Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: kanagawa    20/04/2022    0 recensioni
“Sarai forte e sarai saggio, e sarai il più coraggioso degli uomini.”
Quando lo senti muovere, riesci a non pensare al futuro.
Genere: Drammatico, Omegaverse, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kenny Ackerman, Sorpresa, Uri Reiss
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg
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Come nascono i Titani 

Parte 1



Ci sono sempre dei fiori sul davanzale assolato.
Kenny te li lascia ogni giorno, quando torna da lavoro. Hai cominciato a sistemarli nei vasetti di marmellata vuoti che trovi in giro per casa, quando hanno fatto il mucchio sotto la finestra e ti è dispiaciuto che si seccassero. 
Ce ne sono sempre di nuovi. Di alcuni non sai il nome. Ma i tuoi preferiti restano le genziane, il cui significato è resilienza e determinazione, un piccolo fiore dall’intenso colore blu che sboccia tra le fessure delle rocce e cresce sfidando le asperità delle montagne, dove la vita è una continua lotta...
Sono stati i primi che ti ha donato.

È passato un mese da quando siete scappati e la pancia comincia a notarsi.
Quando sei davanti allo specchio la accarezzi cercando di cogliere ogni giorno una nuova sfumatura, un cambiamento, e ti immagini come sarà.
Chissà da quando hai cominciato a parlargli e a rivolgerti a lui - o a lei - come ad una presenza reale, come ad un’amica che non vedi da tanto e di cui hai nostalgia, anche se ti sembra in realtà di conversare con un vecchio burbero e bisognoso di attenzioni... 
Camminando in giardino, nelle giornate di sole, o mentre stendi il bucato, hai cominciato a canticchiargli vecchi ritornelli di menestrelli che un tempo passavano in paese, con la tua voce roca e un po’ stonata. 
Non lo sai, ma lui ti ascolta sempre e ha imparato a riconoscere la tua voce.

Di giorno, Kenny non è mai a casa. Ha trovato lavoro come mozzo alle banchine di scarico merce; Reeves ha conoscenze ovunque e gli doveva qualche favore.
Dice che lo tiene in forma. 
Lo detesta, in realtà - come detesta tutte le categorie di contratto sociale - ma avete bisogno di denaro; e scommesse e rapine gli sono state precluse tassativamente... 
Quando gli dici che vorresti dare una mano e contribuire, lui ti guarda come se fossi uscito di senno. E sai che ha ragione, non hai mai imparato nulla nella vita che sia di natura prettamente pratica, perché nessuno lo riteneva necessario... Sai disegnare, suonare il piano e classificare i roseti più belli, ma non hai idea di come accudire il bestiame, far crescere un ortaggio o rammendare un bottone: poiché tutto ciò che può essere utile era ritenuto inappropriato per le tue mani.
Così qualche volta esci di nascosto con il fucile e tenti di stanare qualche fagiano sul fianco della montagna, per mettere qualcosa di più sostanzioso a tavola; la stagione della caccia era un rituale tedioso e crudele che papà vi obbligava a prendere parte ogni anno, ma almeno ora hai una mira decente. Spennarlo, poi, è tutta un’altra questione...

Le nausee sono durate settimane e la casa è tutto un odore di vomito. Kenny si impanica e corre dal medico per minacciarlo di morte - Alpha idiota - ogni volta che ti trova svenuto da qualche parte, ma nemmeno lui sa spiegarglielo... Mamma avrebbe saputo dirti perché, ma la mamma non c’è più, e il potere di cui ora sei custode - i cui segreti ti sono ancora oscuri - è tutto ciò che ti rimane della tua famiglia.
E allora tocca a te rassicurarlo, e speri di averne la forza per entrambi; anzi, per tutti e tre.

A volte ti sembra ancora di sognare. Non hai pensato molto al dopo. A dove vi avrebbe condotto tutto questo, a ciò che comporterà...

Siete fuggiti insieme dopo che tuo fratello Rod ha cercato di costringerti in fidanzamento con un facoltoso marchese, sapendoti fertile, al solo scopo di farti sfornare una manciata di eredi a cui ti avrebbe poi dato in pasto, quando sarebbe giunto il momento per te di passare il potere, e risparmiare l’incombenza a se stesso e ai suoi figli ingrati. 
Quando hai scoperto di aspettare un bambino, per te è stata disperazione...
Così quella notte hai messo tutte le tue cose in una valigia, e dopo averla gettata dalla finestra ti sei gettato anche tu.
Kenny vi ha afferrati entrambi, sia tu che la valigia. 
Siete corsi attraverso il bosco e le tenebre hanno protetto la vostra fuga, fatto autostop da Orvud a Yalkell - qualche contadino si è fermato per farvi salire e le loro buone mogli vi hanno dato ristoro e offerto un riparo per la notte.
Kenny sa bene come sparire e nascondersi. È stato accorto a cancellare le poche tracce che vi siete lasciati dietro, usando sempre contanti e nomi falsi; e ha provveduto a dare a quel pidocchioso di Reeves una buona ragione per tenere la bocca chiusa... Per una volta, non hai potuto contraddire i suoi metodi.

A volte l’ansia non ti fa dormire, allora resti sveglio la notte a sfogliare romanzi gotici o libri sulla maternità che riesci a trovare nella biblioteca di paese.
Sai che nascerà a gennaio, ma è il come che ti terrorizza... 
Non hai la più vaga idea di come partorirai - la meccanica l’hai intuita, vale tanto per le mucche quanto per le donne, ma tu non sei nessuna delle due e nessuno di quei libri specifica di Titani Omega gravidi - quindi passi il tuo tempo a delineare i peggiori scenari, da quelli blandamente dipinti di sangue e budella ai tentacoli mostruosi che ti strangolano a morte come esalano il primo respiro...
Se deve succedere allora succederà in casa, e sarete solo voi due, con l’aiuto di Sina. Se la prova esigerà la tua vita, vuoi che il bambino sia in mani sicure, e solo Kenny potrà farlo... 
Ma hai paura di doverglielo dire, perché sai che farebbe di tutto per farti desistere; non rinuncerà mai a te, e se dovesse esserne obbligato sceglierebbe te invece che il bambino: un essere che è solo un puntino in fondo al tuo ventre e per cui, come insiste a dire, non prova niente.
Ma sai anche che cambierà idea. Perché tu quell’uomo lo ami con tutto ciò che hai e anche di più, e non c’è nessun altro al mondo a cui affideresti la tua vita sapendo che farà la scelta giusta. E la scelta giusta non è sempre quella più facile...

