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Autore: Verfall    25/04/2022    3 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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10. 29 maggio 1984 – Ryo ⁓ Kenji

Per Ryo quel pomeriggio era un’autentica delizia stare disteso sul pavimento della veranda dell’antica villa in stile tradizionale, con i raggi del sole che obliqui gli riscaldavano il ventre e le gambe. Sarebbe potuto restare così per ore o, almeno, fino a quando la sua parte vulcanica avrebbe iniziato a scalpitare non potendone più di tutto quell’ozio. In fondo, era tipico della sua apparente natura indolente e goliardica celare sotto la superfice un uragano distruttivo che spesso lo sfiancava. Non era facile gestire se stesso il più delle volte, ormai ne era ben consapevole, ma per fortuna quella parentesi di stasi lo stava aiutando a prendere fiato dalla sua vita frenetica; nessun altro luogo riusciva a trasmettergli una tale serenità. Non che casa sua fosse un luogo stressante, anzi, l’aveva resa una piccola roccaforte inespugnabile dove poteva concedersi il lusso di abbassare la guardia, ma ciò non lo riposava davvero. Certo, aveva anche le sue amate ‘riviste altamente culturali’ che lo aiutavano a spegnere il cervello mentre godeva delle meraviglie della natura, ma l’incanto svaniva appena le richiudeva. Per quanto si sforzasse, avvertiva sempre un piccolo e temibile senso di vuoto che, però, non riusciva bene a identificare. Che cosa gli mancava?
Emise un verso sarcastico. A lui non mancava proprio niente, la sua vita era fin troppo piena per il lavoro che conduceva e cercò di convincersi che quella sensazione era solo frutto della sua immaginazione. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente; si era abbuffato fin troppo voracemente e il pranzo gli gravava sullo stomaco come un macigno.
“Non dovevo fare così tanti bis…” pensò e lasciò andare un rutto che risuonò potente nelle vicinanze.

«Sei proprio un maiale»

Ryo arcuò l’angolo della bocca «Il bue che dà del cornuto all’asino» rispose senza muoversi, limitandosi solo ad aprire gli occhi.

Ciò che vide fu la faccia sotto sopra del Professore, che lo guardava con un sorrisino sotto i baffi.

«Dopo tutti questi anni devi ancora imparare il senso della misura»

«Invece ce l’ho perfettamente»

«Ma se mangi sempre come se fossi digiuno da giorni!» sbottò l’uomo.

«No, mangio sempre come se fosse l’ultimo pasto possibile»

Il Professore gli lanciò uno sguardo indecifrabile prima di sparire dal suo campo visivo. Sentì i suoi passi e il bastone scricchiolare sui listelli di legno fin quando non raggiunse la sedia a dondolo posizionata poco lontano da lui. Ryo richiuse gli occhi.
“Bene, adesso è finita la pace” pensò mentre avvertiva il senso di oppressione farsi sempre più pressante. Strinse le labbra in una linea sottile ben conscio che, per quanto potesse fare lo gnorri, non poteva mentire a se stesso; le rare volte in cui il Professore lo invitava a casa per pranzo erano sempre collegate a situazioni particolari, in cui condivideva con lui informazioni delicate. Per questo motivo a tavola si era aspettato una conversazione impegnata, mentre, in realtà, avevano parlato amabilmente di facezie e il Professore si era mostrato il solito uomo di spirito; dietro quell’apparenza, però, aveva avvertito quasi una ritrosia da parte del suo ospite che all’inizio lo aveva sorpreso. E a giudicare dalla tensione che avvertiva provenire dal Professore, sembrava proprio che il momento rimandato fosse infine giunto.
Nel frattempo la sedia dondolava ritmicamente a piccoli intervalli, il vento leggero scuoteva le fronde vicine e il rombo delle sporadiche macchine di passaggio sulla strada principale echeggiava ovattato; stava così bene in quel momento che avrebbe voluto fermarlo, cristallizzarlo nel tempo che scorreva inesorabile e a cui era impossibile sfuggire.
Scosse lievemente la testa per scacciare quell’assurdo pensiero e con un movimento flemmatico del braccio raggiunse la giacca che aveva steso alla sua destra, prendendo dalla tasca interna sigaretta e accendino: era meglio distendere i nervi, forse ne avrebbe avuto bisogno.
Dopo la prima boccata sentì il Professore schiarirsi la voce esageratamente infastidito e ciò non mancò di farlo sorridere.

«Dovresti smetterla di fumare ragazzo, non ti fa bene»

“Come scusa per iniziare la conversazione mi sembra un po’ misera” pensò Ryo mentre si metteva a sedere con un rapido guizzo degli addominali. Si girò verso sinistra, in direzione dell’uomo «Da quando è diventato un problema?»

«Da adesso» commentò il Professore mentre incrociava le braccia «Non fai certo un regalo ai tuoi polmoni continuando con questo brutto vizio»

«Beh, in qualche modo bisogna pur morire» lo sweeper espirò dal naso prima di aggiungere allegro «E visto che tutto è potenzialmente letale preferisco non negarmi alcun vizio, almeno crepo contento!»

L’uomo scosse la testa con un sorriso che gli piegò i baffi verso l’alto «Proprio non ti piace rimanere serio, eh?»

«No» “Lo sono stato fin troppo” avrebbe voluto aggiungere ma si trattenne, limitandosi a girarsi verso l’ampio giardino.

