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Autore: Ghost Writer TNCS    16/04/2022    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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12. L’Araldo del Progresso

Nambera e gli altri orchi rimasti al campo videro da lontano il drago di Havard che si avvicinava. All’inizio avvertirono un velo di preoccupazione: i loro alleati erano forse stati sconfitti? Poi la preoccupazione si tramutò in paura quando capirono che non solo erano stati sconfitti, ma che avevano anche subito diverse perdite. Dei duecento guerrieri che erano partiti poche ore prima, se ne vedevano meno della metà, e anche il drago del figlio di Hel sembrava ferito.

Nambera non ci pensò due volte, prese la sua borsa con le medicine e corse incontro al suo protetto. Anche gli altri guaritori la imitarono, nella speranza di salvare qualche vita in più.

Gli occhi dell’anziana orchessa erano fissi su Havard e sul suo drago. Il giovane rettile volava con fatica e sembrava sul punto di collassare. Dentro di sé Nambera sapeva che non sarebbe arrivato al campo, ma quando lo vide precipitare fu comunque come una fitta al cuore. Provò a correre più in fretta, ma le mancava già il fiato e non poteva chiedere di più al suo vecchio corpo.

Quando finalmente raggiunse il drago, Havard era in ginocchio al suo fianco, il capo chino. Il pallido non sembrava ferito, non nel corpo almeno, ma la sua anima aveva subito colpi molto dolorosi.

Nambera si chinò al suo fianco, troppo affaticata per parlare. Non che sapesse cosa dire.

«È colpa mia» esalò Havard con voce incrinata. «Non avremmo dovuto attaccare Kandajan. Non ancora.»

Nambera lo strinse a sé. «Hai fatto ciò che ritenevi giusto. Le cose brutte succedono.»

«Questa volta sono stato io a farle succedere. Le persone che sono morte credevano in me. Il mio drago credeva di me. Ho tradito la fiducia di tutti.» Trasse un profondo respiro, poi si alzò in piedi. Guardò ciò che restava dei suoi uomini. «Tu occupati dei feriti, io devo parlare con i capitani.» C’era determinazione nella sua voce, ma Nambera sapeva che il suo dolore non era svanito. «Non so se hanno altri draghi a Kandajan, in ogni caso potrebbero decidere di inseguirci sui monoceratopi.» Poggiò la mano sul collo immobile del suo giovane destriero. «Non perderò altri uomini oggi.»

Dei sei leader militari partiti per la missione, solo quattro si presentarono davanti a lui per fare rapporto. La sconfitta aveva spezzato il loro morale – e forse la loro fiducia in Havard – per questo il figlio di Hel doveva dimostrarsi risoluto e con la situazione sotto controllo.

«Ho visto Saman che si allontanava con i suoi guerrieri dopo l’attacco degli inquisitori» affermò il pallido. «Qualcuno di voi ha visto Dah’rui?»

Gli altri scossero il capo.

«Mancano anche molti dei suoi guerrieri» sottolineò Reton. «Forse è stato ucciso.»

«Morto o disertore, temo che al momento non faccia differenza. Per adesso ci fermeremo al campo, quindi la vostra priorità è controllare le vostre squadre per sapere quanti guerrieri abbiamo e quanti di questi sono in grado di combattere, lo stesso vale per i monoceratopi. Reton, tu dovrai occuparti anche dei guerrieri di Saman e Dah’rui. Endo, voglio che mandi due dei tuoi verso Kandajan per avvisarci nel caso il Clero ci stia inseguendo.»

Tutti quanti annuirono.

«Fate in modo che i feriti si riposino, domattina ci metteremo in marcia verso Riyahsa. Potete andare.»

Di nuovo i quattro capitani annuirono e si allontanarono.

Durante il resto della giornata il campo si rivelò più silenzioso del solito. Nessuno aveva voglia di parlare ad alta voce, al contrario c’erano piccoli gruppi che bisbigliavano tra loro. Havard poteva avvertire i semi del dissenso che serpeggiavano tra le tende, per questo ordinò ai cuochi di preparare il miglior banchetto possibile con le provviste rimaste.

«Avremo anche perso una battaglia, ma questa non è la fine!» esclamò il pallido davanti ai suoi. «Abbiamo respinto due inquisitori, e voi siete tutti qui per raccontarlo. Kandajan può aspettare: presto o tardi cadrà comunque sotto il nostro controllo.» Sollevò il suo boccale di birra. Era un rischio concedere ai suoi uomini di bere, ma il Clero non si era visto per tutto il giorno, e preferiva perdere quei soldati piuttosto che farli rivoltare contro di lui. «Alla sconfitta degli inquisitori! E al nostro regno! A noi!»

