Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: AngelDeath    08/04/2022    0 recensioni
Seconda Guerra Mondiale, AU.
Lovino Vargas ha sempre voluto che qualcosa di eccitante interrompesse la sua noiosa e ordinaria vita da campagna italiana.
Non si sarebbe mai aspettato la guerra, la Resistenza, amore, passione, tradimento, o un guerrigliero spagnolo, così allegro, confusionario, irritante e maledettamente attraente.
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Antica Roma, Bad Friends Trio, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Storia originaria di George DeValier.

Capitolo 1 tradotto da George DeValier su EFP,  io l'ho solo riportato qui per avere tutti i capitoli della storia.

Primavera, 1939

"Lovino!"

Lovino non si girò al grido di Feliciano, che correva dietro a lui urlando il suo nome. Mantenne gli occhi sulla stradina serrata, i pugni contratti, i denti digrignati dall'irritazione. Il sole brillava vivacemente nel cielo e una tiepida brezza soffiava, portando il leggero e sottile profumo della primavera. Lovino lo notò a malapena. La sua mente stava ancora rimuginando sugli eventi di quella mattina al mercato. Ogni giorno, la stessa storia.

'Feli, tesoro, oggi ho tenuto veramente il meglio per te!' ... 'Oh, non mi avevi detto di avere un fratello così carino, Lovino!' ... 'Altri pomodori? Per te subito, Feliciano!' Lovino era abituato a sentirsi invisibile accanto al fratello. 

Ma a volte diventava semplicemente troppo. A volte, sperava che sarebbe successo qualcosa, qualcosa di importante, qualcosa in cui lui avrebbe potuto fare la differenza e non essere più l'ombra del suo sempre "carino", sempre "adorabile", sempre eccezionale fratellino.

"Lovino, aspettami! Lovi... ARGH!"

Lovino si voltò per trovare Feliciano con la faccia spalmata sulla strada. Gli si contrasse un poco lo stomaco mentre tornava indietro correndo e si accovacciava rapidamente accanto al fratello. "Feli, tutto a posto?"

Feliciano si mise lentamente in ginocchio, spazzolandosi i vestiti, e sorrise vivacemente. 

"Non dovresti camminare così veloce, Lovino, le mie gambe non sono lunghe come le tue e non riesco a seguirti, e poi tu non mi senti mai quando ti chiamo e poi accadono incidenti come questo, ma è tutto a posto perchè non credo di essermi fatto male, guarda, mi sono solo sbucciato un poco il ginocchio, pensi che debba vedere il dottore?"

Lovino alzò gli occhi al cielo e tese una mano a Feliciano per aiutarlo a rimettersi in piedi. 

"Non essere sciocco, starai bene." 

Perchè non era mai capace di arrabbiarsi troppo con suo fratello? 

"Mi dispiace se camminavo veloce." Una volta in piedi, Feliciano continuò ad aggrapparsi a Lovino, facendo oscillare le loro mani mentre proseguivano per la strada. Lovino scosse la testa, esasperato. Tutti, vedendolo, avrebbero pensato che il suo fratellino di quattordici anni fosse in realtà un bambino. Non c'era da stupirsi se i compaesani al mercato lo consideravano sempre così dannatamente "carino". Lovino era più vecchio di solo un anno e già si riteneva quello adulto, assennato e responsabile. Ma lasciò che Feliciano continuasse a stringergli la mano mentre percorrevano la strada e giravano nello stretto vicolo che portava alla loro piccola fattoria.

"Siamo a casa, nonno!" gridò allegramente Feliciano spalancando la porta principale.

"Bentornati, ragazzi!" Nonno Roma si alzò dalla sedia. Lovino si bloccò quando si accorse dell'uomo seduto di fronte a lui. Moro, vestito in modo trasandato, con una carnagione olivastra e grandi occhi brillanti, il giovane li sorprese con un sorriso allegro e luminoso.

Lovino lo guardò con prudenza.

"Chi diavolo sei tu?"

Roma gli lanciò uno sguardo truce. "Bada a come parli, ragazzo." Lovino incrociò le braccia e lanciò un'occhiata imbronciata al soffitto. 

"Questo è un mio amico. Antonio Fernandez Carriedo."

Feliciano lo guardò con aria confusa. "Antonio... Fernando..."

"Dovresti scriverlo." disse Lovino.

"Chiamatemi Antonio." l'uomo si alzò. 