«Ricordo ancora la prima volta che hai fumato» disse il Professore dopo un momento di silenzio «Per poco non scatenasti una rissa… Ah, sei sempre stato un casinista»

Ryo si lasciò andare a una risatina «Beh, non che gli altri uomini fossero da meno»

«Su questo sono costretto a darti ragione»

Dopo aver lanciato all’uomo un’occhiata fintamente sostenuta, Ryo prese un’altra boccata dalla sigaretta che il vento stava consumando fin troppo velocemente. Si sforzò di tornare con la mente a quel tempo, quando lui, poco più che bambino, venne fatto avvicinare al vizio del fumo che era considerato una tappa irrinunciabile per sancire la crescita di un uomo. E per quanto cercasse di ricordare quel momento, i dettagli continuavano a disperdersi come volute nebbiose nella sua memoria, lasciando nitidi solo brevi sprazzi che sembravano fotogrammi di una pellicola rovinata: lui che tossiva con le lacrime a gli occhi, sentendo la gola in fiamme; un collerico Carlos che gli urlava contro perché per poco non dava fuoco alle provviste di un mese; Paco e Carlos che si azzuffavano perché quest’ultimo accusava Paco di aver rubato la sua ultima sigaretta – che aveva poi dato a Ryo. Si grattò contrariato la tempia con il pollice; era inutile, non c’era verso di riuscire a riempire i vuoti e collegare quegli eventi frammentati forse perché, a furia di cercare di ignorare, di seppellire quella parte della sua vita, questa stava davvero svanendo dalla sua memoria poco a poco, e scoprirlo non gli fece tanto piacere quanto aveva immaginato.
Mentre era preso dalle sue riflessioni, il Professore lo fissava attento senza smettere di dondolarsi lentamente. Appena avvertì il suo sguardo su di sé, Ryo decise di prendere di petto la situazione e sciogliere definitivamente quella ritrosia che iniziava a esasperarlo; era meglio affrontare subito il problema piuttosto che girarci intorno, l’attesa aumentava solo l’agonia.

«Non è da lei fare riferimento a quei tempi» disse Ryo, girandosi verso l’uomo «Per caso quello che deve dirmi ha a che fare con l’America?»

Il Professore smise di dondolarsi e posizionò il bastone tra le gambe, appoggiandovi sopra entrambe le mani come se volesse trovare un qualche supporto.

«Se c’è una cosa che ho sempre apprezzato di te, Ryo, è la tua perspicacia» gli rispose con sguardo fiero e dopo qualche attimo di silenziò proseguì «Mi ha contattato un vecchio amico, José il cubano. Ti ricordi ancora di lui, no?»

Ryo si limitò ad annuire. Non aveva certo dimenticato l’ometto che aveva messo a loro disposizione la sua palazzina durante quei mesi infernali in cui aveva combattuto strenuamente per disintossicarsi dalla PCP. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa di rabbia e nausea al solo pensarci.

«Siamo rimasti in contatto saltuariamente nel corso degli anni. Sai, adesso non abita più a Città del Guatemala: già un anno dopo la nostra partenza per gli Stati Uniti, la situazione per lui era diventata insostenibile, perciò ha iniziato a condurre un’esistenza errabonda tra Centro e Sud Americ-»

«Così può tenerla aggiornata meglio su cosa succede nei vari Stati, dico bene? E non mi meraviglierebbe più di tanto se scoprissi che proprio lei provvede a pagare tutte le sue spese, visto che ormai è un suo fidato informatore» lo interruppe Ryo con fare ovvio.

Il Professore si limitò a piegare le labbra in un sorrisino che gli fece alzare leggermente i baffi canuti «Se sai già tutto allora posso fare a meno di continuare…»

«No, prego, non la interromperò più» lo esortò, ben sapendo quanto l’uomo fosse permaloso in quel senso e non tollerasse di buon grado le interruzioni.

Il Professore si schienò contro la spalliera e chiuse gli occhi per un attimo prima di riprendere il discorso «Non andrò per le lunghe Ryo, non ti preoccupare. Ad ogni modo, adesso si trova a Panama che, a quanto pare, è diventata ultimamente una città piuttosto affollata»

«Ah sì?» lo sweeper si alzò in piedi e con noncuranza si infilò la giacca di pelle. Non gli piaceva la direzione che stava prendendo quel discorso.

«Noriega sta accogliendo in massa i narcotrafficanti colombiani che, da poco più di un mese, stanno scappando dopo l’uccisione del loro Ministro della Giustizia; a quanto pare è stato uno dei principali responsabili del fallimento politico di Escobar e questi, per vendetta, l’ha fatto fuori. Ah, anche lui è scappato assieme ai suoi compari. Sai, Noriega va molto d’accordo con quella gentaglia…1»

«Quindi adesso in Colombia non ci sono più cartelli della droga? Da quando il mondo va al rovescio?»