L’unico pensiero che ti consola, e che riesce a darti coraggio e il sorriso di affrontare tutto questo, è sapere che Kenny sarà padre.


 
*


Lui ti massaggia la schiena pazientemente dopo che hai avuto l’ennesimo conato. La bacinella ai piedi del letto - che in realtà è la vostra pentola - ricoperta per contenere l’odore pungente della cena parzialmente digerita.
A forza di rimettere hai perso peso, ma il dottore dice che è normale.

Ti sollevi nel bel mezzo della notte con un’impennante necessità di fragole, e siamo in piena estate, così lo butti giù dal letto perché te le vada a cercare. 
Kenny arranca nel buio fino al villaggio e bussa come un forsennato da ogni ortolano lungo la strada che assonnati gli sbattono la porta in faccia... E al suo infruttuoso ritorno, ormai alba, ti sei già rimesso a dormire.
Non deve aver dormito molte notti in quel periodo e il suo cipiglio è quantomai assassino, ma nemmeno si è mai lamentato.

Quando la nausea è passata hai cominciato a fare piazza pulita di tutta la catena alimentare. Kenny vorrebbe solo ridere. 
“Hai la faccia di uno che dice che tra un po’ si divorerà anche me.” Si schernisce di te con una smorfia spocchiosa, al tavolo del diner dove ti porta per soddisfare i tuoi attacchi di fame serali.
E tu gli rispondi con la bocca piena di.. qualsiasi cosa unta e ipercalorica, leccandoti il pollice sporco di salsa. “Sì, se non la smetti di guardarmi così.”
Francamente non ne dubita, è ciò che sottace la sua espressione costipata, mentre ti allunga una tovaglietta... E il tuo sorriso si fa solo più largo, gongolante.

“Credi che sia maschio?” È una di quelle domande che cominci a porti, mentre il ventre si fa ogni giorno più rotondo, come un mongolfiere riempito di gas idrogeno, ma letteralmente, e l’insinuazione non è delle più lusinghiere... 
Kenny posa la mano sul tuo grembo - o mappamondo, come ama definirlo - come se stesse cercando di auscultare attraverso i suoi calli il piccolo cuore che batte laggiù, sorreggendo il lato del viso con un palmo.
Hai dovuto trovarti dei abiti nuovi, nessuno di quelli che hai portato con te ti stanno più. Kenny dice che saresti bellissimo anche con 30 chili in più e non sai se esserne felice o depresso...
“La levatrice del villaggio dice che sarà una femmina.” Pensi ad alta voce, le tue gambe abbandonate sopra il materasso che regna al centro della stanza. Avete smesso di fare distinzione tra il giorno e la notte, e quel giaciglio disordinato è il centro del vostro mondo: qualche volta un campo di battaglia e qualche altra un tavolo da pranzo...
“E tu credi alle parole di quella vecchia strega?”
“Non è una strega...”
“Però aveva capito chi sei.” Insiste. Lo vedi fare spallucce, mettersi sullo stomaco, tirando vicino un cuscino, le braccia conserte sotto il mento.
“No, che non l’aveva capito.” Un sospiro paziente, ti adagi su di un fianco per poterlo guardare negli occhi. “O in caso contrario non staremmo qui tranquilli a fare ipotesi sul sesso del bambino...”
“Beh,” aggrotta la fronte. “Non è come se potessi frugare nella mente delle perso-” Poi si rende conto...
Sbatacchia le palpebre e per un secondo la sua espressione si incupisce; ogni tanto si dimentica di quanto tu sia in realtà tremendo... 
Lo compensi con un sorriso beato dei tuoi, al tempo stesso elusivo, gli occhi stretti che ti fanno somigliare quantomai a una lontra sorridente, ammesso che le lontre sorridano: “solo non con te.”
“Solo non con me.” Kenny ti fa eco, e se può dirlo, ne è onestamente grato.

Dalla veranda, il sole illumina la stanza tracciando il suo lento tragitto sul pavimento di pietra. L’aria sa di resina, di aghi di pino e di pietre bagnate.

“Una bambina...” sbuffa il moro, lo sgorbio di un sorriso che solo tu riesci a vedere. “Somiglierebbe a mia sorella se fosse così.”
La tenue rivelazione ti coglie con altrettanto delicato stupore, lo fissi con iridi frangiati di luce. “Non mi hai mai detto di avere una sorella...”
Kenny si volta, schiudendo le labbra incerto, più volte, e poi abbassa lo sguardo. “Si chiama Kuchel,” sussurra infine con un filo di voce morbida che non gli hai mai udito prima.
Vi leggi un miscellaneo di sentimenti speculari e contrastanti che non riesce a confessare... 
Non dici niente, non c’è niente da dire. Solo gli accarezzi la guancia con il pollice, incollando insieme le vostre fronti, e il sorriso sboccia in silenzio tra di voi.


 
*


A tre mesi dal termine, le ingerenze legate al parto si fanno sempre più realistiche. Hai concluso che il cesareo sarebbe stata l’ipotesi più accreditata nelle tue condizioni, così ve ne siete andati in giro a cercare un cerusico che sia disposto a eseguirlo, dopo che il dottore del villaggio si è detto indisponibile... Ma tutti, unanimemente, si sono rifiutati.
Alla fine vi siete ripresentati dal dr. Freudenberg, riassumendogli l’andazzo e offrendogli il doppio della prima volta.
Non è sembrato sorpreso.
“Ci sarebbe uno...” Sospira l’uomo, rassegnato; si è levato gli occhiali per massaggiarsi il dorso nasale con aria deperita. “Un certo Zoe, che forse è disposto a farlo, ma è complicato.”
E viene naturale domandarsi perché non lo abbia accennato prima...

