ingresso, guardò il suo orologio da polso (ma gli si era scaricata la pila e lui si era dimenticato di sostituirla), sbuffò. I colpi continuarono.

Alla fine aprì a fatica il grande battente di legno e mise il naso fuori.

«Mbè? Non sai usare il campanello?»

«È rotto da due settimane ed è un’emergenza!!» ansimò Souzette, con il fiatone.

Ah, già, pensò Spandam. Erano due settimane che gli agenti gli urlavano di lumacofonare al tecnico per ripararlo… oh, ma lui non era abituato a fare queste cose!! Lui era un ex direttore, mica il loro schiavo!

«Il vostro agente, Jabura!» spiegò la donna, agitatissima. «L’abbiamo chiuso nel bar, non riusciamo ad avvicinarci! Mandate qualcuno, per favore! I clienti sono scappati!»

Spandam ci mise un attimo a elaborare l’informazione. «…si è già sbronzato? Non sono neanche le…» guardò di nuovo l’orologio fermo. «…le undici del mattino?» tirò a indovinare.

«Non è ubriaco!» Souzette conosceva Spandam e sapeva che parlare con lui era del tutto inutile, quindi gli chiese: «Dov’è il signor Lucci? Abbiamo bisogno di aiuto!»

Rob Lucci, dopo i fatti di Enies Lobby, era rientrato in possesso del distintivo da agente segreto con licenza di uccidere, e aveva preteso che venissero reintegrati, ai suoi ordini, anche i compagni che l'avevano seguito nei mesi di latitanza: ora vivevano insieme nella Torre di Catarina, sull'isola centrale, da dove partivano a piccoli gruppi per i più remoti angoli del mondo per spiare, origliare, rubare, scortare, uccidere. Spandam? Rob Lucci avrebbe preferito seppellirlo con le sue mani; ma aveva agganci potenti, ed era stato graziato diventando un semplice tirapiedi alle dipendenze degli agenti di stanza a Catarina.

«Beh, chiama la Marina.» la liquidò Spandam facendo per richiudere il portone. «Dei civili si occupa la Marina, non noi. Abbiamo di meglio da fare!»

«Ma il problema è uno dei vostri agenti!!»

Per fortuna di Souzette, in quel momento in corridoio passò una lunga chioma bionda, e la ragazza esclamò: «Signorina Califa! Per favore!» si sbracciò per attirare la sua attenzione.

La agente si girò e la fulminò con un’occhiataccia. «Che sfacciata molestia sessuale.» sibilò. Poi disse: «Spandam. I civili non possono entrare nella Torre, perché l’hai fatta passare?»

Souzette però era abituata ad avere a che fare con i clienti difficili, nell’osteria di suo padre, e non si perse d’animo: «L’agente Jabura ha perso il controllo! Ha quasi ucciso due clienti! L’abbiamo chiuso nell’osteria e abbiamo evacuato il locale, dovete mandare qualcuno!»

Califa strabuzzò gli occhi, senza parole. «In che senso “ha perso il controllo”?» e in che senso “quasi ucciso”?, pensò. Jabura era un’agente del CP0, non era da lui “quasi” uccidere! Andava a colpo sicuro! Contro degli ubriaconi al bar, per di più!

«Va’ a chiamare Lucci.» ordinò subito Califa a Spandam. «Digli di venire immediatamente qui.»

Ma in quel momento ci fu un boato tremendo proveniente dal fondo della torre, la terra tremò sotto i piedi di Califa, Spandam e Souzette, e dall’ufficio del pianterreno uscì la segretaria della divisione, la signorina Lilian Yaeger, con i capelli in disordine come al solito. «Cos’era?? Un terremoto?? L’avete sentita anche voi?»

Lavorava con gli agenti da un paio d’anni, teneva in ordine la burocrazia e gli ordini in arrivo, ed era abituata al trambusto che comporta un reparto di spionaggio del Governo Mondiale. Avevano dovuto assumerla perché, agli albori, l'unico che si occupava di faccende amministrative era Spandam, il quale non era neppure in grado di comporre un numero lumacofonico senza fare confusione con i numeri. 

Dal piano di sopra scese urlando Kumadori. «SGOMENTOOOOOOO!!! LA TERRA CHE SI RIBELLA ALL’ESTRO UMANOOO!!! YOOOOOOOOYOOOOOOOOOOOIIIIIIIIII!! PICCOLI SIAMO, E TREMEBONDI…» 

Una nuvola di polvere sbuffò dal fondo del corridoio, dove c’era la grande sala mensa, che vista l’ora era deserta. Tutti si accodarono a Kumadori che correva verso la mensa a vedere cosa fosse successo, e anche Califa mollò Spandam e Souzette e corse a controllare.

Spandam immediatamente prese a lamentarsi: «Maledetto Jabura. Gliel’ho sempre detto che non deve gozzovigliare in servizio!» ma la barista gli fece “sì, sì” con la testa senza dargli retta, e aspettando spazientita che gli agenti le dessero retta.

Califa, Kumadori e Lilian spalancarono le porte della mensa e si trovarono in mezzo a una nuvola di polvere e calcinacci che sulle prime non permetteva di vedere nulla.

«Su!» mormorò Lilian indicando il soffitto e coprendosi naso e bocca con una mano.

Filtrava molta più luce del solito, e i tre videro che il soffitto era sfondato, ed entrava il sole direttamente dalle finestre del piano di sopra.

«Ha ceduto il soffitto…?» mormorò Califa.

Un urlo di Kumadori distrusse il silenzio: «KAAAAAKUUUUUUUUUU COME HAI POTUTO, TU MISERO, YOOOOOOOOYOOOOOOOOOOOOOI! DIMENTICARE CHE I PAVIMENTI NON REGGONO LA TUA MOLE????»

