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Autore: _Zaelit_    18/04/2022    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 34

A QUALSIASI COSTO


 

Il suono di un'arma che faceva fuoco, il fruscio di un'ala corvina, i lamenti di tre giovani innocenti. Poi il sinistro luccichio dell'acciaio. Infine più nulla.

Cloud strinse gli occhi mentre attendeva il suo inevitabile destino, lì in un vicolo divorato dalla penombra, lontano dalla casa in cui era nato e cresciuto. Esattamente come Tifa e Zack, non poté fare altro che ragionare rapidamente sul senso della propria esistenza, ora che questa stava per dissolversi in un polverone di luci verdastre, prima che le loro anime si ricongiungessero al lifestream.

Per quanto gli ultimi tempi della sua vita fossero stati difficili, sapeva di essere stato felice. Aveva trovato una nuova famiglia. Ma ora che i soldati della Shinra avevano sparato, in prossimità di quella terribile morte, Cloud avrebbe solo voluto allungare un braccio in direzione di Tifa e intrecciare le dita alle sue. Fu un istinto innato, ma non poté soddisfarlo, perché ogni muscolo del suo corpo era bloccato. In quegli attimi, provò solo un profondo terrore.

Dopodiché lo sentì: lo stridere di piombo e acciaio. Sotto le palpebre, scorse lo scintillio di quella spada che aleggiava, maestosa ed elegante, a un palmo dal suo viso. I colpi del fucile non avevano neanche avuto la possibilità di sfiorarlo. Le armi dei soldati erano ridotte a rottami spaccati a metà, affettati come morbido burro.

Sephiroth era un essere più veloce di qualsiasi arma al mondo. Era lui stesso l'arma più pericolosa che fosse mai stata creata. I suoi riflessi avevano un che di divino, il suo corpo era agile e scattante come un lampo. Inarrestabile.

Fu questo il motivo per cui Narcisse sbiancò, il ghigno beffardo di vittoria che moriva per lasciar spazio a un'esangue smorfia di puro terrore, quando vide il super SOLDIER deviare i colpi dei suoi soldati con l'esile corpo della Masamune, sua fedele compagna.

Ma ancora più di quell'argentea servitrice, ciò che davvero lo scosse al punto da fargli provare le vertigini, furono i due occhi che lo individuarono e concentrarono su di lui tutta la loro ira. Non esisteva tenebra abbastanza forte da smorzarne la luce. Pupille ferine circondate da pozze d'acqua verde, in cui ribolliva il gelido e allo stesso tempo incandescente rancore più letale che Narcisse avesse mai visto nei suoi anni di servizio come SOLDIER di prima classe.

Sephiroth lo aveva risparmiato poco prima, e quello era stato il suo errore, il motivo per cui Narcisse era riuscito nel suo intento: strappargli la persona che più contava per lui al mondo. Era l'unico modo per convincerlo a tornare a Midgar. Quel che non aveva tenuto in conto, però, era la rabbia che ora rischiava di abbattersi su di lui.

Se prima il corpo della leggenda vivente quasi aveva tremato per la frenesia suscitata dal desiderio di salvare la sua compagna, ora il super SOLDIER era in monumento di compostezza. Petto e spalle si sollevavano lenti e leggeri a ogni respiro.

Dopodiché iniziò a muoversi verso di lui.

Narcisse lanciò un piccolo urlo che non poté contenere. Indietreggiò senza voltarsi e incespicò suo suoi stessi piedi, finendo di nuovo a terra. Sembrava quasi che il suo posto fosse fra la polvere. Arrancò cercando la sua balestra, caricandovi un dardo con non poca fatica. In momenti come quello si pentiva di aver scelto come propria un'arma così lenta da ricaricare. Per ogni manciata di centimetri che spolverava strisciando su talloni e fondoschiena, il suo nemico muoveva due passi avanti. Infine lo raggiunse.

Narcisse scoprì con amarezza che i soldati dietro di lui avevano ritrovato abbastanza forza di volontà da togliersi di mezzo. Alcuni erano scappati, gli altri erano comunque così lontani da risultare irraggiungibili.

In preda al panico, scosse una mano davanti al viso.

«S- Sephiroth, aspetta... Possiamo parlarn-» balbettò prima che quel familiare luccichio lo accecasse.

La Masamune scattò come una molla. Avrebbe potuto trafiggergli il cuore, ma qualcosa in lui lo spinse a essere magnanimo. L'infallibile lama lo inchiodò a terra, la sua giacca perforata da parte a parte in prossimità di un fianco.

Sephiroth torreggiava su di lui, imperioso. Un angelo della morte pronto a strapparlo dal caldo abbraccio della vita al minimo sbaglio.

«Cosa avete intenzione di farne di Rainiel?» domandò laconico il semidio in penombra, «Chi ha orchestrato tutto questo?»

Non ci fu bisogno di aggiungere alcun "Rispondi, se tieni alla tua vita" o "scegli bene le tue parole", entrambe le cose erano sottintese e inutili da specificare.

Narcisse squittì come il topo in trappola che era. «Jadin!» La sua voce era mozzata, disidratata, «La scienziata Jadin, l'apprendista di Hojo! Ho ricevuto da lei i miei ordini, ma non ho idea di quali siano i suoi piani di preciso! So solo che è interessata al potenziale tuo e di Rainiel e vuole tenervi a portata di mano così da condurre eventuali esperimenti. Non so altro, davvero!»

