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Autore: Ghostro    15/04/2022    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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CAPITOLO OTTO – DONI DI NATALE
 
 
Damien e Richie arrivarono alla stazione di King’s Cross in perfetto orario, come sempre. E come sempre attesero che l’addetto del binario desse loro il via libera per attraversare al contrario il muro invisibile del nove e tre quarti all’insaputa dei babbani.
Dopo quattro anni, continuava a provare una strana sensazione passandoci attraverso. Andare incontro a un muro come se fosse Don Chisciotte della Mancia alle prese con i mulini a vento, tornare indietro passando davanti allo stesso, all’incirca illusorio, impenetrabile varco fatto di mattoni; non sapeva nemmeno se il processo potesse essere descritto in questo modo, ma non aveva ancora trovato una soluzione al dilemma.
Come sempre, venne loro incontro la madre di Richie. La signora Gallagard era una strega dall’aspetto ordinato e profumava sempre di un’essenza simile alla menta. Portava degli occhiali dalla montatura nera e spessa ed era solita legare i capelli brunetti in un chignon impeccabile. Se non fosse per quel tallieur violetto, che la faceva sembrare tremendamente una donna d’affari, avrebbe potuto essere scambiata per una di quelle maestre attraenti che affollavano le riviste osé nell’officina del signor Gallagard. Aveva due occhi azzurri così chiari e penetranti da fare impressione.
Richie non fece in tempo ad aprir bocca. Tabita lo prese per l’orecchio e lo torse. «Sì può sapere cosa ci facevi a Notturne Alley, razza di perdigiorno?»
Lui dovette gonfiare le guance per trattenere un lamento. «Ciao anche a te, ma’. Come va, tutto bene?»
La signora Gallagard gli torse l’orecchio con più forza. «Ringrazia che ci sono dei babbani qui in giro o ti farei vedere io come va!» sibilò astiosa. «Come quand’eri piccolo, ricordi? Dentro la boccia di vetro, trasformato in un pesciolino.»
In quel momento, Damien ringraziò il cielo di essere nato in una famiglia di babbani. «Ehm, signora Gallagard…»
Si vide puntare il dito contro. «Dopo ce n’è anche per te!»
E così facendo, naufragò il suo disastroso tentativo di mediare la situazione. La signora Tabita era furiosa. Certo, lavorando al Ministero era chiaro che potesse esserle arrivata una voce sulla loro “uscita” a Notturne Alley, ma né Damien, né Richie, ci avevano pensato minimamente durante il viaggio di ritorno; e se lei lo sapeva, non c’era motivo per cui non avrebbe dovuto esserne all’oscuro anche la sua famiglia. Era stati troppo impegnati, assieme ad Alma, a discutere di ciò che era accaduto nell’ufficio di Piton solo pochi giorni prima.
Con il risultato che per tutto il tragitto verso la macchina e poi fino metà strada, erano stati sommersi da una paternale spaventosa. Certe volte faceva più paura lei degli Invasati. «Ingrati. Incoscienti. Screanzati che non siete altro!»
– Di cosa sta parlando questa donna? Sembra quasi che non voglia che suo figlio impari a combattere. –
– Sai com’è: nell’epoca moderna, sulla carta, si cerca di non ricorrere alla violenza per risolvere i problemi. –
– E questo viene insegnato in ogni villaggio, in ogni famiglia? –
– Perlopiù, sì. –
Glyn tacque. In qualche modo, Damien ebbe l’impressione che quella risposta l’avesse messo di pessimo umore. Damien continuava a dimenticarsi che lui proveniva da un’epoca terribilmente diversa. Per lui, probabilmente, tutti loro dovevano sembrare degli alieni che avevano per pura coincidenza gli stessi tratti distintivi della sua specie, e sapevano usare la magia. Non doveva essere una sensazione piacevole.
«Si può sapere cosa ci siete andati a fare in un postaccio del genere? Cosa si è acceso nelle vostre testoline idiote per farvi uscire di nascosto dalla scuola e istigare dei criminali? Come ci siete arrivati?»
Richie sbuffò. «Volando, ma’.»
«Non mi rispondere così, razza di delinquente! Non ti azzardare!»
«Se mi lasciassi mai parlare!»
«Parlare?! E di cosa vorresti parlare? Sei fortunato se non ti sbatto in riformatorio per questa bravata.»
«Ah, sei impossibile!» Richie incrociò le braccia e girò la testa verso il finestrino.
Continuarono a litigare finché la signora Gallagard non lo scaricò con tanto di bagagli davanti casa. Nell’isterismo che aveva contagiato lei e il figlio, si era completamente dimenticata di lui e Damien tirò un grosso sospiro di sollievo.
Raccolse il baule e si diresse verso il cancello del condominio dove abitava.
Faceva uno strano effetto tornare a vestire abiti babbani, salire sette piani di scale assolutamente normali e immobili, aprire la porta con un mazzo di chiavi tintinnante. Fu accolto dal rumore dell’aspirapolvere che risucchiava lo sporco accumulatosi sulla moquette e la voce del notiziario che dava le ultime novità sul tempo.
«Sono a casa!»
