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Autore: Giandra    10/04/2022    0 recensioni
❧ Ciro/Enzo
➥ oneside!Enzo; missing moment s5; pre-5x07; descrizione più o meno grafica di morti fittizie che avvengono in un sogno; visual smut/s3xual fantasies/wet dreams
Storia partecipante alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
Storia partecipante alla Challenge "BTS — Love Yourself, Speak Yourself" indetta sul forum Torre di Carta.
Scoprire che Ciro, il suo Ciro, in realtà, fosse ancora vivo, e di nuovo da lui, lo aveva fatto sentire come se avesse camminato per anni sotto a una bufera per poi, finalmente, trovare una fonte di calore, grazie alla quale sciogliere il ghiaccio che lo aveva irrigidito e che gli aveva rallentato i battiti cardiaci. Ciro lo aveva fatto rinascere; e quei sentimenti che, in fondo, Enzo aveva sempre saputo di provare per lui, quell'attrazione magnetica che lo aveva legato all'altro dal primissimo istante in cui i suoi occhi lo avevano scorto, quella notte in Bulgaria... tutto era raffiorato con la stessa intensità di un'eruzione vulcanica. Enzo lo sognava ogni notte—e ogni giorno cercava di nasconderlo, di darsi un contegno; ma per riuscirci, Ciro avrebbe dovuto smetterla di toccarlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ciro Di Marzio, Enzo Villa
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«I didn't even have a name/Until I met you/You gave me your love/And now have become my reason.»


Until I met you


Il silenzio non era imbarazzante con Ciro, non lo era mai stato: in mancanza di qualcosa di rilevante da dire, tanto valeva restare zitti, ma insieme. Enzo aveva sempre approvato questa politica.

Adesso, però, cose da dire ne aveva—e lo stavano scavando dentro, dal primo momento in cui Ciro era per miracolo rientrato nella sua vita. Fece un respiro profondo e poi richiamò la sua attenzione: “Cirù?”

“Uhm?” Ciro non alzò gli occhi dalla mappa sulla quale stava annotando qualcosa ed Enzo poteva quasi sentire le sue meningi al lavoro, preso com'era dal formulare un piano perfetto che avrebbe rovinato Gennaro una volta e per sempre.

Gennaro.

Perché in fondo c'entrava sempre lui, no? Era contro di lui che stavano combattendo. Non era solo una lotta per il potere, per riprendersi quello che avevano sognato ormai molto tempo prima: era anche una questione personale, una battaglia portata avanti dal rancore che un tempo era stato stima, dall'odio che un tempo era stato amore.

“T pozz parla' nu mument?1

Ciro puntò lo sguardo su di lui senza rispondere, ma non era irritato, anzi sembrava curioso di sentire di cosa Enzo volesse discutere. Il calore nei suoi occhi era così diverso dal gelo che li aveva contraddistinti la prima volta che lo aveva conosciuto; quella rivalità con Gennaro aveva acceso una fiamma dentro di lui che Enzo non aveva mai notato prima.

“T vulev chiedr scus2” scelse alla fine, tra le tante cose che voleva dirgli e domandargli, evitando di pronunciare qualcosa di troppo increscioso, come: Perché non mi hai detto che eri vivo?, Perché sei tornato da me dopo che ti ho fatto uccidere?, Perché mi hai fatto credere che potevo fidarmi di te, anche se hai preferito proteggere Gennaro piuttosto che dirmi la verità? e, in definitiva, Perché hai scelto lui e non me?

Enzo non era stupido: quella notte su quella barca, non si era bevuto le sue bugie, aveva capito che fossero tutte stronzate per proteggere Gennaro, per addossarsi la colpa e sacrificarsi per lui; ma proprio per quello aveva deciso di punirlo, di punire entrambi, perché il pensiero che avesse preferito voltargli le spalle, spezzargli il cuore, piuttosto che lasciare che Gennaro pagasse per ciò che aveva fatto, lo aveva distrutto.

Ma in fondo non meritava la morte solo per aver anteposto qualcun altro a lui.

Ciro lo benedì con un sorrisetto a mezza bocca e un sospiro divertito. “Pe c cos?3

Enzo si grattò la testa, a disagio. “O' saj p c cos.4

Ciro gli mise una mano sul ginocchio e lui sentì tutto il corpo andare a fuoco. Deglutì.

