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Autore: e m m e    16/04/2022    1 recensioni
Quando scopre la possibile esistenza di un serial killer che abbandona cadaveri in giro per la sua città, Spider-Man inizia ad essere ossessionato dall’idea di trovarlo. Ha così inizio una caccia senza tregua per cui Peter non è psicologicamente pronto né tecnicamente preparato, e per la quale l’unico supporto incondizionato lo riceve dall’unica persona che è sempre stata pronta a darglielo: Deadpool.
Peccato che, per i due vigilanti, gli anni di lotta inizino a farsi pesanti, le spalle a piegarsi, le ragnatele a spezzarsi, i sentimenti a sfilacciarsi e il cuore… a non reggere.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Deadpool, Peter Parker/Spider-Man
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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11. Sono fuori di testa, ma diverso da loro

Peter volteggiò in modo così rapido tra un grattacielo e l’altro che ad un certo punto dovette fermarsi, appendersi a un lampione e tirare il fiato per scacciare un giramento di testa che era sì dovuto all’esercizio fisico appena svolto, ma anche alla stanchezza che non lo abbandonava da giorni, e che qualche ora di sonno nel letto di Deadpool non avevano certo portato via.

Si guardò attorno, chiedendosi quanto tempo poteva avere a disposizione prima che Ned mangiasse la foglia, o Weasel collegasse a sua volta le rapine alle farmacie con quel misterioso appartamento abbandonato. Conoscendo entrambi, non molto.

«Karen» fece a mezza voce, respirando a bocca aperta. «Quanto manca alla destinazione?»

«Ciao Peter. La destinazione che hai inserito dovrebbe essere alla tua destra, al prossimo incrocio.»

Be’, perfetto. Il ragazzo si umettò le labbra, assaporando il sale del proprio sudore. Dentro di sé non aveva idea di quello che avrebbe trovato, né di quello che avrebbe fatto.

«Vuoi che chiami dei rinforzi, Peter?»

«No!» si affrettò a rispondere lui.

«Il tuo battito cardiaco è accelerato.»

«Ho appena attraversato mezza New York correndo come un pazzo» protestò lui, come se si stesse giustificando con una persona in carne ed ossa. Matt avrebbe probabilmente detto la stessa cosa, si fosse trovato lì con lui come Peter aveva promesso a Ned. E invece c’era solo la sua AI a trattarlo come un bambino.

Riprendendo fiato, Spidey percorse gli ultimi metri che l’avrebbero portato di fronte al palazzo incriminato e non si stupì più di tanto quando si ritrovò in uno spiazzo desolato, tre grattacieli superstiti circondati da gru, ruspe e detriti. Era una zona di New York che Peter non bazzicava, ma sapeva che era stata inserita in un progetto di sanificazione e ricostruzione. E a giudicare dai palazzi che si trovava davanti, be’, ce n’era un discreto bisogno.

Tutti e tre i grattacieli erano scuri, addormentati. Niente vestiti appesi alle finestre, niente piante sui minuscoli balconi, niente luci accese – era giorno, è vero, ma era anche una giornata grigia e nebbiosa, quindi se fossero state case abitate qualche luce sarebbe stata accesa. Peter fu costretto ad emergere dalla giungla del traffico che lo proteggeva e si addentrò nel cantiere aperto. Doveva esserci davvero stato qualche ostacolo a bloccare le demolizioni, perché la zona era praticamente deserta, nonostante fosse un normale giorno lavorativo. Meglio così: se si fosse messa male Spidey sarebbe stato sicuro di poter contenere i danni ed evitare inutili feriti tra i civili. Inoltre, la sola presenza di Brett gli avrebbe permesso di concentrarsi esclusivamente su di lui, cosa che intendeva fare al meglio.

Si assicurò di aver scelto il palazzo giusto da scalare e si apprestò a iniziare l’ispezione. I suoi sensi di ragno erano silenziosi, tranquilli come se stesse facendo una passeggiata in un prato, quindi ne dedusse che Brett non doveva essere a casa. Si maledisse un paio di volte per non aver chiesto a Ned a quale piano si trovasse l’appartamento, ma poco male: l’avrebbe trovato.

Sbirciò all’interno di case grigie, alcune svuotate del tutto, altre con la carta da parati che pendeva floscia dai muri, lampadine nude che penzolavano dal tetto, mobilia mezza sfasciata abbandonata negli angoli. C’erano finestre rotte, porte sventrate, lavandini di ceramica fatti a pezzi negli angoli di bagni pieni di muffa. Arricciò il naso, chiedendosi come avrebbe mai fatto una persona sana di mente a istallarsi in un buco del genere, ma ad essere davvero onesto con sé stesso, quando era andato in cerca di appartamenti assieme a Ned avevano visto posti peggiori.