Dalla sala da pranzo, sua madre lo raggiunse brandendo l’aspirapolvere. Era una donna robusta, dai capelli corti, leggermente più scuri dei suoi, e un paio d’occhi di un raro grigio verde come le nuvole che oscuravano un cielo pomeridiano. «Tesoro! Bentornato.» Lo stritolò nel suo solito abbraccio spaccaossa.
Certe volte lo stringeva così forte da soffocarlo, ma Damien ne aveva passate così tante negli ultimi mesi che si aggrappò quell’abbraccio come all’aria che respirava. «Ciao, mamma.»
Fu preso per mano e portato in soggiorno.
Dove suo padre, seduto su un vecchio divano con una federa a fiori, mise in muto il televisore. «Ehilà, campione! Come stai?»
«Bene. Ho le gambe un po’ indolenzite per il viaggio, ma sto bene.»
Parlarono del più e del meno per un’ora buona, tanto che sua madre dovette ordinare la pizza a domicilio perché si dimenticò di spegnere il forno. Era stato un inizio difficile, dopo la morte di Cedric, ma, inaspettatamente, non dovette mentire quando gli chiesero come stesse andando a scuola. Certo, era rimasto molto indietro, ma rispetto all’inizio dell’anno i suoi risultati stavano migliorando; anche grazie al fatto che aveva riacquistato un minimo di fiducia nell’impugnare la sua bacchetta.
«Spero che questa posta per gufi funzioni. Tabita ci ha parlato del signor Arthur Weasley e abbiamo voluto scrivere una lettera alla madre della tua amica Ginny.»
Damien sbatté le palpebre. «Non capisco.»
«Non te l’hanno detto? Il signor Weasley è stato aggredito mentre era a lavoro. È stato trasferito d’urgenza in un ospedale. Il M… Il Mun…»
«San Mungo?»
«Sì, proprio quello!» Suo padre sospirò. «È triste, e a poche settimane dalla vigilia di Natale! Non ci voleva proprio. Povera famiglia.» Con quei sottili occhiali dalla montatura a tartaruga e gran parte della testa stempiata, sembra anche più rattristato. «Damien, devi prometterci di fare attenzione. I rischi del mondo magico non sono poi tanto diversi dai nostri, ma nessuno di noi due può usare la magia e…»
Nessuno dei due poteva proteggerlo, se un criminale o peggio un Mangiamorte lo avesse aggredito.
Damien lo lesse facilmente tra le righe, vedeva la frustrazione che attanagliava entrambi e preferì tenere per sé, ora più che mai, il fatto che avesse un grosso “guaio” del mondo magico perennemente attaccato al braccio.
Mangiarono, discussero del più e del meno. Con un certo sollievo comprese che la signora Tabita aveva preferito tenere i suoi genitori all’oscuro, forse per non dare loro troppe preoccupazioni. Di certo non era una madre dolce con Rich, ma anche lei aveva il suo lato buono.
Più tardi, disteso sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, Damien continuava a guardare il soffitto in attesa che il sonno decidesse di arrivare.
– Così è in questo modo che si è evoluta la civiltà babbana. Sembra tutto molto… squadrato. –
– Si chiama tecnologica. Ci stanno lavorando da un po’. –
– Immagino. Eppure sono sorpreso che non siano più solo i maghi a creare degli artefatti. –
Annuì, guardando le luci della strada cambiare forma e posizione sul soffitto. Se pensava all’ultima volta che le aveva guardate, adesso si accorgeva di quanto le cose fossero cambiate nell’arco di pochissimi mesi. La morte di Cedric continuava a rimanere una cicatrice profonda, forse non si sarebbe mai rimarginata. Aveva fatto dei notevoli progressi con la sua bacchetta, però; anche se, con tutti i rischi di morte che si era preso per garantirsi quel sottile miglioramento contro la sua fobia, non poteva definirsi una vittoria.
– Posso farti una domanda? – chiese all’improvviso. – Se i seguaci dell’Amato sono riusciti a sopravvivere in tutti questi secoli, perché hanno atteso tanto prima di liberarlo? Insomma, chi c’è dietro a tutta questa storia? –
– Questa è una buona domanda, e vorrei tanto avere una risposta per te. La Magia del tempo è oscura, ragazzo, molto oscura. Se l’avessi saputo, anche io avrei fatto di tutto pur di fuggire da quella tomba. Ma non credere, non farlo mai, che l’Amato agisca solo per vendetta. Dopo che avrà finito con il Ministero, io sarò il prossimo. La morte di Aine ha lasciato di lui soltanto la parte peggiore. Non esiterà a schiacciare coloro che ritiene responsabili. E non si fermerà, dopo che avrà ottenuto ciò che ora brama. –
Damien fu percorso da un brivido. – E se qualcuno lo stesse usando? Qualcuno come Tu-Sai-Chi, per esempio. Siete stati seppelliti nel territorio di Hogwarts e Silente dice che lui l’ha frequentata. –
– Intendi il mago oscuro più terribile di quest’epoca? Quello che la gente non osa neanche nominare? No. –
Colpito dalla sua fermezza, Dam sollevò entrambe le sopracciglia. «Perché?»
