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Autore: Ode To Joy    15/04/2022    2 recensioni
[Noè x Vanitas]
Perché un loro c’era. C’era sempre stato. Tra le righe, senza una definizione ben precisa, ma era lì.
E se Vanitas lo aveva negato fino a quell’affondo di lama mai avvenuto, Noè lo aveva gridato a pieni polmoni, gettandosi nel vuoto per lui.
”Non ti lascerò mai libero!”
E ci credeva con ogni fibra del suo essere.

SPOILERS Chapter 55
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Noé Archiviste, Vanitas
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Après La Pluie 

 

La colazione aspettò un po’.

Madidi di pioggia, non appena scesero dal tetto, fecero una bella doccia calda. 

Prima Vanitas, poi Noè.

Il Vampiro si offrì di aiutare il più giovane con le medicazioni, ma questi declinò l’offerta. “Sono abituato,” disse. “Faccio da solo,” concluse, uscendo dal bagno avvolto nell’accappatoio bianco e in una nuvola di vapore.

Solo.

Quella parola si ripeté nella testa di Noè per tutti i venti minuti che passò sotto il getto dell’acqua. Era ancora debole, un po’ intontito, ma le sue ferite sarebbero sparite entro sera. Diverso era per Vanitas.

Poteva non essere fragile come un essere umano, anche se Noè sapeva di doversi guardare dal dirlo ad alta voce, ma i danni che il suo corpo aveva subito non andavano sottovalutati. Il Vampiro sapeva che l’altro non si sarebbe preso neanche un giorno per riposare. Era certo che anche in quel preciso momento, con le ferite dell’ultimo scontro ancora aperte, Vanitas stesse pensando a quale pista seguire per mettersi sulle tracce del Maestro - no, del Conte di Saint Germain.

Mentre usciva dalla doccia e afferrava il proprio accappatoio, Noè decise che avrebbe impiegato i prossimi giorni a obbligare il compagno di avventure a prendersi cura di sé. 

Vanitas non era stato segnato solo sulla pelle, ma anche nell’anima. Erano successe tante cose in poco tempo e la distruzione dell’esposizione universale per mano loro era solo il più piccolo degli eventi.

Molte parole erano state dette, poi ritrattate e, infine, lasciate sospese nell’aria che sapeva ancora di pioggia, anche se era spuntato il sole. Noè voleva prenderle una a una e dare loro un suono, una forma. Sapeva di essere un ingenuo, un idealista che il mondo non era ancora riuscito a piegare, ma non era tanto distratto da non notare il segno netto che era stato tracciato lì, tra Vanitas che li definiva due estranei e poi piangeva contro il suo petto, arrendendosi all’evidenza che nemmeno l’ipnosi che aveva imposto su se stesso era stata sufficiente a cancellarli con un colpo di lama. Perché un loro c’era. C’era sempre stato. Tra le righe, senza una definizione ben precisa, ma era lì. 

E se Vanitas lo aveva negato fino a quell’affondo di lama mai avvenuto, Noè lo aveva gridato a pieni polmoni, gettandosi nel vuoto per lui.

”Non ti lascerò mai libero!”

E ci credeva con ogni fibra del suo essere.

Noè si tolse l’accappatoio e lo usò per ripulire lo specchio dalla patina di condensa che lo aveva ricoperto. La sua immagine era il ritratto della stanchezza, ma il tempo trascorso in quel bagno era l’unica pausa che poteva concedersi per riprendere fiato. Fuori da quella stanza, avrebbe trovato Vanitas ad aspettarlo. Vanitas, che Noè voleva vicino, lasciando fuori il resto del mondo almeno per un po’.

Quel flusso di pensieri si concluse con la fondata possibilità che Vampiro e Dottore si sarebbero trovati a litigare di lì a poco. Il pensiero bastò a far sospirare Noè. Si strinse le guance tra le dita e sentì sotto i polpastrelli la ruvidezza della barba che cominciava a ricrescere. Gli piaceva radersi con regolarità, ma Amelia gli aveva detto che era rimasto privo di sensi per un bel po’. Era giunto il momento di darsi una rassettata. Lasciò cadere l’accappatoio a terra, s’infilò prima l’intimo e poi i pantaloni del pigiama pulito. Era stata una gentile cortesia di Amelia.