«Sarebbe bello ma purtroppo non è così. Sono scappati solo i pezzi grossi, o gli elementi più pavidi che temono ripercussioni a seguito della morte di Lara Bonilla. Il settore continua a essere attivo, e anzi…» il Professore si sistemò gli occhiali sul naso e lanciò uno sguardo significativo in direzione di Ryo «Grazie a questa fuga di massa si sta affermando in modo egemone un gruppo che ha messo radici in Colombia da diversi anni, ma che si è mantenuto sempre più defilato. Ora sta lavorando a pieno regime visto che, a differenza del cartello di Medellin, ha buoni agganci con il governo e quindi non rischia nulla. José ha avuto modo di parlare con alcuni narcotrafficanti cha avevano la lingua sciolta dalla tequila, e gli hanno detto che questa associazione ormai è presente in tutto il Sudamerica e che lo stesso Escobar ne ha un certo timore, sebbene abbiano stipulato un accordo che fino a poco tempo fa è stato rispettato, e infatti non si sono mai intralciati – anche perché si occupano di ambiti leggermente diversi.  Adesso, però, non so se la situazione cambierà»

«Prof…»

«Ryo hai capito vero?» il Professore lo guardò con le sopracciglia corrugate «Hai già capito che sto parlando de la Unión Teope come la chiamano da quelle parti, no?»

Ryo avvertì un brivido freddo lungo la schiena mentre si passava una mano dietro al collo. L’aveva intuito fin da subito, ma sentire quel nome gli dava sempre una stilettata nello stomaco. Buttò giù il nodo alla gola che stava iniziando a crearsi e piegò le labbra in un sorriso amaro.

«Bene, vedo che ne ha fatta di strada. Ormai non c’è angolo di quel continente in cui non sia arrivata»

«E non ha ancora finito»

Nel sentire ciò Ryo non riuscì a nascondere il lampo di preoccupazione che brillò nel suo sguardo.

«Sempre da ciò che è riuscito a carpire José, sembrerebbe che la Union Teope sia interessata a insediarsi anche nel Triangolo d’Oro2. Comprendi bene cosa significhi questo, no? Che se riuscirà ad affermarsi anche nel Sud-est asiatico, entro poco tempo si infiltrerà anche qui in Giappone; questo è un Paese potente ormai, in cui circola fin troppo denaro e molto spesso di dubbia provenienza. Un mercato davvero troppo ghiotto e sono certo che lui non se lo lascerà sfuggire»

Il Professore si alzò lentamente, scrutandolo con occhi perfettamente calmi «Mi sono già messo in azione per cercare di recuperare quante più informazioni possibili, ma temo mi ci vorrà ancora un po’ prima di riuscire a seguire i loro spostamenti con una certa accuratezza, ammesso che ci riesca. Non è mia intenzione darti preoccupazioni Ryo, però ritenevo giusto fartelo sapere. Per ora sono una minaccia lontana, ma una volta che la Union Teope avrà trovato gli agganci giusti per iniziare a insediarsi qui, probabilmente ti cercheranno come hanno fatto in passato… Devi fare attenzione ragazzo mio»

Ryo sospirò e, dopo aver abbasso per un attimo gli occhi, leccò l’indice e il pollice sinistri e spense la cicca «Non si preoccupi troppo Professore, non ce n’è bisogno. Quando arriverà il momento, la Union Teope saprà dove trovarmi e io non farò nulla per nascondermi»

«Ryo…»

«Andiamo Prof» lo interruppe più brusco di quanto avesse voluto «Nel mio lavoro chi si ferma è perduto, non me lo diceva proprio lei?»  

Girò la testa in direzione del giardino e fece due passi, il necessario per scendere dalla veranda, prima di voltarsi nuovamente verso il Professore che lo osservava sempre imperturbabile «Non è nel mio stile evitare i problemi, anzi… Quando sarà il momento saprò cavarmela, fine della storia. La saluto ora, ormai è tempo di rientrare. La ringrazio per il pranzo» e senza aspettare risposta iniziò a incamminarsi verso il cancello.

«Di niente Baby Face, a presto» sentì alle sue spalle. Ryo rispose solo alzando la mano destra, facendola ondeggiare in segno di saluto.

Con poche falcate raggiunse la sua Harley e, dopo aver chiuso il chiodo, la portò a mano fino in strada, dove saltò in sella con una certa impazienza. Da quando respirare era diventato così difficile? Aveva bisogno di aria, di velocità, di adrenalina perciò non perse tempo e con un rombo potente si mise in marcia, avvolto dalla calda luce del tramonto. Gli ci vollero diversi chilometri per potersi togliere di dosso il senso di oppressione ma ciò non bastò a farlo sentire meglio. Quella notizia era stata una bella batosta, eppure sapeva che non era saggio indugiarvi troppo; doveva continuare come sempre, era nel suo interesse mantenere la massima lucidità e calma.
“Una cosa alla volta” ripeté più volte nella mente, fino a quando sentì i muscoli delle braccia meno contratti. Sì, avrebbe trovato un modo per cavarsela al momento opportuno, non prima. A che pro fasciarsi la testa in anticipo? Per il momento si sarebbe occupato di svolgere il suo lungo giro tra gli informatori e poi avrebbe deciso come concludere la serata. Un passo alla volta. Era così che era abituato a vivere e la ipotetica minaccia della Union Teope e di Kaibara non gli avrebbe fatto cambiare la sua andatura.
 