«A noi!» gridarono in coro i guerrieri, prima di scolare i loro boccali.

Grazie all’alcol, il chiasso del banchetto soffocò i sussurri della giornata, ma Havard non si abbandonò alla birra e rimase in allerta per tutta la notte. Un po’ per controllare l’umore dei suoi uomini, un po’ per essere pronto ad agire in caso di attacco, e un po’ per riflettere sul futuro del suo regno.

Non sapeva se la presenza degli inquisitori fosse stata una coincidenza o se fosse stata pianificata. E in quest’ultimo caso, erano stati gli dei a mandarli lì, o l’assassina di sua madre aveva avvertito il pericolo e aveva chiamato rinforzi? In ogni caso doveva tornare a pensare a lungo termine. Era stato avventato una volta, ma non avrebbe ripetuto lo stesso errore.

Il mattino seguente Havard e i suoi si rimisero in marcia più tardi del previsto, in ogni caso gli esploratori non riportarono nessuna traccia dei soldati del Clero. Evidentemente la priora di Kandajan preferiva difendere la sua città piuttosto che affrontarli in campo aperto.

In compenso un piccolo gruppo di guerrieri aveva fatto il suo ritorno: erano fuggiti in un’altra direzione durante il caos della battaglia, ma dopo essere rimasti nascosti per la notte avevano deciso di dirigersi al campo nella speranza di trovare ancora qualcuno.

«Sono felice che ce l’abbiate fatta» li aveva accolti Havard, e anche loro si dimostrarono sollevati dal fatto di non essere stati abbandonati.

Non ci volle molto per raggiungere Riyahsa, ma l’accoglienza degli abitanti fu molto diversa da quella che Havard si aspettava. La volta precedente il capovillaggio lo aveva accolto con tutti gli onori, entusiasta di unirsi al suo regno, ora invece aveva fatto sbarrare il portone e sulla palizzata si vedevano numerose sentinelle.

«Suhgan, cosa significa tutto questo?» intimò il pallido.

«Vattene! Non vogliamo avere niente a che fare con te!» gridò il capovillaggio, un orco abbastanza robusto dalla carnagione verde bluastra.

«Questo villaggio fa parte del mio regno» gli rammentò il figlio di Hel con voce autorevole. «Se non ti sta bene la mia presenza, sei tu che te ne devi andare.»

«Tu non capisci! C’è stata un’apparizione! Nergal è apparso in sogno ad alcuni fedeli! Sei già stato sconfitto a Kandajan; se ti diamo ascolto, il Clero ci ucciderà tutti!»

Al sentire quelle parole, Havard rimase un attimo in silenzio. Dunque gli dei si erano decisi a fare la loro mossa, e come prevedibile, il timore verso di loro aveva spazzato via le ambizioni per il progresso.

Senza dire nulla sollevò il suo bastone e usò la magia di putrefazione contro il pesante portone di legno.

«Bah’soit» chiamò il pallido.

Il troll avanzò al suo fianco.

«Buttate giù il portone.»

Il troll annuì e chiamò i suoi simili. Bastarono pochi colpi delle loro imponenti mazze per sfondare l’ingresso, a quel punto Havard poté fare il suo ingresso insieme ai soldati.

Il capovillaggio Suhgan e i suoi uomini si riunirono davanti a loro. Erano in netta inferiorità numerica, ma il figlio di Hel notò che anche gli altri abitanti stavano impugnando attrezzi e altre armi di fortuna. Non che avessero qualche speranza contro i suoi cento guerrieri.

«Hai detto che a Kandajan siamo stati sconfitti» sottolineò Havard, fiero e autorevole sul suo imponente monoceratopo. «Secondo te abbattere due inquisitori è forse una sconfitta? La verità è che la priora di Kandajan era pronta a sacrificare centinaia di innocenti pur di salvarsi. Sì, ho rinunciato ad assediare la città, ma lo sai perché l’ho fatto? Perché, al contrario di voi, so cosa vuol dire sostenere un assedio lungo settimane, se non addirittura mesi.» Non era la piena verità, ma era la sua verità, e tanto doveva bastare ai presenti per accettarla. «Ma soprattutto sappiate questo: se il Clero avesse voluto – o potuto – uccidervi, lo avrebbe già fatto.» Osservò con occhio severo gli abitanti del villaggio. «Ora, deponete le armi, e la mia promessa di progresso e prosperità resterà valida. Tranne che per te» ci tenne a precisare puntando il suo bastone contro il capovillaggio. «Tu mi hai tradito, e per questo morirai.»