Prese il vasetto di crema da barba, il pennello e il rasoio dal mobiletto accanto allo specchio. Per la prima volta da quando risiedevano al Chou Chou Hotel, Noè notò che Vanitas non possedeva nessuno di quegli oggetti. Allontanò quel pensiero con una scrollata di spalle: l’erede umano della Luna Blu aveva passato le prime settimane della loro convivenza a dormire sul tetto, non lo avrebbe sorpreso scoprire che teneva determinati oggetti di uso quotidiano in luoghi che non erano previsti dalla comune educazione.

Quando Vanitas decise di fare la sua entrata in scena, Noè aveva appena finito di espandere la crema da barba sulla guancia destra. Quegli occhi blu lo guardarono divertiti. “Ti prepari per qualche occasione importante?”

“Non mi piace vedermi con la barba addosso,” rispose Noè, passando a ricoprire la guancia sinistra. “Inoltre, se stasera la testa mi gira meno, voglio scendere a dare una mano al ristorante.”

Vanitas appoggiò la schiena al ripiano marmoreo a cui era fissato il lavandino. “Non è il tuo lavoro,” gli ricordò.

“Mi piace aiutare,” ribatté il Vampiro, poggiando il pennello sporco accanto al rubinetto. Se ne sarebbe occupato poi, ultimato il lavoro. Fece scorrere l’acqua nel lavello, afferrò il rasoio e lo aprì.

“Già…” Vanitas accennò un sorriso. “A te piace aiutare.”

Noè si bloccò un istante, prima di passare la lama sul lato sinistro della gola: Vanitas aveva fatto leva sulle mani e si era seduto accanto al lavandino, fino ad appoggiare la schiena allo specchio. 

Ora potevano guardarsi occhi negli occhi. Il viola nel blu.

“Non farlo mai più,” disse Vanitas, senza rancore.

Prima di rispondere, Noè fece scivolare la lama sulla pelle per la prima volta. “Ti ho già detto che non farò mai niente di quello che ti aspetti da me,” gli ricordò, serio. “Tu stesso ti sei arreso a questo fatto pochi minuti fa, sul tetto.”

Vanitas annuì. “Sì, l’ho detto.” Era sereno. Non c’era traccia di provocazione o irritazione nella sua voce ed era un evento più unico che raro. Stavano parlando e basta, apertamente, racchiusi in un momento di banale quotidianità.

In breve: Vanitas era stanco quanto Noè e l’unico posto sicuro che conosceva era accanto all’ultimo discendente degli Archiviste.

“Non chiedere mai più scusa perché qualcuno non è in grado di ucciderti,” chiarì Vanitas. “Specie se quel qualcuno sono io.”

Noè passò al lato sinistro della gola e rispose in un modo che era tipico di lui: “stavi piangendo,” gli ricordò. “Ti ho fatto piangere.”

All’interno del contesto, le lacrime del più giovane erano state davvero la cosa meno grave di cui incolparsi, ma Noè era fatto così. 

Stavamo piangendo,” lo corresse Vanitas. “Non puoi davvero dispiacerti per qualcuno che non trova la forza di volontà di decapitarti.”

Noè lavò il rasoio sotto il getto dell’acqua e si accorse che il più giovane non indossava un pigiama come il suo, ma una camicia da notte. O forse aveva deciso deliberatamente d’indossare solo la casacca bianca, che gli arrivava a metà delle cosce. Noè se ne rimase con il rasoio sospeso a mezz’aria, a fissare il punto in cui la stoffa lasciava il posto alla pelle pallida. Vi erano un paio di fasciature e molti segni bianchi qua e là: vecchie cicatrici. 

“Stai fissando,” gli fece notare Vanitas.

Come un pupazzo a molla, Noè tornò a guardare il proprio riflesso nello specchio, evitando di proposito d’incrociare lo sguardo del più giovane. Vanitas rise. Un suono cristallino, leggero. “Sei arrossito…”

Noè non rispose, si limitò a lavare la lama del rasoio sotto il getto dell’acqua ancora una volta. 

“Mi hai visto al mio peggio,” disse Vanitas, con pacata amarezza. 

Noè sapeva che si riferiva a Mikhail, ai ricordi che gli aveva mostrato. Aveva visto solo una parte della storia, quella del più giovane dei due eredi della Luna Blu. Vanitas l’aveva ritenuta più che sufficiente per abbattere qualche muro. “Se c’è una cosa positiva in quel che ha fatto Mikhail è che non ho più ragione di nascondermi da te, non completamente.”