Quello di dr. Zoe è un nome alquanto conosciuto in ambito medico, per aver praticato in passato certi metodi di cura sperimentali e molto azzardati. Dopo essere stato radiato dall’albo dei medici e declassato a veterinario, si è ritirato in campagna e ora vive presso una fattoria non lontano da qui.
Lo chiamano “lo Sciamano”.


“Aneste- cosa?” 

“Anestesia!” Puntualizza Victor Zoe con folgorante entusiasmo. La zazzera castano-rossiccio esplosa in aria relativa a recente incidente domestico con paracadute, trattenuta in alto da un paio di occhiali a fondo di bottiglia.
“Ecco, è semplice! Ti faccio inalare del protossido di azoto che ti farà addormentare!” Incomincia ad esporre il protocollo mimando platealmente ogni azione con le mani, mentre vi illustra i suoi strumenti di tortura sul lungo tavolo da mattatoio. “E mentre sei privo di sensi, ti apro la pancia, tiro fuori il vostro bel bambino e poi ti richiudo prima che tu possa accorgertene!” E conclude con una risata sguaiata. “Vedrai, non sentirai nemmeno un dolorino! Lo faccio sempre con le vacche che partoriscono!”
Kenny lo squadra tra inorridito e scandalizzato, prossimo ad avventarsi. “Io questo lo ammazzo!” 
“La gente si arrabbia sempre quando lo dico...” concorda Zoe grattandosi la tempia; e non riesce mai a decidere se sia per la parte sulle vacche o quella in cui insinua di squarciare un ventre...

Vi attardate per un tè che il giovane medico vi offre in un androne impolverato che funge da salotto, e il cui sapore intricato non scorderete facilmente. Zoe ha premura di sviscerare per voi i dettagli della procedura, stavolta in tono più colloquiale.
“In-fe-zio-ne!” Scandisce febbrilmente, l’indice accusatore puntato al cielo. “Il dolore non uccide, ma le infezioni sì! Oh, e poi ci sono quelli che si dimenticano di ricucirti l’utero poiché convinti che si rimargini magicamente da solo... Ma noi, ora, possiamo evitarli entrambi!” esclama infine accompagnandosi con un gesto panoramico della mano che abbraccia l’intero capannone adibito a laboratorio.
Per tutto il tempo va su e giù con indosso un largo camice bianco come fosse un accappatoio, sopra una canotta e dei mutandoni a righe blu, recando sotto braccio diversi rotoli di papiro scientifico che ha rinvenuto per voi a scopo illustrativo. E tu decidi che, nella sua sregolatezza ed eccentricità, quell’uomo ha un fascino che i profani non possono comprendere...
E ad un certo punto, come se il discorso non potesse esaltarlo più di così: “mi stupisce che lei sia così afferrato in materia di anatomia umana! Non è una cosa da tutti!” Propende affascinato all’indirizzo del più alto, dopo essersi sentito rivolgere da questi un quesito prettamente settoriale - dev’esserci una sorta di affinità di mestiere tra un esperto tagliagole e quello che le ricuce - Kenny ha preferito non soffermarsi sulle particolari circostanze che lo hanno indotto ad approfondire certe nozioni...
“Papino! Papino, il grillo si è svegliato!” 
Nel mezzo del discorso, una bambina paffutella che è praticamente la sua miniatura, fa capolino dal portone e gli corre in braccio. “Vieni qui, amore di papà!” Lui la prende al volo e la bacia, strofinando una guancia ispida contro le guance morbide della figlia che ridacchia, dimenandosi per sottrarsi dall’abbraccio molesto del genitore.
E tu riesci solo a notare l’espressione indefinibile sul volto di Kenny, intento a osservare quella scenetta indulgente e triviale...
Sempre in braccio al padre, la bimba si è sporta per toccarti la pancia, domandandotelo con quella sua vocetta garbata, poiché convinta che dentro ci sia un cavolo - sorprendente quanto vasto sia il vocabolario di una bambina di appena tre anni.
Sei stato felice di accontentarla.
Scostando di poco la mantella, l’impronta della sua piccola mano contro la curva del tuo grembo, calda e appena un po’ appiccicosa.

“No, assolutamente no.” Perentorio, Kenny. 
“Abbiamo forse alternative?”
Lui si volta indignato. “Quello voleva aprirti in due come fossi una scrofa!” - o una vacca, ma nessuno dei due accostamenti sembra migliorare la frase, e comunque non è questo il punto...
“Nessuno ha tentato finora perché è ritenuta un’operazione troppo rischiosa.” Momento curioso per scoprire le conseguenze di un mondo forzato all’ignoranza e all’oscurantismo, pensi, abbassando lo sguardo. “Il dolore è qualcosa a cui sono preparato...” Ingoi la tua paura all’insorgere, ma già ti senti tremare solo a pronunciarlo. “Potrei sempre rigenerarmi, dopo. Ci serve solo qualcuno che lo faccia e Zoe è l’unico che ha accettato di aiutarci, ci ha dato la sua parola...”
“E come sei sicuro che non andrà a gridare le sue imprese ai quattro venti, quando sarà troppo sbronzo in qualche taverna per ricordarselo?”
Rifletti flemmatico sulla questione e ti accigli. Nel peggiore dei casi vedrà i tagli operati da lui stesso richiudersi da sé sotto i ferri e sarebbe un fenomeno curioso perfino per uno scienziato. “Potremmo dargli del denaro...” O potresti alterargli la memoria, ma è l’estrema opzione; per qualche ragione l’idea di farlo ti urta, perché in fondo quell’uomo ti piace...
“C’è un solo modo per assicurarsi che un uomo tenga la bocca chiusa...” 
Una goccia di gelo serpeggia giù per la tua schiena. Pensi a quella bambina, al suo salopette stropicciato sulle ginocchia, il portachiavi a forma di ranocchia, e tutte le cose strane che diceva... 
“Non lo uccideremo.” La tua voce è ferma, e il tuo sguardo duro.
Kenny si volta e ti fissa in viso, le mani in tasche, per qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo ricollocandolo indisturbato verso la strada su cui siete in cammino. E tu sai che il suo “come vuoi” sta a dire che farà come gli pare. 
Ma non è nemmeno importante che tu lo sappia...


