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Autore: AliaLexi    24/04/2022    2 recensioni
Il ragazzetto si sentiva separato dalla sua famiglia stando in quella stanza buia a causa della sua malattia. continuano a sussurrare gli strani esseri che lo tormentano. E avevano ragione, il tempo era veramente arrivato.
Genere: Dark, Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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    Il buio avvolgeva la stanza, una stanza che da molto tempo non vedeva raggi del sole o il bagliore argenteo della luna. La porta era chiusa, le finestre sprangate e sigillate dall'esterno.

    Sussurri e fruscii affollavano lo spazio disponibile, tante voci e movimento ma nessuno di fisico presenziava in quella camera. Nessuno tranne un piccolo bambino, spaventato e nascosto sotto le coperte. Era malato, stava lì attendendo le cure dei genitori e, occasionalmente, del dottore di turno.

    Quelli che il bambino pensava fossero spiriti si agitavano se lui provava a scendere dal letto su cui si trovava. L'unico modo per tenerli buoni era restare lì. Ma lui sentiva che non sarebbe bastato ancora per molto. Quegli esseri non erano certo lì per tenerlo al sicuro, avevano un secondo fine molto più malvagio.

    Solo il bambino poteva vedere quegli spiriti, solo lui poteva sentirli. Poteva sentire quello che sussurravano e percepire la loro essenza ghiacciata quando sfioravano le coperte sotto cui era rifugiato.

    «La fine. Sta arrivando il momento.» continuavano a dire, voci che si perdevano le une nelle altre, i sussurri rauchi e morti. Ticchettii di denti che battevano tra loro, graffi e artigli sulle pareti.

    Gli unici momenti di pace li aveva solo alla comparsa dei familiari, quando la porta della cameretta si apriva ed entrava la luce. Il piccolo aveva perso il conto delle ore dall'ultima volta che qualcuno era entrato, liberandolo per qualche istante dal suo tormento.

    Il gelo, nonostante le coperte, gli attanagliava l'animo. La paura lo immobilizzava. La malattia lo indeboliva. La mancanza di sonno era troppo da sopportare per un bambino. Tremava e faticava a compiere qualsiasi minimo movimento. Il battito cardiaco era costantemente in accelerazione, spesso mancava dei battiti per via della fretta della sua corsa. Le orecchie fischiavano per il troppo silenzio.

    Dalla porta chiusa e oltre le voci sussurrate, il bambino riusciva sempre a sentire i genitori parlare tra loro. Sentiva i suoi fratelli e sorelle ridere e giocare allegri. Sentiva il campanello che preannunciava la visita del dottore. Ma quel giorno, in quel preciso istante in cui si stava concentrando per ascoltare i suoi familiari, non sentì nessuno. Nessuna voce umana, nessun rumore di passi, nessun riso allegro dei fratelli.

    Ipotizzò fosse notte inoltrata. Non era così.

    Il silenzio irreale che governava in tutta la casa sarebbe stato capace di inquietare chiunque. L'assenza di vita, spirito o luce che presidiava quel posto era opprimente.

    «Ecco.» i sussurri avevano cambiato la loro cantilena, si agitavano di più, graffiavano di più. Il bambino potè giurare di aver sentito ridere, qualche spirito dalla voce roca stava sicuramente ridendo, una risata sadica e malamente compiaciuta «Il tempo è vicino, adesso.»

    Il campanello. Un assordante trillo gioviale e accogliente risuonò ovunque tra quelle pareti. Il bambino trattenne un grido di spavento, quel suono gli era giunto alle orecchie troppo forte e acuto. Si contorse nel letto, impaziente, nervoso.

    "Aprite." avrebbe voluto dire alla sua famiglia "Aprite per favore, che qualcuno apra!" ma la voce, la sua voce gli moriva continuamente in gola, incapace di uscire, incapace di sovrastare quella degli spiriti. L'unica cosa che riuscì a pronunciare fu un urlo strozzato, inudibile a più di qualche centimetro da lui. Alcuni esseri puntarono al letto con lo sguardo, fermandosi e tacendo per un brevissimo attimo. La mente del giovane fu libera per quel solo attimo, e per quel solo attimo riuscì a prendere coraggio.

    Si tirò in piedi sul materasso, le coperte vennero lanciate in avanti dallo scatto. Con un salto si fiondò sulla porta e quella si aprì. La cameretta s'innondò della luce dorata del giorno. Ignorò con tutta la sua volontà ogni sensazione di ghiaccio che lo attraversava quando la sua pelle veniva a contatto con quegli spiriti. Nella sua percezione della realtà stava correndo abbastanza veloce da seminarli.

    Nel corridoio c'era silenzio. Nelle stanze c'era silenzio. In tutta la casa c'era silenzio. Solo i piedi del bambino riempivano la casa di umanità col loro correre, il respiro affannato del giovane era appena percepibile. Gli occhi del piccolo dolevano alla vista di tutta quella luce che entrava dalle finestre. Era da tanto che se ne stava nella sua camera buia, non era abituato a quel calore.