Indeciso su cosa dire, Noè continuò a radersi.

“Non ce l’hai con me?” Domandò Vanitas.

“No, Vanitas. No.”

“Avresti tutte le ragioni per provare ira nei miei riguardi,” aggiunse il diciottenne. “Sul momento, ho detto che eravate tu e Dominique a esservi messi in mezzo… Ma la verità è che è stato Mikhail a rapire lei.” Lasciò andare un sospiro. “Il mio passato ti ha minacciato, poi l’ho fatto io. Alla fine della storia, mi hai salvato due volte e nemmeno lo meritavo.”

“Non la devi nemmeno pensare una cosa del genere.” Noè smise di fare quello che stava facendo per guardarlo dritto negli occhi. Non sarebbero bastate le parole di tutti i poeti del mondo per descrivere quel blu tanto bene da rendergli giustizia. Vanitas si era legato i capelli in modo che gli ricadessero sulla spalla destra. In quel momento, dimostrava tutta l’innocenza deturpata dei suoi diciotto anni. Era bellissimo.

Non era la prima volta che Noè si ritrovava a pensarlo. Invece di lasciarsi scivolare quella verità addosso, la fece decantare e prendere forma in un angolo segreto, vicino al proprio cuore. Permise a quel pensiero di riempirgli la mente.

“Non ho mai preteso qualcosa da te che…” Noè scosse la testa. “Ma quando Mikhail mi ha deriso, sottolineando quanto poco-“

“Ti stava provocando.”

“Ci è riuscito,” confermò il Vampiro. “Poi è arrivata Jeanne a dirmi di non staccarti gli occhi di dosso… Come se avessi bisogno di qualcuno che mi dica cosa fare con te!”

“E tu cosa vuoi fare con me?” Domandò Vanitas, diretto.

Noè rispose senza pensare. “Quello che vuoi, basta che lo facciamo insieme!” Realizzò di aver alzato la voce e guardò il più giovane, costernato. “Scusami, io non…” Un dubbio lo raggiunse con qualche battuta di ritardo. “Perché ti ho salvato due volte?” Domandò, perplesso. “Ti ho salvato da Mikhail e basta. È accaduto quando lui ha perso il controllo del libro.”

Vanitas scosse la testa. “La prima volta mi hai salvato quando mi hai raggiunto e mi hai impedito di ucciderti,” disse. “Lo hai fatto quando hai promesso che non mi lascerai mai libero.” Storse la bella bocca in una smorfia scocciata che non aveva nulla di serio. “Sconfitta per me. Sono fregato.”

Il modo in cui lo disse fece ridere Noè. Vanitas lo seguì.

Risero insieme e tanto bastò a dare loro l’illusione che non servisse altro per guarire dalle ferite. Non sarebbe stato così semplice. Quelle risa erano un balsamo per l’anima, ma per la vera cura sarebbero serviti tempo e dedizione. 

“Per come la vedo io, hai solo ricambiato un favore,” disse Noè, cercando nel proprio riflesso i punti in cui non era ancora passato con il rasoio.

Vanitas incrociò le gambe e l’orlo della camicia da notte si alzò ulteriormente, mostrando più pelle. Istintivamente, Noè ci lasciò cadere l’occhio ma fu bravo a non farsi beccare a fissare una seconda volta. 

Il diciottenne rimase in silenzio, ripensando agli eventi di quella notte. “Oh…” Pensava di sapere a cosa il Vampiro si riferiva. “Parli di quando ho sferrato quell’attacco diretto e tu, all’ultimo, hai deciso di trattenerti e colpirmi solo di striscio?”

Noè accennò un sorriso. “Te ne sei accorto.” Non ne era sorpreso.

“No, non ti ho nemmeno guardato in faccia,” ammise Vanitas. “Ero solo certo che, pur avendone il potere, non mi avresti mai ucciso.”

Noè si umettò le labbra e, per sbaglio, avvertì il sapore della crema da barba sulla lingua. Corrugò la fronte in un’espressione disgustata. “Se vogliamo dirla tutta, sei stato tu il primo a non fare sul serio.”

“Coraggioso da parte tua dire una cosa del genere, dopo che mi sono iniettato due dosi di droga per tenerti testa,” replicò Vanitas. 

“Non parlo di quelle,” spiegò Noè. “Mi riferisco a prima, quando mi hai sparato. Ero a meno di tre metri da te e, che ti piaccia ricordarlo o no, hai seguito un addestramento da Chasseur. Avresti dovuto cavarmi un occhio con la stessa facilità con cui respiri.”