Kaku stava cercando di rimettersi maldestramente in piedi tra i calcinacci, le mattonelle scheggiate, i mattoni e la polvere. Era completamente mutato in giraffa e boccheggiava, cercando aria.

«Kaku, stai bene??» chiamò Lili, preoccupata. 

Si era trasformato, ma il pavimento evidentemente non aveva retto il peso di una giraffa adulta, e aveva ceduto facendolo precipitare al pianterreno!

«Lo sai che non devi farlo dentro casa!» lo sgridò Califa, contrariata.

Kaku tirò su la testa e rizzò il collo scuotendosi di dosso la polvere.

«KAKU! TORNA UOMO, YOOOYOOOI!» lo pregò Kumadori.

La giraffa si girò verso l’agente dai capelli rosa, ma non sembrò molto colpita. Cercò di tirarsi su, lasciando cadere i detriti che aveva addosso; gli zoccoli scivolavano sul pavimento e tremava un po’, per via della caduta.

«Kaku, c’è un problema con Jabura, dobbiamo andare immediatamente all’osteria di Gigi L’Unto.» lo informò Califa.

Ma Kaku non la guardò neanche, si sollevò da terra prima con le zampe posteriori, e poi con quelle anteriori, infine si spazzolò con la coda. Sembrava che non avesse sentito.

Califa sibilò alla segretaria: «Vai a chiamare Lucci. Subit-aaaaaaaah!»

«Califa!» esclamarono insieme Kumadori e Lili.

Califa era franata all’improvviso a terra, e non riusciva a rialzarsi! Era completamente inzaccherata del suo stesso profumatissimo sapone, scivolava sulle mattonelle di marmo e non riusciva a rialzarsi, perché le scarpe erano talmente lustre che le suole non riuscivano più a fare presa a terra, era come se si trovasse su una lastra di ghiaccio.

«Califa, aspetta, ti aiuto!» si avvicinò immediatamente Lili.

«NON MI TOCCARE!» gridò la donna.

Kumadori prese Lili da sotto le ascelle come una bambola e la sollevò. «Se toooocchi quel sapone, non potrai rialzarti nemmeno tuuuu!» mormorò l’uomo.

«Ma bisogna aiutarla!» protestò la ragazza.

«Non ho bisogno di nessun aiuto.» la stilettò l’agente. «Va’ subito a chiamare Lucci.» le ordinò.

E Lili senza perdersi d’animo venne liberata da Kumadori e si lanciò ticchettando sui tacchi verso lo studio del leader del reparto.

 

~

 

La segretaria bussò con educazione alla porta chiusa dell’ufficio del boss.

Non sentì il consueto “avanti” che arrivava dopo pochi secondi, ma vista l’emergenza bussò più forte e aggiunse: «Boss, per favore, è crollato il pavimento dell’ufficio di Kaku, non ci risponde più, e Jabura ha aggredito delle persone sull’Isola dell’Autunno!» raccontò gridando, per farsi sentire dall’uomo dentro la stanza.

«Chapapa, che succede? Che è successo a Jabura?» arrivò Fukuro trotterellando. «Ho sentito uno schianto, era Spandam?»

«Kaku ha fatto crollare il soffitto della mensa! Sai dov'è Lucci? è uscito?» chiese in fretta la ragazza.

«È qui.» assicurò Fukuro. «Ho parlato con lui venti minuti fa, e da allora non si è mosso. Entriamo.» disse, mettendo una mano sul pomello.

Lilian non si sarebbe mai azzardata a entrare nella stanza di Lucci senza permesso, ma Fukuro era un’agente operativo, e si prendeva più libertà.

«Buongiorno, boss» disse la ragazza entrando prima di Fukuro. «C’è un problema con-

Rimase pietrificata. 

Al centro della stanza c’era un leopardo, grosso e minaccioso, che puntava le zanne verso di lei. Aveva addosso i vestiti di Rob Lucci, camicia, giacca e pantaloni neri, lisi e morsicati perché aveva cercato di strapparseli di dosso con i denti.

«Boss, lo so che è lei.» si sforzò di dire «Per favore… c’è Jabura che…»

Un ringhio riempì l’aria e il leopardo mostrò i denti scintillanti.

Fukuro la prese per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza, richiudendo all’istante la porta. 

 

~

 

«…sei sicura che non l’abbia fatto apposta?» stava chiedendo Califa a Souzette, finalmente ascoltata dalla donna e da Kumadori. I suoi vestiti erano inzaccherati di sapone, e non riusciva nemmeno a camminare, così l'agente era stata messa momentaneamente in una piccola bacinella azzurra, e Kumadori e Lilian andavano e venivano dal bagno prendendo tutti gli stracci della Torre per assorbire il mare di schiuma.

«Sono sicura! Era davanti a me!» giurò la barista. «Stava bevendo tranquillo al bancone, e all’improvviso si è trasformato. Non riusciva a fermarsi, era confuso, mi ha chiesto cosa ci fosse nel bicchiere. Poi è diventato completamente lupo, si è spaventato e ha aggredito i clienti. Che potevo fare? Ho fatto uscire tutti e l’ho chiuso dentro. È ancora lì.»

«Chiamiamo il canile. È la soluzione più rapida.» risolse Califa sfilandosi la giacca bianca, zuppa, e rimanendo con un top a sottoveste bianco, madido di schiuma anch'esso. Lilian subito si precipitò a prendere l’elenco lumacofonico dell’arcipelago per avere il numero.