Il fatto che Rod Reiss non abbia ancora sguinzagliato la gendarmeria centrale alle vostre calcagna è decisamente un punto su cui riflettere.
Probabilmente sta solo aspettando che tu partorisca, poiché sarà il momento di massima vulnerabilità per te e non potrai difenderti; Kenny è un avversario accanito, ma è da solo...

Siete soli.

Nell’ultimo periodo hai finito per chiuderti in casa, in preda ad un vortice continuo di angoscia e timore. 
La vostra casa si trova sui sentieri montani, a metà di un pendio che scende appartato tra gli alberi; un tempo doveva essere stato un rifugio per i cacciatori della zona. Da lì si riesce ad avere una buona visuale della vallata sottostante e tenere d’occhio le strade. Kenny dice di averla trovata tramite risorse sicure. 
Occorre un’ora intera per raggiungere l’insediamento più vicino, una frazione di circa 20 o 30 abitanti, e c’è un vecchio abbeveratoio dietro che raccoglie l’acqua delle sorgenti montane. In inverno la neve chiuderà il valico e sarete finalmente isolati dal mondo. Almeno fino a primavera, tempo di recuperare le forze e pianificare il prossimo passo...

Quando pensi al futuro, non è mai un orizzonte imprecisato e lontano, bensì quello immediatamente dietro l’angolo.
Non hai mai fatto progetti che vadano oltre l’anno, o non osi farlo. Non te lo puoi permettere… Dentro di te, lo sai.
Non puoi distogliere lo sguardo dal presente, o non avresti avuto la forza di alzarti dal letto ogni mattina…
Per ora vi limitate a vivere alla giornata, e sei grato che le preoccupazioni di tutti i giorni ti tengano alla larga da altre questioni.

Quando litigate te ne stai da solo a piangere sulla veranda, ma a lui non dici mai niente. Kenny è il tipo d’uomo che si irrigidisce di fronte alle lacrime.
E il bambino che avverte la tua tristezza, provvede sempre ad assestare dei calci tutt’altro che gentili al tuo rene destro, e allora sei costretto a smettere per farlo contento. Ma hai imparato che è quello il modo in cui un Ackerman esprime il suo affetto...
Ogni volta che lo senti muoversi, riesci a non pensare al futuro.



La vasca da bagno è una delle comodità che ti manca di più della tua vecchia vita. Senza l’acqua corrente in casa sei costretto ad attingerla ogni giorno dall’acquaio, riempire da te il pentolone e mettere la legna sul fuoco, quando senti la necessità di lavarti - accovacciato su uno sgabello, la bacinella di fronte a te, strizzi il panno bollente e ti strofini con quello finché l’acqua non si raffredda del tutto…
È tutto talmente pittoresco e improbabile, la vita quassù, senza accennare ad altre necessità corporee. E con l’arrivo del primo freddo diventa anche più difficile stare spogliato a lungo. 
Ma in fondo la solitudine non ti disturba. Sarebbe bello poter restare qui, far nascere il bambino e crescerlo tra queste montagne. È ciò che pensi, quando ti perdi a osservare il paesaggio, la foschia mattutina, il silenzio concitato dei boschi, pieno di attese, prima che sorga il sole...

Passi il pomeriggio a guardarlo spaccare la legna, il sole sulla veranda ha un piacevole effetto narcotico.
“Tagliami i capelli.”
È sembrato sorpreso, ma non più di tanto. Con un asciugamano sulla spalla Kenny si tampona il sudore tra il collo e la fronte, volgendoti lo sguardo; ha appeso da parte la camicia per evitare di macchiarla, convieni che il panorama non ti dispiace affatto.
Non sai come ti sia uscita. 
Sono mesi che non te li accorci e ormai cominciano a darti fastidio. Ti aspettavi un’espressione tirata e un borbottio recalcitrante tipo “puoi farlo da solo”, ma Kenny non ha detto niente... È rientrato in casa, si è sciacquato la faccia e si è cambiato, e poi ti ha fatto sedere sui gradini assolati del portico con una vecchia pezza intorno al collo. 
La luce ti abbaglia gli occhi. Ti senti un po’ eccitato, come un ragazzino che sta per ricevere un dono inaspettato. Ed è sciocco.
“L’avevi mai fatto?” domandi, ma senza dartene particolarmente pensiero. La prima ciocca cade, accompagnata dal suono rilassante delle due lame, lento e misurato, un poco incerto, alle tue spalle. 
Kenny scuote il capo, da un angolo delle labbra pende una sigaretta accesa. “No,” inspira brevemente tra i denti. “Mai a qualcun altro comunque,” soggiunge, retraendo il filtro tra le falangi per sospirare un ghirigoro di pallido fumo, deviandolo lontano da te, prima di ricacciarselo in bocca.
Poi ne recide un’altra. Sulle assi di legno, una sfarinata di lanugine chiara. Con l’ausilio della mano libera pettina una sezione di chioma bionda e si allontana di poco per accertarsi a occhio che la lunghezza del taglio sia equilibrato da entrambi i lati, il suo tocco inaspettatamente gentile. Inarca un sopracciglio e fa per occhieggiarti. “Tranquillo, non ti renderò uno sgorbio!” Te lo rassicura con una smorfia che tu non vedi. “Non più di quanto sei già...”
La tua ripicca atterra sul dorso della sua mano con un sonoro schioppo. “Ai, attento!” Si sottrae sghignazzando profusamente, le braccia sollevate in alto. “Guarda che ho delle forbici in mano!”
A vuoto covi il tuo sguardo indispettito, come se lanciassi daghe contro il praticello di fronte a te.
Per quando finisce, la luce ha già cominciato a calare. Il giorno si accorcia sempre più. Il vento porta odore di pioggia.
Ti guardi allo specchio, di fronte e di profilo, e decidi che il risultato non ti dispiace. Il solito vecchio taglio. “Lasciali in pace.” Ma non riesci a smettere di accarezzarli per tutta la sera, le punte raschiano un po’ solleticandoti il palmo; dici che ora hai freddo alla nuca, ma senti solo quel tepore indefinito in fondo allo stomaco che ti induce a sorridere e ti mette il buon umore.