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Camminava a passi lenti e misurati in direzione della sua camera, l’eco del bastone sul pavimento era l’unico rumore a spezzare il silenzio della sera. Si sentiva stanco, tremendamente stanco, e il fascicolo che portava sottobraccio sembrava pesare come se contenesse lastre di marmo; sapeva di non avere più trent’anni, ma non avrebbe mai immaginato che il tempo avrebbe reso il suo corpo così fragile. E la cosa non gli piaceva per niente, gli dava un senso di vulnerabilità e debolezza che odiava profondamente. Ciò che lo consolava era che almeno la sua mente e il suo spirito sembravano non essere stati intaccati dallo scorrere degli anni; se chiudeva gli occhi gli sembrava di essere ancora il giovane che si era imbarcato per gli Stati Uniti dopo la fine della guerra, peccato che l’illusione svanisse appena si specchiava o faceva i conti con i suoi acciacchi. Buttò fuori l’aria dalla bocca con rassegnazione e, una volta raggiunta la camera, chiuse lentamente la porta alle sue spalle.
“Che giornataccia” si disse e con fastidio gettò sul suo letto all’occidentale il fascicolo che si aprì, sparpagliando i fogli riempiti fittamente di cifre e dati sulla coperta. Segnati a penna o con la macchina da scrivere vi erano anni di ricerche, di faticose soffiate e notti insonni di studio per cercare di unire le tessere di un puzzle ben lungi dall’essere completato. Da quando era tornato in Giappone non aveva smesso di seguire l’inesorabile ascesa di Shin Kaibara, prima come militare e poi, a guerra terminata, come capo della Union Teope. Man mano che aveva ricostruito i suoi spostamenti, si era sorpreso nel realizzare con quanta velocità quell’uomo fosse riuscito ad ampliare le sue aree di azione e influenza: in dieci anni non solo aveva colonizzato tutto il Centro, Nord e Sud America, ma si era affermato come una figura autoritaria alla stregua di un Dio, piegando al suo potere un numero spropositato di uomini, alcuni dei quali anche molto potenti. Solo il diavolo poteva sapere come ci fosse riuscito. Aveva sempre seguito la Union Teope in modo solitario, a Ryo non ne aveva mai fatto parola ma la notizia che aveva ricevuto due settimane prima lo aveva convinto a parlargli.  Si lasciò cadere pesantemente sul letto e si prese stancamente la testa tra le mani. Non era stato del tutto onesto con il ragazzo: in realtà la Union Teope era già diventata una temibile istituzione in Thailandia, giocando un ruolo di primo piano nella malavita organizzata grazie al suo prodotto di punta. Era bastato pochissimo per convincere un numero sempre crescente di boss mafiosi e generali di eserciti più o meno regolari a utilizzare la potente PCP e così, sulla miseria umana, Kaibara accumulava profitti tali da averlo reso un milionario con un patrimonio di tutto rispetto. E, per quanto in cuor suo cercava di non pensarci, era ormai certo che il suo arrivo fisico in Giappone fosse solo questione di tempo.
Si sdraiò di traverso sul letto e chiuse gli occhi. Era dannatamente difficile individuare quel bastardo in anticipo; fin dai primi anni di spionaggio si era reso conto che Kaibara non si preoccupava di nascondere troppo le sue tracce se ben insediato, mentre spariva nel nulla quando iniziava qualche nuova operazione in altro loco. Non ne era certo, ma non poteva escludere il fatto che quel demonio sapesse di essere osservato. Chissà, forse aveva anche capito che era proprio lui a tenerlo d’occhio, ma questo aveva importanza? Kenji scosse lentamente la testa. No, quelle che stava facendo erano congetture inutili; ciò che lo irritava davvero era non riuscire ad avere la meglio sul suo ex allievo, di dimostrarsi così fallibile. Quanto avrebbe voluto localizzare il suo nascondiglio, prevedere le sue mosse! Nei primissimi tempi ci era riuscito ma poi Kaibara doveva essere ulteriormente cambiato, superandolo in astuzia. Se solo Shin fosse stato uno stupido sarebbe stato tutto così semplice…
“Che razza di discorsi sto facendo?!” si redarguì mentalmente mentre sbuffava esasperato.
Ripensò a Ryo… Gli era bastato solo accennare quel nome per vedere aprirsi negli occhi del giovane un abisso, lo stesso che lo aveva inghiottito anni prima e da cui ne era uscito faticosamente. Una parte di lui rimproverava la reticenza che lo aveva accompagnato durante la giornata, ma gli bastava ricordare quello sguardo per convincersi di aver fatto bene a essersi trattenuto. Non avrebbe avuto senso far sentire al ragazzo la minaccia della Union Teope così vicina se poi concretamente non poteva fare niente; ciò che gli aveva detto lo avrebbe aiutato a eliminare il fattore sorpresa, e questo era già sufficiente. Per il resto poteva solo confidare in Ryo, augurandosi un epilogo diverso nel caso in cui lui e Kaibara si fossero affrontati nuovamente. Ne aveva fatta di strada il suo Baby Face, ora era certo che non si sarebbe mai precipitato ancora convalescente sulle montagne per ammazzare Kaibara accecato dalla rabbia, e sicuramente non si sarebbe trasformato in un morto che cammina come era accaduto nell’ultimo periodo statunitense, quando la Union Teope aveva fatto terra bruciata attorno a lui. Sperava davvero che Ryo avrebbe avuto la forza di continuare ad andare avanti come stava facendo, sebbene quell’ombra che continuava a portarsi dietro sembrava suggerire che un passo falso lo avrebbe trasformato nuovamente in una macchina di morte.