“Ho chiuso gli occhi, prima di sparare.”

“Oh…” Noè allontanò lo sguardo dal proprio riflesso per portarlo sul viso del più giovane. “Allora lo ammetti.”

Vanitas aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi sulle sue labbra comparve un broncio indispettito da gatto offeso. “Però quando ho usato Dominique per provocarti, hai reagito subito,” ribatté.

“Nel momento in cui l’incolumità di una persona a cui voglio bene viene messa in pericolo, tendo ad agire d’istinto,” disse Noè, ma non ne era fiero. “Nonostante quello che dico e la condotta che cerco di mantenere, so di essere un predatore. Parlo di democrazia ma, in realtà, anche io perdo la testa.”

Vanitas appoggiò la nuca allo specchio e fissò la finestra dalla parte opposta della stanza: i vetri erano umidi a causa del vapore, ma fuori si vedeva il cielo azzurro dopo il temporale. “Lo dici come se non ti piacesse.”

Noè afferrò i bordi del lavandino con entrambe le mani e fissò la propria immagine. Quello che vedeva ora non assomigliava affatto a quello che aveva scorto nel buio del labirinto degli specchi, ma entrambe quelle facce gli appartenevano. “Non mi piace quello contro cui hai combattuto,” disse, scuro in volto. “Non mi piace quello che hai visto.”

Vanitas scosse la testa. “Ci siamo visti entrambi al nostro peggio,” disse. “Adesso posso dire di conoscerti, come tu puoi dire di conoscere me.” Una pausa. “Più o meno.”

Noè usò il rasoio un’ultima volta, lo sciacquò sotto il getto dell’acqua, poi lo richiuse e lo depositò accanto al lavandino. L’aria nella stanza cominciava a farsi irrespirabile e ogni superficie gocciolava per via del vapore acqueo. Si voltò verso la finestra con l’intento di aprirla e far cambiare aria.

Vanitas lo afferrò per il braccio gentilmente. “Aspetta…” Mormorò, scendendo dal piano marmoreo con un mezzo saltello. Recuperò l’accappatoio dal pavimento del bagno. “Hai il viso ancora sporco.” Prese una manica di spugna e la passò nei piccoli punti in cui la pelle ambrata del Vampiro era ancora sporca di crema bianca. Prima sotto all’orecchio, poi nell’incavo tra i naso e lo zigomo e, infine, sull’angolo destro della bocca.

Noè lo bloccò lì. Gli afferrò il polso. Così, senza motivo. Gli piaceva il modo in cui Vanitas gli era vicino in quel momento. Le sue mani che lo toccavano in modo tanto casuale, senza tradire il benché minimo nervosismo ma solo naturalezza, gli regalavano qualcosa che aveva conosciuto durante l’infanzia e la fanciullezza.

Un senso di pace e di familiarità che era caduto insieme alla testa di Louis.

Il Vampiro strinse le labbra e scosse la testa: non voleva pensare a quell’immagine macabra, non in quel momento. Il temporale era passato ed era tornato il sole. Questo, e niente altro, era ciò che contava.

Vanitas si accorse dell’ombra fugace che rese più scuri, sebbene per pochissimo, quegli occhi viola e non se ne rimase in silenzio. “Qualcosa non-?”

“No,” rispose Noè, senza farlo finire di parlare. “È proprio questo il punto. Va tutto bene.”

Mikhail li aveva quasi spinti ad ammazzarsi a vicenda. Il Maestro si era rivelato loro col nuovo nome di Conte di Saint Germain, intenzionato a riportare in vita ciò che Vanitas aveva giurato di distruggere. Sì, il sole era tornato, ma nulla sarebbe stato più come prima. La pioggia aveva lavato via molte illusioni e abbattuto alcuni muri. Eppure, andava tutto bene.

Al suo risveglio, Amelia aveva subito rassicurato Noè sulle condizioni di Dominique - ancora occupata a parlare con Jeanne di non si sapeva che cosa - ma non era stata lei il suo primo pensiero. Dopo tanto preoccuparsi per la sua amica d’infanzia, la prima priorità di Noè Archiviste era stata un’altra.