È la prima e l’unica volta che ti ha tagliato i capelli.


 
*


Nei pomeriggi piovosi resti ad ascoltare le gocce che picchettano contro il vetro, cercando di catturare lo spartito di note chiare e trasparenti che la pioggia sembra eseguire su tasti immaginari. 
Allineati sul davanzale, i vecchi barattoli per fiori sono vuoti ora.
E ha un che di malinconico…


La neve ha cominciato a cadere alla fine di novembre. Una folta nevicata che ha finito per ammantare il paesaggio nel giro di una notte. La mattina ogni cosa è smussata e abbacinante. 
Il silenzio ha amplificato tutti quei piccoli suoni. Gocce d’acqua che stillano dagli angoli del tetto. Una fronda si inarca per il peso della neve accumulata. Lo scricchiolio delle assi invecchiate, contratte a causa delle basse temperature.
Nevica per altri tre giorni di fila, uno di sereno, e poi ricomincia.
Kenny ha fatto fatica ad arrivare al villaggio, scavandosi a forza la strada, dove ha acquistato un po’ di carne secca, conserve di pomodoro e pesce sott’olio, del pane e il giornale. Finché il sentiero rimane praticabile, vuole mandare un messaggio al dr. Zoe per concordare il giorno del suo arrivo. 
Con gli ultimi spiccioli prende le pesche dolci in scatola. Non sia mai che ti ritorni la voglia.

Il cielo si rannuvola nuovamente sulla strada del ritorno, in poco tempo diventa difficile guardare di fronte a sé e distinguere il percorso a causa delle forti raffiche accompagnate da fiocchi grossi come fagioli. 
Intabarrato nel suo pesante soprabito, avanza a stento, a testa bassa, il vento gelido che gli impedisce di respirare. Una strana inquietudine si insinua in un angolo della sua mente.
Ad un tornante scivola, sentendo la neve cedere sotto il suo piede, ma si aggrappa tempestivamente al ramo di un albero ed evita il dirupo per un soffio. 
Si ferma a riprendere fiato, accigliandosi. L’aria sibila alle sue orecchie. In lontananza, un boato ovattato portato dal vento. 
A pochi metri dalla baita, la prima cosa che vede è una sagoma indistinta in mezzo alla bufera.
Il cuore comincia a ruzzolare tremendamente e Kenny si sente ansimare, con il fiato che condensandosi si disperde dietro di lui, mentre i suoi passi accelerano istintivamente fino a ritrovarsi a correre...
E ti trova lì, immobile, nella distesa innevata.
Ai tuoi piedi, una macchia scura si allarga vistosamente, rosso su bianco. 
Nei tuoi occhi spalancati lo smarrimento è medesimo. 
“Kenny.” 
Come i vostri sguardi sconvolti si incontrano, lui lo realizza.

Ti riporta velocemente dentro casa, trovando la porta spalancata, e ti adagia tra le coperte, per poi andare a ravvivare il fuoco. 
Non la smetti di tremare. Sei congelato. Lo è anche lui. Ti aggrappi a lui con le tue dita desensibilizzate e sporchi le sue maniche di sangue, ma non gli importa.
“Sono caduto.” Hai continuato a scusarti, in preda al panico. “Sono caduto, e poi è cominciato il dolore...” Ansimi, ansimi. “Non sapevo cosa fare, tu non arrivavi... Così mi sono messo il cappotto e sono precipitato fuori, ho pensato di raggiungerti, ma...”
Il sangue. Hai cominciato a sanguinare dopo aver fatto solo una decina di passi e il terrore incipiente ti ha lasciato lì immobile come una statua di sale. Una serie di decisioni sbagliate, ma non è il momento di rammentarle.
Lui ti stringe la mano per un secondo come per infonderti sicurezza. “Vado immediatamente a...” Scatta in piedi, ma tu lo trattieni e lo costringi a restare lì dov’è. “Farò venire Freudenberg, sarà anche inutile ma è meglio di niente!” 
“No,” scuoti il capo. La tua voce, seppur tremante, è decisa. “Devi ascoltarmi, non farai in tempo. Non c’è più tempo. C’è stata una slavina...”
L’eco del boato indistinto udito poco fa nella tormenta sembra riverberare ora sulle lastre gelide delle sue iridi.
“A valle, credo si tratti del passo, l’ho visto da qui, e lo vedo anche nei tuoi occhi... Perciò nessuno verrà.” Le ultime due parole scandite con chiarezza impietosa e la tua presa si fa ferrea, dolorosa, intorno al suo polso. “Siamo solo noi due, hai capito?”

Il vento preme contro la finestra, facendo gridare quella fragile struttura di legno e vetro.

Lo guardi negli occhi e li vedi colmarsi di sgomento - il tuo stesso, probabilmente. “Non posso aspettare tutto questo tempo, il bambino deve nascere stanotte...” Le tue labbra si schiudono inferme, consapevoli, e una luce folle si impossessa dei tuoi occhi. “Devi farlo tu stesso, Kenny...”

La sua espressione si svuota per una frazione di secondi. “Che stai dicendo?” 

