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Autore: FedeRicaaStyles    21/04/2022    0 recensioni
θεράπων (therápōn): compagno d'armi legato ad un principe da un giuramento di sangue e amore.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cantami, o Diva, del pelide Achille
l'ira funesta  [...]

 

Quell'ira che ti ha strappato via da me, consumando ogni realtà. Ogni ricordo, ogni momento felice e ormai troppo lontano. 

Quell'ira che ha reso evanescente ogni bacio, ogni carezza, ogni promessa.

Therapon fu il termine con il quale mi designasti dinanzi a tuo padre, al re Peleo.

Un compagno d'armi legato ad un principe da un giuramento di sangue e amore

Ma noi non avevamo bisogno di nessun giuramento per capire quale sarebbe stato il nostro destino.

Nessuna parola, nessun accordo. 

Solo taciti sussurri, mutui sguardi, complici e fugaci intese che alimentavano la nostra voglia di vivere il mondo, farlo nostro, evadere da una realtà così opprimente.

Sento ancora il tuo tocco su di me, Achille. 

Gentile e delicato, tenue e leggiadro come la tua persona, come la tua anima e quel lato di te che lasciavi celato agli occhi mortali.

Così aggraziato, così bello da suscitare persino l'invidia delle dee più temute e più onorate. È forse questo uno dei motivi che risiedono alla base del tuo infausto destino, sì tinto di sangue e lacrime ed illusorie speranze?

 

Tu hai tentato, hai provato e riprovato. Sfidare il fato sembrava un'impresa glorificante e superba, eppure mai si rivelò così vana. Ma tu hai tentato, ancora e ancora, ed io lì con te, sempre al tuo fianco, cuore contro cuore, un groviglio inscindibile di anime e corpi che si fondono nella notte e portano via con sé sogni e lunghe attese.

«Che cosa mi ha mai fatto di male Ettore?» sorridevi incauto, mentre il filo del destino tessuto dalle Moire era lì fermo, immobile ed ineluttabile, pronto ad essere reciso.

Un ricordo riaffiora alla mente.

Eravamo stesi sull'erba morbida di fronte alla caverna, gli sguardi puntati verso l'alto, le nostre dita intrecciate. Ascoltavamo affascinati le storie delle costellazioni che solcavano il cielo quella notte: Andromeda, Perseo, Pegaso, Medusa. Udimmo di Eracle, delle sue fatiche e della sua follia che lo condusse all'assassinio della moglie e dei figli.

«Gli dei sono stati ingiusti» sentenziasti tu.

«Gli dei non sono tenuti ad essere giusti, Achille» proferì Chirone. «E dopotutto forse il dolore più grande è quello di chi viene lasciato solo sulla terra. Non credi?».

Io conoscevo già da allora la risposta. Come avrei anche solo potuto pensare di vivere senza di te?

Tu annuisti incerto, smosso dalle tue convinzioni tanto ferme ma ancora troppo lontano dal toccare con mano il binomio reale e tetro di dolore e morte.

Ebbene, Achille, adesso puoi porre un punto a tale domanda.

Sento ancora la tua voce, Aristos Achaion. Quella voce che cullava le mie insicurezze, il mio sentirmi inadeguato al tuo fianco, quella voce che mi accarezzava dopo un incubo durante la notte e mi accompagnava sino al sorgere dei primi e timidi raggi della luce febea.

Sento il tuo sguardo carico di amore sulla mia pelle, quello sguardo indulgente in grado di scavare nei meandri più reconditi della mia anima e arrivare dritta agli organi, dritta alle viscere e ancor più a fondo.

Sento ancora la tua mano cercare la mia, timorosa di perdermi in un soffio etereo, il tuo corpo rincorrere il mio in una danza vorticosa ed incessante. Sento ancora il profumo di te e me, delle nostre vite, dei nostri sorrisi e sospiri aleggiare nel vento, sospeso in quella dimensione aleatoria in cui tutto è lecito, tutto è possibile, in cui non esistono più un me e te, non esistono più il principe e l'esiliato, Achille e Patroclo, ma solo noi.

Per cui ti aspetto, Achille.
E tu aspettami, Achille.

Sono qui, che guardo te.
Che guardo me.
In te.

Ti aspetto.

  
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