«Non ho un motivo per continuare a vivere» gli aveva detto nove anni prima, quando una sera i suoi demoni erano emersi prepotenti «Perché non faccio che portare morte con me? Perché tutti quelli che mi sono vicini muoiono mentre io continuo a vivere? Sarebbe stato meglio il contrario…»

Ricordava ancora bene quelle parole, quegli occhi bassi, vuoti e straziati, e quanto fosse stato faticoso convincere quel testone che, se non riusciva a trovare un motivo per vivere in lui, allora doveva votare la sua vita per proteggere gli altri; doveva tramutare la propria miseria in speranza per la disperazione altrui. Solo quando aveva compreso ciò, Ryo era riuscito a mettersi sulle spalle il pesante fardello del suo passato e a camminarci insieme. E da quando aveva iniziato a collaborare con quello strano poliziotto, Makimura, stava ulteriormente cambiando in meglio.
“Chi l’avrebbe mai detto che ci voleva uno sbirro per aiutarlo a crescere…”
Per certi aspetti del suo carattere, Ryo gli sembrava ancora il bambino con addosso una mimetica troppo grande per lui e lo rasserenava sapere che, grazie a quel ragazzo occhialuto, stava iniziando a riacquistare fiducia nel prossimo; quando la minaccia della Union Teope si sarebbe fatta vicina non l’avrebbe affrontata da solo, per fortuna.
Riaprì gli occhi e si ritrovò a fissare il soffitto e l’intricato gioco delle travi di legno che, nella quasi completa oscurità, si poteva solamente intuire. E da quelle geometrie emerse etereo un viso, o meglio, quel poco che restava nelle sue memorie di quel viso, che erano per lo più occhi cerulei e un sorriso dolce. Il tempo impietoso gli stava portando via man mano sempre più dettagli di lei e quella consapevolezza gli strinse lo stomaco, facendolo restare senza fiato. Se solo avesse avuto una sua fotografia… Ma Sophie era troppo timida e riservata, odiava mettersi in posa. Lo aveva sempre stupito come una ragazza così forte e risoluta potesse nascondere un lato così schivo e modesto, e in fondo era proprio per questo che si era innamorato di lei, così diversa dalle altre donne di cui era piena la società. Poco prima della sua partenza per il fronte, però, gli aveva promesso solennemente che, una volta rientrato, sarebbero andati insieme dal fotografo per poi scappare via, lontano dai suoi genitori che non le avrebbero mai permesso di sposare un giapponese. E con un sorriso radioso lo aveva salutato, lo stesso che tornava a riempire la sua mente quando si sentiva più stanco e scorato, e che lo aveva aiutato ad andare avanti tra gli orrori della guerra. Una volta tornato a Londra, però, lo aveva accolto la notizia che era morta durante i bombardamenti; non c’era stato nessun lieto fine per lui, solo un cuore distrutto incapace di amare e pochi ricordi a cui aggrapparsi. E non importava quante altre donne avesse conosciuto, quante ne avesse portate a letto, su quanti sederi avesse allungato le mani, l’unico volto che gli tornava in mente era sempre e solo il suo. In alcuni sogni poteva ancora sentire la sua risata cristallina che lo aveva colpito sin dalla prima volta, perché così genuina e aperta… Dopo di lei il suo cuore si era completamente congelato. Ryo, però, era stato la prima persona che era riuscito ad amare dopo molti anni e che, senza saperlo, lo aveva aiutato a far pace con i fantasmi del suo passato.
Non lo ammetteva spesso a se stesso, ma ormai Ryo era per lui il figlio che non aveva mai avuto e di cui era tremendamente orgoglioso.

«So che gli vuoi bene anche tu Sophie…» mormorò prima che una lacrima solitaria facesse capolino tra le ciglia.

Appena se ne rese conto l’asciugò in fretta, quasi con vergogna.
“Ah, con l’età si diventa più sentimentali” pensò tra sé prima di mettersi seduto e, una volta sistemato il fascicolo, si alzò dirigendosi verso la scrivania. Quando accese il lume aveva già ritrovato la sua lucidità ed era pronto per mettersi all’opera; gli aspettavano due pagine da decodificare e non voleva perdere altro tempo.
 
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Era riuscito a terminare in un tempo decente i suoi giri di ricognizione tra i vari informatori, ma non c’era stato verso di togliersi dalla testa le parole che gli aveva detto il Professore. Si sentiva amareggiato e arrabbiato, eppure dal suo viso non trapelava nulla delle sue emozioni. Anzi, come sempre sorrise affabilmente a Yūsaku, il simpatico vecchietto dalla dentatura marcia che si trovava dietro al suo piccolo carrettino su cui arrostiva patate dolci all’ingresso di Kabukichō; era bravo a fingere, se n’era accorto da diversi anni, e forse era proprio grazie a ciò se continuava a sopravvivere.

«Tieni Saeba-san, ti ho tenuto da parte le due più grosse» gli disse con un sorriso sdentato l’uomo mentre gli allungava una sacchetto di carta ben pieno.

«So che posso contare su di te vecchio mio» rispose complice Ryo e prese con attenzione il bottino rovente. Yūsaku doveva avere le mani di amianto per maneggiare cibo rovente con assoluta tranquillità «Ti hanno dato ancora problemi quei teppistelli?»

L’uomo sistemò un altro paio di patate sulla graticola e iniziò a sventagliarci sopra «No Saeba-san, sono ormai un paio di settimane che nessuno è più venuto a seccarmi. Credo che abbiano rinunciato a estorcermi del denaro, avranno capito che qui non c’è trippa per gatti»

«Meglio così» mormorò lo sweeper soddisfatto e, nel momento in cui stava mettendo la mano nel taschino della giacca per prendere qualche yen, una mano ossuta gli bloccò il braccio.

