Quando entrarono in auto Sherlock
ordinò all'autista,
"Brompton Cemetery."
Mycroft gemete, scuotendo la
testa. "Perché?" Gli chiese con il volto incupito.
Sherlock non rispose.
Il viaggio fu silenzioso, erano
distanti fisicamente, ma condividevano lo stesso angoscioso passato.
Mycroft
era assente sembrava privo di volontà.
Quando arrivarono, Myc si
sprofondò di più sul sedile, ma Sherlock lo
spinse giù senza tanti complimenti.
"Avanti, vieni con me."
Mycroft lo seguì
brontolando.
Agitava il suo amato ombrello, incapace di sottrarsi alla richiesta del
minore,
ma sapeva dove lo stava portando.
Giunsero alla tomba dello zio
Rudy, morto un anno prima. Sei mesi dopo Eurus li aveva devastati con
le
malvagità di Sherrinford. E lui pagò caro il suo
silenzio a tutta la famiglia
che aveva cercato di proteggere. Si appoggiò al suo
ombrello, sentiva di non
avere altro che lo sostenesse.
"Quando è morto, ho
continuato la sua follia, mamma e papà non me lo hanno
perdonato e forse
nemmeno tu." Mycroft non era stabile. Sherlock lo scrutava con
apprensione.
"Non ti ho accusato di nulla,
ho visto la follia di nostra sorella. I nostri genitori capiranno."
Mormorò con dolcezza. "Ora guardalo Myc la causa di tutto il
male che
abbiamo passato e che ancora ti perseguita."
Gli indicò la lapide con
la mano
ferma. "Rudy Vernet è sepolto lì. Ed è
morto, fratello mio."
Il maggiore degli Holmes tremava,
guardò la tomba di marmo spoglia, senza nemmeno l'ombra di
un fiore. Orrida e
fredda, come era stato in vita zio Rudy. Fremette nauseato,
barcollò e Sherlock
fu rapido a sostenerlo. Lo tenne al suo fianco.
"È morto Mio, non
farà più
del male a nessuno." La voce dolce cullava il suo cuore, lo invitava a
lasciare il passato.
Mycroft sussultò scosso
dal
dolore. Tutti quei disgustosi ricordi gli tornavano vividi in mente,
una luce
oscura lo avvolse e lo fece ritrarre, Sherlock lo tenne stretto
aiutandolo ad
affrontare i ricordi. La foto del vecchio Rudy sembrava fissarlo
impietosa,
rammentandogli tutto lo schifo subito.
"Fallo, lascia andare la
rabbia e allontana il male che ti ha fatto. Seppelliscilo ora e per
sempre
Mycroft. Quel bastardo è morto come si meritava, la malattia
lo ha divorato
pezzo per pezzo."
La voce di Sherlock era affilata
come una lama.
La compassione verso suo fratello
diventò malessere. Perché lo rivide per quello
che era stato: il fratello dolce
e comprensivo che rideva divertito alle sue malefatte nella luce della
sera a
Musgrave. Quando tutto era semplice, e gioioso come la spensieratezza
che si
ricordava riflessa in quegli occhi grigi che tanto ammirava. Occhi
pieni di
aspettative e di sogni.
Quel suo amore sconfinato per lui
ed Eurus, a cui dedicava la sua infinita pazienza di fratello maggiore.
I libri
che gli leggeva a notte fonda per farlo addormentare. Le storie di
pirati che
si inventava per farlo giocare. Come i viaggi in isole misteriose in
cerca di
tesori nascosti, e mai lui si era sottratto portandolo sulle spalle
fino al
fiume che era il loro mondo fantastico. Mentre Eurus trotterellava al
loro
fianco ancora priva della pazzia che l'avrebbe tormentata. La loro
amicizia
fraterna era spendente, piena di sole, difficile da scardinare, ma lo
zio Rudy
c'era riuscito, gli aveva strappato il fratello amorevole che era
stato. Myc
cambiò e divenne il Mycroft che non riusciva ad amare.
Odiò Rudy con tutto
sé stesso. Ora
sentiva di doverlo proteggere, lui era il maggiore, lui l'adulto come
aveva
detto mamma. Lui il suo sostegno.
Mycroft lasciò cadere
l'ombrello
che rimbalzò nella ghiaia, inerte. Le lacrime gli rigavano
il viso, ma non
emetteva nessun lamento.