Hattori ascoltava quella conversazione, esausto e disperato, fra le mani di Kumadori. Era rientrato nella torre da una finestra aperta e si era lasciato cadere tra le grandi mani dell’agente dai capelli rosa. Piangeva e chiedeva aiuto, cosa che Kumadori ovviamente non gli aveva negato; doveva essere stato fatto uscire da Lucci stesso, prima di perdere il controllo, per salvarlo. Gli agenti, un attimo prima di perdere conoscenza, avevano forse intuito cosa stesse per succedere.

Rob Lucci era stato chiuso dentro al suo ufficio. Andava avanti e indietro, infastidito e nervoso, ma non rispondeva a niente. Non capiva, era come un leopardo vero.

Califa scuoteva la testa, pensando a Lucci: «L’ho visto altre volte in forma full-zoan, non si comportava così. Era lucido.»

Adesso invece non rispondeva, non riconosceva nessuno, attaccava il povero Hattori che cercava di avvicinarsi, tanto che adesso il colombino bianco piangeva disperato in braccio a Kumadori. Non si azzardava nemmeno a volare, visto che anche Califa aveva perso il controllo del suo frutto e in aria si sollevavano, pigre e lente, le sue bolle profumate. Per fortuna Califa non aveva un Rogia, o si sarebbe sciolta completamente in sapone, ma un Paramisha, per cui ne produceva una quantità limitata che poteva essere arginata.

 

~

 

Erano andati a prendere Jabura all’osteria di Gigi L’Unto. Clienti e curiosi si erano accalcati davanti al locale e nessuno credeva a quello che era successo. Si vociferava che i demoni che abitavano nei Frutti del Diavolo fossero venuti a riprendersi i loro poteri, e nessuno voleva avvicinarsi. Solo Gigi L’Unto sembrava preoccupato, ma non per Jabura: temeva che per via del clamore sarebbe arrivato di nuovo l’Ufficio Igiene a chiudergli il locale.

Califa aveva optato per la soluzione più facile: aveva fatto chiamare il canile e avevano sedato il lupo con un dardo sparato da una finestra. Avevano fatto giusto in tempo, perché Jabura, trasformandosi, era rimasto impigliato nei propri vestiti e si stava strangolando con la cravatta.

Ora se ne stava lì, nel giardino del suo appartamento inondato di piume: aveva sgozzato una gallina e se l’era mangiata, beato. Poi si era addormentato. Nemmeno lui capiva quello che gli si diceva.

Mancava Lucci a commentare caustico: “come al solito”.

Kumadori era scoppiato in lacrime, quando il collega non l’aveva riconosciuto. Erano gli agenti più anziani, si conoscevano da più di trent’anni, e a dispetto dei litigi erano molto legati. Aveva trovato una compagna di pianto nella segretaria, che singhiozzava disperata da quando aveva visto Jabura ritornare, sedato, con la museruola e le zampe legate: solo in quel momento sembrava aver compreso la gravità di quello che stava succedendo, ed era crollata abbracciando Kumadori.

Comunque, il Lupo era stato legato solo per portarlo a casa: una volta nel suo giardino, i nodi erano stati tagliati, la museruola rimossa, e lui era stato lasciato a dormire tranquillo.

Stessa situazione per Kaku, ma una giraffa era più semplice da gestire: era un ruminante molto mite, e poteva essere portato a spasso nel parco dell’Isola. Però era pur sempre Kaku, e vederlo che non riconosceva nessuno, non parlava, e non aveva cognizione di sé, era molto triste. Il fatto che fosse alto sei metri però rendeva impossibile tenerlo nella Torre come Lucci e Jabura, così la segretaria aveva chiamato i carpentieri dell’Isola dell’Ovest e aveva fatto costruire in tempi record un grande recinto poco fuori dalla Torre, con una tettoia per ripararsi.

Non erano stati veloci ed efficaci come i carpentieri di Water Seven, anzi, Lucci e Kaku avrebbero fatto un lavoro migliore in minor tempo, ma bisognava adattarsi: era una situazione d’emergenza. Divorava le chiome degli alberi del parco, però, e nel giro di poche settimane le avrebbe distrutte tutte.

«E adesso?» domandò Fukuro, chiudendo con una sedia sotto al pomello la porta che dava sull’ufficio di Lucci, anche lui sedato e liberato dei vestiti. 

«Adesso bisogna ordinare della carne. Dobbiamo dargli da mangiare noi, suppongo.» disse Califa, efficiente e precisa. «La signorina Yaeger sta già telefonando alla miglior macelleria di Catarina, e ho predisposto dei secchi d’acqua per Rob Lucci. Jabura ha un ruscello nella stanza, se la caverà da solo. Anche per Kaku useremo dei secchi.»

«Yoooooooyoooooooi!! Mi pare evidente che la responsabilità non sia del singolo, ma che ci sia una causa comune! Il crivello, se possiam dire, è capir se la situazione sia limitata all’arcipelago di Catarina o sia così per tuuuutti gli utilizzatori di uno zoo-zoo!»

«Chapapa, ma che fine ha fatto Blueno?» interrogò Fukuro, guardando Califa, facendo balenare attorno i suoi occhietti porcini. «Forse anche il suo Frutto ha avuto problemi.» ipotizzò.

«Di poooooooooorta in pooooooooorta pooooovero amiiiico! YOOOOOOYOOOOOIIIIIIIIIII» osservò Kumadori, teatralmente. Che Blueno fosse rimasto impigliato in un demoniaco loop di porte aperte e porte chiuse, senza riuscire a uscirne?

