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Autore: lainil    14/04/2022    1 recensioni
Wakasa odiava i bambini.
Era grato di non avere fratelli o sorelle più piccoli a cui badare.
Ma odiava ancora di più le idee che Takeomi stava imponendo ai suoi fratelli e, quando Senju l’aveva cercato, dopo aver scoperto di Emma, aveva deciso che si sarebbe occupato della bambina.
-
“Posso farcela!”
Era convinta la ragazza, schiaffandosi le mani in faccia piena di grinta, mentre Wakasa le alzava il cappuccio sulla testa, accarezzandole i capelli:
“Devi conquistarli tutti, principessa, non lasciarne fuori neanche uno.”
L’aveva vista crescere, Takeomi, ma non l’aveva mai guardata sul serio.
E ora si domandava perché lui, nei suoi ricordi, non ci fosse mai, ma sempre Wakasa.
Perché Wakasa e non lui?
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Oppure:
Wakasa odia i bambini, ma Senju è l'unica eccezione di cui è disposto a prendersi cura.
[Spoiler manga + accenni Wakasa x Shinichiro]
Genere: Commedia, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Senju Kawaragi, Wakasa Imaushi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Quando Shinichiro era morto, Senju aveva dodici anni e non aveva mai sperimentato così da vicino la morte.

Le cose erano cambiate. La sua famiglia era stata distrutta, Takeomi si era allontanato e Haruchiyo non era più lo stesso, da quando le mani di Mikey, anni prima, gli avevano sfigurato la bocca irrimediabilmente.

Emma non la vedeva più, Baji non era più lo stesso con gli occhi più spenti che avesse mai visto e Mikey neanche la guardava, non che prima lo facesse.

I Black Dragons erano stati sciolti molto prima e, dopo questo lutto, tutto era scivolato dalle sue mani e il suo castello di sogni era andato in frantumi.

La solitudine l’avrebbe devastata se lui non avesse continuato a starle accanto insieme a Benkei:

“Principessa, non dovresti visitare la tomba di Shinichiro quando piove, soprattutto senza ombrello.”

L’aveva sgridata piattamente Wakasa, coprendola con il suo e alzandole il cappuccio della felpa sulla testa, accarezzandole i capelli da sopra questo:

“Mi manca tanto Waka. Come possiamo… Come puoi andare avanti?”

“La vita è piena di imprevisti, la morte è uno di questi. Non puoi fare altro che andare avanti, rimanere fermi non fa che ferire, non trovi?”

Senju aveva pianto le sue prime vere lacrime davanti alla tomba di Shinichiro e Wakasa non aveva fatto nulla, era rimasto lì, con l’ombrello a coprirli entrambi e con il bastoncino mosso tra le labbra con nervoso, osservando la tomba del suo ormai ex compagno che l’aveva lasciato indietro per sempre.

Wakasa soffriva, aveva sofferto come poche volte nella vita, era successo un giorno qualunque, durante una rapina finita male, nulla che lui potesse anticipare, ma nemmeno pensava che Shinichiro avrebbe avuto una morte così insulsa per una persona come lui, un capitano dei Black Dragons ucciso da dei ladri.

Era la fine più patetica che il suo ragazzo potesse avere.

L’aveva sgridato per questo.

Poi aveva pianto per ore intere.

E infine si era rialzato, perché Senju da sola non poteva starci e, quindi, eccolo lì, a prendersi cura della ragazza come aveva fatto, quasi per scherzo, tutti quegli anni:

“Voglio fondare la mia gang, Waka, voglio essere io a capo e proteggere tutte le persone, non voglio che un qualcosa del genere possa riaccadere.”

Benkei lo aveva fissato facendogli cenno con la testa di rifiutare, che Senju era troppo piccola e non voleva che finisse come Mikey che sì, aveva un buon numero di persone alle sue spalle, ma si stava perdendo la sua vita migliore per quel sogno di essere a capo di Tokyo:

“Ne parleremo più avanti. In questo momento sei mossa dalla rabbia e dalla sofferenza per Shin.” Le aveva accarezzato nuovamente i capelli, asciugandoli dall’acqua con le sue dita: “Respira, affronta la sua morte e poi ci potremo pensare, non fare nulla mossa dalle emozioni, sei una persona razionale, Senju, non dimenticarlo.

Andiamo?”

