L’estate del suo quarto
anno di liceo fu la più bella di cui Chiara avesse avuto memoria fino a quel
momento: quasi tre mesi interamente liberi, passati a lavorare nella libreria
del signor Lovato tre volte a settimana, mentre divorava tomi su tomi di letteratura,
saggistica, poesia e tutto ciò che le veniva curiosità di approfondire nel
resto del tempo, mentre la città si svuotava e poteva godersi la frescura delle
sere in montagna in santa pace, oziare e ascoltare musica stesa nel suo
giardino. E le giornate di mare con i suoi amici (alla prima sortita in
spiaggia ne erano seguite, per l’immensa gioia di Flavio, una decina d’altre),
i giri in centro con sua sorella per delle lunghe e meritate pause dal suo
studio universitario, la prospettiva di un viaggio in agosto con la sua
famiglia in Irlanda, a casa di sua nonna Agnes: tutto questo rendeva Chiara
piena di una felicità quasi stucchevole, elettrizzante, facendola svegliare
ogni mattina con un’energia incontenibile. Cantava sotto la doccia ridicole
canzoni degli One Direction sperando di essere
sola in casa, per poi uscire di casa di corsa in bicicletta, alla volta di casa
di Carmen, Sabrina o Ivan (che aveva finalmente presentato il suo ragazzo, Niccolò,
al resto del gruppo).
E poi, ovviamente, c’era
Roberta.
La loro relazione andava,
contro ogni previsione funesta, a gonfie vele, senza incontrare particolari
intoppi se non i soliti problemi che tutti i loro amici avevano: Chiara aveva
un coprifuoco piuttosto rigido (Margaret, nel suo nuovo spirito domestico, era
diventata ancora più attenta a controllarla), Roberta non poteva passare notti
fuori casa senza che i suoi genitori le facessero storie per i giorni
successivi; quando le due famiglie si incrociavano, per sbaglio, in centro,
regnava ancora un clima di omertà generale. Roberta, in più, era stata
piuttosto presa dalla denuncia sporta contro Vanessa e Angela per l’incidente
– fatto che aveva le ulteriormente inimicato suo padre, che le si rivolgeva ora
in modo sempre più freddo, ignorandola quasi per la maggior parte del tempo – e
dal gestire una situazione familiare piuttosto tesa fra i suoi genitori. Ma, a
parte compagne di liceo arpie, genitori iperprotettivi e problemi logistici di
vario tipo, Chiara non riusciva ad immaginarsi una storia più bella di quella. Non
avrebbe cambiato per nulla al mondo i lunghi pomeriggi distese in giardino, ad
ascoltare musica, a guardare Roberta disegnare o leggere, addirittura provare a
strimpellare la sua chitarra (le aveva chiesto di insegnarle, e lei la trovava
sempre più adorabile). Non avrebbe fatto a cambio con nessuno, ora che le
sembrava che la sua vita fosse così piena, così luminosa, ora che godeva dei
lunghi baci di Roberta, delle sue infinite attenzioni, ed anche se dovevano
sempre stare attente al minimo rumore, non poteva fare a meno di pensare che
non si fosse mai sentita così libera.
In più, con il tempo, le
loro tecniche di occultamento e bugie ai genitori erano notevolmente
migliorate, tanto che riuscivano a dormire almeno una volta a settimana
insieme, calcolando accuratamente i tempi in cui Margaret avrebbe avuto dei
turni di notte, in cui l’avvocato Della Corte sarebbe stato in trasferta con
sua moglie, in cui Matteo sarebbe partito alla volta della sua casa familiare
per far visita alla sua anziana madre. Benedetta, come sempre, si era rivelata
un’alleata fondamentale, e Chiara aveva notato con piacere l’avvicinamento fra
la sua ragazza e sua sorella, mentre diventavano sempre più frequenti le cene
in tre, a base di uno dei tanti piatti congelati lasciati in freezer da sua
madre, che oramai aveva il pallino fisso della cucina gourmet.