– Perché, se ho ben capito come stanno le cose, ognuno avrebbe ragione di odiare l’altro. Il tuo insegnante di Pozioni dice il vero quando afferma che l’Amato fu cresciuto dai Dissennatori. Quello che la leggenda non racconta è che lui aveva dei genitori, ed erano babbani. Due servi dei druidi. E quando i loro padroni scoprirono che il figlio aveva il dono, li trucidarono e diedero all’Amato la caccia; anche ai miei tempi per preservare la purezza del loro sangue “eletto” dagli dei avrebbero fatto di tutto. Certe cose non cambiano, vero? Voldemort odia i babbani e i maghi come te, che sono nati con il loro sangue impuro nelle vene. L’Amato odia tutto ciò che il concetto di sangue puro rappresenta. Solo Aine era riuscita a trasformare l’odio che lo pervadeva in amore. –

 
*
 
«Idiota. Fetente. Troll di seconda categoria!»
Rich aprì la porta di casa con un calcio ed entrò dentro senza troppe cerimonie. Era furioso.
«E non dare calci alla porta di casa!»
«Vuoi pure che doni un rene alla scienza, già che ci sono?!»
Sua madre gli torse l’orecchio così forte che giurò di aver sentito qualcosa rompersi. «Non mi rispondere così, ti ho detto! Non mi rispondere così!»
«Sei… impossibile!» gracchiò, tra un gemito di dolore e l’altro.
«Fila in camera tua, e restaci finché non mi sarà passata la voglia di ucciderti!!»
«E come faccio?! Mi sono scordato la palla di vetro nell’aula della Cooman!»
Rossa di rabbia, stava per dare di matto alla stragrande. Ci mancava davvero poco.
Dal piano di sotto, udirono un lamento prolungato ed eloquente. «Oooooooh! Che state facendo lì sopra?» Il cigolio delle scale chiassò insieme al pesante infrangersi delle scarpe di suo padre mentre risaliva.
Ed eccolo sbucare il testone biondo, dai capelli lunghi perennemente in disordine. Era sporco di grasso su mani e braccia, e anche un po’ sul viso.
«Ma dico: neanche il tempo di tornare a casa? Schiaritevi almeno la gola per riscaldarvi, finirà che stasera non avrete più voce.»
Sua madre arricciò il naso. Per quello che aveva detto e per l’immancabile disordine che attorniava il marito. «Diventerà un delinquente, Al! Di questo passo dovremo andare a portargli le arance ad Azkaban.»
Richie scambiò con lui uno sguardo. Poi, suo padre tornò a lei. «Ti-tì, perché adesso non ci diamo tutti una bella calmata e andiamo di là?»
«Calmarmi, dico ti pare il momento?! Qui c’è in gioco la fedina penale di nostro figlio, e i nostri soldi subito dopo. Se perdo la faccia, il Ministero mi liquiderà all’istante.»
«Sai che problema! Non lavorare per quei fascisti del…» borbottò, ma non abbastanza sottovoce.
«E il cibo in tavola chi te lo porta, se perdo il lavoro?! Uhm?!»
Rich roteò gli occhi. «Se lavorassi all’officina di papà, gli affari si decuplicherebbero in una settimana.»
Stavolta fu suo padre ad arrabbiarsi. «Bada a come parli, ragazzino!»
«Ben detto, Al!»
«Ti pare che permetterei a quei pervertiti dei miei clienti di mangiare con gli occhi la mia moglie mozzafiato?!»
«Al!» strillò sua madre, rossa in viso, prima di posarsi una mano sulla fronte. «Sapete che c’è? Ne ho abbastanza.» Con un rapido movimento del polso, agitò la bacchetta e le lingue di entrambi si incollarono al palato; non fu piacevole. «Siete…» Emise un verso iroso e si chiuse nel suo studio sbattendo la porta.
Per il resto della giornata in quella casa non filò una mosca che fosse una. Ed era già meglio dell’essere messi in castigo.
Rich e suo padre passarono il tempo a guardarsi, perlopiù. Poi a fissare sua madre mentre le servivano la cena.
Gli intimò con gesti inequivocabili di filare in camera sua e Rich lo fece. Per un po’ ci fu ancora silenzio.
Sua madre era ancora così furiosa che ogni scalino gemette, quando ci salì di sopra.
Fu seguita una buona mezz’oretta dopo. Richie stava giochicchiando con Gameboy settato su muto, quando sentì aprire la porta.
«Al! Ma che…?! No! No, dai, sei tutto sporco. Va’ a farti una doccia, per l’amor…!»
Furono le sue ultime parole. Beh, quantomeno quell’insieme di versi che avesse un senso compiuto. Dopo ci furono solo risolini e… Rich fece in tempo a mettersi le sue potentissime cuffie anti-rumore.
Il fatto che fosse un figlio unico era un mistero che né la magia, né la scienza, erano in grado di spiegare.
 
Il mattino seguente la trovò ai fornelli, intenta a preparare la colazione. Indossava la camicia stropicciata di papà e canticchiava qualcosa con aria svagata, le lunghe gambe nude che si muovevano impercettibilmente a ritmo del motivetto. I capelli non li aveva ancora raccolti, cadevano spettinati lungo la schiena.
«Giorno…» mugugnò insonnolito, prendendo posto sull’isola della cucina.
«Vuoi anche tu uova e pancetta?»
Rich si strinse nelle spalle. «Se avanza.» E afferrò il bicchiere di succo sul tavolo.
«Dobbiamo finire il discorso di ieri sera» ribadì. Anche se visibilmente in pace coi sensi.