«Offre la casa» Yūsaku gli lanciò un’occhiata penetrante di chi la sapeva lunga «Non credere che non sappia con chi abbiano ‘parlato’. E so anche che sei la persona più convincente di questa città»

Ryo scosse la testa mostrando un sorriso abbozzato «Quand’è così ti ringrazio vecchio mio» e in tutta fretta si allontanò.

Era più forte di lui, lo imbarazzava enormemente quando qualcuno capiva che c’era lui dietro la soluzione dei propri problemi. Preferiva di gran lunga agire nell’ombra, era meglio per la sua reputazione: non si doveva diffondere nel mondo della malavita la notizia che City Hunter aveva il cuore tenero. Le sue buone azioni dovevano essere svolte solo previo ingaggio, era questo che sperava si sapesse, ma Yūsaku era solo uno dei tanti nomi che si aggiungeva alla sua ben nutrita lista di aiuto disinteressato. E, in fondo, era certo che sarebbe solo aumentata col tempo, perché lui non sopportava quando il più forte prevaricava il debole; nella sua vita non aveva visto altro che ingiustizie di ogni genere e non se la sentiva di passare indifferente. Aveva una sua etica, legale o meno, e aveva giurato a se stesso di agire secondo i suoi dettami. Sempre.
Raggiunse la sua Harley-Davidson e, dopo aver infilato il fagotto fumante all’interno del giubbotto chiuso a mo’ di marsupio, saltò in sella e senza fretta si mise in marcia verso Nishi-Shinjuku.
 
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La notte sembrava aver inglobato con il suo manto tutta la città che, con le sue luci abbaglianti, cercava di sfuggirvi. Appoggiato alla sottile ringhiera di metallo, Ryo osservava sotto di sé il flusso vorticoso di mezzi che scorrevano senza sosta tra la Higashita-Dori e la Kita-Dori e, una volta alzati gli occhi, osservò la vicina Ōkubo in lontananza. Quella vista panoramica era davvero notevole: da lassù non c’erano squallore, povertà e criminalità. Non c’era niente a parte quell’uniforme trapunta di luci che sembrava voler rivalere con il cielo stellato. Lentamente accese una sigaretta e con la bocca disegnò una serie di cerchi di fumo perfetti. Gli piaceva moltissimo quel posto, ormai era diventato il suo personale rifugio in città, in cui poteva permettersi di fantasticare in libertà. Doveva essere grato all’incarico ricevuto solo due anni prima, quando uno dei pezzi grossi della Taisei aveva richiesto i suoi servigi; grazie a quell’occasione aveva avuto modo di mettere piede sulla terrazza del Center Building3 e quel cambio di prospettiva lo aveva immediatamente affascinato. Per lui, abituato a muoversi tra i bassi fondi, era stato rinfrancante scoprire una nuova Tōkyō; dall’alto la città mostrava il suo volto migliore, e ciò lo aveva aiutato a rivalutare il luogo in cui viveva da diversi anni e che non amava particolarmente. Così, una volta concluso egregiamente il suo ingaggio, aveva richiesto di avere libero accesso alla terrazza ogni qualvolta avesse voluto. E a City Hunter non avevano potuto dire di no.
Comminò lentamente lungo il perimetro mentre riparava con la mano sinistra la sigaretta dalle folate di vento. Lanciò un’occhiata distratta ai grattacieli che svettavano poco distanti e ricordò che, quando era arrivato a Tōkyō, quasi non ce n’erano; era incredibile come fosse cambiato profondamente l’assetto di Nishi-Shinjuku in neanche dieci anni.
“Ne è passato di tempo però…” pensò intanto che gettava via la cicca con fastidio. Non era riuscito a fumare decentemente. O forse, quello che lo infastidiva davvero, era che neanche la nicotina era riuscita a distendergli i nervi.
Lasciò andare un sospiro doloroso prima di sedersi per terra, appoggiando la fronte alle sbarre fredde della ringhiera. Avrebbe voluto urlare, prendere a calci quella stupida ringhiera o consumare tutta la sua riserva di proiettili al poligono e invece si limitò a chiudere gli occhi. Aveva permesso già in passato che la rabbia lo sopraffacesse, ma adesso, a distanza di anni, sapeva perfettamente che mantenere la calma era il modo migliore per permettere al cervello di non spegnersi, di rimanere a galla nel mare di dolore e rimpianti che tratteneva dentro di lui.
Sentiva ancora le parole del Professore ronzargli nella testa e, probabilmente, sarebbero rimaste lì ancora per molto tempo. Non sapeva cosa lo avesse turbato di più, se il fatto che la Union Teope avesse raggiunto anche il Sud-est asiatico – e si fosse fatta pericolosamente vicina al Giappone –, o il fatto che Kaibara continuasse a esserne a capo, ricavando i suoi maggiori profitti dalla PCP. Forse erano entrambi i motivi, o forse nessuno. Forse si sentiva semplicemente un idiota per aver intimamente sperato che il tempo avrebbe cambiato anche Kaibara. L’avrebbe cercato una volta arrivato in Giappone? Non era stupido, era ben consapevole che era solo questione di tempo prima che la potente organizzazione mettesse radici in terra nipponica, ma l’avrebbe fatto cercare una volta lì? Era quello il tarlo che si era insinuato dentro di lui. Ryo sapeva solo che avrebbe agito prontamente e con forza, rifuggendo la condotta che aveva avuto negli ultimi mesi in America, quando quel maledetto duello con Kenny prima, e i continui attacchi pressanti dopo, lo avevano portato a un passo dal perdersi definitivamente, trasformandosi in mero strumento omicida incurante della propria vita.
Si stese supino, le braccia piegate dietro la testa, e fissò il cielo bluastro a causa del riverbero delle luci della città e chiuse gli occhi, lasciando la sua mente libera di vagare tra i ricordi.
 