Le aveva fatto segno, tendendole la mano come quando era più piccola e inesperta.

Erano anni che Wakasa non le teneva più la mano, lei l’aveva rifiutata più volte e lui non aveva mai insistito, perché, d’altronde, non era mai cambiato.

Wakasa odiava i bambini.

Ma Senju, ormai, non era più una bambina, era una ragazzina forte mentalmente e fisicamente e lui voleva ancora starle a fianco come se fosse suo fratello a tutti gli effetti.

E Senju gliel’aveva afferrata, con entrambe le mani perché aveva bisogno di salvezza, perché si sentiva sola e nell’oscurità dei suoi pensieri e Wakasa, come Benkei, potevano essere due punti fondamentali da cui ripartire:

“Voglio tornare a casa, Waka.”

“Ti riaccompagno volentieri.”

Le aveva assicurato, stringendole la mano e riprendendo a camminare, seguiti dall’altro uomo che aveva lanciato un ultimo sguardo alla tomba di Shinichiro, salutandolo e pensando che, infondo, tutto poteva ricominciare da quella ragazza, che la volontà del loro amico non si era spenta una volta che si fosse spento il suo cuore.

La speranza era ancora viva in Senju e, una volta affidata a Wakasa, quella luce di speranza non sarebbe mai morta, Shinichiro doveva solo avere pazienza.

 

 

“È troppo stretta?”

Aveva chiesto Wakasa, sistemando la fascia attorno al corpo quindicenne di Senju, preparando poi il reggiseno sportivo che le aveva comprato e guardandola mentre si fissava il seno ridotto grazie a quella loro trovata:

“No, è perfetto!”

“Sei sicura?”

Il ragazzo non voleva spegnere la gioia della più piccola, ma la sua sicurezza, da sempre, era messa in primo piano alla felicità, quindi, se si sentiva stretta con quella fascia andava cambiata immediatamente prima di continuare:

“Va bene, davvero. Stringe il giusto come mi hai spiegato, ma non mi fa male in alcun modo, non è nemmeno fastidiosa, quasi non la sento.”

“Ottimo, prova a mettere questo ora.”

E le aveva passato il reggiseno sportivo aiutandola, anche se non era necessario, a indossarlo, lisciandoglielo sulla schiena e sui lati del seno, capendo se l’aiutasse o risultasse inutile e bastasse la fascia:

“Che ne pensi?” Le aveva domandato, mettendola davanti allo specchio e assicurandosi si guardasse da tutti i lati: “È abbastanza o dobbiamo metterne un altro?”

Aspettava la risposta mentre preparava un secondo reggiseno sportivo che l’aveva aiutata ad acquistare.

Senju stava seguendo le sue orme con sempre più sicurezza e devozione e ora, quindicenne e più consapevole delle sue scelte, aveva capito anche il suo passato discorso sul genere, sentendosi a suo agio quanto lui nel non avere preferenze e adattarsi a seconda del periodo, del giorno e del momento:

“È fantastico, sembra che non abbia neanche il seno, sto benissimo.”

Sprizzava felicità da tutti i pori la ragazza, mentre si girava su se stessa e guardava ciò che lei e l’altro avevano realizzato dopo alcune ricerche e tentativi andati a male:

“Mi imbarazza il fatto che tu abbia visto mia sorella nuda.“

“Non ho mai visto tua sorella nuda, che persona pensi io sia?”

La risposta di Wakasa era arrivata a Takeomi con rabbia, stanco che lui dovesse sempre annoiarlo e mettersi in mezzo alle decisioni di sua sorella e che anche in quel momento fosse lì a fissarli e giudicarli:

“Le hai messo una fascia attorno al seno, come puoi non averla vista?”

“Take.“ Lo aveva guardato male: “Cosa vuoi che me ne freghi del corpo di una quindicenne? Ho quasi trent’anni. Questa cosa che hai detto fa venire i brividi. Rivedi le tue priorità.”

Ed era tornato a dare attenzione a Senju, unica che le meritasse, che si stava mettendo una delle vecchie e larghe magliette di Wakasa, per dare ulteriormente l’idea che quel seno non ci fosse:

“Che ne pensi?”