Ci fu un sussulto alle spalle dell'ex-Generale.  Jadin era un nome che Zack e Cloud conoscevano molto bene: era stata una loro cara amica per anni. Credere che fosse lei a tirare i fili di quell'operazione gli risultò difficile da credere.

Sephiroth, al contrario, aveva imparato nel tempo a non fidarsi degli scienziati: quello che lo aveva cresciuto lo aveva improvvisamente abbandonato, quello che gli aveva dato la vita aveva trasformato lui, i suoi vecchi amici e Rainiel in meri esperimenti da laboratorio. Jadin, quasi un anno prima, era stata ben lieta di indicargli la strada che lo avrebbe condotto agli archivi scientifici, lì dove lui una settimana più tardi avrebbe scatenato un incendio. Dunque portarlo a leggere tutte le informazioni sulla sua reale ragione d'esistenza era stata un'azione pianificata? Non era affatto sorpreso. E non aveva tempo per esserlo.

Strinse le palpebre e dentro di lui sentì il mostro agitarsi e lottare per uscire. Narcisse aveva messo a dura prova la sua calma, ma fargli del male andava contro la promessa fatta a Rainiel. Ucciderlo senza motivo non sarebbe servito a nulla.

Strinse le dita attorno all'elsa della Masamune, ancorata a terra, e Narcisse sobbalzò, il labbro inferiore che tremava come quello di un poppante. Una scena pietosa.

Non aveva senso chiedergli dove Genesis avrebbe portato Rain, e ogni secondo era tempo prezioso che veniva sprecato, per cui non attese oltre. Doveva liberare i suoi amici e tornare da Rainiel, anche se ora inseguire l'amico alato si sarebbe rivelato impossibile. 

Estrasse l'arma dal suolo, mentre il nemico si copriva il viso e singhiozzava senza versare lacrime.

«Sparisci prima che io cambi idea.» lo avvisò, atono. Non aggiunse altro. Gli voltò le spalle e individuò i meccanismi che tenevano bloccati i suoi compagni.

Fece appena in tempo a sollevare la Masamune, lacerando il metallo del congegno che imprigionava Zack nel suo campo magnetico, perché dietro di lui Narcisse si mosse e commise l'errore più stupido della sua vita.

Forse per tamponare la ferita accusata dal suo orgoglio, forse per pura e semplice follia o paura, Narcisse non scappò. Al contrario, cercò la balestra e puntò dritto davanti a sé.

«Maledetto spavaldo... chi ti credi di essere...?!» sibilò infatti, così piano che risultò difficile udirlo. Tutti i suoi commilitoni lo avevano abbandonato, ma se anche fossero stati lì non avrebbero cercato di fermarlo o proteggerlo dalle conseguenze di quello che stava per fare.

Zack strabuzzò gli occhi e spalancò le labbra. «Sephiroth!» lo avvisò, ma non servì.

La balestra mirava alle spalle del Generale. Una mossa meschina. Così tanto da far finalmente terminare la battaglia interiore che tormentava il super SOLDIER.

Il nostro si dimenò, graffiò, lacerò. Infine prevalse sulla ragione che con fatica cercava di emergere in tutta quella cieca rabbia.

Il colpo che Sephiroth sferrò non fu per vendicare sé stesso dall'affronto di un attacco alle spalle, ma per punirlo per ciò che aveva fatto a Rainiel. L'aveva tradita, aggirata e ora a causa sua era stata persino rapita. Quel colpo fu personale, sentito e tanto liberatorio da risultare inebriante nella sua malvagia intenzione.

In ogni caso, fu talmente veloce da precedere sia lo scocco del dardo, sia il movimento delle labbra di Zack. Abbastanza da tagliare l'aria fredda di quella notte e raggiungere la gola del nemico. Silenziosamente, mise fine a tutto.

Il corpo di Narcisse si accasciò sul terreno dove aveva strisciato, la balestra ancora stretta fra le dita. Sephiroth sentì una goccia calda macchiargli il viso, ma non provò pena per lui. Se ne sarebbe pentito dopo. In quel momento, la rabbia gli serviva. Comunque, gli aveva dato una possibilità e lo aveva avvisato.

Zack boccheggiò. Era già stato scioccato dall'agguato teso, poi dalla rivelazione circa la sua amica Jadin. Veder Narcisse morire in quel modo davanti ai suoi occhi fu il culmine di quel vortice di orrori, come lo fu per Cloud e Tifa, che assistettero senza neanche la possibilità di coprirsi gli occhi o di voltarsi dall'altro lato. Quando anche loro furono liberati, questa volta da un'arma la cui argentea lama aveva bevuto il sangue di un nemico, si mantennero a qualche passo di distanza dal compagno dai lunghi capelli del colore della luna.

Sephiroth guardò verso di loro, forse per controllare che stessero bene, ma i suoi occhi erano focalizzati su qualcosa di lontano, irriconoscibili. Era fuori di sé, il viso sporco di sangue non suo che lo rendeva ancora più spaventoso di quanto già non fosse.

Poi, a farli tremare furono le sue parole. Quiete, ma affilate. Cariche di un'ora gelida e letale.

«Che vogliate seguirmi o meno,» li avvisò camminando tra loro come un superuomo tra gli attoniti osservatori, «io andrò a Midgar. E riporterò indietro Rainiel, a qualsiasi costo.»

Li oltrepassò con quell'avvertimento, e i suoi seguaci furono convinti di una cosa: per nessuna ragione al mondo si sarebbe fermato.

 

 

   
 
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