“Si assama sta ca' a c chier'r scus p tutt chell c'avimm sbajat, nun a frnessm chiù5” gli disse, gli occhi fissi nei suoi, così penetranti da fargli mancare il fiato.

Enzo sapeva che con quella frase Ciro si stava scusando a sua volta; voleva mettere tutto ciò che era accaduto da parte, focalizzarsi sul presente. Era tornato da lui perché, pur avendo entrambi commesso i loro sbagli, si erano sempre voluti bene e si erano fidati l'uno dell'altro.

Annuì e cercò di incurvare anche lui le labbra all'insù.

Ciro dovette considerare la questione chiusa, perché portò di nuovo lo sguardo sulla mappa, ma non tolse la mano dal suo ginocchio, piuttosto prese ad accarezzarlo dolcemente, con un ritmo costante come scandito da un orologio svizzero, le punte delle dita che si allargavano in alto verso la coscia e in basso verso la gamba. Enzo avvertì una pericolosa stretta al bassoventre e si morse le labbra per non fiatare, per fingere che quel tocco non gli stesse facendo alcun effetto, e cercò un punto qualsiasi della stanza su cui fissarsi per apparire disinteressato. Ciro nemmeno se ne accorse, continuò a concentrarsi sui suoi appunti e su quel movimento che portava avanti per pura inerzia. Per lui non significava nulla, Enzo ne era certo. Non doveva impressionarsi. Era solo un gesto di affetto che aveva compiuto per rassicurare un compagno e che ora stava approfondendo senza neanche farci caso.

Avrebbe dovuto alzarsi, così da lasciare Ciro ai suoi progetti e da evitare che potesse accorgersi delle sue reazioni, ma non aveva la forza di troncare quel contatto, per quanto minimo e insignificante.

Da quando Valerio e Maria non c'erano più, Enzo si era sentito così solo che morire sarebbe stata quasi una grazia di Dio. Non era riuscito a provare emozioni di alcun tipo per mesi e mesi dopo la vendetta del Diplomato; Ronni e Bellebbuon avevano fatto di tutto per scuoterlo, ma senza successo. Gli era parso assurdo che le tre persone, assieme a sua sorella, che più lo avevano segnato e colpito, fossero tutte morte, volatilizzate, come un castello di sabbia portato via dalle onde. Pensandoci bene, era stata ogni volta colpa sua: se lui non fosse mai entrato nella vita di Maria, e se non avesse complicato quella di Carmela, le due donne che lo avevano amato più di ogni altra cosa a quell'ora sarebbero state ancora vive; le morti di Ciro e di Valerio, poi, portavano la sua firma scritta col sangue.

Scoprire che Ciro, il suo Ciro, in realtà, fosse ancora vivo, e di nuovo da lui, lo aveva fatto sentire come se avesse camminato per anni sotto a una bufera per poi, finalmente, trovare una fonte di calore, grazie alla quale sciogliere il ghiaccio che lo aveva irrigidito e che gli aveva rallentato i battiti cardiaci. Ciro lo aveva fatto rinascere; e quei sentimenti che, in fondo, Enzo aveva sempre saputo di provare per lui, quell'attrazione magnetica che lo aveva legato all'altro dal primissimo istante in cui i suoi occhi lo avevano scorto, quella notte in Bulgaria... tutto era raffiorato con la stessa intensità di un'eruzione vulcanica. Enzo lo sognava ogni notte—e ogni giorno cercava di nasconderlo, di darsi un contegno; ma per riuscirci, Ciro avrebbe dovuto smetterla di toccarlo.

Chiuse gli occhi e appoggiò il capo allo schienale del divano dove erano seduti vicini, così da fingere indifferenza; in fondo, che la stanchezza si facesse sentire dopo quattordici ore passate a organizzare il loro prossimo colpo non era poi così incredibile.

Non dovette neanche riaprire gli occhi per avvertire lo sguardo di Ciro su di sé. Smise di carezzare il suo ginocchio, ma non rimosse la mano. “Tien suonn?6” gli domandò.

Enzo annuì, temendo che se avesse parlato il suo tono avrebbe potuto tradire soggezione.

“E vatt a' cuccà, va'7. Qua finisco io.” gli propose con indulgenza, prima di congedarlo con un leggero buffo sulla coscia.

Enzo inspirò ed espirò piano, aprì gli occhi e si limitò a sorridergli, prima di alzarsi e di dirigersi fuori dal rifugio, verso la sua macchina.

“Enzù!” Ciro lo richiamò.

Il ragazzo si voltò immantinente, incerto.