Senju voleva la sua opinione, allargando le braccia e ignorando volutamente o meno Takeomi, mentre Wakasa la guardava, annuendo. L’aveva poi messa nuovamente davanti allo specchio, stringendole la maglietta sui fianchi e tirandola sulla schiena, in modo da sottolinearle ancora quanto il suo seno fosse ridotto rispetto al solito:

“I tuoi capelli sono perfetti, la lunghezza è adatta per rimanere ambigua, coerentemente con gli stereotipi che le persone hanno, potrai essere un ottimo capo.”

Le aveva assicurato, toccandole i capelli non più lunghi delle spalle, anche quella una decisione comune, necessaria per poter mascherare il suo sesso biologico e lasciare il dubbio a chiunque la vedesse per la prima volta:

“Perché forzarla a sembrare un ragazzo? È una donna Wakasa, è difficile che venga scambiata per un uomo.”

“Shinichiro mi ha dato questa idea.” Aveva guardato Takeomi con una leggera malinconia negli occhi. Sì, lui e Shinichiro avevano discusso spesso dei sogni di Senju. Wakasa fingeva di fregarsene, ma in realtà le aveva particolarmente a cuore, le parole della ragazza: “Mi ha detto che Senju sarebbe stata una buona leader, ma che il suo essere donna non avrebbe favorito alla sua ascesa. E noi dovremmo sostenerla e proteggere le sue spalle, perché lei è molto più capace di noi, ha meno esperienza, ma può andare lontano.”

Senju lo aveva fissato con una grande felicità e fierezza negli occhi, commossa dalle sue parole che non credeva vere, ma Wakasa era serio e Takeomi lo sentiva che non scherzava:

“Se vuoi aiutarci sarebbe meglio, ma in ogni caso io e Benkei siamo già pronti a proteggerla da soli, senza il tuo aiuto.”

“A me piacerebbe…” Aveva preso parola Senju, lisciandosi la maglietta di Wakasa e cercando il suo appoggio con lo sguardo: “Se fossi tu il vice della mia squadra.”

E aveva sorriso a Takeomi piena di vita e di aspettative facendogli sbarrare gli occhi:

“Vorresti me?”

Senju aveva annuito con forza, piena di felicità similmente a come lo era quando aveva troppi pochi anni per capire la differenza tra buoni e cattivi, tra cosa fosse giusto e cosa sbagliato.

Wakasa non sapeva se quella scelta si sarebbe dimostrata giusta o meno e poco gli importava, a dire il vero. Ne aveva già parlato con Senju, ne avevano discusso per un paio di ore nei giorni precedenti perché lei si confidava sempre più spesso con lui che, a tutti gli effetti, aveva ormai preso il posto di Takeomi come fratello maggiore.

Gli aveva detto le sue preoccupazioni dietro quella scelta, ma anche di quanto ne fosse convinta, che continuava ad aver bisogno di Takeomi al suo fianco, pur se rischiava di essere una scelta sbagliata.

Wakasa le aveva sottolineato, in modo neutrale e oggettivo, tutti pro e i contro di quella scelta. Di come, sì, la forza della sua squadra sarebbe aumentata, la maturità dei membri confermate e di quanto le sue spalle sarebbero state ulteriormente coperte. Dall’altro lato, però, vi erano molti problemi: Takeomi aveva perso tutto dopo la morte di Shinichiro, mentre Wakasa, nonostante il dolore, era andato avanti molto di più dell’altro; era la persona che era, non totalmente positiva o pulita e spesso non ragionava razionalmente come loro due, era mosso dai sentimenti e dall’impulsività, quindi c’erano anche questi elementi da considerare.

Senju, ogni tanto, sedeva ancora sulle gambe di Wakasa, senza malizia alcuna da parte di nessuno dei due, era semplicemente un’abitudine che non li aveva mai abbandonati.

Quella sera in cui ne avevano discusso, Senju era proprio lì, chiusa nell’uniforme della Brahman, sua futura gang, con le braccia strette attorno alle gambe tirate al petto e i piedi appoggiati sopra la gamba di Wakasa sulla quale non sedeva, mentre il corpo del ragazzo era totalmente sostenuto dal muretto su cui erano saliti.

Poteva essere una posizione fraintendibile, quasi romantica, ma loro non provavano nulla e questo non creava loro disagio in alcun modo, era un posto sicuro, per la ragazza, la vicinanza dell’uomo:

“Sei convinta?”