Lovino fece un passo indietro.

Roma sorriso fieramente avvicinandosi ai nipoti. "Antonio, questo è Lovino, il maggiore, e questo è il piccolo Feliciano."

Antonio tese una mano a Feliciano, che la strinse cautamente. "È un piacere conoscerti, Feliciano!" Antonio parlava italiano con un accento insolito.

"Ciao! Parli in modo strano."

Antonio rise. "Mi dispiace per l'accento. Vengo dalla Spagna, non sono abituato a parlare italiano."

Feliciano lo fissò attonito. "Dalla Spagna? Wow! Combatti coi tori? Tutti gli spagnoli combattono coi tori. L'ho letto una volta in un libro e c'erano le immagini, ma era molto triste perchè venivano uccisi ed era orribile e ho finito per piangere un sacco perchè era terribilmente crudele e sbagliato e... e... ed era atroce..." Feliciano sbattè le ciglia gonfie di lacrime e tirò su col naso "Nonno, non credo che il tuo nuovo amico mi piaccia." Lovino gli tirò un calcio al piede.

Antonio scoppiò nuovamente in una risata fragorosa e allegra. Per qualche strana ragione Lovino sentì il cuore sobbalzare al suono. "Feliciano, non tutti gli spagnoli combattono con i tori. Te lo giuro, non ho mai toccato un toro in vita mia."

Feliciano si sciolse in un enorme sorriso di sollievo. "Oh, bene. Allora è tutto a posto, e mi dispiace molto aver detto che non mi piaci, sono sicuro che in realtà sei veramente una brava persona."

Antonio rise e Roma scrollò le spalle con fare comprensivo. Lovino picchiettò il piede per terra e alzò nuovamente gli occhi al soffitto. 

Eccoci di nuovo. 

Un altro stregato dal piccolo e dolce Feliciano. 

"Certo che sei proprio adorabile, eh?" disse Antonio. Feliciano inclinò il capo e fece sfoggio di un sorriso accecante. Lovino socchiuse gli occhi e distolse lo sguardo. Quando lanciò un'occhiata ad Antonio trovò una sua mano tesa verso di lui. Spalancò gli occhi, incapace di riflettere, e nascose le mani dietro la schiena. Antonio ritirò immediatamente la mano e sorrise semplicemente. "E piacere di conoscere anche te, Lovino."

Lovino tentò di obbligarsi a dire qualcosa. Qualsiasi cosa. 

Apri la bocca. Ora, maledizione. 

"Che diavolo sei venuto a fare qui?" Roma gli mollò uno scapellotto dietro la testa e lui sussultò.

"Non essere maleducato, Lovino. Antonio è qui per affari."

Lovino fissò il pavimento, bruciando d'imbarazzo. "Affari? Riguardo la fattoria?" 

Tentò di strofinarsi la nuca senza farsi notare.

"Qualcosa del genere. Ragazzi, andate a preparare la cena mentre noi finiamo di parlare. Non vogliamo annoiarvi!"

"Possiamo fare la pasta?" chiese Feliciano con entusiasmo.

"Mi sembra un'ottima idea!" disse Roma sorridendo con indulgenza. Feliciano saltellò allegramente nell'altra stanza, ma Lovino rimase fermo dov'era per un attimo, fissando con sguardo attento ora Roma ora Antonio. Non sapeva cosa riguardasse quell'incontro, ma era pronto a scommettere che non avesse niente a che fare con nessun 'affare'. Ed era anche pronto a scommettere che nonno Roma non gli avrebbe detto nulla a riguardo. Anche se Lovino si sentiva un adulto in confronto a Feliciano, lui non l'aveva mai trattato diversamente da come si tratta un bambino.

"C'è qualcosa che non va Lovino?" chiese Roma. Il suo tono era affabile, ma i suoi occhi gli lanciarono un chiaro avvertimento.

"No" mormorò Lovino "Vado ad aiutare Feliciano." Uscì dalla stanza senza guardarsi indietro. Nel momento in cui cui chiuse la porta della cucina, comunque, afferrò velocemente un bicchiere da vino, poggiò il bordo contro la porta e piazzò l'orecchio sullo stelo. Feliciano alzò lo sguardo dal fornello dove stava cominciando a far bollire l'acqua.

"Non penso che tu possa farlo, Lovino."

"Taci," disse Lovino prima di aggiungere velocemente "...e non dirlo al nonno."