I suoi sensi di ragno gli diedero una leggerissima scarica elettrica quando passò accanto a una finestra ricoperta di carta di giornale. Peter si fermò, mani e piedi ben piantati sui mattoni scoscesi, la testa piegata di lato per captare il minimo rumore. A parte il traffico sotto di lui, c’era ben poco altro da udire.

Girò attorno a quel particolare appartamento, cercando uno spiraglio nel giornale che bloccava la vista, ma era abbastanza sicuro di aver appena fatto jackpot. Dopotutto, quello era l’unico gruppo di finestre che qualcuno si era preoccupato di oscurare, e Peter era in quel campo da troppo tempo per credere davvero alle coincidenze.

Per sua fortuna trovò una piccola crepa nella carta di giornale e riuscì a sbirciare all’interno. Era tutto buio, ma riuscì comunque a notare dei resti di un pasto su un tavolo. Un pasto ancora abbastanza fresco. Attese qualche altro secondo, aspettandosi che i suoi sensi gli comunicassero l’arrivo di un pericolo, ma niente si mosse.

Peter sollevò il bordo esterno della finestra e penetrò nell’appartamento di Brett.

L’odore non era terribile come aveva immaginato, ma il tanfo di chiuso e di sangue era difficile da non notare. Le stanze erano due, una grande e ampia che comprendeva salotto e cucina, l’altra minuscola, con un materasso buttato al suolo e coperte sporche ammucchiate contro il muro. Peter diede un’occhiata lì, ma non trovò niente di anomalo, poi entrò nel resto dell’appartamento.

La cucina era stata trasformata in un minuscolo laboratorio. Bombole a gas riposavano in un angolo del salotto, sia piene che vuote. C’erano alcuni fornelli da campeggio, più grandi e più piccoli, provette, grafici appesi alla parete, libri di anatomia sparsi al suolo, oggetti medici che brillavano sul tavolo, medicine allineate dentro ai pensili privi di ante. Non c’era quasi niente di decente da mangiare, poca roba in scatola, bottiglie di bibite gassate. Quando Peter aprì il frigorifero – ovviamente spento – dovette reprimere un conato di vomito, ma chi voleva imbrogliare? Era esattamente quello che stava cercando. Quello che si aspettava di trovare.

Allineati dentro barattoli di quella che poteva essere benissimo formaldeide, stavano tre cuori.

Eh, pure un collezionista.

Viste le dimensioni e lo stato di conservazione, Peter immaginò che fossero i cuori dei fratelli Spencer e quello di Fred Johnson. Oltre a quello di Abby, mancava ovviamente quello di Wade e il ragazzo fu attraversato da un brivido disgustato all’idea di dove potesse essere Brett, di cosa stesse facendo col cuore di Deadpool in quell’esatto momento.

Era evidente che Brian non usasse il posto dove viveva come luogo dei suoi… trapianti? Come chiamarli? Ma la cosa non stupì Peter: aveva ben chiaro di non star avendo a che fare con un idiota.

Si chiese che cosa fare. Si domandò molto seriamente se non fosse stato lui, l’idiota. Lui, che aveva deciso di addentrarsi in quella follia tutto da solo, perché lo sguardo di Wade alla notizia della morte dell’ennesima ragazzina gli aveva attorcigliato lo stomaco, strappato via ogni refolo d’aria dai polmoni. Non era mai stato così tanto emotivo prima di allora, ma quell’intera faccenda aveva preso una parte di lui, l’aveva accartocciata e lanciata dall’altra parte della stanza. Deglutì a vuoto e fu allora che i suoi sensi di ragno gli spaccarono la testa in due. Livello di pericolo: uragano imminente.

Fece appena in tempo a spostarsi di lato, agendo puramente per istinto, quando una massa indistinta dai bordi sfocati sganasciò la porta via dai cardini e gli si gettò addosso. Se Peter non fosse mai stato morso da quel ragno, probabilmente Brett gli sarebbe passato attraverso come un grosso proiettile umano, spiaccicandolo contro i muri di un appartamento cadente.

«Invasione di proprietà privata, Spider-Man? Eppure mi avevano detto che eri un eroe.»

Peter si voltò verso il punto in cui proveniva la voce, lanciando un paio di ragnatele che si appiccicarono al muro e staccarono via parte della carta da parati a fiori assieme a un po’ d’intonaco. Brett si era già spostato, così veloce che per Peter fu impossibile notare il suo movimento.

Se lo ritrovò dall’altra parte della stanza, le mani bene in vista nel segno universale di resa. Teneva sotto il braccio due contenitori, uno simile a quelli che Peter aveva visto nel frigo. Al suo interno un piccolo cuore deformato dal liquido giallastro sembrò occhieggiare il vigilante con fare sarcastico. L’altro contenitore era più professionale, chiuso ermeticamente. Probabilmente rubato in qualche ospedale in cui si facevano trapianti.