Le aveva domandato, mettendosi le mani in tasca e guardandola e lei aveva stretto le braccia attorno alle gambe e affondato il viso in queste:

“Non ne ho idea, però lui potrebbe aiutarci, forse non mi sosterrebbe in quanto donna, ma almeno in quanto sorella, non pensi?”

“Non serve che ti sostenga in quanto donna, a quello ci penso io, ma se hai bisogno che riconosca il tuo valore in quanto sorella, prova a chiederglielo, se non dovesse accettare, proseguiremo ugualmente senza di lui come abbiamo sempre fatto dalla morte di Shin.”

E così erano arrivati a quella situazione, nella palestra di Wakasa e Benkei, mentre quest’ultimo era assente, con l’uomo che vestiva ufficialmente la ragazza, preparandola a prendere il posto di leader della Brahman, sostenendola come aveva sempre promesso di fare, fin da quando lei era piccola e incapace di capire il suo stesso valore:

“Non dovrai prendermi in responsabilità, non servirà che tu abbia un occhio vigile su di me e che tu mi corregga ogni errore che compirò.” Senju recitava il discorso che avevano preparato assieme qualche giorno prima, perché era pur sempre spaventata dall’uomo: “Wakasa penserà a me, semplicemente voglio che formalmente quel ruolo lo ricopra tu.”

“Shin ne sarebbe stato felice.”

L’aveva sostenuta Wakasa, guardandolo e indossando la sua uniforme della Brahman, mentre Senju lo imitava, osservando il suo corpo piatto, chiuso in quell’enorme tenuta nella quale tanto si sentiva a suo agio.

Si era premuta le mani sul seno che faticava a vedere e la felicità che provava nel pensare che, pur mentendo, la gente avrebbe rispettato la sua leadership, era inspiegabile e tutto questo unicamente grazie a Wakasa e al modo in cui vedeva il mondo: vivendo unicamente in funzione di ciò che lo faceva star bene, ignorando i pensieri e i pareri altrui:

“La tua uniforme avrà delle decorazioni simili ad un dragone sulle maniche.” E aveva preso, delicatamente, il braccio di Senju, mostrando le sue: “Senju terrà questa con dei piccoli fiori appena percettibili, mentre io e Benkei ne indosseremo una con evidenti motivi floreali.

La tua è diversa per evitare commenti fuori luogo non necessari sull’estetica. Se non ti dovesse andare bene, sei libero di non entrare nella Brahman.”

Senju gli aveva sorriso per ringraziarlo quando il ragazzo le aveva lasciato la manica.

Era una cosa estremamente stupida e si vergognava ad avergli chiesto di dirlo al posto suo, ma ricordava i commenti sprezzati sulla differenza dei vestiti, delle decorazioni e dei colori tra maschi e femmine che Takeomi aveva sempre imposto a lei e a suo fratello.

Quando ne aveva parlato con Wakasa, lui aveva alzato le spalle, le aveva detto di scegliere la grafica che più le piacesse e lui avrebbe fatto di conseguenza, scegliendo quei meravigliosi fiori che ora adornavano le sue maniche e poi, su accordo comune, avevano deciso la grafica più maschile che fosse loro venuta in mente e ora la stavano presentando a Takeomi.

L’uomo non aveva commentato, i due lo avevano anticipato sui tempi e non voleva, in ogni caso, prendersi ulteriori antipatie da chi lo stava salvando.

Così si era alzato dal posto da cui li stava guardando e aveva accettato l’uniforme offerta da Wakasa, indossandola sopra i suoi vestiti e vedendo Senju emozionata come da anni non la vedeva.

Era felice che la sostenesse in quella prova, pur sapendo che, ormai, più lei andava avanti, meno aveva bisogno della sua presenza nella vita, comprendendo di averla persa anni fa, quando l’aveva trovata in lacrime davanti ad Haruchiyo con la bocca spaccata, mentre lui era lontano da loro, seduto con Shinichiro a ignorarli.

Wakasa aveva preso il suo posto, senza cattiveria, infiltrandosi piano e ricucendo le spaccature di Takeomi.

Wakasa.

Wakasa che odiava i bambini.

Era riuscito nell’essere il fratello che Senju aveva sempre meritato e necessitato al suo fianco.

E lo pensava da anni, da quando anche Shinichiro, ridendo, gli aveva fatto notare quanto Senju fosse felice a fianco a Wakasa e, l’unica cosa che la sua mente era riuscita a partorire, era che ci fosse un interesse amoroso da parte dell’uomo, attratto dall’innocenza di sua sorella.