A un certo punto, le dita di Vanitas lasciarono andare la manica dell’accappatoio, che ricadde a terra con un soffice rumore. Nessuno dei due la trovò una valida ragione per muoversi. Rimasero così, il blu degli occhi di uno che si perdeva nel viola di quelli dell’altro, per quelle che parvero ore.

Ma quando Vanitas dischiuse le labbra, con il petto stretto da qualcosa che non riusciva a identificare, a Noè sembrò essere trascorso troppo poco tempo. Non uscì un suono dalle labbra del più giovane.

Ammutolito, così come lo era il Vampiro, si limitò a scuotere appena la testa. “Io desidero che tu mi uccida,” gli ricordò in un mormorio, come se non riuscisse a respirare bene. “Io desidero che tu mi uccida.” 

Noè sapeva riconoscere una supplica, ma i suoi sensi potevano avvertire anche il palpitare del cuore di Vanitas. E quello non mentiva.

“Io desidero che tu mi uccida,” disse Vanitas una terza volta, senza disturbarsi a nascondere la disperazione. Sapeva quello che Noè stava per fare, anche se Noè stesso non ne era certo. 

“Noè, ascoltami…” Vanitas si liberò dalla presa del Vampiro e appoggiò il palmo sul petto nudo, come per tenerlo a distanza. “Io davvero desidero che tu-“

“Io non ti ho mai giurato niente,” replicò Noè, facendo scivolare la mano sul collo del più giovane, il lato lasciato libero dai capelli. “A parte ripromettermi di non dare più ascolto a quello che dici.” Infilò le dita tra i capelli scuri e lo tirò verso di sé.

Non lo fece con forza e nemmeno velocemente. Diede a Vanitas la possibilità di capire ciò che desiderava. Gli diede il tempo di tirarsi indietro e di respingerlo.

Quando le loro labbra si toccarono, Noè riprese a respirare.

Bastò un battito di cuore perché la verità divenisse chiara come il sole che illuminava Parigi, fuori da quella finestra. Erano finiti insieme per sbaglio, ci erano rimasti quasi per necessità. Quando avevano cominciato a cercare l’uno gli occhi dell’altro per ogni motivo e nessuno in particolare, non c’era stato più niente da fare.

Sfiorare la morte l’uno per mano dell’altro era stato solo il male necessario per far cadere ogni difesa.

Si allontanarono il tempo di un respiro, quello necessario a Vanitas per cedere completamente. Circondò il collo di Noè con le braccia, si sollevò sulle punte dei piedi per avere un accesso maggiore alla sua bocca. Le dita affusolate s’intrecciarono tra i capelli bianchi. 

Vanitas sapeva cosa fare. Noè neanche un po’.

Il Vampiro aveva cominciato, ma era il più giovane a dirigere. Con le lingue che si sfioravano, Vanitas fece un paio di passi indietro, trovò il ripiano marmoreo e l’altro lo sollevò per farlo sedere sul bordo. 

Ecco, sì, così era più facile.

Noè si spinse tra le sue gambe, accarezzando le cosce nivee con i palmi aperti. Anche Vanitas lo toccava, meno goffo di quanto era lui. Quando il bacio si faceva più bagnato, si aggrappava alle sue spalle e si lasciava andare, cingendogli i fianchi con le gambe per impedirgli di allontanarsi. Un istante dopo, mentre Noè rallentava il ritmo per riprendere fiato, Vanitas inarcava la schiena, gli andava incontro, lo provocava.

La preghiera disperata con cui aveva tentato di fermare il Vampiro era già un lontano ricordo. 

Si volevano. Si volevano e basta. 

Le parole che erano rimaste sospese tra loro, potevano aspettare ancora un’alba, prima di avere voce.

Ci mancò poco che consumassero quel loro primo slancio di passione lì, nel bagno della loro camera d’hotel - no, erano entrambi troppo impazienti per pensare di spostarsi su uno dei letti appena fuori dalla porta - ma le carezze di Noè tra quei capelli di seta nera finirono per sciogliere il nodo che li teneva raccolti, liberando la spalla destra del più giovane.

Un gelo improvviso si diffuse nel petto di Noè, a partire dal suo cuore, spezzandogli il respiro.

