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Autore: Ghostclimber    08/04/2022    1 recensioni
Leo de la Iglesia vuole che tutto sia perfetto per il suo amatissimo amico Guang-Hong Ji.
Pianificare non è il suo forte.
LeoJi
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Guang-Hong Ji, Leo De La Iglesia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il temporale li colse di sorpresa, a circa un chilometro da casa De La Iglesia.

Leo mentalmente tirò giù tutti i santi dal paradiso mentre correva sotto la pioggia battente al fianco di Guang-Hong: aveva calcolato tutto al millimetro perché la vacanza del suo amatissimo amico fosse perfetta, e cos'è che aveva tralasciato? Si era dimenticato di controllare le previsioni meteo, come il deficiente che era.

Qualcosa lo colpì alla spalla e rimbalzò di fronte a lui: “Mierda!” esclamò. Anche la grandine.

Guang-Hong lo prese per una manica e lo trascinò sotto alla sporgenza di un balcone.

Lì rimasero, ansimando per la corsa, spiaccicati l'uno all'altro nel tentativo di ripararsi il più possibile, invano: la pioggia battente, insieme alla grandine, rimbalzava sul selciato, bagnandoli ancora di più. Dieci minuti dopo, tremante per il freddo e per il corpo di Guang-Hong schiacciato contro il suo, Leo si dichiarò convinto che, se gli avessero strizzato le ossa, ne avrebbero cavato almeno un litro d'acqua.

Le spalle di Guang-Hong cominciarono a sobbalzare, poi una risata eruppe dalle sue labbra.

Dio, quant'era carino.

Leo lo strinse a sé quando lo vide sobbalzare per un tuono improvviso, così forte che il rumore sembrò quello di un albero che si spacca, e Guang-Hong ricambiò la stretta, del tutto inconsapevole dell'effetto che gli stava facendo.

 

Finalmente, un millennio e mezzo più tardi, la pioggia cominciò a scemare, o per meglio dire cessò all'improvviso. Leo capì al volo di cosa si trattava: per quanto non fosse un vero e proprio uragano, ma un semplice temporale estivo, erano nell'occhio del ciclone.

“Guang, muoviamoci, dobbiamo arrivare a casa prima che ricominci!” disse; senza pensarci lo prese per mano e lo condusse, correndo più velocemente possibile.

Le prime gocce della seconda ondata cominciarono a cadere ad un isolato da casa; corsero ancora più veloce, e insieme si schiantarono contro la porta.

Leo si cercò le chiavi in tasca, le mani tremanti per la fatica e il freddo, quando la porta si spalancò: “Mijo! Dentro, dentro!” chiamò la madre di Leo, tirando entrambi per le magliette fradicie.

I ragazzi si fermarono nell'ingresso, gocciolanti e intirizziti come due gattini abbandonati, e mentre la madre di Leo correva a cercare degli asciugamani Guang-Hong cominciò a ridacchiare.

“Leo, dovresti vederti!” disse. Leo si voltò verso di lui e per poco non si sciolse alla vista del consueto rossore sulle guance dell'amico e del suo sorriso allegro.

“Eh.” riuscì a rispondere, campione indiscusso di eloquenza.

“Cosa ci fate ancora vestiti?!” tuonò sua madre, di ritorno con due asciugamani abbastanza larghi da poter essere usati per allestire un tendone da circo, “Vi prenderà un malanno!”

Ecco, si disse Leo, questa era una cosa che non aveva minimamente preventivato.

Guang-Hong si tolse la maglietta zuppa, rivelando un petto magro ma ben delineato; Leo si voltò verso il muro dalla parte opposta: non era e non sarebbe mai stato pronto per assistere allo spettacolo di Guang-Hong che si abbassava i pantaloni.

Non davanti alla mamma, quantomeno.

Si tolse la maglietta e litigò con i jeans, che quel mattino gli erano sembrati una scelta vincente: aderenti ma non troppo, quel tanto che bastava per sottolineargli cosce e glutei, che il pattinaggio aveva reso davvero degni di nota.