Non ci voleva un genio per capire che lì dentro era conservato il cuore di Wade.

Peter non seppe nemmeno perché, ma la sola idea lo mandò fuori di testa.

Con un suono che era a metà tra un ringhio e un gemito lanciò di nuovo una scarica di ragnatele, sperando di bloccarlo contro il muro e farla finita così, ma di nuovo Brett si spostò così rapidamente da far volare in giro una serie di appunti che caddero tra di loro come enormi fiocchi di neve. Non lo stava attaccando, ma Peter aveva la netta sensazione che stesse solo cercando di proteggere i suoi tesori sanguinolenti.

«Smetti di muoverti come una trottola» sbottò voltandosi nel nuovo angolo occupato dall’uomo. Ora che lo guardava bene riusciva a vederne i tratti giovani sotto la barba di qualche giorno. Aveva lunghi capelli neri raccolti sulla testa in una coda scomposta, gli occhi scuri e cerchiati, i lineamenti marcati, ma affilati, come se non mangiasse a sufficienza. Ed era estremamente pallido. Coperto da capo a piedi da abiti scuri, per Peter fu impossibile giudicarne la stazza, ma gli sembrò molto magro. Quando lo vide stringersi la mano libera contro il petto e trattenere un’espressione dolorante, si rese conto di quanto malato sembrasse.

Avrebbe dovuto provare pena per lui, avrebbe dovuto simpatizzare. Avrebbe dovuto perdonare, aiutare, comprendere… e invece riusciva solo a pensare agli occhi sgranati sul nulla dei fratelli Spencer; a quanto Julia gli aveva ricordato Morgan, coi suoi ricci scuri, i suoi sorrisi pronti, gli occhi uguali a quelli del padre. Riusciva a pensare solo a come si era sentito quando aveva capito che il serial killer a cui stavano dando la caccia aveva preso Wade, l’aveva portato chissà dove. A quanto si era sentito stupido per non averci pensato: se il suo target principale erano i mutanti con abilità di guarigione, chi meglio di Wade Wilson per sperimentare le sue stronzate?

Quell’uomo davanti a lui gli ispirava di tutto, tranne che della pietà.

«Vorrei obbedire, Spider-Man, ma sarebbe come smettere di respirare. Un po’ come se ti chiedessi di smettere di lanciare le tue ragnatele e fare parkour tra i grattacieli di questa fogna di città. Un grande no-no, per te, vero?» La sua voce era sottile, quasi acuta, ma il suo tono era canzonatorio, per nulla allarmato. Evidentemente non gli importava di essere stato beccato.

Posò lentamente i due barattoli sulla prima superficie piana che trovò e Peter ne seguì i movimenti. Aveva delle dita molto lunghe, dinoccolate. Se le immaginò mentre aprivano il petto a Wade, gli strappavano il cuore, lo lasciavano lì a morire. Il suo primo impulso fu quello di rompere ogni singolo dito delle mani di Brett e per la prima volta ebbe paura di sé stesso. Di quello che avrebbe potuto fare.

«Dimmi, Spider-Man. Gira voce che anche tu abbia un buon fattore di guarigione…» il suo tono era interessato, come quello di uno studente che fa una domanda a un professore. «Mi chiedo se riusciresti a resistere quanto il tuo compare. Ti confesso che sono rimasto impressionato: non ne voleva sapere di schiattare e le ossa continuavano a ricomporsi. Una vera fatica.»

«Perché?» domandò Peter a quel punto, il tono roco di chi si sta trattenendo a malapena. Sapeva che avrebbe dovuto cercare di catturarlo, di renderlo inoffensivo, ma sapeva anche che il minimo movimento verso di lui avrebbe indotto Brett a spostarsi a velocità supersonica. E per quanto i suoi sensi di ragno fossero potenti, non erano in grado di avvertirlo in tempo ogni singola volta.

Lo vide stringersi nelle spalle. «Hai mai visto qualcuno come Deadpool? Quel suo cuore è ancora vivo, in un certo senso. L’ho infilato nel petto di quella ragazza, l’ho visto che cercava di aggrapparsi a lei come un parassita. Affascinante e disgustoso allo stesso tempo: ogni cellula continua a rigenerarsi. Penso che ci sia un limite, ovviamente, ma mi chiedo se non potremmo creare un secondo Deadpool a partire dal suo cuore. Dopotutto il cuore è l’organo più potente che possediamo.»

«Dimentichi il cervello» esalò Peter, il sapore di bile sulla lingua. Voleva prenderlo a pugni fino a ridurlo a una poltiglia sanguinolenta.

«Ah… e suppongo che sia stato il cervello a portati qui da me tutto solo. Non certo il tuo cuore.»

«Sei uno scienziato? O un poeta? Niente di personale, ma mi sembra che tu faccia schifo in entrambe le professioni.»