«Non lo vedo da stamattina.» disse Califa, aggiustandosi gli occhiali che continuavano a scivolarle sul naso per via del sapone. «Ho cercato di telefonare agli uffici centrali del Cipher, ma i centralini sono sovraccarichi e non risponde nessuno.»

I centralini furono sovraccarichi per tutto il pomeriggio, finché Califa non capì che la situazione non era normale, e se non riuscivano a mettersi in contatto con nessuno era perché tutti ci stavano provando, e quindi c’era un problema su scala almeno regionale. Se non mondiale. 

Quella notte risuonarono in tutta l’isola i lugubri ululati di Jabura. Gli agenti lo ascoltavano, nei loro letti, e rabbrividivano.

Erano abituati ad avere a che fare con i loro colleghi in forma animale, completa o parziale, ma avevano sempre qualcosa che li distingueva, che li rendeva ancora umani, nonostante tutto. Nonostante spesso fossero in servizio, e stessero uccidendo, strangolando, torturando. Se la trasformazione era totale, non riuscivano a parlare perché l’apparato fonatorio era diverso e non riuscivano ad articolare le parole, però avevano una loro luce negli occhi, capivano perfettamente, la mente era la loro, l’animo era umano, rispondevano a gesti e a occhiate. Indossavano anche i pantaloni, perché si vergognavano di andare in giro nudi.

Stavolta era diverso.

Non c’era traccia di superbia nel leopardo che era diventato Rob Lucci. C’era quell’eleganza dei felini, c’era diffidenza, ma non c’era nulla che ricordasse Rob Lucci. Ringhiava alle persone, aveva finito col riuscire a strapparsi i pantaloni di dosso, ma la cosa più misera era che non riconosceva più il piccolo Hattori. 

Jabura sembrava più a suo agio; era in un giardino, del resto, ma anche lui aveva perso quella scintilla umana che aveva sempre avuto. Anche lui si era sbarazzato degli abiti e andava in giro nudo, ululando alla luna e mangiando i miseri resti delle sue galline; Fukuro si era ricordato troppo tardi del pollaio, e quando avevano provato ad evacuare le galline, il lupo ne aveva già divorate quattro, riempiendo di piume il prato. Aveva gli occhi gialli e scintillanti, e un pelo ispido e folto che faceva venire voglia di toccarlo; ma guai: non faceva avvicinare nessuno.

Kaku, una volta nel suo recinto, era relativamente semplice da gestire. Essendo all’aperto, e sotto gli occhi di tutti, era imbarazzante vederlo urinare, e Califa quando aveva sentito per la prima volta lo scroscio era arrossita ed era affondata tra le proprie bolle. Una giraffa aveva un temperamento più pacifico dei carnivori, e attirava l’attenzione di tanti bambini.

Ma non potevano avvicinarsi e scivolare giù dal lungo collo come a San Popula: Kaku non rispondeva più, non riconosceva le persone, e così come i suoi colleghi non aveva più una coscienza umana. Osservava il parco, muoveva le grandi orecchie, e seguiva con lo sguardo le persone che passavano come una mucca al pascolo.

 

~

 

Alabasta, mare Orientale.

Shanks il Rosso scavalcò con eleganza la finestra, un movimento fluido come se fosse abituato a scavalcare davanzali per entrare in casa d’altri. Il fatto che quello fosse il sesto piano di una residenza reale non lo impensieriva più di tanto.

«Sempre ammesso che esista, qualcosa che possa impensierire la tua testa.» lo rimbeccò Benn Beckman, che saltava oltre il davanzale subito dopo di lui, atterrando pesantemente ma senza danni su un sontuoso pavimento di marmo freddo e scintillante.

«Andiamo Benn, se qualcuno ti sente… mi fai una pessima pubblicità!» rispose scanzonato il Rosso mettendo fuori la lingua.

Se il caldo fuori era torrido e soffocante, all’interno della sala la temperatura calava drasticamente, rendendo piacevoli le camicie di lino sgualcite e persino i mantelli e i copricapi che proteggevano dalla sabbia e dal sole. La stanza era ampia e pulita, con un letto a baldacchino perfettamente rifatto, le lenzuola leggere di seta, i mobili in legno massiccio irti di decorazioni scolpite e dipinte in oro. Un filo di fumo si levava in spire languide dall’incenso acceso su una consolle.

Benn Beckman stava per rispondere, quando qualcuno aprì la porta e la richiuse subito dopo di scatto.

Bibi Nefertari, entrata di corsa, alzò lo sguardo e vide i due uomini nella stanza. Si girò per tornare fuori, ma una mano bloccò la porta, impedendole la fuga. 

«Niente da fare, maestà.» tuonò Yasopp, scuotendo il capo.

«Regina Nefertari.» disse Shanks avvicinandosi e togliendosi con galanteria il largo cappello nero e piumato che indossava. «Perdonaci per l’irruzione, ma dobbiamo parlarti di qualcosa di piuttosto urgente.»

Shanks il Rosso, un Imperatore, uno dei pirati più potenti del mondo era lì nella sua camera da letto. Un angolo del cervello della Regina Nefertari pensò che fosse una situazione da romanzetto rosa che si divertiva a leggere di nascosto nella camera di Igaram, ma si diede immediatamente un contegno: il suo regno era sotto attacco, ed erano penetrati fino al cuore pulsante della dinastia Nefertari.

Bibi rise brevemente. «I pirati non prendono mai appuntamenti, giusto?»

«Né li rispetterebbero.» rispose di rimando il Rosso.

Ma il riso scomparve dal volto della regina. 

«Voglio sapere subito dove sono Pell e Chaka… le mie guardie personali.»

«Parla dei due all’ingresso della sala dei consigli.» si ricordò Benn Beckman.

