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Autore: Vallentyne    10/04/2022    2 recensioni
Lei e Ryo coppia. Seeeee, come no. Figuriamoci... Se c’era una sola persona in tutta la prefettura di Shizuoka in grado di darle l’orticaria era lui. Non riusciva a capire come avessero potuto anche solo immaginare una simile assurdità.
Lui e Yukari come coppia. Ah. Ah. Ah. Bella battuta, non c’è che dire. Quella strega. Se c’era una ragazza in tutta la scuola che gli stava sulle palle era proprio lei. Petulante, e anche aggressiva.
La nascita della storia d'amore tra Ryo e Yukari, così come me la immagino io. Con qualche riferimento alla versione originale così come ci è stata presentata nel manga, ma con un po' di fantasia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Yukari Nishimoto/Evelyne Davidson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le partite del World Youth videro la nazionale giapponese battersi fieramente contro forti avversari e uscirne vittoriosi, mentre le ragazze parteciparono sostenendo la squadra di casa insieme a un enorme numero di tifosi accorsi da tutto il Paese.
 
La finale si sarebbe giocata tra il Giappone e il Brasile allenato da Roberto Hongo. Si respirava un’aria carica di attesa ed eccitazione tra tutti gli appassionati di calcio del Sol Levante. La vigilia della partita, Yukari si ritrovò con le amiche per preparare gli striscioni da portare allo stadio, erano tutte euforiche. In particolare Kumi, che riferì loro che sua nonna, l’indovina che aveva più volte consultato durante il torneo per conoscere le sue premonizioni, aveva garantito che le energie negative avevano ormai lasciato il Giappone e che il giorno dopo avrebbe visto la luce il giovane re del calcio. “Ottimo!” esclamò Sanae, ma Yukari aggrottò la fronte, scettica, e non fece commenti. Non credeva alle energie negative né tantomeno alla possibilità di prevedere il futuro.
La nazionale brasiliana si presentava come un avversario invincibile: durante tutta la competizione aveva segnato trenta goal in cinque partite e non aveva subito reti. Era una squadra fortissima, piena di talenti eccezionali e con eccellenti capacità tattiche che pareva non avere nessun punto debole. L’allenatore, Roberto Hongo, conosceva perfettamente Tsubasa Ozora in quanto era stato suo mentore durante l’ultimo anno delle elementari e successivamente allenatore del San Paolo FC dove Tsubasa aveva militato per tre stagioni. Roberto rilasciò alla stampa una dichiarazione in cui affermava che il capitano giapponese avrebbe conosciuto l’umiliazione della sconfitta per la prima volta nella sua vita. Per Tsubasa, quindi, non era solo la partita più importante di tutta la sua carriera, bensì anche una sfida personale con il suo vecchio maestro. Per tutti però era l’occasione di un palcoscenico mondiale che avrebbe potuto aprire moltissime porte, e realizzare il sogno di portare il Giappone sul tetto del mondo per la prima volta.
 