“Devi farlo o moriremo tutti e due!!” Lo hai gridato. “È un ordine, d’accordo?” Non lo avevi mai fatto, non gli avevi mai obbligato a fare niente... Solo in quell’istante sembra rendersi conto di ciò che gli stai chiedendo, come se sentisse la terra cedere sotto di sé...
Kenny si porta lentamente una mano alla fronte, caracollando indietro sui suoi passi. “Non posso,” incomincia a scuotere il capo. “No, questo... è completamente folle!” 
Una fitta sferzante ti fa piegare in due, come se un coltello ti stesse triturando gli organi dall’interno. Ingoi a denti stretti un gemito che risuona come un ringhio sotto le travi annerite del soffitto. Ansante e imperlato di sudore, sono cominciate le contrazioni.
“Kenny,” inspiri a fondo, più volte, e sollevi le palpebre appesantite. “Guardami...” Annaspi ingoiando un bolo di saliva insieme agli spasmi delle doglie. Allungando le mani per avvolgere il suo viso e costringerlo vicino a te, con tutto il coraggio e la disperazione possibile, come quando gli sussurri parole d’amore nella notte: “io mi fido di te, più di chiunque altro al mondo. Lo sai questo?” Lo vedi annuire e lo fai anche tu, ripetendo il movimento nell’atto di assicurarlo. Un sorriso tirato, il tuo. “Puoi farlo,” lo esorti. “Fallo nascere, e poi andrà tutto bene... Sì?” La voce incalzante lo riscuoti per potergli estorcere un assenso, l’espressione di lui rattrappita.

L’unico utensile che ha a disposizione è un pugnale dalla lama ricurva. 
Aborre il pensiero di doverlo usare su di te, ma non ha scelta. Lo passa sulle fiamme pochi secondi per sterilizzarlo e come disinfettante sparge una bottiglia di distillato alcolico sulla zona da incidere. Poi ne manda giù un sorso a sua volta. Brucia.
Lo occhieggi accigliato. “Dovrei berne un po’ anch’io, che dici?” Non sarà granché come anestetico, ma...
“Non è il caso che tu vomiti.”
“Giusto.” Annuisci.
Ha liberato il tavolo perché tu possa distenderti e acceso tutte le candele possibili per avere maggiore visibilità. 
Sembra un incubo lucido e delirante, come certi scenari squisitamente surreali che il tuo subconscio partorisce durante le notti con il solo scopo di torturarti. 
Kenny non parla. Se vi è del timore nei suoi occhi non riesci a scorgerlo. Suda leggermente, ma la sua espressione resta immobile, concentrata.
Mentre si arrotola le maniche, ripassa a mente fredda la conversazione avuta con Victor Zoe, deducendone i passaggi chiavi e ricollocandoli in una serrata tabella di marcia. Non è complicato, ci vuole solo mano ferma... e nervi d’acciaio. O almeno è quello che vorrebbe raccontarsi.
Lo senti prendere un profondo respiro. È agitato. Non si sente pronto, ma non lo sarà mai del tutto... 
Ti guarda solo negli occhi un’ultima volta, e poi non lo farà più per tutta la durata della dannatissima cosa.

Appoggia il palmo sul tuo ventre, come per testarne la solidità.
Lo senti freddo, leggermente  umido.
Curvo sopra di te, Kenny afferra l’impugnatura e preme il filo della lama contro la cute cedevole che si infossa mollemente come un panetto di burro, applicando la medesima pressione maturata in passato sui corpi anonimi delle sue vittime, sospingendo fino a vedere la pelle sanguinare.
Da lì fa scivolare la punta verso destra, un taglio trasversale di circa 10 cm, al di sotto dell’ombelico. Netto, veloce, senza tremore.

Ti senti gridare. 
Ti senti gridare, nella notte, in quella piccola capanna sperduta nella tormenta di neve.
Non sei qui. Non sei qui, ti ripeti. Questo dolore ti è totalmente estraneo. Ti lascia indietro, strappandoti dal tuo corpo, per poi riprenderti un secondo più tardi, come il rinculo di un fucile, e ti rigetta nuovamente nel mondo, nudo e tremolante e svuotato...
Stoico e privo di emozioni, se ne sta accovacciato sopra di te, la testa inclinata, ti fissa vagamente incuriosito. E, nel delirio, hai impressione che abbia la tua stessa faccia... O magari è quello disteso sul tavolo a non essere te. E tu sei il dolore che resta a guardare...