«Valorosi combattenti. Ma non all’altezza del nostro cecchino.» rispose Shanks omaggiando Yasopp, che rispose con un inchino. «Non li abbiamo uccisi, sarebbe stato un pessimo biglietto da visita, no?»

«Non avete risposto alla mia domanda.» li stilettò Bibi.

«Sono vivi, tramortiti in uno stanzino del terzo… o secondo? Comunque, torneranno coscienti tra qualche ora. Non sgridarli, hanno combattuto bene. Ti sono fedeli.»

«E sono maledettamente resistenti… nemmeno una bomba avrebbe potuto fermarli.» commentò Benn.

«Una bomba forse no, ma i miei tranquillanti sì.» sghignazzò Yasopp, pensando alla fatica per distillare da una pianta un veleno che fosse sì potentissimo e che addormentasse le persone nel giro di pochi secondi, ma contemporaneamente che durasse molto, e che non le uccidesse.

«Regina Nefertari, non ho molto tempo e ti prego di credere a tutto quello che sto per dire.» esordì Shanks.

«Sono tutt’orecchi.» rispose Bibi sollevando altera il mento, finalmente senza l’apprensione di non conoscere la sorte dei suoi due guerrieri più fidati. 

La fama di Shanks lo precedeva, e le presentazioni erano superflue; in più, Bibi ricordava perfettamente i racconti di Rufy, di quanto fosse straordinario Shanks, di quanto lo avesse ispirato a partire per diventare un pirata, e della sua generosità, al punto che aveva sacrificato un braccio per salvargli la vita, si ricordò Bibi, nel guardare il mantello nero che celava la spalla sinistra dell’uomo. Un amico di Rufy, pensò la ragazza, era anche suo amico. L’aspetto dei tre uomini era minaccioso, ma l’atmosfera era rilassata, sebbene fosse palese che Shanks non potesse fermarsi a prendere un tè con tutta la calma del mondo.

«Bene… innanzitutto condoglianze per il recente lutto.» esordì il filibustiere.

Bibi incassò. Gentile da parte sua, ma avrebbe preferito non ricordarsi di suo padre Cobra in quel momento. «Grazie.» annuì chinando la testa.

Poi Shanks continuò: «Bibi Nefertari… conosci l’Arma Ancestrale Uranos?»

 

~

 

Due giorni dopo arrivò un dispaccio ufficiale dalla sede centrale del Governo Mondiale, con la tipica carta color ocra, la ceralacca, e tutti i sigilli. La segretaria la prese dalle mani del postino e corse a recapitarla a Califa.

«Li portano via.» informò Califa, affacciandosi alla sua vasca, letta la missiva. Si era messa un elegantissimo costume da bagno intero e aveva raccolto i capelli, sembrava una sirenetta in piscina. La segretaria aveva recuperato una vasca da esposizione da un negozio di articoli da bagno, e ora Califa era lì, decisamente più comoda che in una piccola bacinella di plastica, e poteva essere anche trasportata con facilità da Fukuro e da Kumadori, come una dama in portantina. Rimaneva nella vasca e si era fatta posizionare da Kumadori nell’ufficio centrale, per essere al centro delle comunicazioni, e la segretaria ormai si occupava in tutto e per tutto solo di lei. Per fortuna il clima era molto caldo in quei giorni, forse per una combinazione di correnti dalle due isole calde. 

«“POOOORTANO VIA”?» esclamò Kumadori, sbigottito, accorso per avere notizie.

L’angoscia degli agenti era palpabile. La seconda sera era scesa e il terzo mattino era arrivato, e quei giorni erano passati tra il conto da pagare per le riparazioni dell’Osteria di Gigi L’Unto e quelle della ditta che stava riparando il soffitto della mensa. 

E poi erano usciti, terribili come pugnali, i titoli dei giornali. “Il risveglio dei mostri”, “Terrore ad Alabasta”, “Mandria impazzita”: era stato un dramma su scala mondiale.

I Frutti del Diavolo erano impazziti, per tutti, in tutto il mondo: i Paramisha erano andati fuori dal controllo degli utilizzatori, con effetti vari; i titolari di un Frutto del Diavolo modello Zoo-zoo erano usciti di senno, si erano trasformati completamente, avevano perso la propria identità umana. Ma molto peggio era andata a chi aveva un Rogia: i reportage erano indescrivibili, devastazioni, isole distrutte, terre cancellate. Persino gli agenti, leggendo quelle notizie, erano ammutoliti e si erano guardati tra loro: cosa sarebbe capitato, adesso?

Alcune persone, una volta trasformate in animali, erano scappate e non erano ancora state ritrovate; altre, come Jabura, avevano attaccato chi gli stava vicino; altre ancora avevano ucciso; e c’era stato chi, semplicemente, si era sdraiato e aveva cominciato a dormire.

«Vorranno studiarli per capire il problema.» rispose Califa, atona.

Un brivido percorse la schiena degli agenti.

Non si fidavano del Governo. Avevano sperimentato la sua crudeltà già una volta, a Enies Lobby, quando non avevano esitato a dare l’ordine di ucciderli nel Buster Call, e poi anche dopo, quando le parole di Spandam li avevano inchiodati come responsabili, ed era cominciata un’odissea durata due anni, terminata solo grazie alle doti fortemente persuasive di Rob Lucci. 

Erano tornati sotto l’egida del Governo, ma quell’esperienza difficile li aveva resi molto più diffidenti, e ora che i loro colleghi erano incoscienti, erano più guardinghi che mai.