Sherlock gli accarezzò
la spalla,
fino al collo dove tenne la sua mano ferma calda e rassicurante.
Mycroft
imparava ad accettare il suo contatto. Prese lentamente a singhiozzare.
Urlò la sua
disperazione, maledì
il vecchio Rudy, portò le mani sul volto chiudendo gli
occhi, sussultò scosso
dai gemiti. Un pianto liberatorio, trattenuto da quel giorno, quando
giovane e
impreparato, quelle mani luride lo avevano violato.
Sherlock gli fu vicino, Myc
trasalì rendendosi conto del suo contatto. Nessuno da tempo
lo poteva toccare,
nessuno poteva sfiorarlo. Sherlock lo sapeva, piano lo
attirò a sé, lo strinse
forte.
"Non c'è nulla di sporco
in
te, Myc." Il maggiore si abbandonò al suo affetto, voleva
vivere,
assorbire il calore della sua mano, che non fosse solo tormento e
prevaricazione, o carezze sudice...
Si lasciò abbracciare.
La stretta
del fratello era avvolgente gli scaldò l'anima e il cuore,
quello che tutti
credevano fosse di ghiaccio, che prese a battere regolare.
"Ti voglio bene Myc.
Così
come sei. Rammentalo sempre." Le udì appena, le parole di
quel fratello
che aveva protetto per tutta la vita, e ora gli rendeva l'amore che
desiderava.
Era diventato un fratello premuroso, lo era anche grazie alla sua
costanza che
lo aveva salvato dallo zio.
"Hai la vita davanti,
guardati intorno Mio. Qualcuno che ti vuole bene c'è. Ed
è sempre stata
li." Sussurrò all'orecchio del fratello maggiore.
Lui sollevò le
sopracciglia,
dubbioso.
Sherlock lo sbirciò
sornione, ora
sorrideva. Gli allungò il fazzoletto. E fece un breve elenco.
"Che ti segue costantemente
senza replicare. Che è sempre al tuo fianco silenziosa. Che
ti sostiene quando
sei stanco. Che accetta il tuo umore instabile."
Mycroft allargò le
braccia
sorridendo. Si asciugò gli occhi. "Anthea ha bisogno di un
uomo."
Affermò convinto.
"Lo sei, nonostante gli abusi
che hai subito. Diglielo Mio, digli cosa ti è successo, lei
ti ama da sempre.
Capirà, ma forse ha già intuito tutto, sapendo
del tuo rapporto difficile con
lo zio."
Mycroft scosse la testa. "Non
è così facile." Mormorò.
"Concediti l'amore. Non sei
diverso dagli altri." Sorrise, scuotendo la testa riccia. Ora erano uno
di
fronte all'altro.
Mycroft si chinò a
riprendere il
suo ombrello. Lo puntò nella ghiaia e ci si
appoggiò.
Eccolo che ritornava il Mycroft
che, in fondo, aveva accettato di amare. Quello che era costantemente
al suo
fianco. Sherlock sorrise benevolo.
Il maggiore lo guardò
dritto negli
occhi, inclinando la testa di lato come era solito fare quando lo
canzonava, in
un angolo del suo cuore si era fatto strada il rispetto di Sherlock.
"Tu l'hai sempre saputo di
Anthea, ero io che non vedevo nulla. Hai ragione, non voglio sentirmi
più solo.
Devo recuperare quello che mi è stato tolto."
"È per quello che non ti
ho
sparato a Sherrinford. Come avrei potuto diventare zio?"
"Non stai correndo un po'
troppo fratellino" Risero insieme, come non facevano da tempo.
Mycroft si aggiustò la
giacca, si
strinse la cravatta. Sherlock gli sistemò il colletto della
camicia.
"Non ti allargare troppo,
potrei abituarmi alle tue cure." Sherlock alzò le mani in
segno di resa.
"Ti rendo presentabile, hai
un reputazione da sostenere." Scosse la testa divertito.
Si lasciarono alle spalle quella
pietra tombale squallida, che liquidava per sempre quell'uomo ambiguo
che era
stato l'artefice del loro allontanamento.
La ghiaia scricchiolava sotto i
loro piedi. Il cimitero sembrò improvvisamente meno lugubre.
Mycroft si schiarì
la voce, era sereno. Come non lo era stato da tempo.