Non più ebbro delle attenzioni del Vampiro, Vanitas tornò presente a se stesso e guardò nella stessa direzione di quegli occhi viola. Il marchio scarlatto a forma di rosa lo fece vergognare come mai era accaduto prima. Ricordava benissimo la colazione in cui lo aveva mostrato a tutti i suoi commensali, mettendo di proposito in grande imbarazzo la fanciulla Vampiro che ne era l’autrice. Ora, tra le braccia di Noè, non ci trovava assolutamente nulla di divertente. Usò entrambe le mani per spostare i lunghi capelli corvini sulla spalla, per celare il passaggio sul suo corpo di un Vampiro che non era Noè. Vanitas fece per dire qualcosa, ma l’altro aveva già preso le distanze.

“Scusami,” disse Noè, facendo due passi indietro, gli occhi bassi, nascosti dietro la frangia di capelli bianchi. “Perdonami, Vanitas. Non ho pensato a…” Lasciò la frase sospesa e uscì dal bagno.

“Noè, aspetta!” Vanitas tornò con i piedi per terra e lo seguì in camera da letto. Lì, la temperatura era notevolmente più bassa e il diciottenne divenne ancor più sensibile all’assenza di calore contro le sue labbra. “Noè, guardami. Per favore!”

Il Vampiro si fermò accanto al suo letto e ubbidì. La sua espressione era malinconica, un po’ ferita. 

“Non…” Vanitas scosse la testa. “Non è importante.” Se lo aveva mai pensato, non ne aveva memoria. Era stato lui il primo a provocare Jeanne e non si era mai sottratto agli episodi d’intimità che erano succeduti a quel primo morso. Gli era piaciuto. Gli era piaciuto tanto. Negarlo sarebbe stato stupido e sarebbe stata un’offesa nei confronti di Noè stesso.

Ma Jeanne era uscita dalla sua mente nel momento in cui Vanitas aveva realizzato che Noè era finito tra le mani di Mikhail. Quando le acque si erano quietate ed era uscito dallo scontro un po’ ammaccato, ma sulle sue gambe, il pensiero della fanciulla Vampiro non era tornato. No, Vanitas era rimasto sul tetto, appena un paio di metri sopra il letto di Noè, ad aspettare che si svegliasse.

Per Jeanne aveva creato una tale confusione che ora tutto gli sembrava ridicolo, esagerato. Una bella creatura gli aveva offerto dei momenti di piacere e gli erano piaciuti. Basta. 

Il calore che aveva sentito in quei baci con Noè - lo stesso calore di cui gli aveva parlato Luna - era una cosa ben diversa. C’era solo un problema: Vanitas non aveva avuto il tempo di riflettere su nulla. Tutto stava accadendo lì, nello spazio di pochi respiri e di battiti accelerati.

“Non è importante,” ripeté Vanitas, rendendosi conto che non provava alcun senso di colpa nei confronti di Jeanne. Non abbastanza da convincerlo a fare un passo indietro e rivedere tutto a mente lucida.

Lui e Noè erano lì e Mikhail aveva detto molto chiaramente una scomoda verità: non avevano tutto il tempo del mondo.

Gentile come sempre, Noè non lo accusò di superficialità. “Non è esattamente così,” disse, paziente. “Non per un Vampiro.”

Vanitas si umettò le labbra. “Mi ritieni lo scarto di qualcun altro?” Non aveva ragione di essere arrabbiato con chi aveva davanti, eppure provava rabbia. Se Jeanne aveva bevuto il suo sangue, non era colpa di Noè. Vanitas poteva pestare i piedi e dire di non volere più quel marchio addosso quanto voleva, ma se aveva qualcuno da biasimare era solo se stesso.

Gli occhi viola di Noè si fecero grandi. “Non è così.”

“Allora cosa?” Vanitas si sentiva frustrato con se stesso. “Pensi che sia una proprietà di lei, quindi non riesci a toccarmi?”

“Se non lo vuoi, non sei la proprietà di nessuno.”

Vanitas sorrise, sarcastico. “Lo dici ma non lo pensi,” replicò, lisciando i capelli sulla spalla per far sì che il marchio rimanesse celato. “Questa rosa ha peso per te.”

Alla disperata ricerca delle parole giuste da dire, Noè storse la bocca. “È solo gelosia…”

“Solo?” Domandò Vanitas, con un filo di voce.

“L’ho avuta dal momento in cui ho saputo che lei ti aveva marchiato,” ammise Noè. “Chiedi a Domi. L’ho detto a lei.”

Vanitas aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Lo hai detto a lei, non a me.”

“E che dovevo dirti?” Domandò Noè, smarrito. “Ogni volta che si accenna al tuo sangue, ti metti sulla difensiva, ti fai aggressivo e diventa impossibile dialogare con te.”