Quel giorno, dieci di
luglio, era proprio uno di quei giorni particolarmente fortunati, in cui Chiara
avrebbe avuto la casa tutta per sé (Matteo e Margaret erano andati a passare un
fine settimana con la suocera in uno degli agriturismi vicini e Benedetta aveva
pensato bene di togliersi dai piedi, sparendo nel caos di una delle proverbiali
feste degli ex compagni di liceo): da quella mattina non riusciva a smettere di
pensare a come rendere quella serata particolarmente speciale, aveva voglia di
fare una sorpresa a Roberta. Pensò che avrebbe potuto cucinarle qualcosa di
esotico, o scovare qualche film che le fosse piaciuto (aveva scoperto che la
sua ragazza andava matta per i film indipendenti dai finali trascinati e
nebulosi, con quelle colonne sonore vagamente britpop), o magari semplicemente prenderle
un piccolo mazzo di fiori.
Mentre ci pensava,
finendo di prepararsi prima di passare dal signor Lovato a dargli una mano con
gli arrivi della giornata, canticchiando What
doesnt’ kill you make you stronger,
sentì il cellulare vibrare e rispose alla chiamata.
-
Carmen?
-
Bene, ecco la mia cara amica desaparecida!
Ma dove sei finita!? Ti aspettiamo oggi per un giro al parco. Ci sarà anche
Riccardo, vedi di non mancare.
Chiara si irrigidì
leggermente a quella frase, gironzolando per casa in cerca delle sue converse
estive.
-
Carmen, sei sicura sia una buona idea? Non
so se abbia voglia di vedermi.
Sentì l’amica sbuffare
sonoramente, forse perfino lei che adorava stare in mezzo ai drammi amorosi
percepiva la necessità di voltare capitolo e di calmare finalmente le acque.
-
Chiara, ora che lui e Sabrina escono
insieme è inevitabile che vi vedrete. Non credi sia ora di andare avanti?
Chiara odiava quando
Carmen faceva tanto la voce della verità, soprattutto perché sapeva che aveva
ragione. Dopo l’incidente, Sabrina e Riccardo si erano avvicinati notevolmente
– Chiara ne aveva ignorato inizialmente il motivo, supponendo solo una grande
presa di coraggio da parte dell’amica, che le sembrava aver acquistato una
maggiore stima di sé dopo la buona fine dell’anno scolastico - e la settimana
precedente, durante un pomeriggio di bellezza di sole ragazze (più Ivan) a casa
di Carmen, Sabrina aveva ammesso con un risolino che era successo qualcosa fra
di loro: avevano deciso di vedere come sarebbe andato il resto dell’estate,
senza impegno. Avevano sgranato gli occhi dall’incredulità, solo Ivan aveva
affermato, con aria di chi la sa lunga, che grazie ai consigli che aveva dato a
Sabrina era solo una questione di tempo.
-
No…- sbuffò Chiara, allacciandosi le
scarpe, - cioè, sì, ma non ora. Mi vergogno ancora troppo. Forse possiamo
rimandare alla prossima occasione?
Dal tono di voce con cui
esordì l’amica (Chiara, non essere ridicola) era sicura che Carmen
stesse per iniziare una delle sue famose orazioni ciceroniane con cui avrebbe
potuto convincere anche un sordo (tutti sospettavano che, dopo il liceo,
avrebbe intrapreso una carriera da avvocato), per cui dopo qualche secondo
ritrattò, roteando gli occhi:
-
Va bene, non iniziare nemmeno. Vengo.
L’ultima cosa che sentì
dopo aver chiuso la chiamata fu il ghigno soddisfatto dell’amica che, come
sempre, portava a casa il risultato sperato.
**
Il signor Lovato era un
ometto gentile e affabile, che le lasciava prendere tutti i libri che voleva
fra quelli destinati al macero o troppo malandati per essere esposti (cosa che
aveva fatto raddoppiare la biblioteca di Chiara nel giro di un anno), ed anche
quel giorno riuscì a portarsi a casa una copia sgualcita delle Argonautiche di
Apollonio Rodio, che aveva preso a sfogliare in attesa dei suoi amici al parco.
Ne lesse placidamente l’introduzione, maledicendo l’insistenza di Carmen e il
caldo di quel pomeriggio, e trovando posto sotto la chioma di un albero, fino a
che non fu interrotta da una voce maschile piuttosto familiare.
Alzò di scatto la testa
dal libro, scorgendo la sagoma di Riccardo, in pantaloncini estivi e capelli
biondi scarmigliati, dall’altro lato dell’aiuola. Non era cambiato molto
dall’ultima volta in cui si erano visti, alla cerimonia di premiazione delle
migliori medie della scuola, in cui Chiara l’aveva scorto farsi timidamente
spazio fra il pubblico e salutarla da lontano. Sembrava solo più alto, più
abbronzato e più robusto, come se si fosse allenato duramente tutto quel tempo,
o fosse cresciuto d’un colpo durante la notte.