«Per forza? Insomma, non è che lo fatto apposta. Ok? Damien…»
«Richie, se vuoi proprio inventarti delle frottole, non iniziare con “Damien”. Dei due, sei tu la cattiva influenza e lo sai.»
Si strozzò con il succo e dovette tossire. «Grazie della fiducia!»
«Come se non fosse vero…»
«Sì, beh…» Arrossì. «Ma stavolta è diverso. Non è colpa mia, e nemmeno sua.»
«Certamente. Vi siete solo trovati per puro caso nel posto sbagliato, al momento sbagliato.» Tabita sospirò. «Ascolta, tesoro. Hai preso fin troppo da me, e so che sopportare Dolores Umbridge non è facile. Non ci riesco io, figurarsi un adolescente. Quella donna è diventata più insopportabile del solito da quando abbiamo votato a favore dell’assoluzione di Potter, alla fine dell’estate. Sei il figlio di un membro del Wizengamot, che ti piaccia o no devi tenerlo a mente.»
Non era una questione di immagine, Rich lo sapeva. Se avessero voluto ricattarla, sarebbe bastato minacciare la sua incolumità o quella di suo padre. Figurarsi ora che c’erano tensioni interne su chi disprezzava Silente e chi, come sua madre, lo sosteneva e non a bassa voce.
Suo padre entrò prima che potesse aprire bocca. Le cinse la vita in un abbraccio e si baciarono sulle labbra dolcemente; le sussurrò qualcosa che la fece ridacchiare.
«Allora, avete finito di discutere?» chiese a entrambi.
Tabita spense i fornelli. «Non ancora. Rich…»
Il campanello suonò all’improvviso. Suo padre si offrì di andare ad aprire e… «Signor preside! Prego! Entri pure, si accomodi.»
Rich non fece in tempo a lanciare un’occhiata perplessa alla madre che Albus Silente in persona fece il suo ingresso in cucina, trovandosi davanti lui, che sputacchiò un altro sorso di succo, e una strega che arrossì visibilmente fino alle punte dei capelli.
Prima di affrettare qualche scusa e Materializzarsi.
Rimasero soli. Guardò il preside e fu ricambiato. «Le piacciono i vestiti babbani» disse infine, alzando le spalle.
Silente sorrise. «Devo ammettere che hanno fatto un notevole passo avanti, in fatto di comodità.»
«Preside, si sieda. Gradisce qualcosa da bere?»
«Ti ringrazio, Aldo. Ma per questa volta devo declinare la tua gentile offerta. In effetti, sono venuto per riferire una decisione del corpo insegnanti a Tabita.»
E “come” per magia, sua madre scese dalle scale vestita di tutto punto. «Eccomi, professore. Mi perdoni il disordine.» Riuscì a non balbettare d’imbarazzo nemmeno una volta.
«Oh, non devi scusarti in alcun modo. Sono io che ho scelto di disturbare a un orario insolito, e senza annunciarmi.»
«Non è una buona scusa per essere stata irricevibile. Mi dica.» Guardò severamente il marito e Rich. «Gli avete offerto qualcosa?»
«Tuo marito e tuo figlio sono stati molto cortesi» rispose Silente. «Ma, come ho detto, ho solo bisogno di riferire una decisione del corpo insegnanti. Visti i recenti trascorsi, abbiamo convenuto di sospendere la fornitura di Giratempo per gli studenti di Hogwarts.» A quelle parole, Rich raddrizzò le antenne.
Tabita intrecciò le mani. «Mi lasci indovinare: non c’è stato alcun consiglio in merito e lei non vuole dare alcuna scusante a Caramel per aizzare le voci contro di lei.»
«Mi leggi nel pensiero.»
Ciò la fece ridacchiare. «No, non è così. Non voglio adularla, ma sappiamo entrambi che lei ha un’intelligenza molto al di sopra della norma, e della mia. Riferirò alle persone giuste la sua decisione.» Poi si affacciò verso Richie, guardandolo in cagnesco. «Non è che hai usato uno di quei cosi per finire a Notturne Alley, vero?»
«Non so nemmeno cosa sia» borbottò, sulla difensiva.
«Oh, sono dei prodigiosi congegni che permettono di tornare indietro nel tempo di qualche ora. Molto utili per degli studenti ansiosi di frequentare più lezioni nello stesso momento. E oltremodo pericolosi, se usati avventatamente. Ho affidato ai direttori delle quattro case il compito di valutare se i loro protetti siano meritevoli e scienti dei rischi che comportano questi artefatti.»
«Ah, ho capito. Tipo la trama di Terminator ma più in piccolo.»
«Terminator?»
«Rich! Per l’amor del cielo! Smettila di citare ai maghi ogni film babbano che vedi!» ringhiò sua madre. «Lo scusi, professore. Devo ancora disciplinare questo ragazzo come si deve.»
Ma Silente sorrideva bonario. «Lungi da me intromettermi negli affari di famiglia, Tabita. In effetti, ci tenevo a cogliere l’occasione per rassicurarvi. Suo figlio ha dimostrato di essere un degno Tassorosso, quella famigerata notte a Notturne Alley. Se lui e il giovane Kiran non avessero scelto di trasgredire le regole della scuola, la vita del professor Piton sarebbe stata in grave pericolo. Sfortunatamente, l’Inquisitore supremo e il Ministro hanno convenuto di mantenere il riserbo su questo incidente.»