«Faremmo meglio a fermarci qui per la notte Ryo»
Il ragazzo non rispose, limitandosi a mantenere gli occhi fissi contro il cielo stellato. Era seduto con la schiena contro il tronco di un albero e, nonostante avvertisse sul collo il pizzicare delle formiche che si attardavano sulla corteccia, non si mosse di un millimetro. Si sentiva distrutto, non c’era angolo del suo corpo che non fosse dolorante e, soprattutto, stentava a credere di essere ancora vivo. Soffocò un gemito quando la fitta al torace lo lasciò senza fiato; si era certamente incrinato un paio di costole.
«No» disse infine «Sono in grado di continuare la marcia» e così dicendo si fece coraggio e si rialzò.
«Sicuro? Comunque non c’è bisogno che continui a portarmi sulle spalle…»
Shin sbuffò sofferente intanto che cercava di alzarsi facendo leva sul braccio destro, ma venne interrotto prontamente da Ryo, che gli si era avvicinato in un attimo.
«Stai giù» soffiò deciso, accompagnando le parole al movimento delle mani che si posizionarono sulle spalle dell’uomo, facendolo sedere nuovamente. Kaibara lasciò andare un grugnito appena toccò terra e Ryo non poté fare a meno di guardarlo con occhi preoccupati. Gli si inginocchiò accanto e controllò in quali condizioni fosse la sua gamba sinistra; accese un fiammifero e lo avvicinò al moncherino abbastanza per notare che le strisce di tessuto, che aveva usato come bendaggio improvvisato tagliando la sua maglietta, erano totalmente insanguinate.
“Cazzo, sta perdendo ancora sangue… Devo cercare di fare una fasciatura migliore” pensò Ryo mentre si sfilava la giacca della mimetica, rimanendo a torso nudo. Era ben pratico di queste medicazioni, ma era la prima volta che aveva a che fare con un arto tronco e non era affatto facile. La consapevolezza che Kaibara era in quelle condizioni per colpa sua gli fece stringere lo stomaco per il senso di colpa, ma rimase impassibile.
«Non deve essere un bel vedere se hai quella faccia…» emise debole Shin, che nel frattempo si era schienato contro un albero.
Ryo con la coda dell’occhio notò che la sua fronte si era imperlata di sudore e il respiro si stava facendo più pesante. Si limitò ad annuire e velocemente con il pugnare iniziò a fare a strisce la sua giacca partendo dalle maniche, scegliendo con cura le parti più pulite.
Disfò le fasce insanguinate e versò sul ginocchio quel poco di acqua che era rimasta nella borraccia per lavare via il sangue fresco e ammorbidire quello seccatosi. Ringraziò di avere lo stomaco forte perché la vista di quello squarcio da cui si intravedevano osso e muscoli non era di certo un bello spettacolo. Con un certo sollievo notò che il sangue fuoriusciva solo da tagli secondari, mentre i vasi sanguigni principali, che aveva cauterizzato nel pomeriggio con il pugnale arroventato, si erano mantenuti puliti. Ciò scongiurava il rischio di emorragia ma, se non si fosse disinfettata seriamente la parte, questa sarebbe potuta andare in setticemia. Dovevano tornare al più presto al loro campo, una volta nelle mani del Professore Shin sarebbe stato fuori pericolo. Rifece il laccio emostatico sopra il ginocchio e fasciò velocemente il moncherino, cercando di essere il più delicato possibile. Dall’uomo, comunque, non giunse alcun lamento. Una volta terminato il lavoro si rialzò, incapace di guardare in faccia Kaibara.
«Mi dispiace…» mormorò, il senso di colpa continuava a pungolarlo in pieno petto.
«Non ne hai motivo»
«A che sono serviti tutti questi anni? Sono stato un coglione, ho voluto fare di testa mia e invece di restare con la squadra ho tentato un attacco in solitaria. E mi sono fatto scoprire come un imbecille! Mi avrebbero potuto torturare per avere informazioni, uccidermi e-»
«E invece sei ancora vivo»
Ryo alzò di scatto la testa e lo rivide: lo stesso sorriso che gli aveva rivolto poco dopo l’esplosione della mina, quando gli aveva urlato per quale motivo fosse andato a cercarlo. Per pochi istanti gli sembrò che il viso di Kaibara irradiasse luce in mezzo alla foresta buia in cui si ritrovavano, e quella luce la sentì sedimentarsi dentro di lui con un calore che non aveva mai provato prima. Com’era possibile che senza dire una parola riuscisse a comunicare una tale soddisfazione? Possibile che per Kaibara la sua vita fosse davvero così importante?
«Sei solo giovane Ryo, col tempo migliorerai» continuò mantenendo la stessa espressione.
Ryo si rese conto di non averlo mai visto sorridere così e una gioia nuova lo travolse con forza; si sentì davvero amato per la prima volta nella sua vita. Un uomo che era disposto a sacrificarsi per il suo bene non poteva che provare un affetto viscerale nei suoi confronti. Proprio come quello di un padre per i suoi figli. A quella idea gli sembrò di avere davanti a sé un punto fermo: non era più solo al mondo. E avrebbe fatto tutto il possibile per proteggere quell’unica persona che poteva dare significato all’esistenza vuota e disordinata che conduceva da quando aveva memoria.
Con decisione gli diede le spalle e si accovacciò davanti a lui «Forza, salta su. Dobbiamo raggiungere il nostro accampamento prima dell’alba»
Sentendolo indugiare, Ryo si girò verso di lui e lo guardò supplicante. Voleva fare il possibile affinché sopravvivesse dopo quello che aveva fatto per lui… E per quello che rappresentava ormai per lui.
«Ti prego… Padre…» disse in un sussurrò.
A quella richiesta gli occhi di Kaibara si aprirono per la sorpresa, brillando di una luce commossa. Infine, dopo aver fatto un cenno col capo, acconsentì a farsi trasportare.
«Grazie figliolo» mormorò sulla sua spalla mentre Ryo con fatica si addentrava su un sentiero impervio, illuminato solo dalla timida luce lunare. Lui, però, era felice; aveva finalmente un posto nel mondo.
 