La partita si dimostrò una sfida imponente fin dal primo istante, il Brasile dominò per tutto il primo tempo con ripetuti attacchi non dando mai tregua alla difesa giapponese coordinata magistralmente da Wakabayashi. Il Giappone non riuscì quasi mai a costruire azioni di attacco perché la squadra sudamericana pareva leggere in anticipo ogni mossa avversaria riuscendo a isolare Tsubasa e impedendo di fatto il gioco dei giapponesi. L’unica azione offensiva fu tentata da Hyuga che si vide parare il suo potentissimo Raiju shot dal portiere Salinas. Si stavano fronteggiando due incredibili estremi difensori e la partita avrebbe incoronato il migliore al mondo.
Il primo tempo si concluse a zero reti. Il Giappone, tuttavia, stava soffrendo molto di più.
Durante l’intervallo si presentò Misaki, reduce da un’intensa e coraggiosa riabilitazione alla gamba sinistra dopo il brutto incidente subito qualche tempo prima che l’aveva escluso dalle partite precedenti. Aveva fatto tutto quanto umanamente possibile per poter recuperare e giocare almeno trenta minuti nella finale, ed era disposto a farlo anche contro il parere del medico che l’aveva avuto in cura. Sarebbe stato l’asso nella manica calato dalla Japan Youth, la sua presenza poteva di fatto cambiare le sorti della partita. Secondo i piani dell’allenatore Misaki sarebbe entrato al quindicesimo del secondo tempo per giocare fino al fischio finale.
Il Brasile cambiò tattica per la seconda metà dell’incontro schierando una formazione più aggressiva con un tridente d’attacco. La partita ricominciò subito con ripetuti attacchi da parte dei sudamericani, che trovarono una difesa agguerrita, ma al quattordicesimo Santana, attaccante di punta del Brasile, riuscì a segnare la rete del vantaggio. Lo stadio parve rimanere impietrito ma fu questione di pochi attimi perché subito i tifosi giapponesi si fecero sentire, incitando i propri giocatori a non mollare. L’atmosfera si scaldò. Al quindicesimo minuto del secondo tempo entrò in campo Taro Misaki a sostituire Sano, la Golden Combi era tornata. Fu accolto da un’ovazione. Il Giappone cercò di recuperare lo svantaggio ma il Brasile non si fece trovare impreparato. Santana riuscì a rubare palla a Misaki e, trovatosi Tsubasa a fronteggiarlo, lo apostrofò dicendogli “La vostra Golden Combi è inutile contro di noi… Roberto ci ha insegnato ogni contromisura. In questa partita ho capito… Tutti i tuoi tiri speciali…ti sono stati tutti insegnati da Roberto Hongo. Sai qual è la verità? È deprimente… la verità è che tu sei solo una marionetta nelle mani Roberto e che non lo supererai mai! Non batterai mai il Brasile così!” Tsubasa si raggelò, Santana lo superò agilmente correndo verso la porta. Le parole di Santana rimbombavano nella sua mente, lo avevano stordito. Non lo supererò mai così… Soltanto quando sentì Wakabayashi urlare il suo nome dopo aver parato un tiro devastante di Santana Tsubasa parve tornare in sé, più combattivo che mai. Le parole di Santana avevano toccato delle corde profonde, ma stavano alimentando un prepotente desiderio di rivalsa nel capitano nipponico.
Una grandiosa azione corale portò al goal del pareggio: il Giappone dimostrò di non dover contare solo sulla Golden Combi ma su un’intera squadra affamata di vittoria. L’imbattibilità del portiere brasiliano era stata cancellata dal lavoro del gruppo e non dall’azione del singolo. Il Giappone dopo il goal prese coraggio e riuscì finalmente a esprimere il suo gioco, la squadra era vistosamente migliorata e sferrò altri attacchi che portarono al goal del vantaggio, siglato da Misaki affiancato da Tsubasa su assist di Hyuga. Lo stadio esplose. L’azione costrinse Misaki a uscire dal campo per non compromettere ulteriormente la gamba, i compagni promisero di difendere il risultato. Mancavano pochi minuti alla fine del secondo tempio.
Ma a quel punto anche il Brasile schierò il proprio asso nella manica: il giocatore con la maglia numero dieci, lo sconosciuto Natureza. Tsubasa corse ad affrontarlo ma il brasiliano ebbe la meglio, e dopo aver superato il capitano giapponese si posizionò per tirare in porta da fuori area in salto. La palla subì un effetto imprevedibile, entrò in porta portando il Brasile al pareggio e lasciando sgomento Wakabayashi. 
Ci fu come un silenzio surreale, rotto poi dalle grida di giubilo dei tifosi brasiliani.
 
Kumi si ritrovò a pensare alle parole dell’indovina, aveva parlato del giovane re del calcio… Forse non si stava riferendo a Tsubasa, forse era Natureza?
 