“Leo, vuoi un piede di porco?” chiese la voce di suo fratello maggiore dal salotto.

“Callate!” rispose Leo, “Si sono ristretti...” gemette, poi optò per un po' di forza bruta e se li calò con violenza. Tre secondi netti più tardi, era pronto a proporre l'asciugamano che sua madre gli aveva gettato addosso come nuovo presidente degli Stati Uniti: insieme ai jeans erano scese anche le mutande, e addio alla speranza di sembrare fico agli occhi di Guang-Hong.

“Avanti, di corsa a fare una bella doccia calda!” ordinò la madre di Leo, mentre suo fratello ululava risate dal salotto, “Leo, usa il bagno di sotto. Guang, caro, quello al piano di sopra è tutto tuo.”

“Grazie mille, señora.” disse educatamente Guang-Hong, sfoderando uno dei suoi sorrisi a settemila watt. Leo si lanciò in bagno a nascondere la propria espressione, che probabilmente rasentava gli occhi a cuoricino e comprendeva un rivoletto di bava alla bocca.

Doveva darsi una regolata, si disse mentre l'acqua della doccia lo riscaldava, Guang-Hong sarebbe rimasto a casa sua per un'altra settimana e Leo sapeva che a casa c'era una fidanzata, della quale non si era preoccupato di imparare il nome.

Probabilmente, se Guang si fosse accorto dei suoi sentimenti, non gli avrebbe più rivolto la parola. Mesto, l'emozione della mattinata passata a fare un giro di assaggi alla fiera di mezza estate ormai dimenticata, Leo si lavò alla meglio, prestando più che altro attenzione ai capelli, che erano sempre stati spessi e piuttosto secchi. Si applicò il balsamo e si pettinò per spanderlo bene, poi tamponò le punte e infine risciacquò accuratamente: era una routine confortante che non smetteva mai di farlo rilassare almeno un pochino.

Finalmente più tranquillo, raggiunse la propria camera da letto; Guang-Hong era di certo già vestito, e se a Leo fosse andata bene magari avrebbe addirittura trovato la stanza vuota e avrebbe potuto raggiungerlo con calma di nuovo al piano di sotto.

Era così bello, pensò mentre a piedi nudi saliva le scale, vedere il suo amico così a suo agio con i suoi genitori; bastava poco per immaginarselo far parte della famiglia in un ruolo ben più netto di quello che attualmente occupava, e... oh.

Leo si immobilizzò sulla soglia. Guang-Hong era ancora lì, seduto sul letto in mutande, dannazione, e parlava al cellulare, un fiume di parole in cinese che Leo non si diede la pena di cercare di capire. Già aveva difficoltà con i convenevoli, figuriamoci con una conversazione intera.

Si diresse verso l'armadio e aprì il cassetto della biancheria intima, sperando di trovarci dentro anche il cervello, ma niente da fare. Prese un paio di mutande a caso e se le mise, riuscendo in qualche modo a non far cadere l'asciugamano e a non ritrovarsi con le chiappe al vento per la seconda volta in meno di un'ora.

Improvvisamente, il flusso di parole di Guang si interruppe, per far spazio ad un'esclamazione dal tono inconfondibile: doveva aver ricevuto una bella notizia che l'aveva sorpreso.

Mentre cercava una maglietta presentabile, Leo riuscì a farsi una serie di pippe mentali che gli sarebbero valse una medaglia, se solo fosse stato uno sport olimpico. Chissà perché, rimase sintonizzato sull'idea che la fidanzata di Guang-Hong fosse incinta. Lo sentì salutare e riagganciare, poi udì un richiamo sommesso: “Leeeooo...!”

“G?” rispose, voltandosi a guardarlo. Guang era seduto sul bordo del suo letto (il suo letto, cacchio, non avrebbe mai più lavato le lenzuola), piegato in avanti, la testa quasi tra le ginocchia, e si teneva il viso tra le mani, “Va tutto bene?”