Suhgan stava per ribattere, ma Havard lo zittì afferrando la sua anima.

«Attento a ciò che dirai. Non condannare anche tutta questa brava gente.»

Solo dopo questo ulteriore ammonimento, il pallido lasciò andare l’orco, che cadde a terra tossendo.

Suhgan ci mise alcuni lunghi secondi per riprendersi, ma a quel punto aveva capito perfettamente la situazione in cui si trovava: a causa dell’affermazione del pallido, gli restavano solo due alternative: arrendersi e morire, o combattere e apparire come l’egoista responsabile di una battaglia inutile.

«Tu ci condannerai tutti» esalò.

«Solo quelli che si oppongono a me.»

Con queste ultime parole, il figlio di Hel evocò l’incantesimo di putrefazione e il corpo del capovillaggio cominciò a decomporsi. Il malcapitato urlò di dolore mentre le sue carni si scioglievano, per l’orrore di tutti presenti. Havard avrebbe potuto ucciderlo in modi molto più rapidi e indolori, ma voleva lanciare un chiaro messaggio: questa era la fine che attendeva i suoi nemici.

Solo quando il capovillaggio cadde a terra, completamente putrefatto, il figlio di Hel si decise a parlare.

«Abitanti di Riyahsa, ora non siete più vincolati a quel leader codardo ed egoista. Se davvero avete troppa paura del Clero per pensare al futuro, allora vi esorto a combattere come se ne andasse della vostra vita, perché non avrò pietà. Se invece nutrite ancora speranza per un mondo migliore, allora unitevi a me e realizzatelo!»

Nel silenzio che seguì, gli abitanti si scambiarono occhiate dubbiose e piene di timore, cominciando a parlottare fra loro con un filo di voce.

Havard intanto si voltò verso i suoi guerrieri. «Endo, tu e i tuoi uomini dovete recuperare le provviste necessarie a raggiungere la prossima città. Non di più.»

«Sarà fatto» annuì l’oni.

«Gli altri capitani e Vayam-fadir invece avranno un altro compito.»

I tre leader militari e il goblin a capo dei fabbri-alchimisti si fecero avanti.

«Distruggete tutti i templi del villaggio. E se qualcuno prova a opporsi, uccidetelo.»

Un’ondata di esclamazioni sconcertate si sollevò dagli abitanti, e un velo di malcontento si diramò anche tra i suoi soldati. La stessa Nambera, che si era sforzata di rimanere impassibile davanti all’agonia del capovillaggio, non riuscì a mascherare il suo stupore e la sua preoccupazione.

«Non ammetterò repliche!» esclamò Havard battendo il suo bastone. «Gli dei sfruttano le vostre preghiere e le vostre paure contro di voi! Vi ho già detto che se davvero volete il progresso, allora non potete affidarvi alle preghiere, ma dovete realizzarlo con le vostre mani!» Indicò il cadavere dell’ormai ex capovillaggio. «Questo è quello che succede a chi si affida agli dei! Dove sono gli dei adesso?! A cosa sono servite le sue preghiere?! A niente! Voi siete la vostra forza, non gli dei! È giunto il momento di lasciarvi il passato alle spalle e di prendere in mano il futuro! Perché se non lo farete, verrete schiacciati. Non da me. Ma dal mondo intero, che di certo non si fermerà ad aspettarvi!»

Vedeva la paura negli occhi degli abitanti, ma quello shock era necessario per convincerli ad abbandonare ciò in cui credevano e ad abbracciare i suoi ideali.

«Chi di voi ritiene di essere in grado di guidare questo villaggio come merita, si presenti da me tra un’ora. E ora muoviamoci!» Fece avanzare il suo monoceratopo e la folla si aprì al suo passaggio. «C’è molto da fare.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In realtà questa volta non voglio fare nessun commento, ma preferisco lasciarvi pensare con la vostra testa ;D

Piuttosto vi auguro buona Pasqua e vi lascio i link ai disegni di Nora Linch e del commissario Mantina (apparse in La frontiera perduta).

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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