Il mezzo centimetro di tessuto adiposo si squaglia sotto la lama rovente, fino a raggiungere la fascia muscolare al di sotto. A questo punto, posa il suo strumento su un asciugamano pulito, e insinua entrambi i pollici tra le due metà della parete addominale, come se aprisse un frutto maturo, le divarica. Impregnato di sudore, un ciuffo corvino gli ricade sulla fronte, oscillando indisturbato davanti ai suoi occhi tesi.
Non perde tempo e riprende in mano il coltello, per recidere la membrana del peritoneo sotto la quale vengono esposti gli organi della zona pelvica - come spiegato da Zoe. L’odore che trasuda un addome squarciato, brutalmente familiare. La pozza vermiglia si allarga sempre più, gocciolando dal bordo del tavolo, una goccia alla volta, plick, plick, sul pavimento dove si forma subito un’altra. 
Non ti sente più gridare da un po’, ma non ha il coraggio di sollevare gli occhi, perciò continua a lavorare a testa bassa.
Il corpo uterino abnorme si trova attaccato alla sacca della vescica, con attenzione sposta quest’ultima per non rischiare di perforarla. Si stringe i pugni per ravvivare la sensibilità delle dita rese rigide dalla tensione, dopodiché posa le falangi sulla parete esterna dell’utero, tentando di stabilire a tatto la posizione del feto, e lo spessore indeterminato tra questi e il fragile contenitore a cui è amalgamato.
“Ok.” Sospira con decisione, leccandosi l’angolo del labbro superiore.
L’utero viene inciso. Inserisce nuovamente le sue dita, dentro quella feritoia strettissima, e percepisce qualcosa di viscido e molle rompersi: è la sacca amniotica rimasta, dietro la quale, quasi fosse un ghirigoro, sembra intravedersi un piccolo.. orecchio? 
È la testa. Se ne rallegra. Ora, con tutta la delicatezza possibile, si fa leva con la mancina trattenendo il bambino sotto la nuca e lo fa scivolare attraverso la breccia uterina, gradualmente, accompagnandosi con la destra che ne sorregge le gambette ritratte. Arpiona le forbici rimaste immerse nell’alcool, trancia il cordone ombelicale...
Ce l’ha! Ce l’ha! Lo tiene tra le mani e... Non piange. Si acciglia. Perché non piange?
Kenny ribalta quel minuscolo corpicino ricoperto di sangue e liquido amniotico, appioppandogli una prima leggera sberla sul sedere.
Dopo un silenzio lunghissimo, lo sente tossire. Tossicchia, come un tigrotto appena scampato all’annegamento, e le sue strilla acute squarciano l’aria immobile della notte, tutto indisposto e confuso.
Al lume di candele, vede che ha gli occhi chiusi. È tutto raggrinzito come un vecchietto ed è davvero brutto. Lo espone a pancia in su e quello sgola più forte, astiosamente contrariato, o solo spaventato. Serra ancora i pugnetti, ma le sue ginocchia hanno ceduto un po’ di tensione, all’inguine la miniatura di un apparato genitale... 
Aggrotta la fronte. La stanchezza smussa i suoi lineamenti facciali, strappandogli un sorriso un po’ tirato. Non è ciò che si aspettava...
“È un maschio.” Si volta verso di te. “Uri, è un maschio...!” Ma il suo sorriso si spezza non appena ti vede.
Adagia la piccola creatura in un involto di stoffa sopra il letto. 
Ha la camicia completamente inzuppata. Non si è reso del tutto conto del velo di vapore che ha continuato a saturarsi dalle tue ferite, fino a quel momento.
Ma tu non dai segno di muoverti. Te ne stai solo immobile, riverso sopra il tavolo allagato di sangue.
“Perché non si rimarginano?” C’è un filo di panico nella sua voce. “Ehi, Uri...” Ti scuote, piano. 

Silenzio. C’è troppo silenzio. Il bambino continua a piangere.

Incombe su di te, premendo ripetutamente sulle tue spalle e braccia inerti, come se volesse darti forza e assicurarsi che i muscoli restino reattivi. Avvolge il tuo viso con entrambe le mani, l’orma del pollice che lascia striature di sangue sulle guance scavate e le tue labbra esangui che restano un po’ aperte.
Non ti svegli. Lui ti chiama, ma non ti svegli.
“Cazzo,” Kenny si mette le mani tra i capelli e trema, aggrappandosi al fianco del tavolo. “Cazzo, cazzo, cazzo....” Il suo fiato si fa sconnesso e sempre più agitato. “No, no, no... Ti prego, no! No...!!” Afferra con disperazione la tua mano, premendosela contro le labbra, il suo respiro sferza sul dorso gelido.
Ingoia un principio di congestione nasale. Lo sguardo supplicante sul tuo volto, ha continuato a sfiorarlo ancora e ancora, in lente morbose carezze...
Le lacrime cominciano a solcare le sue guance, ma lui non le vede. Tu non le vedi.
“Cazzo...” Un singhiozzo rotto. 
Il groviglio di organi rimane lì esposto. La pelle del ventre divaricato si affloscia in modo asimmetrico, da una parte o dall’altra, intorno alla cavità vuota del plico uterino. 
Il fumo continua a salire, facendosi più denso ogni minuto che scorre immobile, agonizzante.
La neve ha smesso di cadere da ore. 



 
*



Ha creduto di averti ucciso. 

Sei svenuto quasi subito. 
Hai perso molto sangue, più di un litro, e il tuo corpo stremato non è stato in grado di riprendersi.
I segni dell’incisione hanno cominciato a rimarginarsi solo dopo un paio d’ore e l’intero processo, fino alla completa ermetica chiusura, ne ha richiesto altre quattro. Le tue funzioni vitali si sono come ibernate in quel momento, per poter incanalare tutte le energie nella guarigione delle ferite.
Per tutto il tempo lui è rimasto a vegliare su di te. Credendoti morto. Sentendosi morto...
Dopodiché ti ha lavato, ha lavato il bambino, ripulito il sangue dal tavolo e dal pavimento, e ti ha rimesso a letto.
Hai dormito per tre giorni e tre notti. Se abbia pregato gli dei, non lo sai.