“Mi hanno preso!” esclamò Guang, togliendosi le mani dalla faccia per guardare Leo. Dannazione se era carino. E sembrava al settimo cielo.

“Fantastico!” rispose Leo, “Dove?” il sorriso vacillò sul viso di Guang, che si alzò. Sembrava fare una gran fatica per lo stress, ma Leo non sapeva come avrebbe potuto aiutarlo.

All'improvviso, le mani di Guang lo presero per le spalle: “Ok, doveva essere una sorpresa. Ma io non ce la faccio a non dirti le cose, non ce la faccio!” uh, il sapore dolceamaro dei sentimenti non ricambiati. Era bello sapere che Guang si fidava tanto di lui, ma al tempo stesso quella dichiarazione rendeva esplicito che non ci fosse nulla di più dell'amicizia. Altrimenti, Guang se lo sarebbe lasciato scappare.

“Ok, allora dimmi!” ribatté, mettendogli a sua volta le mani sulle spalle.

“Ho fatto domanda per studiare alla Seattle University. Mi hanno accettato!”

“WOW, COSA, DAVVERO?!” esplose Leo.

“Sihi!” la voce di Guang si spezzò appena, mentre i suoi occhi rilucevano di commozione. Leo lo trasse a sé, poi lo sollevò ridendo e urlò: “CAZZO, NON SONO MAI STATO COSÌ FELICE!”

“Anch'io!” rispose Guang, poi si strinse a Leo come un koala e si lasciò lanciare sul letto.

Leo si sporse sopra di lui e disse: “Vicino al mio campus c'è una creperia. Ti ci porto il primo giorno, promesso. E anche quello dopo, e quello dopo ancora.”

“Ah, cielo, qui continua a migliorare!” rispose Guang, roteando gli occhi per la felicità. Forse per il tono di piacere della sua frase, Leo si accorse di essere mezzo sdraiato tra le gambe di Guang e non riuscì a trovare nessun'altra frase coerente.

Si cercò nel cervello alla ricerca di qualcosa che non lo facesse sembrare un idiota completo e se ne uscì chiedendo: “Ma la tua fidanzata è d'accordo?”

“Chi?” ribatté Guang, perplesso. Leo approfittò per sdraiarsi di fianco a lui e diminuire così la forza di attrazione gravitazionale che Guang esercitava su di lui.

“Mi hai detto un po' di tempo fa che hai una fidanzata, a casa.”

“Ah, lei.” la voce di Guang sgocciolava fastidio, “Beh, è durata qualcosa come tre giorni, e non era esattamente la mia fidanzata. I miei hanno cercato di piazzarmi con un'amica di famiglia, ma non è andata per niente bene.”

“Ah, mi spiace.” riuscì a mentire Leo, “Come mai, se posso?”

“Non le ho risposto per venti minuti perché ero su Skype con te.” rispose Guang. Leo sentì aleggiare del non detto, ma non insistette. Guang era chiaramente infastidito dall'argomento, e Leo non voleva metterlo a disagio. Tanto, prima o poi glielo avrebbe rivelato.

“Ehi, di'...” cominciò Guang, cambiando argomento, “I campus sono divisi per anno?”

“No, ti piazzano un po' dove c'è posto. Ad esempio, il mio compagno di stanza dell'anno scorso si è appena laureato. E per fortuna, era insopportabile. Luci spente alle nove di sera.”

“Oh! E... dici che è fattibile chiedere di essere messi in stanza con una persona in particolare?” chiese Guang. Il rossore era tornato a tingere le sue guance, mettendo in risalto le sue adorabili lentiggini. Era uno spettacolo così meraviglioso che Leo ci mise un istante a connettere.

“Tecnicamente no.” rispose, e il sorriso si spense sul viso di Guang. Leo si affrettò ad aggiungere: “In pratica, però, il tizio che gestisce il campus dove sto io adora il pattinaggio. Per cui, se un certo Guang-Hong Ji volesse condividere la stanza con un certo Leo de la Iglesia, secondo me un modo per far allineare i pianeti c'è.” il sorriso di Guang fu un'esplosione di stelle.