Tabita si voltò all’istante verso di lui. Aveva una faccia strana. «Davvero?»
Fu il turno di Silente, che lo fissò con uno sguardo penetrante.
«Ecco… Sì. I-Insomma, la Umbridge si è trattenuta a parlare con Dam, ma… Se non siamo stati espulsi, ci sarà un motivo. C-Credo…» All’improvviso il suo succo d’arancia divenne stranamente invitante.
Illuminandosi, sua madre guardò al marito. Si accorse che entrambi la fissavano. «E va bene! Forse ho un tantino esagerato.»
«Un tantino?» rincarò Richie.
«Ne hai combinate così tante che è un miracolo se ho ancora i capelli di questo colore.»
«È per questo che non ci sono dei mini-Richie che corrono in giro per casa?»
La battuta fece diventare i suoi genitori l’uno divertito e l’altra preda di un imbarazzo assurdo.
«In mia difesa, figliolo, non è che non ci ho provato.»
L’altra arrossì visibilmente più forte. «Vi sembra un argomento da sollevare quando il Preside di Hogwarts si trova nella nostra cucina?! Razza di scostumati!.»
Richie si limitò a guardare Albus Silente per una frazione di secondo. «Beh, io non torno a casa per parlare di scuola. E poi non è sempre stato vecchio. Insomma, se ho gli occhi vedo, se ho una lunga parlo, se ho un p…»
«RICHIE GALLAGARD!»
«Converrai sia saggio lasciare che certi argomenti rimangano nel privato, giovane Gallagard» disse il preside, riportando serenità con la sua sola voce. «Ma, nella tua schiettezza, hai sollevato una questione di estrema rilevanza: nulla accade senza una ragione. Come menti pensanti, naturalmente spinte alla curiosità, dobbiamo imparare a guardare oltre le apparenze. Se si vuole scoprire la verità.» Si girò, facendo frusciare la sua lunga veste. «Vi ringrazio per la vostra generosa ospitalità. Auguro a tutti e tre delle buone feste. E mi raccomando, signor Gallagard: non faccia tardi per il suo ritorno a scuola.»

 
*
 
Alma aprì la porta del bar, trovandosi davanti un locale completamente ricostruito. I tavoli erano lucidi e le sedie poste su di essi in modo ordinato. Il palco, il grande bancone dall’altro lato, erano di nuovo interi e le bottiglie occupavano i vani di legno alle spalle di suo padre come facevano un tempo.
«Tesoro!» La salutò lui, intento a pulire un bicchiere di vetro. «Bentornata.»
Alma si lasciò andare a un tiepido sorriso. Posò i bagagli in un angolo e si arrampicò sullo sgabello davanti a lui. «Grazie.» Attese, ma non ottenne altro che un sorriso luminoso da sotto il cappuccio che gli copriva il viso. «Dai, papà. Non fare il finto tonto. Chi ti ha aiutato a ripulire tutto il casino che c’era?»
«I ragazzi sono stati molto gentili. Hanno pattugliato le strade, il locale ha ripreso a funzionare in fretta e siamo riusciti a pagare per tempo. Direi che puoi stare tranquilla, tesoro.»
Assottigliò lo sguardo. «Per questo non mi hai scritto uno straccio di lettera? E perché ti nascondi la testa?»
«Non so come si usano questi gufi, lo sai! Sono un…»
Roteò gli occhi. «Papà! Non giochiamo.»
Duncan Rodriguez era un uomo grosso e muscoloso, con un passato tutt’altro che roseo alle spalle e nella pessima situazione di ritrovarsi babbano in una città di maghi. Aveva scelto di prendere il cognome della moglie e ritirarsi in latitanza nel mondo magico, ed era stato in quegli anni che l’aveva conosciuta. Alma non aveva mai osato chiedere se il loro fosse stato un colpo di fulmine, vista e considerata la setta di sbandati di nome “Mangiamorte” a cui, in passato, Ramona Rodriguez aveva aderito con tanta convinzione.
Questi sospirò e si lanciò il panno bianco su una spalla. «Senti, ho pensato che staccare per un po’ dai problemi del bar non sarebbe stata una cattiva idea, per te. Sei giovane. Sei un portento a cantare. Dovresti pensare al tuo futuro e socializzare con i ragazzi della tua età, non…»
«Andare in giro di vicolo in vicolo a sistemare chi crea dei problemi nel mio quartiere?» ribatté con asprezza. «Lo sai che la figlia degli stronzi che ci chiedono il pizzo ogni mese frequenta le mie stesse lezioni, sì? Fatichiamo già abbastanza per stare dietro ai loro ricatti, ci manca solo che mi lasci fuori.»
«Posso gestire gli Ollivander.»
Alma distolse lo sguardo con una smorfia di puro sarcasmo. «Certo, come no! Se la faranno sotto alla vista di un babbano, ci scommetto.»
«Ehi.» Duncan la indicò perentorio. «Non è il mio primo rodeo. Vivo in mezzo ai criminali da prima che tu nascessi. Maghi o non maghi, ho i miei metodi per far abbassare la cresta a qualcuno. Ma quando ci siamo trasferiti qui, io e tua madre ci siamo ripromessi di smetterla con queste cazzate.» E picchiettò il tavolo. «Abbiamo aperto questo posto per te. Perché potessi restare fuori da questo mondo, non per lasciarti giocare al capobanda insieme a qualche teppista da quattro soldi.»