Brett gli rivolse un sorriso storto, distante. Per la prima volta Peter si rese pienamente conto di quanto fuori di testa fosse. «E a me sembra che ci sia molto di personale, Spider-Man.»

E con quello si gettò contro di lui a grande velocità. Niente di supersonico, niente di esagerato. Peter riuscì a vederlo discretamente bene, riuscì a parare un pugno con facilità, ma la velocità dell’impatto lo fece arretrare di qualche passo, l’avambraccio scricchiolò sotto la violenza del colpo. Non si trattava di super forza, ma la velocità rese il colpo violento.

Le dita di Brett si piegarono sotto la forza della sua stessa aggressione, le orecchie ipersensibili di Peter captarono almeno tre fratture e quando l’uomo si fece indietro, rapido e scattante, lo vide portarsi la mano al petto per qualche secondo. Ma il suo fattore di guarigione non doveva essere male, visto che pochi attimi dopo era di nuovo su Spider-Man, aggressivo, rapido come un serpente e altrettanto velenoso.

Peter scartò di lato, il punto d’impatto che diventava insensibile. Se il pugno l’avesse preso in piena faccia probabilmente gli avrebbe fratturato lo zigomo.

Forse, forse, aveva sottovalutato la situazione.

«Vediamo se riesco a piazzare il cuore di Deadpool nel petto di Spider-Man, eh? Che dici? Se funziona poi tocca a me! Se non funziona… be’, ho tutto il tempo del mondo per provare. E riprovare! E riprovare ancora!»

Peter cercò di nuovo di imprigionarlo con una ragnatela, questa volta diretta ai suoi piedi. «Tutto il tempo del mondo? L’intera città ti sta cercando. Quanto tempo pensi che ti rimanga?»

Brett saltò sul piano cottura in disuso, schivando la ragnatela senza problemi. «Il tempo necessario: io viaggio su un treno ad alta velocità, Spider-Man. Da ragazzino volevo essere come te, volevo salvare la gente. Ma non c’è mai stato nessuno che volesse salvare me.»

Peter si asciugò una lacrima immaginaria. «Oh, bhoooo» esclamò mentre si lanciava su di lui, pronto a fare tutto il necessario per impedirgli di fare ancora del male alle persone che amava.

Con sua sorpresa Brett non si spostò abbastanza in fretta, Peter riuscì ad assestargli un colpo alla testa che perse di potenza, visto che comunque l’altro si era schivato. Per un attimo rimasero entrambi a mezz’aria, poi rotolarono a terra, l’uno sull’altro. Peter gli mise una mano sul petto per cercare di spingerlo via oppure colpirlo di nuovo, una delle due. Il battito di Brett era una sequela di sussulti scomposti, una danza frenetica senza capo né coda. Per un attimo il ragazzo né fu sconvolto, ma quando un pugno ben assestato lo beccò in piena bocca fu costretto ad ammettere che la condizione dell’uomo sopra di lui non gli avrebbe impedito di lottare senza riserve.

«Fammi vedere com’è fatto il tuo cuore, Spider-Man! Un cuore è come un’impronta digitale… ognuno ha il suo, ognuno batte per qualcosa, per qualcuno.» Ansimava, ma non smetteva di parlare tra un colpo e l’altro. Peter lo prese per una spalla, lo scagliò contro il muro. Brett non lo raggiunse mai, i suoi piedi trovarono appiglio a terra, si spostò come il vento alle spalle di Peter, un sorriso bianco che svaniva nell’aria. I sensi di Spidey fecero a malapena in tempo a dirgli di abbassarsi, che il ragazzo riceveva un calcio nello stomaco. «Qualcosa mi dice che il cuore di Deadpool funzionerebbe alla grande dentro di te. Super poetico. Lo sai che la gente vi shippa, online? Tutto quel saltellare insieme di tetto in tetto ha fatto venire strane idee ai tuoi fan.»

«Che cazzo stai dicendo?!» ansimò Peter cercando un punto fisso, un qualcosa a cui aggrapparsi per riprendere fiato. Gli era chiaro che Brett avrebbe voluto averlo sul suo tavolo da chirurgo, che non lo avrebbe mai ucciso prima di procedere a quell’assurdo trapianto di organi. Ma aveva un labbro spaccato, almeno un paio di coste incrinate, la testa gli ronzava per quanto i suoi sensi di ragno gli ululavano nel cervello e ogni minuto che passava riusciva solo a pensare a Wade.

«E se funziona su di te, sono sicuro che funzionerebbe anche su di me. Mi basterà riacchiapparlo e rioperarlo. Deadpool è come una fabbrica infinita di pezzi di ricambio.» Emise una risatina stridula, forse ignaro di quando la faccia di Peter fosse disgustata. «Strano che nessuno ci abbia mai pensato.»