Vanitas allargò le braccia, irritato. “Ora sai che ho le mie buone ragioni.”

“Però da lei ti sei fatto mordere!”

“Perché ho sentito Dominique miagolare come una gattina, prima di quel maledetto ballo in maschera!” Esclamò Vanitas. “Però tu te ne sei uscito con quel convinto: per me è solo un’amica d’infanzia. E per me non aveva alcun senso…”

“Un momento…” Noé sollevò la mano per chiedergli una pausa. Ricordava le perplessità di Vanitas riguardo al suo legame con Dominique, ma ora vedeva la cosa da un punto di vista completamente diverso. “Ti sei fatto mordere da Jeanne per scoprire come ci si sente?”

Vanitas sbuffò sonoramente. “Era un gioco,” ammise. “Doveva essere un gioco!” Ripeté con più forza. “Non credevo che avrei sentito tanto, non credevo che lei mi avrebbe marchiato, non credevo che ci sarebbe stato un seguito… Io non… Non ho mai pensato che avrei perso le redini della situazione…” Una pausa. “Poi ha smesso di esserlo… Un gioco, intendo.”

Noè strinse le labbra e annuì. “Devo concludere che la ami?”

Era una domanda diretta, legittima. Difficile. Vanitas era una lingua tagliente ed era bravo a usare le parole a suo vantaggio. Quelli però erano sentimenti. Altra materia, assai più oscura, delicata e poco chiara a lui.

“È peggio di così,” ammise Vanitas, la voce poco ferma. “Devi concludere che se non avessi il potere che hai, forse avrei cercato te per sperimentare quelle sensazioni…”

Quello era un colpo dritto al petto, di quelli che Noè non aveva visto arrivare. Sentì la gola stringersi in una morsa, ma ingoiò a vuoto per evitare alle lacrime di salirgli agli occhi. Era così semplice e, allo stesso tempo, così maledettamente irrisolvisibile?

Se Noè non avesse ereditato dagli Archiviste - una famiglia da cui sapeva di discendere, ma a cui non era mai appartenuto - il suo potere, Vanitas avrebbe giocato con lui. E da quello stupido gioco sarebbero arrivati dove erano ora, a desiderarsi l’un l’altro e a seguire quella passione senza timore.

“Onestamente,” disse Noè, sedendosi sul bordo del suo letto. “La gelosia si supera… Credo, non sono un esperto, ma…” Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. “Ho voglia di baciarti ancora, di toccarti ancora. Non basta certo un marchio a forma di rosa a impedirmi di volere questo… Se lo vuoi anche tu, certo.”

Il diciottenne non rispose. Fermo, rigido, in mezzo alla camera da letto.

“Ma non so se riuscirò a sopportare il fatto che non ti avrò mai del tutto per colpa di quello che sono,” ammise Noè. Voleva piangere, anche se si sentiva ridicolo a farlo. 

“Non… Non farlo mai.” 

“Adesso che cos’è che non devo fare mai, Vanitas?”

“Non considerare quello che sei qualcosa di sbagliato,” rispose il diciottenne, fermo. “Te lo proibisco.”

Noè sorrise con amarezza a quella determinazione. “Ciò non cambia i fatti.”

“No.” Vanitas inspirò dal naso e le sue guance si colorarono un poco. “Ma nei fatti io voglio baciarti e toccarti, esattamente come tu vuoi baciare e toccare me.”

Se tutto quello fosse successo prima di Mikhail, dei ricordi rivelati e di quella dichiarazione che Noè aveva gridato, pur con un’arma puntata alla gola, Vanitas era certo che avrebbe trovato il modo di boicottare le cose, di mettere le distanze.

Ora, mentre il cielo azzurro si tingeva dei colori del tramonto, Vanitas era stanco di esistere solo per interpretare la parte del nome che aveva ereditato. Voleva vivere e Noè era proprio lì.

Il Vampiro fece appena in tempo a fare un gesto con la mano, come a dire di avvicinarsi, accompagnato da un timido “vieni qui…” , che Vanitas era già seduto a cavalcioni sulle sue gambe. “Ricorda quello che ho desiderato,” disse, contro le labbra dell’altro. “Ricorda cosa voglio da te.”

“Ricorda che non ti lascerò mai libero,” ribatté Noè, un istante prima di baciarlo. “Nemmeno nella morte.”





 
   
 
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