“Oh, sì, sarebbe bellissimo!” esclamò.

“Facciamo che lo chiamo subito.” disse Leo, alzandosi dal letto. Sapeva che Roger avrebbe risposto anche nel cuore della notte, era un suo fan. “Vestiti, però, se ti prendi il raffreddore mia mamma mi scotenna perché ti ho portato fuori in mezzo a un tornado.” Guang annuì, deciso.

 

Leo cercò il numero di Roger nella rubrica mentre guardava Guang pescare dalla valigia una maglietta con le Tartarughe Ninja. Il ragazzo rispose al secondo squillo, trafelato: “Ehi, Leo! Che bello sentirti, come va?”

“Tutto alla grande, Roger, e tu?”

“Bene, bene! Posso fare qualcosa per te?”

“Forse sì... sai se le stanze sono già state assegnate?”

“Ancora no, abbiamo la riunione settimana prossima, stiamo aspettando le ultime risposte dagli studenti stranieri.”

“A proposito di studenti stranieri, sarebbe possibile mettermi in stanza con un certo Guang-Hong Ji?” chiese Leo. Guang, sentendosi nominare, si voltò e gli rivolse un sorriso così colmo di speranza che Leo si sentì pronto a vivere in una tenda da campeggio per tutto l'anno seguente, se fosse stata l'unica possibilità di stare in stanza con lui.

“QUEL GUANG-HONG JI?!” sbottò Roger al telefono, così forte che Leo dovette allontanarsi il cellulare dall'orecchio.

“Cinese, adorabile, pattinatore di primissima qualità, un sacco di lentiggini e una pericolosa dipendenza da crepes dolci?”

“LUI!”

“Sì, parliamo di quel Guang-Hong Ji.” Leo cercò di mantenere la calma, ma non era facile con Guang che arrossiva e ridacchiava.

“Ok, Leo, intendiamoci.” disse Roger. Gli tremava la voce.

“Dimmi.”

“Tu sei bravissimo. Io ti ammiro un sacco. Ma Guang-Hong Ji è...” Roger fece una pausa, in cerca delle parole adatte, “Così sublime, elegante, aggraziato...”

“Sì, guarda che l'ho visto pattinare anch'io una volta o due, sai.” tagliò corto Leo. Si ripromise di strozzare Roger non appena sicuro dell'assegnazione delle stanze: “Allora, si può fare o no?”

“Si può fare e si farà. Ma a una condizione.”

“Spara.” disse Leo. Sperò che Roger non gli chiedesse di combinargli un appuntamento con Guang, tuttavia, anche se non aveva ben chiaro l'orientamento sessuale del responsabile di dormitorio.

“Roger? Sei ancora lì?” chiese. Lo sentiva respirare a malapena.

“Mi fate un autografo?” sbottò infine. Leo sospirò di sollievo e si scostò il telefono dalla bocca, ma non ebbe bisogno di parlare: Guang aveva sentito benissimo, e stava annuendo con forza.

“Anche due.” rispose a Roger, le labbra dischiuse in un sorriso. Dal telefono venne un suono che ricordava parecchio il verso di un pipistrello, poi un rumore di dita su una tastiera.

“Stanza assegnata a Leo de la Iglesia e Guang-Hong Ji. 317, terzo piano, stesso edificio dell'anno scorso. Bagno comune, due letti e due scrivanie, un solo armadio ma è ampio.”

“Seriamente? Roger, sei il mio eroe!”

“Già fatto?!” chiese Guang, attonito.

“Aspetta, oh mio Dio, è lì con te?!” chiese Roger. Guang si avvicinò a Leo, inciampò appena nel tappeto e per non cadere piegò le ginocchia. Si sedette come se niente fosse in grembo a Leo e parlò nel telefono: “Grazie mille, Roger!” disse.