«Smetti di parlare così!» gridò Peter incapace di ascoltare un’altra parola. Si lanciò in avanti, atterrò con tutta la sua superforza sopra di lui, lo colpì al volto, lo colpì al petto. «Smettila! Smettila!!»

«Ah» ansimò Brett, cercando di difendersi. «Allora forse fanno bene a shipparvi.»

Era come se niente lo toccasse, come se il dolore fisico fosse del tutto ininfluente per lui, come se l’unica cosa che gli importasse fossero quelle mostruosità immerse nella formaldeide.

Peter si sollevò la maschera sotto il naso, perché si sentiva sul punto di vomitare e non voleva vomitarsi in faccia, ma la sensazione di nausea non gli impedì di lanciare una ragnatela alla porta del frigo, strapparla via dai cardini e far cadere a terra, uno dopo l’altro, i barattoli di vetro. Si infransero al suolo quasi in contemporanea, una cacofonia di vetro rotto e il rumore viscido di tre pezzi di carne che si spiaccicano a terra.

Finalmente vide una sembianza di orrore nei lineamenti dell’uomo che stava cercando di ammazzare.

Perché, inutile illudersi, inutile prendersi in giro. Spider-Man non era andato lì per acchiappare il criminale, quella volta. Spider-Man non aveva risparmiato sui pugni, non aveva trattenuto la sua superforza, aveva mirato agli occhi con le ragnatele, aveva colpito al petto, dove sapeva essere il punto debole del nemico.

Spider-Man aveva ufficialmente smesso di essere amichevole.

«No!» ululò Brett, sputacchiando sangue e saliva, rivoltandosi, cercando di arrancare verso i suoi terribili trofei. «No! Cos’hai fatto?! No!!»

Poi Peter lo vide scrutare con disperazione il punto in cui aveva lasciato il contenitore col cuore di Wade, lo vide alzarsi sulle quattro zampe, scuotere la testa fradicia di sudore, bagnata di schizzi di formaldeide, e correre poi verso il suo ultimo tesoro, la sua unica speranza di tornare a funzionare. Il suo pezzo di ricambio, come l’aveva chiamato.

Lo bloccò con una ragnatela che gli immobilizzò le gambe. Brett cadde in avanti, sbatté la testa contro il bordo del piano della cucina. Il suono fu simile a quello fatto dai cuori che erano caduti a terra, un rumore a metà tra uno scricchiolio e qualcosa di molle che viene sbattuto contro il muro. Lo stomaco di Peter rischiò di rivoltarsi di nuovo. Quante volte era stato sul punto di vomitare, quel giorno?

Brett si tirò su di nuovo, gli occhi ancora fissi sul contenitore, come fosse la sua unica ancora di salvezza, come se non potesse pensare ad altro. «No…no» bisbigliò col sangue che gli colava dal naso, dalla bocca. Arrancava ancora, inarrestabile, ma lento, così lento.

Si sistemò con le spalle al muro, una mano sollevata come a chiamare a sé il suo tesoro di carne e sangue. Peter gli fu davanti in due secondi, disgustato. Lo sollevò da terra senza complimenti e per un attimo si fissarono negli occhi, Spidey attraverso le lenti della sua maschera, Brett attraverso quelle della follia.

«Non mi fermerò, Spider-Man» gli confessò Brian in un sussurro esausto. «Se posso guarire, non mi fermerò mai.»

Peter osservò le proprie mani che si allungavano in avanti come prese da una volontà propria, le vide che si stringevano attorno alla gola dell’uomo di fronte a lui, che si chiudevano come una morsa, una stretta infrangibile. Avrebbe potuto spezzargli il collo come uno stuzzicadenti, ma si limitò a impedire all’aria di entrare.

Per un attimo ci fu solo il silenzio rotto dal raspare affannato delle dita di Brett che cercavano di rompere la stretta, poi Peter udì passi frettolosi nel corridoio esterno, voci soffocate, rumore di stivali che pestavano cartacce e detriti cercando di far piano. E poi il rumore di altri stivali, una camminata che conosceva bene, che non aveva alcun bisogno di far piano, perché quando mai Wade si era preoccupato del rumore che faceva quando entrava in scena?

Peter deglutì, strinse i denti, non mollò la presa.

«Spidey?» Il tono di voce di Wade era estremamente morbido. Peter dovette concentrarsi a lungo per evitare di muovere il capo verso la sua voce. Ci riuscì: rimase concentrato sull’uomo morente di fronte a lui.

Ci fu un attimo di pausa. La figura massiccia di Deadpool si fece avanti attraversando la porta divelta, osservandosi attorno, assestando la situazione. Peter sentì i suoi occhi su di lui.

«Wilson» dichiarò la voce estremamente professionale di Sam dal corridoio. «Hai cinque minuti, poi do l’ordine di entrare.»