“Fai 'na cos, sali sopra, vatt a cuccà nda stanza mij. È tardi, è mej si nun aiesc a chest'or.8

Enzo sapeva che Ciro avesse ragione, che i soldati di Gennaro fossero più attivi di notte che di giorno e che li stessero cercando in una spietata caccia all'uomo. Era meglio non rischiare. Tuttavia, il pensiero che avrebbe dormito nel suo letto, che a un certo punto lui lo avrebbe raggiunto e che avrebbero passato la notte insieme, lo fece esitare.

Ciro si accorse del suo tentennamento. “Cre'?9

Enzo scosse la testa, dandosi mentalmente del deficiente. “No, nient. Okay. Grazie.” rispose soltanto, poi salì le scale della piccola casa dove si erano sistemati per organizzare le operazioni dei giorni seguenti, accedette al piano di sopra, che ospitava un bagno angusto e una modesta stanza da letto, ed entrò in quest'ultima.

L'odore di tabacco che sentiva sempre anche addosso a Ciro lo avvolse; faceva freddo, così chiuse la finestrella sgangherata; si tolse le scarpe e si stese sul letto a una piazza e mezza che occupava più di metà della camera; non si stupì del fatto che non ci fossero foto sulle pareti o oggetti personali, ma non poté evitare di sorridere nel notare quanto tutto fosse pulito, ordinato e organizzato: sulla scrivania attaccata al muro c'erano fogli impilati e schedati secondo categorie ben precise; sul comodino in legno vicino al letto erano disposti il suo orologio nuovo, che gli aveva regalato Pitbull, aperto e riposto verticalmente sulla superficie, e accanto un paio di penne e matite allineate; per terra c'era il borsone con le armi, chiuso, ma Enzo era sicuro che le pistole, le automatiche, i fucili, i silenziatori e tutto il suo contenuto fossero riposti con un criterio evidente e maniacale. Ciro era sempre stato così: tutto doveva essere fatto come lo progettava lui, necessitava di avere ogni cosa sotto controllo. Valerio lo aveva odiato per questo, Enzo invece ammirava la sua determinazione e la sua fiducia in sé e, ieri come oggi, sarebbe stato pronto a seguire le sue istruzioni anche all'Inferno.

Strinse le mani dietro alla nuca con le braccia incrociate, chiuse gli occhi e subito, senza che potesse opporre resistenza, l'immagine del volto di Ciro apparve nella sua mente. Riaprì gli occhi, inspirò ed espirò a pieni polmoni, cercò di cambiare la traiettoria del suoi pensieri, ma quando li richiuse il risultato fu lo stesso. Era sempre così. A volte appariva il suo viso, a volte il suo profilo, altre volte le sue spalle ampie, altre ancora l'immaginazione faceva il lavoro grosso e Ciro gli compariva completamente nudo, come un dono di Dio, e lui non poteva fermare le reazioni che il suo corpo aveva a quella vista fantasiosa. Gli scappò un'imprecazione, poi decise di infilarsi sotto le coperte e di girarsi su un fianco, per non rischiare che l'oggetto dei suoi pensieri entrasse all'improvviso e notasse qualcosa di imbarazzante.

Tentò, disperato, di pensare ad altro e dopo almeno un'ora e mezza riuscì ad assopirsi.

Enzo si chiedeva se fosse una cosa comune essere coscienti durante i sogni, come se li stesse osservando dall'alto e pertanto fosse sdoppiato: c'era un Enzo che guardava gli eventi e un Enzo che li viveva; spesso erano molto diversi, a volte era il se stesso del passato, altre una versione di sé che non era mai esistita, che diceva o faceva cose che l'originale riconosceva come estranee. Gli capitava fin da quando era un bambino, e lo aveva sempre trovato divertente, soprattutto quando lui e Carmela non avevano abbastanza soldi per andare al cinema e lui lo intepretava come il suo spettacolo personale, per il quale aveva biglietti in prima fila; nell'ultimo periodo, però, i film erano sempre uguali—senz'altro vietati a un pubblico minorenne—; del resto solo quando sognava poteva dare libero sfogo a quel desiderio che lo stava uccidendo; e poi lì Ciro lo assecondava, lo toccava come voleva, si faceva toccare come Enzo voleva, e sembrava quasi felice, certo mai quanto lui, che sorrideva come un miracolato che aveva ripreso a camminare dopo anni di paralisi. La cosa che lo aveva stupito maggiormente di quei sogni era stata la tenerezza che, non in tutti ma nella maggior parte, Ciro gli dedicava: i baci erano passionali ma cauti, le lingue si intrecciavano, esploravano l'una la bocca dell'altra senza alcuna fretta; lo sfiorava per tutto il corpo, facendolo ribollire, percorreva con le dita ogni linea dei muscoli, ogni vena sporgente, ogni centimetro della pelle di Enzo; quest'ultimo si prendeva il suo tempo per succhiare le dita che l'altro usava per prepararlo, poi con altrettanta lentezza si dedicava alla sua erezione, la baciava e la leccava quasi con riverenza, la prendeva tutta in bocca e si beava dei gemiti e delle espressioni che riusciva a strappare a Ciro, il quale a un certo punto lo fermava, gli stringeva il collo, lo baciava e poi con delicatezza lo penetrava.