Lovino non riuscì a sentire molto della conversazione, specialmente con Feliciano che sbatteva pentole e piatti dietro di lui. Ma qualche frase filtrò attraverso la porta; qualcosa riguardo un'alleanza italiana con la Germania, riguardo ad un'occupazione fascista in Cecoslovacchia, riguardo voci di una guerra, riguardo un posto chiamato Guernica*. 

Lovino era rapito. 

Aveva sentito delle voci al villaggio recentemente, ma niente di questo genere. 

Niente che suonasse così serio. 

Così importante. 

Lovino ascoltò il cadenzato accento spagnolo di Antonio con crescente interesse, fino al punto da non essere più sicuro se fosse ciò che Antonio stesse dicendo a incantarlo o il suo modo di parlare, intenso, solenne e alle stesso tempo in qualche modo ancora allegro. La voce di nonno Roma improvvisamente crebbe in volume e Lovino sentì perfettamente le sue parole attraverso la porta.

"Dimmi perchè non ti sei arruolato, Antonio. Non potresti fare nell'esercito con le tue capacità?"

"A volte i soldati fanno grandi cose. E io, fra tutti, rispetto il desiderio di fare il proprio dovere nei confronti della patria. Ma ho visto ciò che può fare l'esercito. Ho visto le conseguenze della cieca obbedienza agli ordini. I soldati uccidono persone innocenti, Roma. E io morirei prima di farlo."

Il battito di Lovino pulsò fra l'orecchio e il bicchiere. Si sentiva un po' senza fiato. Ogni parola di Antonio era stata intrisa di estrema passione. Non assomigliava a nulla che avesse mai sentito.

"Penso di potermi fidare di te, Spagnolo." Roma suonava soddisfatto.

"Lovino, pensi che dovrei aggiungere più-"

Lovino agitò freneticamente una mano verso Feliciano. "Ssh, zitto!"

"E io di te, Roma. Vi darò tutte le informazione che sarò in grado di acquisire. Speriamo, comunque, che questa incursione tedesca venga fermata prima che sia troppo tardi."

Lovino tentò di respirare attraverso la miriade di emozioni che lo soffocarono. Non sapeva esattamente di cosa esattamente suo nonno e Antonio stessero parlando, ma sembrava esattamente ciò per cui aveva sperato. Qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo, qualcosa che potesse finalmente cambiare quella vita ordinaria e noiosa in cui non succedeva mai nulla e in cui si sentiva invisibile e ignorato. Sentendo Roma e Antonio salutarsi, Lovino tolse il bicchiere dalla porta e, quasi senza pensare, socchiuse la porta per dare una sbirciata. 

Nonno Roma stava rovistando in mezzo ad una pila di fogli sul tavolo e gli dava le spalle. Antonio, invece, stava in piedi di fronte a Lovino e i loro occhi si incontrarono immediatamente. Lovino divenne di ghiaccio quando Antonio gli indirizzò un gran sorriso, uno scintillio nelle iridi chiare, prima di fargli l'occhiolino.

 Lovino spalancò gli occhi e sbattè la porta, appoggiandosi ad essa, il cuore che gli batteva forte nel torace. Aveva il fiato corto al punto che stava quasi ansimando.

Feliciano alzò lo sguardo dalla pentola bollente e sorrise. Sembrava apparentemente ignaro di ciò che era successo alle sue spalle. "Il nuovo amico del nonno è molto simpatico, non trovi?"

"No," disse Lovino, freneticamente, cercando di convincere sé stesso che il perchè del suo cuore impazzito e delle guance in fiamme fosse nelle entusiasmanti parole che aveva origliato e non in quel stordente abbagliante o in quell'occhiolino destabilizzante. "Non credo proprio. Oh, dai, Feliciano, hai cucinato troppa pasta di nuovo..." Lovino andò ad aiutare Feliciano con la cena, e cercò di dimenticare i brillanti occhi verdi di Antonio.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Lovino cominciò lentamente ad abituarsi alle visite di Antonio nelle settimane successive, ad ascoltare attraverso le porte in cerca di qualche indizio su cosa stesse succedendo, a quel piccolo sussulto, così fastidioso e frustrante, che gli stringeva il torace ogni volta che Antonio faceva loro visita, a quella crescente sensazione di eccitazione che provava ogni volta che sentiva Antonio e Roma parlare dell'aggravarsi delle cose e di voci riguardo l'imminente guerra. Ma allo stesso tempo, Lovino non riuscì ad abituarsi neanche un po' al perenne sorriso allegro di Antonio, a suoi scarmigliati capelli scuri e ai brillanti occhi verdi, alla sua risata pronta e al suo buon umore e al modo in cui scompigliava sempre i capelli di Feliciano e lo chiamava carino. Lovino si ripeteva che non gli importava. 