Wade non si preoccupò di rispondere, fece qualche passo nella stanza, si avvicinò a Peter con fare rilassato, i pollici infilati nella cintura, la maschera di Deadpool ben calata sulla faccia. Peter lo osservò brevemente con la coda dell’occhio.

«Credevo avessimo detto di combattere insieme le nostre battaglie, bimbo» gli ricordò Wade scandendo bene ogni sillaba, fregandosene di chi avrebbe potuto sentire.

Peter non rispose, ma si distrasse e Brett riuscì a prendere un refolo d’aria.

Wade si sedette sul bancone della cucina, proprio accanto a loro e Peter non resistette: gli lanciò uno sguardo. In qualche momento, dall’istante in cui era entrato all’istante in cui si era sistemato vicino a loro due, Deadpool aveva avuto il tempo di sfilarsi la maschera. I suoi occhi azzurri trapassarono Peter da parte a parte.

«Lasciami fare» gli fece Spider-Man senza riconoscere del tutto la propria voce, ma tornando a guardare la faccia dell’uomo che aveva torturato e ucciso così tante persone. L’uomo che, togliendogli Wade, gli aveva tolto il terreno sotto i piedi. Buffo come aveva sempre creduto che innamorarsi di qualcuno di immortale gli avrebbe evitato una preoccupazione costante per la sua sopravvivenza. Evidentemente, Peter non era in grado di non morire un po’ ogni volta che chi gli era vicino rischiava la vita, anche se era solo un rischio passeggero.

«Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?» gli domandò invece Deadpool, le mani strette in grembo, le gambe penzolanti. Se Peter avesse chiuso gli occhi probabilmente avrebbe potuto immaginare di essere sul tetto di un grattacielo qualsiasi a mangiare tacos e bere birra da due soldi. «Io me lo ricordo perfettamente. Mi ricordo anche quello che mi hai detto. Le tue prime parole… lo so, sono un vecchio sentimentale, ma che vuoi farci? Mi conoscevi già, almeno di nome, sapevi qual era il mio lavoro, come mi guadagnavo da vivere e tutta la baracca.»

Peter gli lanciò un altro sguardo in tralice, confuso. Dove voleva andare a parare? Certo che ricordava quella notte: aveva sorpreso Deadpool che rincorreva un tizio in un vicolo, una katana in una mano e una pistola nell’altra. Il tizio aveva ucciso una vecchia signora durante una rapina e anche Spider-Man gli stava dando la caccia da un paio di notti.

«Non ti ricordi cosa mi hai detto? Hai detto: “Deadpool! Se lo uccidi adesso il numero di assassini nel mondo non diminuirà!”»

Ci fu una breve pausa in cui a Peter parve che l’altro non avrebbe continuato. «E?» fece a quel punto, permettendo a Brett di prendere un altro respiro fischiante. L’uomo aveva gli occhi fuori dalle orbite, iniettati di sangue e Peter riusciva a sentire i battiti erratici e disperati del suo cuore contro la gola. Era così che si uccideva qualcuno a mani nude? Era quella la sensazione che Wade aveva provato tante volte?

«E?!» sbottò Deadpool con quella che avrebbe potuto essere una risatina. «Eri un ragazzino e sei venuto da un mercenario conosciuto ovunque per i suoi fumetti super-splatter e hai deciso di aprire con quella frase. Ho perso il cervello per te in quell’istante. Cioè… ti conoscevo di nome e ti avevo già visto volteggiare in giro un paio di volte, col tuo culo in bella mostra, ma con quella frase idiota mi hai conquistato del tutto, bimbo. L’hai detta con così tanta convinzione: è il tuo mantra, il tuo marchio di fabbrica. Perché pensi che i tuoi fumetti vendano così bene? Cristo, ci sono nove film in cui sei l’assoluto protagonista, mentre per me ci sono voluti anni di suppliche e Ryan Raynolds che finanzia metà produzione e probabilmente tiene in ostaggio qualcuno. Il punto è, tesoro, che Spider-Man non uccide.»

Gli mise una mano sull’avambraccio e Peter finse di non accorgersi di quanto gli stessero tremando i muscoli, di quanta fatica stesse facendo: voleva usare la sua superforza, farla finita, concludere il lavoro che aveva cominciato.

Ma non riusciva. Non con la voce di Wade che gli placava i pensieri, la mano di Wade su di lui, gli occhi supplicanti del mercenario che non lo lasciavano un secondo.

«Lo vuoi davvero morto?» domandò Deadpool a quel punto, vedendo che Peter non lasciava la presa, ma allo stesso tempo non si decideva a dire nulla. A fare nulla di decisivo.