-
Ti disturbo? Avevi l’aria piuttosto
assorta- gli sorrise il ragazzo, esitando ad avvicinarsi, come ad aspettare un
suo esplicito permesso.
-
Riccardo! Ma no, siediti pure- lo salutò
la rossa, cercando di non farsi prendere troppo dall’imbarazzo e spostando la
sacca di tela al lato per fargli spazio.
Si ritrovarono seduti
l’uno accanto all’altra, in una strana situazione di intimità che ora le stava
stretta, mentre ricordava il calore del pomeriggio in cui si erano salutati
prima della gita a Vienna, in quello stesso parco, fra la neve e il freddo di
marzo. Riccardo iniziò a strappare ciuffi d’erba, evidentemente a disagio.
-
Sei da sola? Sabrina non è ancora
arrivata?
Chiara fece segno di no
con la testa, continuando a piegare nervosamente le pagine del suo libro,
gettando occhiate attorno per vedere se qualcuno dei loro amici fosse in
arrivo. Maledisse ancora una volta Carmen e quella sua parlantina, raccogliendosi
le gambe al petto.
-
È un po’ di tempo che non ci vediamo, non
è vero? - fece Riccardo, con un tono di voce casuale ed innocente che però a
Chiara parve carico di uno strano risentimento, - Dal giorno della cerimonia. A
proposito, complimenti.
La rossa ringraziò
brevemente, prendendo un po’ di coraggio per dire quello che sentiva di voler
dire.
-
Mi dispiace per quello che è successo fra
di noi- riuscì a far uscir fuori, dopo qualche minuto, - mi sono comportata in
modo immaturo.
Sentì Riccardo muoversi
leggermente sull’erba, incrociando le gambe per poi rimettersi a sedere contro
il tronco dell’albero, come se fosse inquieto.
-
Non devi scusarti, Chiara. È stata anche
colpa mia. Ho interpretato male molte cose- sospirò, con lo sguardo oltre il
cancello del parco, forse deciso a non guardarla in volto.
-
Lo so, ma se può consolarti, anche io per
un momento ho creduto potesse esserci qualcosa. Ti ho illuso, mi dispiace-
disse, per la prima volta forse ammettendolo anche a sé stessa.
Quella cotta acerba,
quell’amore tenero e fraterno per il suo migliore amico, ora le si rivelava in
tutta la sua infondatezza: aveva cercato di trovare un naturale sbocco ai suoi
sentimenti ambivalenti verso i ragazzi in lui, alla sua inadeguatezza nei
confronti delle amiche sempre perse per qualcuno, forse investendolo già dall’inizio
del ruolo di ragazzo perfetto per lei, colui che l’avrebbe tirata fuori alla
palude sentimentale in cui si sentiva bloccata. Un ruolo che ora le sembrava
così vuoto, così artificiale. Aveva cercato di convincersi che le cose
avrebbero potuto funzionare, che con lui le sarebbe potuto battere il cuore,
che avrebbe potuto desiderare ardentemente le sue attenzioni, andare oltre agli
abbracci sicuri e confortevoli, cercando i suoi baci, le sue carezze, la sua
pelle. Al solo pensiero si sentì sciocca, come se si vedesse di fronte una
Chiara ragazzina in tutte le sue fantasie illusorie. Lei e Riccardo sarebbero
stati perfetti. Perfetti, sì, ma per chi?
Si voltò a guardare
Riccardo, mentre ne ascoltava il respiro in quel silenzio assordante. Aveva
l’impressione che, come diceva Carmen, si stesse chiudendo un cerchio, stessero
entrambi voltando pagina. Non avrebbe immaginato però di provare tanta
tristezza, tanta pena verso sé stessa per essersi illusa così a lungo, per
essersi gettata alla cieca sul cammino che tutti le indicavano senza ascoltare
il tumulto di sentimenti che aveva dentro di lei, e che nascondeva sempre più
violentemente. Ferendo, così, qualcuno che l’aveva a cuore, che aveva cercato
di essere onesto con lei.