Quasi finiva per crederci. 

Ma poi Antonio gli sorrideva, o gli faceva correre gli occhi addosso passandogli affianco e Lovino si accigliava e distoglieva lo sguardo, sentendosi per tutto il tempo insicuro e confuso e arrabbiato perchè proprio non riusciva a capire la ragione per cui si provasse quelle sensazioni.

Ormai era diventato tutto abbastanza usuale e ordinario fino al mattino in cui, finalmente, tutto apparì chiaro ai suoi occhi. Lovino sedeva nel basso muretto del giardino, il sole brillante che batteva incessantemente, pensando alla conversazione che aveva appena origliato. Antonio aveva un modo di parlare che faceva suonare tutto importante, ma le sue parole mentre discuteva prima con nonno Roma erano suonate più gravi del solito.

"Sei ancora convinto della causa, Roma? Farò tutto il possibile per aiutarti. Ma sarai un partigiano, lotterai contro il governo della tua stessa nazione."

"Un governo che non si preoccupa della libertà del suo popolo. Si, sono convinto."

"E sai cosa rischierai?"

"So fin troppo bene cosa sto rischiando. Ma se esiste qualcosa per cui valga rischiare tanto, è questo."

Lovino se ne era andato prima che la conversazione volgesse al termine, sentendo il bisogno di prendere una boccata d'aria. Il piccolo giardino era pezzato della luce brillante del sole e delle ombre degli alti alberi che circondavano il muro, l'aria calda e soffocante prometteva una lunga estate, Lovino fece oscillare i piedi e guardò senza vedere le file di rosmarino davanti a lui. Quelle parole risuonavano ancora nella sua testa... 

"So fin troppo bene cosa sto rischiando." Nella sua mente vorticavano centinaia di pensieri. 

Sapeva che nonno Roma e Antonio stavano progettando qualcosa. Ma adesso si chiedeva cosa fosse esattamente, e che cosa significasse per loro. 

Cosa il nonno stesse rischiando... cosa stesse facendo... che significato aveva tutto quel parlare di guerra e Germania e invasioni? 

Improvvisamente quella familiare sensazione di eccitazione si tinse leggermente di paura.

Lovino si voltò quando Antonio aprì la porta sul retro e uscì in giardino. 

Il cuore gli balzò fastidiosamente in gola. Si ritrasse con cautela, ma Antonio non lo notò. Oltrepassò invece rapidamente le aiuole inondate di luce prima di appoggiarsi al muro vicino al cancello, dall'altra parte del cortile. Aveva uno sguardo leggermente ansioso, e decisamente esausto. Tirò fuori una sigaretta dalla tasca, l'accese, e ne stava inspirando il fumo quando Lovino saltò giù e gli si avvicinò. 

Antonio alzò bruscamente lo sguardo, poi sorrise. "Lovino."

Lovino lo fissò con diffidenza. Non sapeva mai come comportarsi in sua presenza. 

Era più destabilizzante di quanto avrebbe dovuto essere. Lovino incrociò le braccia. 

"Sai, vi ho sentiti parlavi col nonno."

Antonio assunse un'espressione di educata curiosità. "Oh?"

"Ci sarà una guerra, non è vero?"

L'espressione di Antonio divenne un po' incerta. Prese un tiro dalla sigaretta ed espirò il fumo lentamente. "Probabilmente."

Lovino annuì con aria pensierosa. "Giusto. Bene. Suppongo dovrò entrare nell'esercito quindi."

Antonio rise con dolcezza, fissando Lovino con quei suoi occhi luminosi. 

"L'esercito?" Inclinò la testa leggermente "Mi sono appena reso di non avertelo mai chiesto... quanti anni hai, Lovino?"

Lovino rifletté per un attimo sulla sua risposta. Per un attimo pensò di mentire. Poi capì che probabilmente non importava molto. "Quindici." biascicò con stizza.

Antonio inarcò le sopracciglia, prima di distogliere rapidamente lo sguardo. "Quindici," mormorò.