Peter si sentì annuire, ma era una parte di lui estremamente discosta dalla realtà, era quella parte di lui che lo teneva sveglio la notte, gli occhi sgranati nel buio, terrorizzato per zia May, terrorizzato per MJ, terrorizzato per Ned. Era la parte di lui che non ne poteva più: quella parte che aveva detto a Ned non si sarebbe mai spezzata. Il suo punto di rottura.

Wade gli mise una mano sotto il mento, gli sollevò la testa perché i loro occhi si potessero incrociare. Peter avrebbe voluto strapparsi di dosso la maschera, ma rimase con le mani ancorate al collo di Brett, ormai molle sotto le sue dita.

Wade gli rivolse un sorriso stanco, lo stesso sguardo adorante a cui Peter si era abituato anni prima, niente disprezzo, niente delusione. «E allora lascia che sia io a farlo fuori per te.»

Spider-Man aprì la bocca, quelle poche parole lo colpirono al petto, gli stritolarono i polmoni in una morsa. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma si concentrò su come lentamente, un passo alla volta, quell’orribile desiderio di morte rinculò, venne riassorbito dentro di lui, andò a nascondersi negli anfratti più orrendi del suo cuore, quelli da cui si era sempre tenuto alla larga. Lasciò andare di botto il collo del serial killer che si accasciò a terra come senza vita, ma il suono sibilante di un respiro disse a entrambi i vigilanti che era ancora vivo.

Peter si aggrappò al ginocchio di Wade: in qualche momento durante la colluttazione si era inginocchiato a terra, mentre Brett sedeva inerme di fronte a lui. Wade lo aiutò a tirarsi in piedi tenendogli il gomito, le dita forti che non lo lasciarono andare mai. Peter si aggrappò a lui, al rosso della sua casacca, alle cinghie delle sue catane. «Non dirlo mai più» gli bisbigliò, fronte contro fronte.

«Cosa?» domandò Wade in tono soffice, tenendolo contro di lui senza abbracciarlo del tutto, ma quasi.

«Non devi mai uccidere per me, Wade, promettimelo. Riesco a malapena a sopportare che tu muoia, per me…Non devi-- Non posso--»

«Ah» gli sorrise lui, uno dei suoi sorrisi più brillanti, denti perfetti al di là di labbra divorate dalle cicatrici. «Ma allora sai perfettamente come mi sento! Spidey… ho fatto fuori un sacco di brutta gente, un sacco di assassini, stupratori, signori della droga eccetera, eccetera. Ma quello che non ho mai fatto è stato aumentare effettivamente il numero di killer nel mondo. Se Spider-Man si mettesse a uccidere per Deadpool, be’, sarebbe un po’ come se avessi fallito in gran parte del mio lavoro.»

Peter aveva le lacrime agli occhi, un blocco di pianto in fondo alla gola, la voglia di uscire di lì e non metterci più piede. I paramedici erano già nella stanza con loro, ma lui nemmeno ci fece caso mentre portavano via Brett per occuparsi di lui, rimetterlo in sesto, piazzarlo dietro le sbarre. Dio… se non ci fosse stato Wade…

«Non sopporto quello che ti ha fatto» bisbigliò a mezza bocca, la fronte piantata contro quella di Wade, una mano del mercenario schiacciato contro il cuore, l’altra che lo sosteneva tenendolo fermo per una spalla. Non stava cercando di giustificarsi, era solo un dato di fatto.

«Be’, bimbo, dovrai. Se lo sopporto io, puoi farlo anche tu. Quello che io non sopporto è che tu sia disposto a cambiare il tuo intero sistema di valori per uno stronzo come me.»

«Uno stronzo come te?» sputò fuori Peter, sconvolto.

Gli occhi di Wade si spostarono leggermente verso destra, perdendo contatto con quelli nascosti dalla maschera di Spider-Man. «Sai cosa voglio dire.»

«No, Wade, non so cosa vuoi dire» replicò Spidey stanco, distrutto, esausto. «Forse è perché ti adoro e perché penso che ci siano davvero poche persone migliori di te nella mia vita, ma non so davvero cosa vuoi dire.»

«Peter…» bisbigliò Wade, riportando la sua intera attenzione su di lui. E per una volta al ragazzo non importò che stesse usando il suo vero nome di fronte ad altra gente.

Qualcuno tossicchiò, per attirare la loro attenzione o per distruggere la poca sanità mentale rimasta a Spider-Man, sta di fatto che Peter fece un passo indietro. Wade non lo lasciò andare, come se avesse paura di vederselo svanire da davanti agli occhi.

«Odio interrompere questo quadretto» dichiarò Capitan America con le braccia incrociate sul petto, in tenuta completa. «Ma vorrei sapere cosa cazzo è successo.»

Matt emerse dalle ombre, dietro di lui. «Sembra legittima difesa.»

Sam nemmeno si voltò. «Risparmiami le tue cazzate da avvocato, Daredevil.»