Invece non c’era nulla.

Wakasa era la persona più pura e trasparente che conoscesse, dopo Shinichiro. Era neutrale e aveva smesso di sorridere dopo la morte del ragazzo, ma ciò lo aveva reso ancora meno misterioso, più diretto e onesto, non aveva bisogno di nascondere i pensieri o ciò che provava.

Takeomi ci aveva messo anni a capirlo e ora era un semplice spettatore, mentre sua sorella lo aveva abbandonato come lui aveva fatto con lei e Haruchiyo:

“Posso farcela!”

Era convinta la ragazza, schiaffandosi le mani in faccia piena di grinta, mentre Wakasa le alzava il cappuccio sulla testa, accarezzandole i capelli:

“Devi conquistarli tutti, principessa, non lasciarne fuori neanche uno.”

L’aveva vista crescere, Takeomi, ma non l’aveva mai guardata sul serio.

E ora si domandava perché lui, nei suoi ricordi, non ci fosse mai, ma sempre Wakasa.

Perché di ogni uscita tentata con qualche nuova amicizia di Senju, al suo fianco c’era sempre Wakasa, perché era sempre lui ad aiutarla a truccarsi e vestirsi e perché lei glielo chiedeva sempre al ragazzo e non a lui?

Perché nei combattimenti corpo a corpo, seppur aiutato da Benkei, era sempre Wakasa a metterla al tappeto, ad aiutarla a rialzarsi e a correggere la postura, alzandole il braccio o spostandole la gamba?

Perché nelle parole e negli atteggiamenti, Senju rimarcava molto il dizionario di Wakasa, i suoi termini preferiti, i suoi modi di dire, quasi imitando anche il suo stesso tono piatto e annoiato quando lei non era invasa dalla sua classica felicità?

Perché non ricorda di aver mai preso una piccola Senju in braccio, ma ha chiaramente flash di lei che si addormenta tra quelle di Wakasa, stretta attorno alla sua felpa, con il suo piccolo braccio a circondargli il corpo e la testa nascosta nell’incavo del suo collo?

Perché non sente il calore della mano di Senju nella sua, ma è convinto che Wakasa invece lo conosca bene, avendola spesso tenuta quando era più piccola e più distratta, sempre desiderosa di scoprire luoghi nuovi e di trascinarlo con sé all’avventura?

Perché Wakasa e non lui?

Lui era suo fratello, no?

E allora perché?

“Takeomi.” L’aveva richiamato Senju, muovendo la testa di lato, confusa sul perché non lo ascoltasse: “Io e Waka stiamo per iniziare la nostra prima riunione visto che è tornato anche Benkei, vieni con noi così ti ufficializzo vice?”

Gli aveva chiesto neutrale, senza interesse effettivo nel farlo, senza emozione e senza impazienza: era una leader che non provava nulla per il suo vice, che fosse ammirazione o semplice bene:

“Va bene, arrivo.”

Suo fratello ora era “Waka”, non più Takeomi. Lui era semplicemente Takeomi e tale sarebbe rimasto. Per sempre:

“Proteggimela.”

Aveva detto a Wakasa, appoggiandogli la mano sulla spalla poco dopo che Senju era uscita.

Wakasa non lo aveva guardato, neanche distrattamente.

Si era sistemato l’uniforme e aveva seguito la sua principessa:

“L’ho fatto da prima che tu me lo chiedessi.”

E lo aveva lasciato indietro, ricongiungendosi con Senju che gli porgeva ancora la mano, perché aveva bisogno, soprattutto in quel momento, di sostegno, e solo lui poteva darglielo con naturalezza.

Ed era proprio così.

Takeomi era rimasto indietro, bloccato in un negativo legame di sangue dal quale uno dei suoi fratelli si era già staccato e adesso era stata la volta di Senju.

Perché Wakasa odiava i bambini.

Li odiava con tutto se stesso.

Ma Senju era una bambina.

Ed Emma lo era stata prima di lei.

Emma lo sarebbe rimasta per sempre.

Mentre Senju stava diventando una donna.

E Wakasa odiava i bambini.

Ma era pronto a proteggere l’unica che avesse genuinamente amato più della sua vita.

   
 
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