«Avremmo dovuto andare a vivere un po’ più lontano, allora» borbottò con fermezza. «Senti, io non lo faccio perché mi va. Ci guadagniamo da vivere onestamente e non ho intenzione di cambiare idea, ma non possiamo chinare la testa davanti al primo stronzo che passa. Ci schiaccerebbero, e lo sai. L’hanno fatto con la mamma, e sappiamo come è andata a finire.»
Suo padre picchiò i pugni sul tavolo. «Non è tua la responsabilità di badare a questa comunità, Alma!»
«Lo è, invece» disse, con tatto ma risoluta. «Dobbiamo collaborare per sopravvivere, e i “teppisti” di questo quartiere, come li chiami, si fidano di me.»
Duncan scosse la testa. «Sei testarda come lei. Ma non sei lei. Sei nostra figlia, e sono tuo padre. È mio dovere proteggerti e Ramona sarebbe d’accordo con me.»
Era più accigliata che mai. «Papà, togliti il cappuccio.»
«Cosa?»
«Ho detto di toglierti il…»
La porta del bar si aprì all’improvviso. A seguire, il locale fu invaso da non meno di una decina di uomini.
Indossavano dei cappucci neri come le loro vesti, ma non erano Invasati. Le maschere a forma di teschio che gli nascondevano i lineamenti erano inequivocabili, e l’unico che li accompagnava a volto scoperto non era certo un tipo raccomandabile.
Rude Ollivander era un uomo imponente quanto Duncan. Il padre di Lucilla, nonché il Signore del crimine di Diagon Alley. Proveniva da un altro ramo della famiglia del famoso fabbricante, ma era un uomo di tutt’altra indole. Indossava come sempre un lungo mantello elegante, pantaloni in tinta con una divisa militare verde scuro, e un gillet di pregiata pelle di daino sopra di essa. Occhi smeraldini e un viso rasato di fresco, duro, squadrato, con un mento pronunciato e grande da sembrare una seconda bocca che digrignava i denti. I suoi capelli corvini erano tenuti in perfetto ordine con una riga laterale.
Attorniato dai Mangiamorte, quell’uomo appariva più minaccioso e solenne di quanto già non fosse. Legato alla cintura elegante che portava in vita, era assicurato il fodero di uno stocco antico.
Suo padre s’irrigidì. Alma, invece, trasformò il suo viso in una maschera di ghiaccio.
Lucius Malfoy apparve dalle spalle di Rude in tutta la sua eleganza signorile, trascinandosi pigramente sul bastone che celava la sua bacchetta. «Bene, bene. Rodriguez e figlia. Che quadretto interessante.» Il suo sorriso fu freddo, denso di malizia.
Scesa dallo sgabello. Alma azzardò un passo verso di loro e guardò i Mangiamorte duramente. «Dovrei sentirmi onorata, se i capi di due famiglie purosangue come le vostre sono venuti a farmi visita.» Rispose con un ghigno altrettanto velato. «Cosa volete? Mi pare di aver già pagato il mio contributo mensile.»
«Tu e i tuoi uomini farete un lavoro per noi» rispose Rude, con la solita voce profonda.
Incrociò le braccia al petto, Alma. La sua voce diventò dura come un sibilo raggelante. «E perché dovrei scomodarmi? L’accordo è chiaro: tieni i tuoi uomini alla larga dalle mie strade e io sarò più che lieta di pagare la tua tassa extra-lusso. Niente di più.»
«Cosa odo» disse improvvisamente un voce raschiante, come un sibilo metallico che ti entrava nel cervello. Fu orribile. «La figlia di Ramona ha carattere. Hai preso da tua madre, giovane Alma.»
Dovette torcere le mani a pugno per nasconderne il tremito. Preceduto dal sibilo di un enorme serpente, il locale sembrò cambiare colore diventando grigio, ostile, un luogo di paura. Non dovette indovinare a chi appartenesse il viso disumano che comparve dalla soglia.
Lord Voldemort entrò camminando con leggerezza, come se i suoi passi, nascosti dietro la lunga tunica verdastra che lo avvolgeva, scivolassero lungo il pavimento. Aveva un viso raccapricciante, scarno, la pelle pallida e viscida come quella di un rettile. Due occhi rossi splendevano di una luce crudele e le fessure che aveva al posto delle narici sfrigolarono dilatandosi leggermente.
Lottò strenuamente contro l’istinto che le urlava di scappare, di nascondersi, restando esattamente dov’era. Divenne di pura pietra. Ma anche spremendo ogni goccia della sua volontà, non poté restare indifferente davanti a lui. Sentiva il cuore battere all’impazzata, il sudore inumidirle le mani. Se avesse avuto uno specchio a portata di mano, il riflesso che avrebbe visto sarebbe stato paonazzo.
«E il suo padre babbano, nientemeno.» Il disgusto, il disprezzo insito in quelle parole, fece ridacchiare più di un Mangiamorte.
Voldermort tornò a concentrare la sua attenzione su di lei.
«Ti hanno parlato di me, presumo?»
Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata, ma sentirsi rivolgere quella domanda diretta le procurò un brivido lungo la schiena. La paura le stava facendo dei brutti scherzi, per un attimo la vista si offuscò e tutto il calore del suo corpo, quello sguardo predatore, sembrava quasi che gliel’avesse portato via.
Dovette sforzarsi per biascicare: «Sì…»
«Davvero eccellente» dichiarò, con un ampio sorriso senza labbra. «Tua madre era una strega assai fedele. Sono certo che hai il potenziale per esserne una degna erede. Mi dicono che possiedi un talento innato, è vero?»
Se avesse parlato probabilmente la sua voce sarebbe stata un insieme di squittii senza senso. Si limitò ad annuire, tenendo gli occhi bassi.
«Il Signore oscuro ti ha posto una domanda» ringhiò Rude Ollivander.
«Oh, non temere, Rude.» Sentirsi sollevare il mento da quelle unghie affilate le provocò i conati di vomito. Peggio fu doverlo guardare negli occhi e sopportare in silenzio il crescere di un terrore che le afferrò l’anima. «Sono certo che Alma si rivelerà una risorsa fedele. Dico bene, Alma? Ha solo bisogno… di una dimostrazione.» Voldemort sollevò la bacchetta.
Verso il bancone. «Avada Kedavra
L’anatema che uccide fu scagliato con un bagliore verdastro.
S’impedì di piangere, sentendo il corpo esanime di suo padre che cadeva. S’impedì di lasciar trasparire alcuna emozione, o lacrima. Gli occhi e la gola bruciavano, ma serrò le labbra e tenne a freno il terrore, l’odio, la disperazione. Voldemort, davanti a lei, sorrideva in modo perverso e disgustoso.
«Ora che abbiamo ripulito la stanza dalla… viscida presenza che respirava, veniamo a noi. Necessito dei tuoi uomini e dei tuoi talenti per un compito di estrema importanza. Vedi… i miei più fedeli sudditi hanno subito per anni nella tortura e la prigionia, senza che la loro fede verso il mio ritorno abbia mai vacillato. Ed io sono un signore misericordioso.» Il sorriso dell’Oscuro signore si allargò. «Chi meglio della figlia di Ramona, che ad Azkaban ha tragicamente perso la vita, dovrebbe essere colei che espugnerà una volta per tutte quella prigione? Lo farai per me, Alma?»
Avrebbe voluto sputargli addosso, maledirlo, ma era paralizzata dalla paura. «L-Lo… Lo farò.»
«Bene.» La carezza della dorso di quella mano viscida rischiò di far cadere la maschera che si era cucita addosso. «Molto bene. Dimostrami lealtà e… dimenticherò che una parte del tuo sangue è, come possiamo dire… guasta
Un suo cenno e tutti i Mangiamorte svanirono.
Presto fu il turno di Rude, poi di Voldemort insieme al suo serpente.
La lasciarono sola, in un locale improvvisamente silenzioso, sporco, come se il calore che aveva sempre respirato lì dentro si fosse corrotto.
Non seppe nemmeno come ci arrivò sullo sgabello, con quelle gambe malferme. Rimase distante, per un tempo indecifrabile, a guardare tutto e niente davanti a sé, le gambe e le mani che tremavano. Non voleva vedere il cadavere di suo padre, sapeva che se l’avesse fatto sarebbe crollata. E non poteva, non in quel momento.
Se avesse ceduto, i maghi e le streghe del quartiere avrebbero potuto agire impulsivamente e sarebbe stato peggio. Doveva rimanere salda. Doveva impedirsi di lasciare che la rabbia divampasse, e con essa le lacrime.
Si spogliò di ogni emozione, ignorando l’umido pungere delle lacrime che premevano per uscire.
«Dunque è lui il famigerato Tu-Sai-Chi.» Una voce alle spalle la fece sobbalzare.
Si girò, solo per trovarsi davanti un Invasato. No, non un Invasato. Dopo quel momento di debolezza, aveva riacciuffato in fretta la lucidità e deglutito. Aveva riconosciuto subito la presenza dell’Amato.
Sebbene, in questo caso, il suo nuovo ospite fosse una donna piena di tatuaggi sul viso e le braccia.
«Cosa vuoi?» domandò, con voce spenta.
«Gradivo parlare con te, Dolores Umbridge. O dovrei chiamarti Alma? Sapevo che prima o poi saresti tornata in questo posto. Qui mi hai sconfitto, e in quella biblioteca hai ripetuto l’impresa. Sono colpito.» Agitò all’improvviso la sua bacchetta nera e una pietra lì accanto divenne… suo padre.
Duncan era imbavagliato, spesse corde gli mordevano i polsi. I suoi occhi le imploravano di scappare, ma Alma rimase esattamente dov’era.
Se lui era lì…
«Sì, era un mio Invasato» precisò l’Amato. «Non è stato difficile rapire un babbano. Mi chiedevo se fosse stato il caso di nasconderlo e lasciare che uno dei miei uomini si fingesse lui. A quanto pare è stata una scelta utile.»
«Utile?» Poteva serbare per sé la paura, e il sollievo, ma il ribrezzo glielo vomitò addosso senza esitare. «Un tuo servitore è appena morto e ti compiaci per la riuscita del tuo bel piano?»