Il fatto che Sam usasse il turpiloquio davvero molto di rado indusse Peter a capire di essere nei guai fino agli occhi. E a ragione. Non si sarebbe nascosto dietro ai suoi amici: aveva delle responsabilità. Le mani gli pulsavano dolorosamente, ricordandogliene una dopo l’altra.

«È esattamente quello che sembra, Sam. Per quello che vale, mi dispiace.»

«Ehi» fece Bucky entrando allegramente, indossando i suoi abiti civili, quasi che se ne tornasse da una passeggiata nel parco. «Tutti noi abbiamo fatto degli errori, non è vero Sam?» aggiunse dopo un secondo sbattendo la sua mano di metallo sulla spalla dell’amico. Sam fu quasi spostato in avanti dall’impatto, ma la sua espressione corrucciata non mutò.

«Spidey» dichiarò quest’ultimo dopo un secondo, senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti, tranne Peter. «Ti consiglio di prenderti una vacanza.» Poi si voltò verso Deadpool. «DP, portatelo via, prendete un paio di biglietti per le Hawaii e non fatevi vivi per almeno un mese.»

Wade si grattò la testa, saltando giù dal ripiano della cucina, l’altra mano non aveva mai lasciato andare la spalla di Peter, cosa di cui il ragazzo era più che grato. «Sissignore, signor capitano!» acconsentì facendo il segno del saluto.

Peter spostò lo sguardo da uno all’altro dei supereroi presenti nella stanza, non c’erano più agenti, il corridoio era stato svuotato, le sirene dell’ambulanza si erano placate. «A– aspettate… non– non c’è altro?»

«Cosa vuoi che ti dica, Peter?» replicò Sam abbandonando il cipiglio severo. «Abbiamo tutti un punto di rottura: è una fortuna non essere soli quando lo raggiungiamo.» Lanciò una breve occhiata verso Bucky che gli rivolse il più insignificante dei sorrisi, una cosa minuscola ma che evidentemente significava parecchio.

Non aggiunsero nient’altro. Se ne andarono, lasciando i tre vigilanti in rosso nella stanza disastrata. Matt si era appoggiato al muro, in un punto miracolosamente privo di sangue, muffa o schifezze varie.

«Quindi…» esordì Daredevil non appena i passi echeggianti degli altri due svanirono lungo le scale del complesso. «Brian Brett sperimentava davvero per farsi un trapianto di cuore tutto da solo. Al di là della follia… capisco perché voleva proprio il tuo cuore, DP.»

«Ah» ridacchiò Deadpool lanciando un lungo sguardo nella generica direzione di Spider-Man. «Un vero peccato che il mio cuore sia già altrimenti occupato…»

«Cristo, potrei mettermi a vomitare» fu la laconica risposta di Matt, ma in realtà sorrideva. Anche Peter sorrideva, nonostante il terrore per quello che avrebbe potuto fare gli serrasse la bocca dello stomaco e lo lasciasse respirare a stento.

Wade batté una mano sulla sua spalla, infilandosi di nuovo la maschera di DP. «Usciamo da questo posto di merda» disse con voce gioviale, facendo cenno a Spidey di precederlo.

«Meglio» approvò Daredevil con lo stesso tono. «Così la scientifica dell’FBI può iniziare a fare il suo lavoro.»

Peter non tentò nemmeno di uscire dalla finestra e lasciarsi scivolare in basso. Gli girava leggermente la testa e i muscoli delle gambe erano come gelatina. Senza pensarci afferrò la mano di Wade mentre si avviavano lungo il corridoio, la strinse tra le dita, ne ottenne tutto il conforto di cui sentiva il bisogno. Aveva quasi ucciso un uomo. Un uomo terribile, ma pur sempre un uomo.

«Non posso credere di averlo fatto» dichiarò a voce bassa, consapevole che Matt avrebbe udito ogni cosa.

«Passerà, bimbo. Raccoglieremo i pezzi. Sia i tuoi che i miei. Non è certo la prima volta.» Gli rivolse un sorriso perfettamente visibile al di là dello spandex. «E poi sono una bomba a fare i puzzle, credimi!»

«Ok» replicò Peter con voce rotta. Lanciò un’occhiata verso il compagno che gli camminava accanto, qualche spanna sopra di lui, vicino come sempre gli era stato e forse pure più del solito. «Ok» ripeté dopo un secondo.

Matt si voltò a fissarli con i suoi occhi ciechi, ma le orecchie ben dritte. «Dovete smettere di far battere quei cuori all’unisono» sbottò con un tono fintamente disgustato. «È una delle cose più inquietanti che abbia mai sentito. Cristo, mi mette i brividi!»

Wade rise. Peter gli strinse di più la mano.

Fine

Note: Titolo del capitolo tratto da Zitti e Buoni, dei Måneskin
  
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