 Scosse la testa e trasse un alto lungo tiro dalla sigaretta. Fissò il cielo per qualche istante. 

"Non potrai arruolarti per un po', immagino. E quando sarai grande abbastanza, sai almeno per cosa combatterai?"

Che strana domanda... 

"Per l'Italia, ovviamente."

"Hmm." Antonio riflettà a lungo prima di parlare, forse per via della differenza fra le lingue. Lovinò si rifiutò di ammettere che lo affascinava. Perchè non era vero, dannazione. Antonio soffiò fuori un'altra boccata di fumo. "A volte, entrare nell'esercito non è la maniera migliore per servire la propria patria. A volte, per fare ciò che è giusto, devi alzarti e combattere per ciò che loro ritengono sbagliato."

Lovino deglutì pesantemente. Antonio aveva detto una così simile poco prima. Lotterai contro il governo della tua stessa nazione... "Non capisco cosa intendi dire."

"Capirai." Antonio scrollò la cenere sul terreno e la fissò. "La guerra non è eccitante, Lovino. Mi auguro sinceramente che tu non faccia l'errore di credere che lo sia prima di averla realmente provata sulla tua pelle."

Lovino ridusse gli occhi ad una fessura, studiando Antonio, ripensando a tutto ciò che aveva ascoltato nelle ultime settimane. Riguardo la guerra civile in Spagna e il fascismo e quel posto che continuava a nominare, quel posto chiamato Guernica... 

"Perchè sei qui? Veramente."

Antonio riflettè nuovamente. "Cerco di lottare per ciò che è giusto, penso."

"Pensi?"

"Lo spero. Sfortunatamente, non sono mai stato il migliore a separare giusto da sbagliato. Penso di essere stato sempre troppo coinvolto per riconoscere veramente la differenza. Ma questa volta... sì, questa volta sono sicuro di essere dalla parte giusta. Devo esserlo."

Lovino tentò invano di ignorare il nodo che gli aveva stretto lo stomaco. Quindi provò rabbiosamente a sopprimerlo. "Non ho chiesto la storia della tua vita, bastardo."

Antonio sembrò vagamente divertito. "No. Perdonami, Lovino." 

Inspirò profondamente un'altra boccata, gli occhi ancora fissi al terreno. Cadde un silenzio soffocante. Lovino non era sicuro se fosse il momento di andarsene. Per qualche ragione non stette a pensarci, o non volle farlo. Giocherellò nervosamente con le mani dietro alla schiena per un attimo. Antonio non riprese a parlare, quindi Lovino ruppe il silenzio.

"Mi dai una sigaretta?"

Antonio rise. "No."

"Fottiti, bastardo."

Antonio lasciò cadere la sigaretta e la schiacciò. 

Poi finalmente alzò lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli di Lovino, bruciandone le iridi. Lovino sentì l'irritazione morirgli sulle labbra. La bollente immobilità del giorno lo stava lentamente sopraffacendo. Non riusciva a muoversi, non riusciva a respirare, né tanto meno riusciva a distogliere lo sguardo da quei brillanti occhi verdi che lo scrutavano. 

Antonio fece un passo in avanti, si fermò, scosse la testa, e ridacchiò fra sé e sé. "Quindici" mormorò prima di voltarsi e uscire dal cancello sul retro. 

Lovino lo guardò, il cuore scalpitante, non sapendo se sentirsi sollevato o no.

—————————————————————

Solo un paio di giorni dopo Lovino stava incollato alla porta, origliando Antonio che informava Roma che sarebbe stato via per un paio di mesi. Lovino fu sorpreso, infastidito e infine infuriato per quanto arrabbiato e deluso la notizia lo fece sentire. Era stupido. Non gli sarebbe dovuto interessare, non gli interessava, perchè diavolo avrebbe dovuto interessargli...?

"Le cose si stanno muovendo velocemente, Roma. Più velocemente di quanto mi aspettassi. Ovviamente tornerò regolarmente, ma da ora è tutto nelle tue mani. Sarò solamente il tuo informatore."

Roma rise raucamente. "A volte suoni molto più vecchio della tua età. Non dimenticare che stai parlando col più giovane ufficiale italiano ad aver raggiunto il grado di Capitano. Sono capace di portare un gruppo alla vittoria."