Enzo si era sentito così a disagio le prime volte che aveva fatto sogni di quel tipo, si era creduto meno uomo, aveva cercato di convincersi che non significassero niente, che fossero randomici e allucinanti, ma quando a ripensarci da sveglio aveva iniziato ad arrossire e ad avvertire determinate sensazioni non aveva più potuto dirsi bugie.

Lo aveva raccontato a Maria, che aveva riso e gli aveva detto che se voleva poteva proporgli di fare una cosa a tre. A Enzo era partita quella ridarella infinita che solo lei era capace di causargli, poi le aveva specificato che fosse serio, che aveva realmente fatto quei sogni, che stava iniziando a pensare che forse Ciro lo attraesse davvero. Lei gli aveva domandato se la amasse ancora e lui si era quasi scandalizzato, le aveva risposto che era ovvio che la amava, con tutto il suo cuore, più di ogni altra cosa e per tutta la vita; lei allora gli aveva detto di non preoccuparsi, che Ciro aveva un gran culo e se lei aveva il diritto di guardarglielo non vedeva perché non potesse farlo anche Enzo stesso. Aveva pure aggiunto però che se l'avesse tradita, con un ragazzo o una ragazza poco importava, gli avrebbe tagliato il cazzo mentre dormiva; lui l'aveva trovato un ragionamento senza falle. Maria lo aveva aiutato ad accettare quella parte di sé che non aveva rivelato a nessun altro, neanche a Valerio, che però intelligente com'era l'aveva di sicuro capita lo stesso.

Da quel momento aveva abbracciato quei sogni piuttosto che respingerli. Una volta aveva persino immaginato sul serio lo scenario che Maria aveva suggerito e si era svegliato maledettamente arrapato: la donna che lo aveva salvato e l'uomo che lo aveva stregato nello stesso letto erano stati abbastanza per mandarlo in tilt.

Quella notte, però, il sogno era un po' diverso: non notò affettuosità o lentezza nei movimenti e nei gesti di se stesso e di Ciro, ma solo spudoratezza e impazienza di arrivare al dunque, in più gli sguardi sulle loro facce erano tristi, tormentati, amareggiati, come se si trattasse della loro ultima notte e i due ne fossero consapevoli. Enzo non ne capiva il motivo, non riusciva a percepirlo. Di solito, pur essendo un terzo incomodo nelle vicende che vivevano i protagonisti dei suoi sogni, era comunque al corrente degli eventi, come se avesse ricevuto in anticipo un copione e conoscesse i sentimenti e i pensieri dei personaggi; quella volta invece non aveva idea di cosa passasse loro per la testa. Guardarli però non era piacevole come al solito. Scorse una lacrima sulla faccia del se stesso che si trovava tra le braccia di Ciro, il quale andò a baciargli la guancia per asciugargliela. Enzo si guardò intorno, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andava, un pericolo imminente che non aveva ancora avvertito. I due uomini continuarono a fare l'amore senza fare caso a lui, come se non ci fosse, e non era la prima volta che accadeva, ma in quell'occasione Enzo si sentì come se avesse il dovere di proteggerli da una minaccia incombente. Istintivamente portò la mano sotto la giacca all'altezza della cintura per afferrare la sua pistola, ma si scoprì disarmato. Al di là dei gemiti strozzati che emettevano i due amanti non c'erano rumori che potessero tradire una quarta presenza.