Durante quei due anni di vita randagia avevano stabilito un legame forte, di reciproco soccorso. Quando Rob Lucci si era svegliato dal coma, aveva trovato difficile accettare l’idea che qualcuno si fosse preso cura di lui, che l’avesse vegliato, accudito, e che gli avesse pagato la permanenza in un ospedale. E anche tutti gli altri si erano ritrovati ad aiutarsi a vicenda, a cambiarsi le fasce, a vivere nella stessa stanza, a prestarsi le coperte nelle notti troppo fredde.

Litigavano ancora per i Doriki, e Fukuro veniva ancora sgridato perché troppo ciarliero, ma si erano affezionati e avevano creato una parvenza di familiarità, anche se nessuno si sarebbe mai sognato di renderlo palese.

Tranne Kumadori, s’intende. 

Adesso che qualcuno voleva portare via i tre colleghi, tra cui il leader per di più, l’atmosfera della Torre si era ghiacciata all’improvviso nonostante il gran caldo.

Persino la segretaria della torre, la signorina Lilian Rea Yaeger, che lavorava con loro da quasi due anni, era preoccupata, e durante il giorno aveva chiesto in continuazione a Fukuro di aprire la porta della sua stanza per controllare che Jabura stesse bene. Fukuro aveva smesso di farlo, però, quando Kumadori gli aveva fatto notare che era troppo penoso, per la ragazza, vedere Jabura non riconoscerla più. I due si erano affezionati, nel corso delle missioni; quel famoso giorno Lilian avrebbe dovuto raggiungere Jabura da Gigi L’Unto, appena avrebbe finito di sbrigare alcune faccende.

C’era anche un altro problema, seppure secondario: dov’era Spandam? Non era più nella torre, di questo erano tutti sicuri. Ma allora dov’era scappato? Era solo tornato a casa propria per non essere coinvolto? Lucci diceva sempre di tenerlo sotto controllo.

«Chapapa, chi deve dare l’autorizzazione a portarli via?» chiese Fukuro. «Chi è il capo adesso?»

«Tolto Lucci, il comando passa a Kaku.» snocciolò Califa, a memoria. «Tolto anche Kaku, c’è Jabura.» Jabura si era occupato della leadership a San Popula, quando Lucci era in coma e Kaku troppo malridotto per mettersi alla testa del drappello. Inaspettatamente era stato un bravo lupo di branco, nonostante il carattere rissoso e provocatorio.

«E tolto Jabura ci sarebbe Blueno.» disse Califa ricordando l'ordine di Doriki. Ma Blueno era irreperibile.

«Chapapa…» mormorò Fukuro aprendo la zip della bocca. «Dopo Blueno c’è Kumadori, ma Kumadori non è bravo a fare il capo. Piagnucola e si dispera troppo facilmente.» cincischiò.

«YOOOOOOOOOYOOOOOOOOOOOI, FUKUROOOOO! COSA DICONO LE TUE PAROLE?! DISONORE E TRADIMENTO, PER QUESTO COMPAGNO CHE-

«Non mi stai smentendo.» sibilò l’agente più chiacchierone della storia del Cipher.

Califa si alzò in piedi nella vasca, lucida di sapone, con le bolle arcobaleno che rivolarono lungo le gambe bianche e lisce. «Penso sia assolutamente molesto.» disse. «Ma da questo momento assumo il comando della Torre. Ci sono obiezioni?»

Nessuno si sognò minimamente di fiatare. Califa, l’unica donna della formazione, nonostante la tendenza esagerata ad accusare tutti di molestie, anche se solo le si rivolgeva una domanda, era un’agente di comprovata esperienza ed era in grado di gestire situazioni complesse con freddezza e discernimento. Non per nulla era stata per cinque anni la segretaria dell’uomo più importante di Water Seven, ed era anche grazie alle sue doti di organizzazione se l’agenda dell’uomo filava come un ingranaggio ben oliato, e se il Dock Uno era diventato il più efficiente dell’isola.

«Chapapa, però questo dispaccio è strano.» mormorò Fukuro prendendo la busta che aveva contenuto la missiva. «Non ci sono i timbri del Comando Centrale del Cipher.»

La bionda agente si stupì e prese la busta, se la rigirò tra le dita. «È una comune busta da ufficio.»

«Mancano le filigrane ufficiali.» osservò Fukuro.

«CIÒÒÒÒÒÒ NONDIMEEENO, LA CARTA INTESTATA APPAR QUELLA DEL CIPHER POL!» vociò Kumadori.

«C'è qualcosa che non mi torna.» scosse la testa Califa.

«Non mi fiderei.» intervenne la signorina Yaeger.

«Yoyoi, sarà necessario agire con moooolta attenzioooone.»

Fukuro si chiuse la zip.

«Per ora non ci pensate.» ordinò Califa. «Qui abbiamo un ordine ufficiale del Governo: verranno a prendere i nostri compagni la prossima settimana. Cosa facciamo?»

Kumadori, Fukuro e Califa rimasero a fissarsi.

«Yoyoi, se fosse vero, e se il Governo volesse ghermirli per sottoporli a esperimenti, sarebbe qualcosa di qualcosa di nefasto, di funesto, di tragico.» mormorò Kumadori impugnando il suo bastone. «Che il gentile animo di mia madre li protegga.»

«Ma se li nascondiamo e ci scoprono, siamo nei guai.» ragionò Califa.

Gli agenti rimasero silenti per alcuni istanti. Poi Fukuro aprì leggermente la sua zip. «Chapapa, visto che è successo qualcosa ai Frutti del Diavolo, forse vogliono sfruttare gli agenti con i poteri come cavie.»

«Il Frutto di Blueno sarebbe perfetto per nasconderli.» alzò la testa Califa. «Ma non possiamo contarlo.»