«Sì.» La sua semplicità fu disarmante. «Ognuno dei miei servitori, come li chiami, è ben consapevole dell’importanza della missione. Non mi avrebbero riesumato, altrimenti. Vedi, giovane Alma, la vita è la cosa più fragile che ci sia. Maghi, babbani, possono perderla all’improvviso. Se io non avessi rapito tuo padre, a quest’ora sarebbe lui l’uomo riverso dietro quel bancone.»
Si avvicinò con noncuranza, sedendosi sullo sgabello accanto al suo.
«Agli esseri che respirano sono concesse due strade: sopravvivere, protrarre più a lungo possibile quella… magia che in qualche modo ci rende vivi, o lottare fino all’ultimo respiro per qualcosa di più grande di noi. Nel nostro caso…»
«Il tempo» concluse lei, senza lasciarsi impressionare; ricordava ancora cosa aveva detto loro Damien.
«L’hai capito. Ebbene, posso immaginare lo sdegno di Glyn. Come se fosse il mio. Abbiamo versato lacrime e sangue per uccidere tutti i druidi del tempo. E il vostro… Ministero, come se nulla fosse accaduto, dona senza criterio oggetti di cui non comprende appieno il pericolo.» C’era una bottiglia di rum incendiario. L’Amato la incantò perché rovesciasse in un bicchiere quel liquore e prese un sorso. «La mia ira non si estinguerà finché anche solo una Giratempo sarà in loro possesso.»
Alma diede una fugace occhiata a suo padre, che cercava ancora di liberarsi dalle corde. «Tutto qui?»
«Perdonami?»
Adesso la mano non tremava più. Voldemort le faceva paura, per l’Amato… provò solo rabbia. «Hai creato tutti questi problemi solo per distruggere qualche Giratempo? Se Hogwarts, come dici, le ha ricevute, sono certa che il preside è più che consapevole dei rischi. Nessuno…»
«Puoi provarlo?» Non era furioso, semplicemente… calmo.
«Come?»
L’Amato si voltò verso di lei. Era serissimo. «Se fosse stato davvero tuo padre, il cadavere che giace lì a terra. Se io lo uccidessi in questo stesso istante, e tu avessi i mezzi per provare a fermarlo, non li useresti?» Ingollò rudemente il resto del rum. «Se tu avessi la facoltà di tornare indietro nel tempo e salvare tua madre, lo faresti? Sii onesta.»
«Sì.»
«Sappi che non ti biasimo. È suadente, vero, il semplice pensiero di cosa potresti fare se ci fosse concesso di rompere le regole degli dei. Salvare una persona cara, predire le mosse del tuo avversario, vincere una guerra scoprendo quando agire, e come. E ciò solo pensandosi. Immagina quanto possa crescere l’avidità, se effettivamente possedessimo questi talenti.»
«È per questo che non ce ne sono, sul mercato. Sono certa che il Ministero le consegni solo nelle mani giuste.»
«Mhm. Certamente. Molti druidi e… maghi hanno dimostrato di non cedere alle lusinghe delle pratiche oscure. E gli altri? La maggioranza. Le persone deboli, che si fregiano dei loro privilegi e che per mantenerli sarebbero disposti a entrare nelle grinfie di un folle? Pensa cosa potrebbe fare un uomo come Voldemort. O Gellert Grindelwald prima di lui.»
«E di te? Che mi dici?»
L’Amato sorrise. «Stai pensando alla persona che amo? La sto cercando, sì. In ogni volto che incontro, in ogni ricordo. Ci apparteniamo. Ma per quante regole degli dei abbia trasgredito, non mi avventurerei mai indietro nel tempo per ritrovarla.»
«Perché?»
«Il tempo, ragazzina, è un mostro. Si nutre delle nostre speranze, le consuma fino a cancellarne ogni traccia. Strappa ogni brandello della nostra carne finché la nostra stessa esistenza non diventa nulla.»
«Come te? Non è quello che fai con il tuo incantesimo?» replicò con tanto astio che suo padre emise un verso allarmato.
Ma l’Amato rise. «Può darsi. Ma sarebbe infinitamente più dolce. È come accasciarsi in una tormenta di neve, aspettando che il gelo ti avvolga nelle sue spire. Per un po’ sarà intenso, ma… dopo il primo bacio non proverai dolore o paura.» Si alzò con fluida eleganza. Un movimento della bacchetta e Duncan fu liberato. «Sconfiggermi per due volte è stato encomiabile, ragazzina. Ero curioso di conoscerti meglio, ora sono più felice che mai di aver salvato la vita di tuo padre.»
Alma rimase silenziosa.
Anche quando lui tese la mano. «Mi occorre un capello.»
Fu come se il suo cervello fosse riuscito ad afferrare, come un boccino, il significato di quella richiesta. Lasciandola esterrefatta. «Tu vuoi andare ad Azkaban al posto mio usando la pozione polisucco. Perché?»
«I Dissennatori riconosceranno che non c’è solo il Ministero. Saranno le mie spie per conto di questo… Tu-Sai-Chi, e tu», la indicò maliziosamente, «sarai in debito con me. Due volte, se non erro. Gli dei si devono divertire molto a creare questi intrecci del fato. Ma la prossima volta che ci vedremo, giovane druida, non sarò così generoso. Siamo ormai a Natale, direi che è tradizione scambiarci questo regalo.»
   
 
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