All’alba del quarto giorno, è il tuo stomaco a brontolare per primo. 
Quando riapri gli occhi, lui è ancora lì, crollato al tuo capezzale. Non sai per quanto tempo resti a osservarlo, semplicemente osservarlo, i sensi vagamente intontiti... fino al suo risveglio.
Kenny solleva lentamente il busto. Non è sorpreso, non lo è mai. “Ehi.” Ti sorride. Non si rasa da giorni.
Hai ancora il colorito un po’ livido. Annuisci piano in risposta. 
Dopo un altro intervallo di silenzio domandi “quanto ho dormito?” e ti metti a sedere tra i cuscini, guardandoti intorno. L’aria è tersa e la stanza pare in qualche modo diversa, nuova.
“Abbastanza,” riassume lui laconicamente, non aggiunge altro. Si rialza dal letto. Lo vedi allontanarsi. 
Kenny solleva il piccolo fagotto da una culla improvvisata con una cassetta di legno e degli stracci. Il bambino si lamenta nel sonno. “Shhh, shh-shh...” Delicatamente lo culla, la mano rovesciata a sorreggergli la nuca, colpetti quasi inavvertiti che ne sfiorano la schiena minuta.
Si volta piano verso di te.
E il tuo viso si accende. 
“Dammelo!” Tendi subito le braccia, tutto trepidante, facendogli segno di affrettarsi. “Dammelo,” lo incalzi, “presto!” Non stai più nella pelle...
Kenny te lo sistema tra le braccia, maneggiandolo sempre lentamente, con estrema cautela. “Oh dio...!” squittisci. Ti senti emozionato, confuso, gratificato. Non peserà più di un uovo d’anatra, tutto soffice e vellutato, la testa spelacchiata. Si dimena leggermente tra le tue braccia, inarcando la schiena e stiracchiando un piede, gli occhi stretti, infastiditi dalla luce del primo sole. Senti il cuore stringerti nel petto.
Kenny si siede accanto a te, il ginocchio piegato sul bordo del materasso sottile. “Non è una femmina, ma...” Alzi lo sguardo trasognato su di lui. “È un maschietto?” sussurri a fior di labbra, eccitato. Lui annuisce. 
Ma assomiglia lo stesso un po’ a Kuchel, pensa Kenny, a quando era neonata. I radi ciuffetti alla nuca hanno assunto una bella sfumatura corvina, il viso è paffutello e i lineamenti minuti.
Il bambino apre lentamente le palpebre e guarda confuso sopra di sé, anche se in realtà non riesce a mettere molto a fuoco. “Ha i tuoi occhi.” Gli sorridi, e lo ami anche di più per questo...
Grigi, blu intenso nei giorni di pioggia, ceruleo pallido quando sono arrabbiati, veramente arrabbiati, e sottili come lame di ghiaccio. Gli occhi di Kenny.
Lo vedi arricciare il naso e in men che non si dica scoppia in un pianto stridulo. Ti accigli, pensi di aver fatto qualcosa di sbagliato. “Aspetta,” Kenny te lo leva dalle braccia. “Deve avere fame.”
Dal comodino accanto rinviene dell’ovatta candida e strappandone un pezzetto ne intinge la punta in una ciotola di terracotta, strizzando via poi il liquido in eccesso. Dopodiché lo mette in bocca al bambino che, d’istinto, cessa di frignare, cominciando a succhiarlo profusamente. Ripete l’azione più volte, finché non è soddisfatto e ammansito. “È latte di capra.” Spiega alla fine.
È così che lo ha nutrito in questi giorni, e sembra essere diventato bravo. Se lo adagia al petto, con la testa che sporge dalla sua spalla, la sua mano grande in contrasto al minuscolo torace del bambino, mentre si muove in lente carezze che vanno dall’alto in basso, ripetutamente. “Sono riuscito a scendere al villaggio. La vecchia mi ha spiegato come farlo.” La vecchia capraia mezza cieca che vive ai piedi della montagna e che ogni tanto lo chiama Armando.
Un piccolo sbuffo accompagnato da un sussulto, l’aria che risale dalle vie gastriche del bambino.
E ti sconcerta, tutta quella tenerezza che vedi in lui ora, quasi timorosa, e di cui sembra non accorgersene...
Non hai idea dei momenti che ha passato, bui e innominabili, lui solo con il bambino.

“Hai pensato a come chiamarlo?” gli domandi dal letto. Non ne avete mai discusso seriamente, e lui si è sempre limitato a chiamarlo “essere” o “gamberetto”.
Avevi paura che dandogli un nome e pronunciarlo il tuo bambino sarebbe scomparso, così non l’hai mai fatto.
Ma ora non c’è ne più motivo...

“Levi.” 

Kenny, lui invece ci aveva già pensato, per conto suo, in silenzio, durante tutti quei mesi. “Andava bene sia per una femmina che per un maschio, quindi...” Lo senti borbottare, con voce incerta e il bambino che gli sbava impunemente su una spalla: un ritratto di paternità davvero surreale, ma non è stato quello a colpirti maggiormente...
Sulla feritoia delle tue labbra si schiude un muto interrogativo. Il tuo sguardo su di lui, indeterminato. “Si chiamava così il vostro capostipite, il primo Ackerman...” mormori, come se pensassi ad alta voce.
Questo lui non poteva saperlo, non nel modo in cui lo sai da sempre tu…
Quando lo riporta finalmente da te, lo accogli tra le braccia, stringendoti vicino il suo tepore tutto molle e fragile.
“È un po’ da vecchio, sì,” ti concede il moro, “ma è tradizionale nella mia famiglia.” Piega le gambe per abbassarsi, seduto sui suoi talloni, e osserva il bambino insieme a te, con i gomiti puntellati sul letto, prima di continuare. “Quando morì il vecchio lo portai al cimitero, quel posto era pieno di lapidi con questo nome.”
Un’ispirazione infelice di cui puoi anche fare a meno di sapere l’origine, pensi con un accenno di raccapriccio…
“Comunque se ti fa schifo...”
“No,” un sorriso. “È perfetto.”
I tuoi occhi ricadono nuovamente sulla creaturina, che non ha idea di cosa stia succedendo ma sembra soddisfatto. 
Tracci lente carezze lungo la sua guancia lievemente arrossata, con la pressione piumata del pollice. Le sue dita minuscole si aggrappano al tuo indice, stringendo forte e studiandoselo incerto. 
“Levi...” Provi a dirlo ad alta voce, con timore e dolcezza, le guance ti fanno male a forza di sorridere. Resti lì ad ammirarlo forse per ore. Poi ti ricordi di essere ancora affamato, ma non te ne importa più.
Sotto un ventaglio di ciglia umide, gli occhi ridenti a illuminarti. “Sarai forte,” gli prometti in un sussurro pianissimo. “Sarai forte e sarai saggio, e sarai il più coraggioso degli uomini...”
Perché io sarò la tua forza e il tuo scudo, e ti starò accanto per sempre... Ma ti manca la voce per poterlo dire, allora lo preghi in silenzio dentro di te, in quella mattina innevata di dicembre, mettendolo sotto chiave nel tuo cuore, come un potente talismano contro le sventure di questo mondo, affinché possa proteggerlo per sempre...




  
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