«Yoooyoooi, non sarebbero potuti rimanere tutti e tre nella stessa dimensione allo stesso momento.» fece osservare Kumadori. «Le loro anime ferali e selvatiche avrebbero finito col divorarsi a vicenda.»

«Chapapa, nulla di diverso dal solito.» commentò Fukuro.

Hattori si alzò in volo, cogliendo tutti di sorpresa con il frullare d’ali. Volò attraverso la finestra, rapido e deciso, e si stagliò contro l’orizzonte, all’aria aperta, piccolo e leggero. Chissà cos’aveva in mente, nel suo piccolo cuore di piccione. Che avesse deciso di abbandonare la Torre, adesso che il suo padrone era diventato un animale a tutti gli effetti? 

Califa lo osservò stringendo le labbra. «Non è mai un buon segno, quando si allontana.» disse.

«Chapapa, sembra di sentir parlare Jabura.» osservò Fukuro.

«Che molestia!» lo rimbeccò la donna. «Comunque, abbiamo qualche giorno per prepararci e decidere cosa fare. Ci faremo trovare pronti.»

 

~

 

Bibi Nefertari fissava il vuoto con le mani sulla bocca, seduta e immobile in un muto sgomento.

Shanks, seduto di fronte a lei al grande tavolo da pranzo della Red Force, prese la parola: «Sì, è una storia abbastanza sconvolgente, me ne rendo conto.» sorrise comprensivo.

Davanti a sé, Bibi aveva un boccale di legno ormai vuoto. Lo sospinse in avanti con due dita, facendolo scivolare docilmente sul legno ruvido del tavolo.

«Hai ragione, serve altro alcol per digerire la notizia.» ammise Shanks versandole generosamente altra birra. Nel farlo si sporse in avanti: la camicia bianca e larga lasciò intravedere il petto ampio, abbronzato, un uomo di mare dalle mille avventure.

«Non ci credo.» mormorò atona la regina di Alabasta, assorbita dalle notizie che aveva ricevuto.

«E fai benissimo, visto che non possiamo fornirti uno straccio di prova, al momento.» intervenne Benn Beckman, cupo, in piedi dietro al suo capitano. «Ma è la verità.»

«È quello che direste se fosse tutto falso, no?» lo prese in contropiede Bibi, sorseggiando assorta la birra che le era stata servita.

La Red Force era a qualche miglio marittimo da Alabasta, a lanterne spente, in un tratto di mare poco frequentato e lontano da rotte commerciali. L’operazione di momentaneo rapimento di Bibi Nefertari aveva avuto pieno successo: del resto, lei si era mostrata fin da subito collaborativa, era una regnante piena di saggezza e di coraggio, nonostante la giovane età.

Faceva caldo, per essere sera; non così caldo come ad Alubarna, dove il calore del deserto affondava i denti nei mattoni delle case, ma comunque una temperatura insolitamente alta, lì al largo. 

La grande sala da pranzo era deserta, l’equipaggio del Rosso era stato mandato a veder le stelle in coperta: tutti conoscevano l’argomento della conversazione tra il capitano, il suo vice e la regina, però era meglio che stessero soli. Era un momento delicato.

Il grande stanzone era fiocamente illuminato da due lampade a olio posate sul tavolo e da una terza posata sul tavolinetto accanto a un grande divano a fiori che c’era in un angolo. Le fiammelle traballanti invitavano alla calma, la luce dorata riportava Bibi a vecchi festini, a cene insieme agli amici, a giorni felici passati per mare.

«Potremo fornirti le prove più avanti, però.» assicurò il Rosso. «Quando ci incontreremo con Drakul Mihawk e con Silvers Rayleigh.»

Bibi corrucciò gli occhi per qualche istante, cercando di mettere a fuoco i proprietari di quei nomi.

Un ex flottaro e uno dei fedelissimi di Gold Roger?

«Mi state chiedendo di abbandonare il mio regno… per quanto tempo? Non penso proprio che si parli di una o due settimane…» disse lucidamente la regina.

«No, infatti.» rispose il Rosso. «E purtroppo al momento non possiamo darti stime precise, ma…» 

«Non meno di sei mesi.» tuonò Benn Beckman, rivolto direttamente al suo capitano. «Ancora non abbiamo uno straccio di piano per arrivare a Marijoa, e Vegapunk sta ancora temporeggiando.»

Vegapunk, pensò Bibi. Un nome leggendario. In che piano la stavano per coinvolgere? 

Ma la regina non perse la bussola e ribatté: «Non potete chiedermi di lasciare la mia patria per mesi e mesi! Si rischia un colpo di Stato, delle rivolte… rischia di morire gente!!» si alterò. 

«Sì, sappiamo benissimo cosa comporti.» rispose serio il Rosso, senza sottovalutare la reazione della regnante. «Ma viste le circostanze, non possiamo permetterci di fare altrimenti.»

«Il mio Paese è il posto più sicuro!» protestò ancora Bibi. «Il deserto ci protegge dall’esterno, e ora che sono a conoscenza del rischio che corro, potrò preparare una difesa militare, posso…»

«Bibi Nefertari, conosciamo la tua dedizione al regno che amministri ma…» Shanks sorrise, quasi in imbarazzo per lei: «Siamo arrivati fin dentro alla tua camera da letto. Tre di noi. In pieno giorno. Con un equipaggio totale di dieci persone.» le fece notare.

Bibi arrossì e strinse le labbra.

Forse la potenza militare di Alabasta poteva contrastare un esercito invasore, ma un Imperatore pirata che decideva di penetrare negli appartamenti di una donna non era altrettanto facile da fermare.

Un imperatore, oppure un sicario.

