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Autore: MadLucy    08/04/2022    0 recensioni
[Kiyo & Dufort | angst | post-canon | rimettendo insieme i pezzi dopo aver perso Zatch e Zeno]
«Lo psicologo» Dufort spezza il silenzio senza preavviso e senza intonazione, «mi ha detto che il distacco è un percorso, non un episodio.»
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dufort, Kiyo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non si sa come, non si sa precisamente quando, ma è diventato un appuntamento fisso, un rituale di qualche tipo. 

Dufort non saluta nemmeno. Agita la bottiglia che ha con sé. «Ho portato il vino.»

«Grazie.» Kiyo si scosta dall'ingresso. «Entra.» 

Forse è amicizia, forse è più simile a un gruppo di ascolto. La cena si consuma tra domande di cortesia. 

«Ti vedo in forma.»

«Mmh. Cosa fai ora?»

«Mi hanno affidato un corso all'università... Qualcosa per iniziare.»

«Bello.»

Il vino è francese e dolciastro, ma scende facilmente, rilascia un calore di incoraggiamento. Kiyo realizza.

«Aspetta un momento, stiamo parlando in giapponese.»

Dufort fa quell'espressione di allora –quella poco gentile– ma non dice più quello che allora diceva. «L'ho imparato, dall'ultima volta.»

Kiyo si chiede perché. «Ti ci è voluto poco. Sei in gamba.»

Dufort non sa cosa dire, e lo guarda come se fosse stato inopportuno confinarlo in quel vicolo cieco. «Anche tu.» La loro convivialità è ancora recente abbastanza da essere goffa.

Poi, finalmente, affiora la verità, l'unico motivo che li ha riuniti a quel tavolo –l'esigenza di parlarne, di accertarsi che non sia stato un sogno. Quella parentela virtuale. Quella zoppia. 

«L'odore di pesce crudo che c'era sempre per casa... mi manca persino quello.» Kiyo ridacchia di se stesso. «Come può mancare una cosa del genere?»

Dufort si guarda intorno, sonda l'ambiente, forse cerca fantasmi. «Vivevate qui?»

«No... Era la casa dei miei genitori.» Anche a sua madre manca. Non lo dice, perché rispetta il suo dolore, ma Kiyo glie lo legge nello sguardo lo stesso, ogni volta che si vedono –cos'hai mamma? No, niente. Cerca di vederla un po' meno spesso di prima. 

«Avrai storie da raccontare da vendere. Insomma, voi due avete girato il mondo insieme. Dev'essere stato divertente.»

«Sì» risponde Dufort, compassato, «ma non c'è nessuno a cui potrei raccontarle.»

Kiyo apre la bocca, la richiude.

«Lo ammiravo come non ammirerò mai qualcun altro.» Dufort scuote appena la testa. «Quel bambino non aveva paura di nulla. Poteva piegare la realtà al suo volere. Da piccolo, mi sentivo così –impotente.»

«Capisco.»

In un lampo, sembrano molto più vecchi della loro età, a rimpiangere qualcosa come fossero stati gli anni più belli che si possa pretendere di vivere in una vita. Sembrano sfiniti. Va sempre così. 

Sono orfani di qualcosa, che non è un amico nè un fratello nè un figlio, ma assomiglia disperatamente a tutto questo –e rivivono e rivivono tutto da ogni angolazione come vittime masochiste e ossessionate, ipnotizzate dalla scena del loro crimine. Lasciarlo alle spalle non sembra soltanto impossibile, ma un'occasione sprecata, un ultimo momento sotto una luce privilegiata. 

«Credi che arriveranno... altre lettere?» Kiyo non ha riletto così tante volte neanche la propria tesi di laurea. Quel giorno, come un cretino, si è aspettato qualcosa, un segno, un lampo di luce, un miracolo, qualcosa. 

Dufort riflette. «Se potessi dirgli una cosa che non gli ho detto, è che è stato lui ad aiutare me a crescere.»

Kiyo ride, e invece vorrebbe solo piangere abbracciato alle ginocchia di questo ragazzo mezzo sconosciuto, dell'unica persona che lo capisce in quell'esatto istante in cui lo guarda e scansiona il punto nevralgico della sua serenità apparente, risparmiandogli i giudizi, le parole, sì, dovremmo guarire, sì, e forse guariremo, ma domani, stasera no. Beve un sorso di vino.

«Lo psicologo» Dufort spezza il silenzio senza preavviso e senza intonazione, «mi ha detto che il distacco è un percorso, non un episodio.»

Kiyo dilata i polmoni, impone un ritmo all'aria che entra ed esce. «E cosa c'è in fondo?»

Il silenzio è orlato dai ronzii della casa quieta, a riposo, vuota. Dufort fa un gesto che forse è un tic verso il gomito dove ha ancora una cicatrice. «Mi sa che il vino andava in frigo.» La serata è finita. 

  
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