Leo non seppe mai se Roger era svenuto, o se aveva risposto qualcosa: Guang era troppo vicino.

Lo baciò, e Guang rispose entusiasta al bacio, stringendolo a sé mentre il cellulare di Leo scivolava sul letto, dimenticato, mentre lui ricambiava la stretta.

Si staccarono l'uno dall'altro con una risatina imbarazzata, poi la madre di Leo li chiamò entrambi per la cena.

 

Era come se non fosse mai successo, si disse Leo un paio di mesi dopo mentre scaraventava la valigia ai piedi del letto a castello. Lui e Guang non si erano più baciati e non ne avevano nemmeno più parlato.

Ma almeno, si ripeté per la cinquantanovesima volta solo quel giorno, almeno non si era creato nessun tipo di atmosfera strana: avevano semplicemente continuato ad essere amici come lo erano stati dal primo momento in cui si erano incontrati.

E ora, di lì a poco Guang sarebbe arrivato al campus, e per i prossimi mesi sarebbero stati quasi sempre insieme, tranne che alle lezioni.

Leo era abbastanza certo che non sarebbe vissuto per raccontarlo.

Guang spalancò la porta e si annunciò dicendo: “MI SERVE UNA DOCCIA.”

“Anche a me,” rispose Leo, “Questo vuol dire che ti posso abbracciaaareee!”

“No! No, non pensarci nemmeno, puzzo!” Leo si bloccò, preda di un improvviso ripensamento. In effetti, piazzare un'ascella sudaticcia sotto il naso di Guang non era una grande idea.

“Ok, doccia.” decretò, prendendo la borsa impermeabile che aveva già preparato, avendo avuto l'idea di andare a farsi la doccia prima dell'arrivo di Guang. Con la mano libera ghermì l'amico per il polso e se lo tirò dietro.

“Aspetta, Leo, non ho il docciaschiuma!”

“Userai il mio, voglio abbracciarti il prima possibile!” rispose lui, forse esponendosi troppo ma al diavolo, prima o poi sarebbe comunque dovuto saltar fuori.

Le docce erano in fondo al corridoio, e Leo ci si fiondò dentro, fingendo di ignorare il fatto che stava per spogliarsi completamente in una doccia comune insieme al ragazzo che gli piaceva. Dannazione, doveva davvero lavorare sulla questione del pianificare le cose.

Mentre l'acqua calda scorreva sulla sua pelle, Leo si chiese se fosse il caso di lavarsi i capelli per rilassarsi un po'; tuttavia, li aveva appena lavati, e rifarlo l'avrebbe condannato a doverli tagliare. Sapeva per esperienza che lavarsi i capelli troppo spesso gli faceva venire le doppie punte.

“Leo?” chiamò Guang. Leo si arrischiò a voltare la testa verso di lui, avendo cura di guardare solo dal collo in su, e rispose: “Mh-h?”

“Hai per caso considerato che non ho nemmeno l'asciugamano?” chiese Guang. Sì, decisamente Leo doveva lavorare sulla questione del pianificare le cose.

“Ci dividiamo il mio?” chiese, sentendosi la bocca piegata in una smorfia imbarazzata, “Giuro che è pulito, sono arrivato venti minuti fa.”

“Ti dovrai far perdonare con una di quelle crepes.” rispose Guang, poi chiuse il rubinetto. Leo lo imitò e andò a prendere l'asciugamano, poi si voltò di nuovo verso Guang e gliene porse un angolo.

Si asciugarono in un silenzio imbarazzato, poi Leo sbottò: “Eh, ma allora sono proprio deficiente!”

“Perché?” chiese Guang.

“Non abbiamo preso i vestiti di ricambio!”

“Sei tu che hai praticamente lanciato tutti e due nella doccia, Leo!”

“Eh, infatti ho dato a me del deficiente, non a tutti e due.” Guang ridacchiò: “Vorrà dire che ci copriamo con l'asciugamano e facciamo una corsa fino alla nostra stanza. Non c'è ancora praticamente nessuno.”