-
Sai, mi sono resa conto che mi sono sempre
piaciute le ragazze- disse, quasi come se parlasse a sé stessa, in tono
assorto, - Non me n’ero mai resa conto ma c’era sempre qualcosa che mi premeva
dentro, quando ascoltavo amiche, compagne di classe parlare di ragazzi, mentre
mi chiedevo che cosa c’era che non andasse in me. Le invidiavo perché io non
provavo niente.
Chiara prese a strappare
fili d’erba e a lanciarli alla rinfusa attorno a lei. I grilli frinivano fra le
siepi, il pomeriggio rovente si stava mutando in una fresca serata estiva,
mentre le nuvole spiravano verso colori sempre più scuri. Riccardo stava in
silenzio, forse aspettando un seguito a quella confessione.
-
Io, non so, credevo che con te sarebbe
stato diverso- sorrise amaramente la rossa, - che con te avrei provato
qualcosa, perché ti volevo così tanto bene, adoravo passare del tempo con te.
A nessuno dei due sfuggì
il fatto che stesse parlando all’imperfetto.
L’atmosfera era irreale, ma pesante, come se una cappa si fosse formata su di
loro, come se fossero l’occhio di un ciclone.
-
Ma non è stato così- concluse brevemente
Riccardo, tirando su col naso.
Chiara scosse la testa,
ora aprendosi in un sorriso più dolce.
-
No, perché poi ho incontrato Rob.
Si guardarono per un
istante, con la vecchia complicità di amici, come se stessero per scoppiare in
una risata ma non ne avessero la forza.
-
Sono contenta che tu stia uscendo con
Sabrina- disse alla fine gentilmente Chiara, vedendo che lui annuiva con gli
occhi stranamente offuscati.
Riccardo riuscì appena ad
asciugarsi una lacrima, mentre Carmen, Sabrina e Ivan avanzavano a grandi
falcate verso di loro, salutandoli con allegria, girando per loro la pagina più
difficile della loro amicizia.
**
-
E così- disse Roberta, accarezzando
delicatamente la schiena di Chiara, lungo distesa accanto a lei sul suo letto,
- avete finalmente parlato?
La stanza era illuminata
solo dalle luci soffuse di alcune candele, che Chiara aveva deciso bene di
comprare come piccola sorpresa per la sua ragazza, sistemando il tutto per
creare un’atmosfera morbida e rilassata.
Dopo il pomeriggio al
parco con gli amici, era tornata lentamente a casa attraversando il centro,
fluttuando come in un sogno, assorta ancora nei pensieri che le aveva suscitato
il laconico incontro con Riccardo. Era entrata quasi senza accorgersene in un
negozietto pieno di oggetti scintillanti e chincaglierie per la casa, girando
attorno a statuette e stecche d’incenso senza fiatare, per poi prendere un
pacco di candele lunghe e bianche, al profumo di vaniglia. Prima di svoltare verso
la strada di casa, poi, aveva comprato gli ingredienti per una cena semplice ed
estiva, pensando che sarebbe stato bello cenare con Roberta in giardino. E così
avevano trascorso quell’inaspettata notte in intimità, con la solita musica
indie di Roberta, i rumori pigri della strada e le risate dei vicini impegnati
in un barbecue. Si erano baciate dolcemente sul divano, lasciando perdere
definitivamente l’idea di guardare un film, per approfittare di quel momento da
sole.
Ora, distesa sotto le
lenzuola, Chiara fece un cenno affermativo per rispondere a Roberta, con gli
occhi chiusi, beandosi di quelle attenzioni di cui poteva godere solo
raramente, quando erano da sole e sapevano che non sarebbero state interrotte,
che non c’era niente da cui proteggersi o nascondersi. Momenti in cui potevano
cullarsi a vicenda in un confortevole silenzio, mentre nella casa vuota
echeggiavano i rumori degli elettrodomestici in funzione, e una canzone ronzava
nelle casse dello stereo del salotto.
-
Sai una cosa? – continuò la riccia,
sistemandosi meglio con la testa sulla sua spalla e lasciandole un breve bacio
sulla clavicola scoperta.
-
Cosa? – chiese Chiara, aprendo un occhio
per scrutarla il volto, per capire da dove venisse quel tono improvvisamente
più serio.
Roberta la rassicurò
accarezzandola ancora, con un piccolo sorriso.