 
Si rialzò di scatto dal pavimento gelato come se fosse di lava e si passò stancamente una mano sugli occhi. Nonostante fossero passati molti anni – e si fosse indurito grazie alle intemperie della vita – lo addolorava ancora sapere che quell’uomo, suo padre, ormai non esisteva più, fagocitato da una bestia che sembrava aver preso il totale controllo del suo intelletto.  Eppure, dentro di lui continuava a nutrire la segreta speranza che l’uomo che aveva conquistato il posto più importante nel suo cuore ci fosse ancora. Forse come figlio non aveva fatto abbastanza per lui, se solo avesse saputo come impedire che si giungesse a questa situazione…
Con movimenti rapidi e nervosi si accese l’ennesima sigaretta. Decise che avrebbe chiesto ai suoi informatori di riferirgli qualsiasi notizia, anche la più insignificante, sebbene fosse ben consapevole che era una precauzione inutile. Kaibara era e restava un uomo brillante, il suo maestro in fin dei conti. Non si sarebbe lasciato stanare facilmente e sarebbe riuscito a sorprenderlo.
“Ma sì, è inutile fasciarsi la testa in anticipo. Farò meglio a non pensarci più per davvero, quando sarà il momento mi farò trovare pronto” sancì mentalmente spegnendo con stizza la sigaretta consumata solo a metà. Quando anche fumare lo rendeva ancor più nervoso, c’era un unico modo per aiutarlo a scaricare la tensione e tornare calmo.
Lasciò il terrazzo panoramico, diretto verso gli ascensori, mentre si preparava mentalmente a un’intensa sessione al poligono; avrebbe sparato fino a quando non avesse sentito il braccio intorpidito.
 
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E rieccomi dopo eoni da queste parti, faccio un grande mea culpa. In realtà il capitolo era finito da quasi due mesi, ma ho procrastinato fin troppo con le correzioni/modifiche dell’ultimo minuto e nel frattempo il tempo è letteralmente volato. Ringrazio per i messaggi gentilissimi, trovare belle persone nel fin troppo incattivito mondo virtuale (e non) fa sempre bene al cuore! Se può consolare, ormai siamo oltre la metà della storia, manca solo un altro capitolo per concludere il 1984 (più piacevole di questo) e poi… Non dico altro ;)
Alla prossima!
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1 Il 30 aprile del 1984 i sicari di Escobar uccisero il ministro della Giustizia colombiano Rodrigo Lara Bonilla, che si era battuto con molto zelo contro il potente narcotrafficante, denunciandone le attività illecite. Ciò obbligò Escobar il 20 gennaio dello stesso anno a ritirarsi dalla scena politica, desideroso naturalmente di vendicarsi. Noriega, leader militare di Panama dal 1983, nonostante fosse stato sul libro paga della CIA per molti anni, venne infine processato e incriminato per traffico di droga ed estorsione negli Stati Uniti nel 1992.
 
2 Con Triangolo d’oro si intende una zona prevalentemente montuosa che comprende Thailandia, Laos e Myanmar. È il secondo luogo in Asia per produzione di oppio – l’invidiabile primato spetta alla “mezzaluna d’oro”, che comprende principalmente Afghanistan, Iran e Pakistan – a cui si sono affiancati la produzione di eroina (anni sessanta) e metanfetamine (anni novanta).
 
3 Il Shinjuku Center Building è un grattacielo situato a Nishi-Shinjuku, alto 223 e inaugurato il 31 ottobre del 1979. Funge principalmente da quartier generale della Taisei Corporation, società storica dedita all’edilizia e ingegneria civile. Il Center Building fa la sua comparsa in City Hunter nell’episodio della principessa Alma, infatti nella scena del terrazzo Hojo disegna fedelmente in alcune vignette il peculiare andamento a zigzag della parete esterna dell’edificio. Lo ritroviamo anche in alcuni episodi successivi assieme al vicino Sompo Japan Building, anch’esso ben riconoscibile per la sua forma svasata alla base.
   
 
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