“Insieme?!” chiese Leo.

“Non vedo altra soluzione.”

“Ma siamo nudi!”

“Ti fa schifo?” chiese Guang a bruciapelo.

“No, è che potresti accorgerti di quanto NON mi fa schif...” Leo si interruppe, stupito dai picchi di deficienza che evidentemente stava raggiungendo.

“Ne parliamo in camera?” rispose Guang, prendendo l'asciugamano e usandolo per coprire entrambi. Il suo tono era dolce, le sue guance rosse.

Leo, vagamente sconvolto e col cervello parecchio allo sbando, si lasciò guidare da Guang, i vestiti sporchi di entrambi in una mano, la busta con i prodotti per il bagno nell'altra.

Dei rumori dalle scale indicarono che qualcuno era in arrivo. Guang sibilò, in un bisbiglio concitato: “Corri, Leo, prima che ci vedano!” e insieme, più impacciati di due dodicenni ad una corsa a tre gambe, si lanciarono in stanza. Guang si fermò a chiudere la porta con un colpo del piede; Leo, che non se n'era accorto, non rallentò: fu così che si ritrovarono in una confusione di arti su uno dei due letti.

Ecco, si disse Leo, il bello del terzo piano è che se ti va in tiro mentre sei nudo col tuo migliore amico spalmato addosso puoi lanciarti dalla finestra e avere la relativa certezza che non dovrai sottoporti al mortificante obbligo di spiegare come mai hai avuto un'erezione.

Ma Guang non si lamentò, non si ritrasse. Anzi, il suo ginocchio si fece strada tra le cosce di Leo, che cercò di ricordarsi come si fa a respirare.

Poi, la suoneria di Guang suonò, a un millimetro dall'orecchio di Leo.

“Mapporc...!”

“Miseria, sono i miei. Leo? Zitto, non una parola. Dopo ti spiego.” Leo annuì, perplesso, e Guang rispose al telefono. Mentre parlava fitto in cinese con i suoi, Leo non emise un fiato; probabilmente, il fatto che Guang non si fosse mosso di un millimetro da dov'era era di notevole aiuto.

“Ok, fatto, grazie, scusa.” disse Guang, buttando di nuovo il telefono sul letto.

“Credono che tu sia in una stanza singola?” chiese Leo. Guang sospirò e si alzò, cosa che Leo accolse un po' come un sollievo e un po' come un lutto.

“Credono che io sia in stanza con un tizio a caso. Non con te. Non...” Guang deglutì e distolse lo sguardo, “Non l'avrebbero mai permesso.”

“Perché?” chiese Leo, perplesso. Le guance di Guang raggiunsero una tonalità di rosso che Leo aveva visto soltanto nei film di Tarantino, quando la gente esplode dopo un colpo di proiettile.

“Hai presente Mei?”

“Direi di no?”

“Ma sì, la ragazza con cui hanno cercato di piazzarmi!” Guang sembrava un po' scocciato.

“Ah, ok. Non mi ricordavo il nome.” Guang annuì: “Quando i miei le hanno chiesto come mai aveva fatto un passo indietro, lei ha detto che non era disposta a stare con qualcuno che la ignorava per stare su Skype con un altro.”

“Ma se hai detto che erano solo venti minuti! Potevi anche essere in bagno, per quanto ne sapeva lei!” Leo protestò. Guang alzò lo sguardo su di lui e ripeté: “Con un altro. Capisci le implicazioni?”

“Oh! Oh... oh cazzo, sei nei guai con i tuoi per colpa mia?”

“Probabilmente non lo sarei, se non avessi deciso di saltare fuori a dire che tu sei più importante di qualunque altra cosa.” bisbigliò Guang, fissandosi le mani, strette a pugno sulle ginocchia.

“Io... io non so cosa dire, G.” balbettò Leo.

“Dimmi solo che non faccio schifo anche a te.” bisbigliò Guang.

“Non pensarlo mai.” disse Leo.