Girò la testa per
guardare meglio
il fratello, i capelli ricci, le mani affondate nel Belfast nero, il
volto
luminoso. Sembra sempre lo stesso bambino curioso, anche se ora era
diventato
più responsabile. Pensò all'intrusione della
notte prima. Avrebbe preso dei
provvedimenti seri ed efficaci per tenerlo al sicuro. Infondo lo aveva
sempre
fatto.
"Che dici se la invito fuori
a cena? Pensi che accetterà?"
Fece un largo sorriso malizioso,
tornando a guardare il sentiero. Si stava liberando del fardello
pesante che
aveva portato, mentre una nebbia sottile offuscava per sempre i ricordi
degli
abusi subiti.
"No, fratello, sarà
felice
vedrai." Lo prese sotto braccio e lo portò verso la berlina
nera.
"Ah, lascia che mi occupi io
di Graham, dammi fiducia Myc." L'uomo della governance strinse le
labbra
sottili.
"Va bene, ma tanto sai che ci
sarò. Diciamo che tutelo la tua famiglia acquisita."
Sherlock sorrise consapevole che
Mycroft era Mycroft, sempre e comunque. E stavolta lo
accettò senza ribattere.
Arrivarono verso Baker Street dove
videro Anthea in piedi sulla porta che li aspettava. Il cellulare nelle
mani.
Le aveva mandato dieci sms.
Si guardarono con
complicità e
ridacchiarono.
"Dove poteva essere se non
qui, la tua Anthea?" Sherlock gli batté la mano sul
ginocchio. "Vieni
a trovarci spesso, sai che hai una nipote che ti ama da quando ha
adocchiato il
tuo costoso orologio."
Un luccichio comparve negli occhi
azzurri di Sherlock compiaciuto dalla sua famiglia allargata.
"Lo farò, e tu non
metterti nei
guai. Lasciami portare a cena Antea prima."
Scesero insieme. Mycroft lo
raggiunse dal lato opposto. Si fermò, lì nel
mezzo del marciapiede, lo guardò
dritto in volto. "Posso Lockie? Me lo concedi?"
Sherlock annuì.
Mycroft lo abbracciò
come se non
volesse più lasciarlo, lui lo ricambiò. Rimasero
stretti, con tutto ciò che era
rimasto di loro dopo burrasche e tempeste, due respiri vicini, che
divennero
uno solo.
Anthea li vide e quasi le
sfuggì
il cellulare dalle mani, gli occhi le divennero lucidi. Era da molto
che
desiderava la loro vicinanza. Conosceva il dolore di Myc, per
l'allontanamento
di Sherlock, lo aveva percepito, così come il rapporto
difficile con lo zio
Rudy.
Spesso Mycroft evitava di parlarne
e cambiava in volto. Era accaduto qualcosa, in passato ma lei era
paziente e
aspettava che fosse lui a parlarne.
Ora forse aveva trovato la pace.
Mycroft si allontanò, il
fratello
minore lo osservò camminare con aria leggera.
Ora dovevano solo andare avanti,
la strada era aperta.
Mycroft si voltò,
sollevò la mano
nell'aria fresca della sera, e lo salutò. Si
avviò con passo deciso dondolando
il suo ombrello di marca. Le spalle diritte, lo sguardo sereno.
Raggiunse
Anthea, felice di rivederla, lo stupore che vide sul suo volto lo fece
commuovere.
"Sto bene, non mi hanno
rapito." Ridacchiò, lei si ricompose rapidamente.
Lui si fece coraggio. "Vorrei
rimanere con te stasera. Ho qualcosa da raccontarti, se vuoi
naturalmente."
Anthea annuì incapace di
rispondere era senza parole. Salirono in auto. Lei lo studiava, la
testa appena
abbassata, la mano abbandonata sul sedile. Mycroft allungò
la sua e le sfiorò
le dita.
"Va tutto bene Andrea."
L'aveva chiamata con il suo vero nome. Il suo turbamento fu totale,
anche se
aspettava da tempo quel segno di affetto.
Mycroft tornò a fissare
la strada,
la fronte distesa, un sorriso garbato sulle labbra sottili.
Era morto zio Rudy! Sepolto per
sempre. Non lo avrebbe più toccato.
Non avrebbe più fatto
del male a
nessuno.
Nessuno a cui lui volesse bene.
Mai più.