Dovettero passare al massimo un paio di minuti, nei quali Enzo era stato all'erta, dopo cui udì uno sparo. Quel suono inconfondibile gli ovattò le orecchie per qualche secondo, poi subito il ragazzo si voltò in direzione dei protagonisti del suo sogno e... non credette ai suoi occhi. Ciro stava piangendo sul corpo morto sotto di lui, ucciso da un proiettile che lo aveva colpito dritto in testa. La disperazione sul suo viso era pari allo shock su quello di Enzo, completamente spiazzato da quel colpo di scena inedito. L'immagine di se stesso senza vita lo pietrificò: era inverosimile, una cosa alla quale a rigor di logica lui non avrebbe mai potuto e dovuto assistere. Il suo corpo tremava, mentre quello del ragazzo morto disteso sul letto non si muoveva di un millimetro. Ciro aveva poggiato la testa sul suo petto e versava lacrime silenziose. Enzo voleva quasi avanzare, consolarlo, mettergli una mano sulla spalla, rassicurarlo e dirgli che era ancora vivo, ma prima che potesse avanzare di un solo passo un altro proiettile sparato dal nulla si conficcò nella nuca di Ciro. Enzo aveva già teso il braccio verso di lui per sfiorarlo e non si capacitò di abbassarlo, non fu in grado di muovere un muscolo per correre nella sua direzione; Ciro si accasciò sul cadavere sotto di lui. Enzo si sentì sprofondare, e metaforicamente e letteralmente: le ginocchia cedettero e finì per terra, gli occhi sgranati gli lacrimavano per lo sforzo di rimanere aperti, costretto ad assistere a quello spettacolo tragico senza potersi opporre. Le scene appena vedute gli svolazzavano nella testa come sadiche farfalle e conducevano sempre allo stesso finale: quello che aveva dinanzi, quello che a un certo punto lo portò a urlare con tutto il fiato che aveva in gola.

 

Quando Ciro era entrato in camera, aveva trovato Enzo che già dormiva, rannicchiato su se stesso, nella metà sinistra del letto; si era steso accanto a lui, cercando di non disturbarlo, e gli ci era voluta almeno mezz'ora per abbandonarsi a sua volta a un sonno senza sogni. A causa forse di un incubo che non ricordava, o solo dell'insonnia che caratterizzava le sue notti da tempo immemore, nel giro di poco si era destato, e si era trovato Enzo praticamente addosso, la sua testa rasata all'altezza del petto. Il primo istinto era stato quello di allontanarlo, ma il rischio di svegliarlo lo aveva fatto desistere: Enzo aveva passato tutto il giorno ad aiutarlo a progettare, pianificare, organizzare, gli aveva fatto compagnia anche solo come supporto silenzioso mentre Ciro metteva in ordine i suoi pensieri, e non gli aveva chiesto niente in cambio, non gli chiedeva mai niente in cambio. Meritava di riposare in santa pace.

Tra l'altro, non era che gli desse fastidio quella vicinanza. Enzo era sempre stato così a suo agio nel suo spazio personale. Non si contavano le volte in cui lo aveva abbracciato, o in cui in generale aveva ricercato da lui un contatto fisico. Ciro ovviamente si era accorto del modo in cui lo scrutava, di quei secondi di troppo in cui lasciava scorrere lo sguardo su di lui, e non si era fatto scrupoli in passato a sfruttare quei sentimenti che in maniera così palese il ragazzo provava; non che l'affetto non fosse ricambiato: Enzo si era trasformato da soldatino fedele ad alleato fidato, non poteva negarlo; a dire la verità, Ciro era quasi geloso del modo in cui lo guardava, in cui guardava lui che non riusciva a provare nulla di simile per nessuno ormai da troppo tempo.

Pertanto, non se lo era scrollato di dosso, lo aveva lasciato dormire beato sul suo petto e aveva cercato di riassopirsi anche lui; tuttavia, di punto in bianco, Enzo aveva preso a muoversi con agitazione e a mormorare parole indecifrabili; Ciro non era certo se fosse o meno il caso di svegliarlo, ma non ce ne fu bisogno: con un urlo spaccavetri, il ragazzo issò la schiena e si destò da solo, tutto tremante, che respirava pesantemente, come se faticasse a farlo. A Ciro venne spontaneo posargli una mano sulla spalla, per rasserenarlo, e nell'istante in cui lo fece Enzo si voltò verso di lui e sgranò gli occhi, come se non credesse alla propria vista; pochi secondi dopo fu tra le sue braccia, la testa nascosta nel suo collo, le mani che si appigliavano alla sua giacca. Non ci voleva un genio per capire che aveva appena avuto un incubo tremendo, così Ciro non fece nulla per sciogliere quella stretta, piuttosto gli permise di acquietarsi, adattandosi ai suoi tempi.