La voce di Antonio nuovamente divenne allegra e spensierata . "Come ogni studente della Grande Guerra, sono ben consapevole dei suoi traguardi militari - Maggiore Roma Vargas, eroe della campagna dell'Isonzo. Per quale altro motivo pensi che io sia così desideroso di lavorare con te?"

"Va bene, basta adularmi, ragazzino." Ma Lovino potè sentire la soddisfazione nella voce di Roma. Il nonno amava sempre quando la gente parlava della sua celebrata carriera militare. "Fa' il tuo lavoro, e io farò il mio."

Il resto della conversazione sfociò in un mormorio, troppo basso per essere sentito e quando infine la stanza divenne silenziosa Lovino pressò l'orecchio più possibile contro la porta.

 Erano andati via? Il loro incontro era finito? Tentò di cogliere un rumore di passi ma non sentì nulla fin al momento in cui la porta si spalancò all'improvviso. Lovino gridò dalla sorpresa e perse l'equilibrio, cadendo dritto fra le solide braccia di Antonio.

"Ciao, Lovino!"

"Ma... cos... non mi toccare, bastardo!" Lovino sentì il volto ardere d'imbarazzo e si rimise freneticamente in piedi, spintonando Antonio e indietreggiando fino ad urtare il muro dietro di lui.

"Perchè mi sembra sempre di trovarti ad origliare?" Antonio gli indirizzò un sorrisetto divertito.

"È casa mia." disse Lovino, indignato. 

"E non stavo origliando, stavo..." Non aveva la più pallida idea di cosa dire. "Stavo... oh, vattene."

Antonio annuì. "Molto bene." Si diresse verso la porta, ma in quel momento, Lovino sentì la propria mano precipitarsi ad afferrare la camicia di Antonio. Era totalmente certo di non aver mai avuto intenzione di farlo. Antonio abbassò lo sguardo, sorpreso quasi quanto lo stesso Lovino. I suoi occhi schizzarono via nervosamente.

"Te ne stai andando."

Antonio sorrise di nuovo. "Non stavi origliando, eh?"

Lovino gli lanciò un'occhiata. "È l'unico modo che ho trovato per scoprire cosa fate. Altrimenti nessuno mi dice niente."

"Sì, Lovino, parto per un po'. Ma non ti preoccupare. Tornerò presto, verrò qui abbastanza di frequente."

"Non sono preoccupato!" sputò fuori Lovino, indignato.

"Certo che no." Antonio era troppo vicino. Lovino cercò di ignorare la contrazione dello stomaco, il modo in cui il suo respiro cominciò ad accelerare, perchè non gli importava, Antonio non lo faceva sentire così e oh Dio, il suo profumo era ipnotizzante, NO! "Bene," continuò Antonio "Penso che sia fino-"

"Non sprecare i tuoi addii con me, bastardo, vai a trovare il mio "carinissimo" fratello e saluta lui, invece." Lovino sussultò nel momento stesso in cui le parole gli uscirono di bocca. 

Merda, perchè l'aveva detto? 

Non era uscito così imbronciato com'era suonato alle sue orecchie, vero...?

Antonio rise semplicemente. "Oh, Lovi." 

Antonio si avvicinò di un passo e Lovino si schiacciò ancor più contro il muro dietro di lui. 

Poi Antonio si chinò e appoggiò lentamente una mano sul suo fianco. 

Lovino spalancò gli occhi. Il suo battito prese ad impazzire, i palmi delle mani cominciarono a sudare, e il retro del suo collo bruciò di un calore che presto si espanse all'intero corpo.

 Poi sentì il respiro bollente di Antonio contro l'orecchio. 

"Feliciano è carino, Lovi. Ma tu sei bello."

Lovino rimase stordito. 

Bello. 

Antonio l'aveva chiamato bello. Non carino, non adorabile, non dolce; qualcosa molto più di ognuno di questi appellativi. Antonio aveva detto a lui, a lui solo, sussurrando nel suo orecchio in modo che nessun altro potesse sentire, parole pronunciate soltanto per lui. 

Questo era troppo. Lovino poteva pensare ad un solo modo per affrontare la spiazzante e sconosciuta sensazione che gli scorreva sotto pelle. 

Lo picchiò dritto sulla mascella. "Non chiamare i ragazzi belli, pervertito!"

Lovino si voltò e scappò via dalla stanza furibondo, fingendo di non sentire Antonio ridere dietro di lui.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: AngelDeath