Tsubasa strinse i denti: per battere Roberto doveva battere il suo campione. E si ripromise che ci sarebbe riuscito, a tutti i costi. Lesse la stessa determinazione negli occhi di Hyuga, e sapeva di trovarla in tutta la squadra. Non si sarebbero fatti abbattere, non avrebbero mollato.
La partita riprese, più concitata che mai. Il Brasile recuperò nuovamente palla, Santana corse verso la porta nonostante i tentativi disperati di Matsuyama e di Aoi di fermarlo. Effettuò un passaggio per Natureza ma Ishizaki si fece trovare sulla traiettoria del tiro e lo intercettò di faccia, come suo solito. Ma il pallone lo colpì in pieno volto con una potenza inaudita, stordendolo. Cadde a terra sanguinando copiosamente dal naso.
Yukari balzò in piedi e gridò il suo nome, atterrita.
Il gioco proseguì. Il pallone respinto tornò nella direzione di Santana, ma l’azione di Ryo rallentò l’azione e permise a Tsubasa di raggiungere l’area. Santana passò a Natureza che si stava preparando a tirare verso la porta ma Tsubasa lo raggiunse determinato a contrastarlo e Wakabayashi si lanciò sul pallone. Fu questione di un istante, si ritrovarono in tre sulla sfera: le mani del portiere e le gambe dei due numero dieci. Wakabayashi crollò, senza lasciare la palla e salvando il risultato, sacrificandosi e aggravando l’infortunio alle mani dal quale si era da poco ripreso. L’arbitro fischiò la fine del secondo tempo, il risultato era fermo sul due a due e le sorti della partita si sarebbero decise ai supplementari.

******

 
Yukari si rimise a sedere, impietrita. Fissava il campo senza vedere i giocatori. Le voci concitate intorno a lei parevano un brusio lontano. Sembrarono passare secoli. Poi deglutì e sbattè le palpebre. Sentì Kumi affermare affranta qualcosa a proposito delle disgrazie che aveva predetto l’indovina e una rabbia glaciale si impossessò di lei “Smettila Kumi”. Scattò in piedi e urlò “Ne ho abbastanza di questa storia dell’indovina!” Kumi ammutolì, Yukari continuò stringendo i pugni “Ishizaki e Wakabayashi hanno giocato secondo la propria volontà! Hanno difeso la porta giapponese con le loro forze!” Ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare dagli occhi, deglutì e proseguì “Non dirmi che le loro ferite gloriose erano state decise fin dall’inizio dal destino… Non voglio più sentir parlare di queste cose!”.
Così dicendo si allontanò dalle amiche, si allontanò da tutto. Senza pensare scese per le scale, percorse un paio di corridoi e entrò in infermeria.
Non la fermò nessuno.
Oltrepassò Wakabayashi e il medico che lo stava medicando e vide Ryo sdraiato su una barella. Non sembrava cosciente.
Prese una sedia e l’avvicinò a lui. Le fece pena. Scacciò una lacrima e prese una mano tra le sue, sospirando. L’orologio sulla pareva scandiva i secondi che passavano ma non li sentiva. Sentiva solo il battito del suo cuore rimbombarle nella testa.
All’improvviso lo sentì gracchiare qualcosa di indistinto. Lo guardò.
“Hai ripreso conoscenza Ishizaki!” esclamò con un sospiro di sollievo.
“Yukari” disse lui con un filo di voce “che ci fai qui?”
Silenzio.
“Eheheh … Allora è vero che sei innamorata di me…”
“Eh?” Riuscì a dire lei.
Allontanò la mano di scatto, arrossendo come una scolaretta.
“N-non dire sciocchezze!” Farfugliò imbarazzatissima “Sono solo preoccupata al pensiero che dovrai vergognarti a camminare per la strada con un naso ancora più schiacciato del solito!”
Stavolta Ryo non ci cascò. Forse era la tremenda botta che aveva preso sul campo, forse aveva fatto tesoro del dispiacere scaturito dal loro ultimo battibecco.
Le sorrise. “Me lo concedi un vero appuntamento…? Anche se, a quel che dici, non ti piaccio…”
Lei era senza parole, ma lo guardava con dolcezza.
Lui continuò “Il mio obiettivo è ovviamente la JLeague, ma forse il mio gioco non è all’altezza di quello professionistico… Se non ce la farò, lavorerò ai bagni pubblici dei miei, radunerò i bambini del vicinato, formerò una squadra e gli insegnerò a giocare a calcio”. Deglutì, poi proseguì “E se sei d’accordo, vorrei che tu… diventassi la mia ragazza…”
“Ishizaki… Io…” disse lei in un sussurro, e alzò la mano per stringere una delle sue. Non ebbe il tempo di rispondere, nemmeno di pensare a quello che lui finalmente le aveva detto.
“Ehi, voi due” li interruppe bruscamente Wakabayashi, ora medicato e con le mani strette dalle fasciature “Non siete soli in quest’infermeria!” Ryo e Yukari alzarono lo sguardo verso Genzo, imbarazzatissimi. Che pirla che sono questi due… pensò divertito “E poi fuori giocano la partita più importante!”
Già, fuori erano cominciati i tempi supplementari. “Ma con voi due fuori il Giappone non può più fare sostituzioni. E Misaki è infortunato… e anche Hyuga sembrava avere la gamba dolorante dopo lo scontro con Natureza… Non abbiamo chance!” esclamò disparata Yukari. Ma si stupì nel notare che invece né Ishizaki né Wakabayashi parevano particolarmente preoccupati, anzi, sembravano ormai sicuri della vittoria del Giappone. “Sei stata manager della Nankatsu per anni, Yukari, conosci anche tu Tsubasa. Sai che è proprio nelle situazioni disperate quando si trova ad affrontare rivali fortissimi che dà il meglio di sé con una grinta senza eguali” le spiegò Ryo. Genzo aggiunse “Esatto. Ci ha visto sacrificarci in campo, e ha detto che vinceremo. L’ha detto col cuore. Vinceremo”. Yukari non ribattè, ma li guardò speranzosa.
“Dai, andiamo a vedere il goal di Tsubasa che ci porterà alla vittoria”. E così uscirono tutti e tre a bordo campo.