Il battito del cuore di Enzo, che quando lo aveva abbracciato gli era sembrato una pentola a vapore sul punto di esplodere, nel giro di qualche minuto tornò regolare e il ragazzo si scostò da lui spontaneamente, un po' in imbarazzo. “Scus'” gli disse.

“Tutt appost?10” gli domandò Ciro.

Enzo annuì. “T'agg sc'tat?11” gli chiese, improvvisamente preoccupato.

“No, no” lo tranquillizzò, “stev già sc'tat.12

“Nun riesc a rurmì?13

“No.”

“A c staj pnsann?14

Ciro aveva quasi voglia di sorridere di fronte al fatto che Enzo aveva cambiato argomento, non perché volesse spostare l'attenzione dal suo sogno, ma perché era genuinamente più interessato a capire cosa ci facesse lui sveglio. Lo percepiva dal suo tono che si trattava di domande sincere, non calcolate. Nonostante tutte le batoste che aveva ricevuto, per quanto fosse cambiato rispetto alla prima notte in cui lo aveva incontrato, la sua autenticità era rimasta la stessa, così come la cura che dedicava alle persone che amava.

“Nun t preoccupà15” gli rispose soltanto, concedendogli una carezza sulla testa, che l'altro accolse con un sorriso. “Piens a pijà n'ata vot suonn.16

Di conseguenza il ragazzo si accoccolò sul materasso e Ciro lo imitò, steso sulla schiena, mentre l'altro era poggiato su un fianco, girato verso di lui. Quando Enzo chiuse gli occhi, si perse per un attimo a guardarlo, a pensare a quello che gli aveva dato e a tutto ciò che gli aveva tolto, consapevole che il risultato sulla bilancia non gli facesse onore. Eppure Enzo era ancora lì, continuava a fidarsi, a regalargli la sua lealtà e a vedere in lui una speranza. Ciro davvero non aveva idea del perché, ma tutt'un tratto, senza neanche accorgersene, si ritrovò a sorridere al pensiero che ne fosse dannatamente grato.

 

1. “Ti posso parlare un momento?”

2. “Ti volevo chiedere scusa.”

3. “Per che cosa?”

4. “Lo sai per che cosa.”

5. “Se dovessimo stare qui a scusarci per tutto quello che abbiamo sbagliato, non la finiremmo più.”

6. “Hai sonno?”

7. “E vai a dormire, forza.”

8. “Fai una cosa: sali sopra, vai a dormire in camera mia. È tardi, è meglio se non esci a quest'ora.”

9 “Che c'è?”

10 “Tutto bene?”

11 “Ti ho svegliato?”

12 “Ero già sveglio.”

13 “Non riesci a dormire?”

14 “A che stai pensando?”

15 “Non preoccuparti.”

16 “Pensa a riaddormentarti.”

 

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Ho iniziato questa storia a dicembre dell'anno scorso e l'ho portata a termine solo oggi, dopo averla riletta almeno trenta o quaranta volte e, soprattutto, dopo essere riuscita ad abbozzare un finale più o meno soddisfacente. La verità è che non sapevo come farla terminare: avevo l'urgenza di scrivere quella conversazione tra Enzo e Ciro, di mettere ordine nei pensieri del primo (mio personaggio preferito della serie) e di descrivere un po' la sua mente, ma al di là di questo non avevo una conclusione ben definita a cui dare forma scritta. Spero comunque che entrambi i POVs vi siano sembrati IC, che non sia scaturito qualcosa di troppo sconslusionato e che, in definitiva, vi sia piaciuta. 
Mi rendo conto che il titolo può non sembrare avere un'attinenza con la storia, ma è infatti più un riferimento al loro rapporto che altro, a come la vita di Enzo sia completamente e irrimediabilmente cambiata dopo aver conosciuto Ciro (e, in una certa misura, anche quella di Ciro dopo aver conosciuto Enzo). 

A big, big thank you to: Blood Dolly, una persona simpaticissima che mi ha aiutata e supportata mentre scrivevo questa storia, dandomi idee e commenti vari e soprattutto sopportandomi durante le mie farneticazioni su come continuarla, ahahah. La trovate su Tumblr, questo è il suo account, è un'artist molto brava e particolarissima!
 
   
 
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