    Corse in salotto, sapeva che i suoi familiari dovevano per forza trovarsi lì in qualche modo. E in effetti c'erano, ma i loro corpi erano esanimi. La sorella minore di appena due anni era riversa sul tavolino in centro alla stanza, coperta di sangue. Gli occhi spalancati, vitrei e vuoti. I suoi fratelli maggiori, gemelli, erano seduti mollemente sul divano. Le gole tagliate da più linee scarlatte e i vestiti sbrindellati. I genitori non erano lì.

    Il bambino si diresse velocissimo in cucina cercando la madre, sperando di poterla avvertire in qualche modo della tragedia. La sala da pranzo era messa sottosopra. Il tavolo era stato lanciato addosso ad una parete, la dispensa svuotata e distrutta, il rubinetto aperto e l'acqua allagava tutta la stanza. Solo due persone presenti: i genitori sanguinanti erano aggrappati alle sedie con presa morta e debole.

    Il dolore che il piccolo poteva sentire nel suo torace era molto più violento e intenso della paura che prima lo attanagliava. Era un sentimento talmente dilaniante che le torture peggiori sarebbero state un sollievo in confronto. Non sapeva cosa fare, non sapeva come salvarli. Avrebbe voluto, ma era solo un bambino. Non potè non cadere sulle ginocchia, calde lacrime scivolarono sulle sue guance aggiungendosi all'acqua che allagava il pavimento.

    Il campanello trillò nuovamente.

    La porta. Il dottore. Lui avrebbe aiutato. Il piccolo si rialzò e corse all'ingresso sperando soltanto in un enorme malinteso, sperando di trovare tutti lì fuori ad aspettarlo, vivi e vegeti. Raggiunse la maniglia, aprì il portoncino e i cardini cigolarono lentamente, lamentosamente.

    Fuori c'era il vuoto. Freddo, un freddo tale da congelargli le ossa. Un silenzio tale da far fischiare nuovamente le orecchie del ragazzetto ancora più intensamente di poco prima. Un'oppressione tale da farlo sentire sottoterra, schiacciato da tutto e da ogni cosa.

    Guidato da qualcosa che non riusciva a frenare, le sue gambe si mossero verso la soglia. Lentamente. Il suo respiro rallentò come non faceva da ore o giorni che fossero. I suoi pensieri non erano più paura, dolore o quesiti sul futuro, non aveva domande. Si sentiva stranamente tranquillo mentre con un piede scalzo passava l'entrata e si immergeva in quel vuoto assordante.

    «È tutto a posto, stai tranquillo.» una calda voce femminile lo stava tranquillizzando «Non sentirai nulla, fidati di me.»

    Il bambino stava ora attraversando il vuoto, il piede che ancora esitava sulla soglia si era sollevato e stava impostando il suo passo.

    «Tranquillo, respira. Sei con me ora.»

    Quando fu completamente dall'altra parte, la sensazione di freddo agghiacciante sconparve, rimpiazzata da un bruciore sconfortante. Fiamme e lingue di fuogo gli lambivano gli arti, un caldo terrificante e mortale prese il posto del freddo terrore che fino a poco prima gli soffocava il respiro e il cuore.

    «Sei al sicuro, piccolo, sei con me.»

    Il sole che gli si formò nel torace lo stava consumando pian piano, con sadica lentezza e ingordigia allo stesso tempo. Il bambino sentiva tutto, percepiva ogni sofferenza che quel vuoto gli stava portando, ogni piccola o grande fiamma che lo stava bruciando. Ma non poteva fare nulla, non poteva gridare, non poteva fermarsi, doveva continuare a camminare. Avanti.

    «Sei con me ora.»

    «Mamma?» chiese lui di rimando. La voce roca e impastata per via del suo poco utilizzo.

    «Si, sono io. Vieni da me, tesoro.»

    Il bambino portò le braccia avanti, chiedendo un abbraccio dalla madre. Quello che vide lo terrorizzò a morte ma non poteva gridare. Qualcosa glielo impediva. Le sue braccia, pallide e magre, erano insanguinate, tagliate ai polsi e dilaniate da graffi animaleschi su tutto il resto della pelle. Le mani erano torte e le ossa rotte, le dita tutte piegate in angolazioni che non pensava nemmeno potessero esistere. Sentiva tutto. L'aria fredda sulle ferite, il calore infernale nella testa, il dolore delle ossa rotte.

    Silenzio. Ancora quel silenzio che gli fischiava acutamente nelle orecchie. Poi ancora quel tichettio di denti, quei graffi sui muri e sul legno.

    In parte era lui a produrne. La sua mandibola tichettava, aprendosi e chiudendosi di scatto con moti involontari e incontrollabili. Si sentiva fluttuare nel nulla. Non percepiva più nulla, il dolore era andato così come la voce di sua madre. Si sentiva freddo dopo tutto quel calore inverossimile. Si sentiva vuoto dopo tutto quel dolore nel petto. Si sentiva leggero.

    «La fine. Sta arrivando il momento.» sussurrò, una cantilena che gli sembrava di conoscere da sempre. Doveva dirlo, la sua famiglia lo stava dicendo a sua volta. Seguiva il loro esempio.

 
   
 
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