Si respirava un’aria tesa, il silenzio dello stadio era irreale. Migliaia e migliaia di occhi seguivano il pallone, che rotolava tra i piedi dei giocatori del Giappone mentre facevano passaggi cauti, senza fretta, cercando di evitare Natureza. All’improvviso un passaggio errato, il Giappone perse la palla che rischiò di essere intercettata dal Brasile, ma Wakashimazu, entrato a sostituire Genzo, corse fuori dai pali, raggiunse la sfera e con un calcio potente la rimandò verso la metà campo. Aoi la stoppò di petto e il Giappone si lanciò in attacco sotto le direttive di Tsubasa. Tutti gli undici giocatori avanzarono verso la porta avversaria decisi a segnare per primi il goal che avrebbe assegnato la vittoria, rischiando il tutto per tutto. Fu una bellissima azione che vide tutti protagonisti fino all’assist di Misaki per Tsubasa che, dopo aver vinto il contrasto con Natureza, mandò la palla a rete in rovesciata.
L’arbitro fischiò la fine della partita.

Il Giappone aveva vinto il World Youth ed era campione del mondo.

Lo stadio esplose.
Tutti esplosero di gioia, i giocatori in campo, le riserve in panchina, i tifosi in tribuna, l’allenatore, i tecnici.
Yukari si voltò verso Ryo che le sorrise, facendo un passo verso di lei. Non si trattenne più, non poteva proprio trattenersi più e si buttò tra le sue braccia baciandolo. “Sì, Ryo, voglio essere la tua ragazza!” Lui la strinse forte poi si staccò da lei. Fece un sospiro, le sfiorò la guancia con una carezza che era una promessa e corse verso i compagni di squadra a festeggiare. Yukari lo guardava, e dopo un po’ si accorse che stava piangendo. Che stupida che sono. Ma erano lacrime di gioia, finalmente.
   
 
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