E a poco era servito l’esercito a difesa del palazzo reale, Pell che era pronto a sacrificare di nuovo se stesso per salvare la sua regina: Shanks era arrivato comunque dove voleva, e aveva fatto ciò che si era prefissato. Aveva rapito la regina.

Un rapimento tutto sommato consensuale, ma Bibi Nefertari aveva dei trascorsi in pirateria che la rendevano un’interlocutrice estremamente facile da gestire, per dei lupi di mare come loro.

«Che succede se non accetto?» domandò lei.

Benn Beckman strinse le labbra, si appoggiò a una delle sedie con entrambe le mani. Shanks sembrò perdere la sua allegra leggerezza e sospirando rispose: «Non volevamo metterla in questi termini, ma… non esiste un “non accetto”. Esiste solo che tu lo faccia volontariamente, oppure no.»

«Mi state chiedendo…» scandì piano. «Di abbandonare il mio Paese senza sapere esattamente quando potrò tornare, di tagliare tutti i contatti che ho, e vivere con voi sotto scorta su questa nave.»

I bei vecchi tempi, insomma. 

Solo che all’epoca era una principessa sedicenne, e non c’era nessuno a volerla morta.

In realtà qualcuno sì, ma era una situazione completamente diversa.

Ora era una regina di ventidue anni, e qualcuno presto sarebbe venuto a portarla via per sacrificarla su un altare e provocare la distruzione del pianeta.

«Sì, ti stiamo chiedendo esattamente questo. In realtà» raccontò Beckman «avevamo pensato all’evenienza di farti sbarcare su un’isola sicura, però…»

«Però non esistono isole sicure. Il posto più sicuro è un posto che si muova di continuo.» completò Shanks battendo un piede sul pavimento della sua nave. «Le sentinelle di Im hanno occhi e orecchie ovunque. Prima o poi, su un’isola, ti troverebbero.»

Bibi Nefertari rifletteva sulle parole dei due uomini. Lontana dalla sua Alabasta, senza poter comunicare, senza nemmeno fare una valigia, e riprendere il mare.

«Accetto ma pongo delle condizioni.» affermò la ragazza dopo un profondo sospiro.

«Ce lo aspettavamo.» ammise Shanks sorridendo, pronto ad aprire la trattativa. 

Lui poteva anche essere uno dei Quattro Imperatori, però quella davanti a lui era Bibi Nefertari, ultima regina di Alabasta, protagonista sia della liberazione della sua terra da un usurpatore, sia dell’ultimo Reverie, durante il quale aveva attaccato battaglia contro i Draghi Celesti, le alte cariche del Cipher Pol e al tavolo delle trattative: Shanks e Benn sapevano bene chi avevano davanti, e non si sognavano nemmeno di sottovalutare quella ragazza.

«Ho bisogno di almeno due giorni ad Alabasta. Il Paese cadrebbe nel caos, se non ci fossero mie notizie all’improvviso per troppo tempo, devo organizzare bene questa partenza.»

«Una giornata.» disse Beckman. «Non possiamo fermarci troppo in questo posto. Ripartiremo con il buio. Non possiamo aspettare oltre.»

Bibi sospirò, poi diede un cenno di assenso. 

«Ho bisogno di mantenere dei contatti: ne ho bisogno io, ne ha bisogno Alabasta, ne hanno bisogno le persone che mi sono vicine.» affermò con forza, guardando Shanks dritto negli occhi. 

«Non possiamo far partire missive come se la nave fosse un ufficio postale, mi dispiace.» negò il capitano.

«Una lettera al mese.» pregò Bibi.

«Ogni sei.» contrattò Benn.

«Due.» tirò la corda la ragazza.

«Quattro.» ribatté l’uomo.

«Andata.»

Benn tese la mano e Bibi gliela strinse.

La mano dell’uomo era calda, la sua presa salda, ma tenne la mano di Bibi con una delicatezza inaspettata, per l’aspetto rude e i modi bruschi. La pelle di Bibi invece era fredda per la tensione, ma strinse anche lei la mano dell’uomo per comunicare tutta la sua leale volontà di rispettare gli accordi.

«Ehi…» si intromise Shanks da dietro con l'indice alzato. «Veramente l’accordo sarebbe tra la regina e il capitano.»

«Dovevi muoverti prima.» lo liquidò Benn, mentre usciva e si accendeva, finalmente, una santissima sigaretta.

 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Finalmente!!! Eccovi!! Grazie per aver letto il primo capitolo di questa storia! La sto scrivendo da tanto tempo e finalmente sono pronta a presentarla a voi lettori! Sono così contenta! Spero vi sia piaciuta, e che vi abbia incuriositi almeno un po'.
L'universo di cui si scrive è quello di One Piece così come lo conosciamo, salvo alcuni personaggi che sono già comparsi nelle mie precedenti storie. Comunque si tratta di personaggi secondari, che verranno sempre reintrodotti nei capitoli
Innanzitutto ringraziamenti particolari per Mlegasy e per Lady R Of Rage, il primo per avermi ascoltata, riascoltata, supportata e cucinato mentre scrivevo, la seconda per ascolti, pareri, consigli, conversazioni infinite e per un dettaglio importantissimo, da cui è scaturita tutta la storia, di cui però al momento devo tacere! E scusami per aver ammazzato Do Flamingo alle prime righe, sorryyyyyyyy!!! ;_;
La storia è già quasi interamente scritta, saranno 24 capitoli (salvo idee improvvise) e pubblicherò ogni mercoledì circa! Grazie mille per aver letto! Fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni! ♥

Un abbraccio e ancora grazie,

Yellow Canadair

 

 


 

  
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