-
Credo di essere ancora gelosa di lui-
arricciò il naso, come al pensiero che Riccardo potesse portarle via la sua
ragazza, che potessero ancora esserci dubbi su chi avesse scelto fra i due.
Chiara non poté fare a
meno di ridere, guardandola fintamente esasperata. Era così bella,
stretta a lei, e le sembrò che fosse cresciuta d’un colpo, che fosse diventata
una donna, una meravigliosa donna dagli occhi azzurri e il sorriso sagace.
-
Sei sempre stata gelosa di lui. Biondo
bellimbusto, lo hai chiamato una volta a scuola, o sbaglio? – riuscì a
rispondere dopo un po’, distogliendo lo sguardo dalle sue labbra.
Roberta alzò le spalle,
come a giustificarsi, facendosi scivolare le lenzuola sulle spalle: - Come
potevo sapere che ti piacessi io, e non lui? Ti ronzava attorno tutto il tempo,
mentre io ti potevo guardare solo da lontano.
La rossa l’attirò a sé
con aria cospiratoria, avvicinandosi al suo orecchio.
-
Già, come potevi immaginare che mi fossi
presa una cotta per l’incredibile, bella, talentuosa e affascinante Roberta
Della Corte? – alzò un sopracciglio, come a prenderla in giro, attorcigliandosi
una ciocca di capelli neri attorno al dito.
Roberta alzò gli occhi
divertita (Sei una ruffiana, le disse) lasciandosi baciare dalla
sua fidanzata.
-
Non potevo immaginarlo davvero, Chiara-
rispose, non appena quella la lasciò libera di parlare. Fece un sorriso timido,
piegando la testa, come se non ci credesse ancora che davvero stessero insieme.
– Non avrei mai immaginato che pensassi a me come io pensavo a te.
Chiara assottigliò gli
occhi, incuriosita.
-
Come pensavi a me, sentiamo?
La riccia non poté fare a
meno di arrossire, anche alla luce delle candele il colorito della sua
carnagione apparve lievemente più roseo. Si sistemò meglio nel letto,
passandosi le mani dietro la testa, stirandosi. Chiara rimase incantata da quel
suo gesto.
-
Pensavo che avrei tanto voluto poterti
baciare. Certo, eri una tale saccente... Mi sarebbe piaciuto chiuderti la bocca
tutte le volte in cui blateravi senza sosta su quanto la Manzi fosse stata
ingiusta nella valutazione dell’ultima versione- rise, guardando il soffitto.
Poi si girò verso Chiara,
guardandola dritta negli occhi, come ipnotizzata. – E tu, - chiese – che cosa
pensavi?
Quella fece finta di
pensarci su qualche minuto, prendendole ad accarezzare le braccia, fino ad
intrecciare le dita con le sue. Roberta aveva le mani morbide, le venne
l’impulso di lasciarvi un bacio. Si rese conto che, fino a quel momento, non
era mai riuscita a vivere la vicinanza corporea con qualcuno in modo tanto
sereno, tanto naturale. Si sentì anche lei cresciuta, come se avesse lasciato
una vecchia pelle per uscirne alleggerita, più a suo agio con ciò che la
circondava. Anche la timidezza, quanto al contatto fisico, stava lentamente
scemando, lasciando posto ad impulsi che non aveva mai sentito prima, a cui
cercava di lasciarsi andare con più autenticità possibile.
-
Io pensavo che tu mi mettessi troppa ansia
per sopportare anche solo di avvicinarmi. Tutta quella scena da bad girl, e invece guardati.
Roberta grugnì
contrariata. – Dimenticavo che parlo con una gangster di prima categoria,
signorina risolvo tutto con un paio di schiaffi.
Chiara le diede una
leggera spinta, ridendo e aggiungendo: -Non sono io quella che ti ha mandato in
infermeria con un bel colpo in faccia.
La riccia scosse la testa sorridendo,
ricordando quel momento.
-
Credo proprio che da settembre non potremo
più frequentare lo stesso corso di kickboxing allora, siamo diventate troppo
pericolose.
La rossa non poté
impedirsi di pensare Beh, in realtà abbiamo trovato
un altro modo per scaricare la tensione, e Roberta dovette leggerle nel
pensiero, perché le mollò uno schiaffetto sul braccio sibilando qualcosa che
suonava tanto come sei irrecuperabile, per poi trascinarla in un altro
lungo bacio.