“È che...” Guang prese una serie di respiri tremolanti, poi sbottò, le lacrime agli occhi: “Che quest'estate ci siamo baciati, poi non ne abbiamo più parlato, io pensavo... pensavo... non lo so cosa pensavo, ok? Tu...”

“Io ti amo, Guang-Hong.” disse d'impulso Leo. Guang sollevò la testa e lo fissò, attonito, e Leo deglutì. Bene, ormai il sasso era lanciato. Pur non sapendo se Guang avesse solo una cottarella, se stesse sperimentando il proprio orientamento sessuale o se fosse lo stesso anche per lui, Leo decise di essere del tutto sincero: “Ti amo, e a questo punto non m'importa di nient'altro. Sei costantemente nei miei pensieri, ormai senza di te non potrei funzionare in maniera decente, e ammettilo, già così non sono del tutto funzionale!” tentò una battuta, e il microscopico soffio di risata che sfuggì alle labbra di Guang fu la meritata, meravigliosa ricompensa.

“Se...” tentò Guang, poi scosse la testa e ricominciò: “Anche io ti amo, Leo.” dichiarò, poi emise un lungo fiato tremante. “Cielo, l'ho detto ad alta voce.”

“Guang. Vuoi essere il mio ragazzo? Possiamo provarci?”

“Ti... ti va bene anche se ti chiedo di non farlo sapere in giro?”

“Dici alla stampa o anche agli amici?” chiese Leo.

“Phichit probabilmente si è appena svegliato perché ha sentito un disturbo nella Forza, lo sai, sì?” chiese Guang. Leo ridacchiò. “Non dico con gli amici, è ovvio che Phichit lo dovrà sapere, se lo scopre tra un mese o tra un anno ci taglia la gola con i pattini.”

“Niente post sui social.” decretò Leo, “Tranne i soliti in cui facciamo cose normali. Smentite con la stampa se ficcano il naso. Se vuoi rischiare e non hai già detto altro, il tuo compagno di stanza è arrivato e sono io. Se sono preoccupati, ti autorizzo a cacciare la palla che ho una fidanzata, ci metto poco a contattare un paio di persone e mettere su una storia di copertura.” Guang si gettò tra le braccia di Leo, che ce la mise tutta per non farsi venire un colpo.

“Ehi...” disse, quando gli sembrò di aver recuperato un minimo di facoltà intellettive, “Lo so come funziona questo genere di cose.” Guang sgranò gli occhi: “I tuoi...?”

“Nah, loro sono a posto, papà non è felicissimo ma ha detto che l'importante è che io stia bene. E io sto bene, quando sono con te.”

“Anch'io sto bene con te.” rispose Guang, appoggiando la testa contro la spalla di Leo, che aggiunse: “A parte il freddo.”

“Dovremmo vestirci.” concordò Guang, “Ma non ho voglia.”

“E se dico che ti porto a mangiare una crepe?”

“Alzati immediatamente.” rispose Guang, saltando in piedi. Leo, spinto all'indietro, lo guardò e rise, felice. Guang sembrò rendersi conto della propria nudità e cercò di coprirsi con l'asciugamano in cui si erano avvolti poco prima, ma Leo si alzò e gli prese le mani.

L'asciugamano cadde a terra, dimenticato, mentre i due si scambiavano il primo bacio consapevole, il primo di innumerevoli.

 

Phichit: G SENTO UN DISTURBO NELLA FORZA

Guang-Hong: Giura sui tuoi criceti che non ne farai parola con anima viva.

Phichit: Ragni, serpenti, scorpioni e zanzare, se faccio la spia ch'io possa crepare.

Guang-Hong: LeoJi è canon.

 

Leo guardò Guang ritirare il cellulare, sogghignando al keyboard smash che era stata la risposta di Phichit alla notizia. Guang sorrise, prese un piccolo morso dalla sua crepe e disse: “Te l'avevo detto.”






/urla incoerenti/ shono troppo cariniii!!!
Battete un colpo se avete gradito!

 
   
 
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