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Autore: _sweet    26/04/2022    1 recensioni
(...)"È iniziato tutto con il sole, la Nutella, un pesce di nome Nemo e una boccia piena d’acqua.
Sì, credo che sia stato in quel pomeriggio di giugno che ho capito di odiare mia sorella. Forse un po’, preda di quella gelosia così comune nei bambini che vanno ancora alle elementari. Forse, un po’ di più del normale. Forse, perché era meglio di me e alla fine me ne ero accorta per davvero."
Perchè tra sorelle l'affetto è anche questo; guardare l'altra e scoprirla il peggior nemico che si possa avere. Una cosa che Emma e Giada sanno bene.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giada è nata a luglio, diciannove giorni dopo il mio secondo compleanno e una settimana prima dell’inizio di agosto. Con il tempo sono arrivata a pensare che lo avesse fatto apposta per costringermi a condividere con lei anche quella piccola porzione di tempo. Luglio avrebbe potuto essere una cosa solo mia e lei ci si era subito insinuata, strappandomela senza rimorso.
Comunque, nonna raccontava spesso che quando mi diede la Grande Notizia io alzai la testa dal disegno, lanciai il pennarello a terra e inizia a saltellare per tutta la camera. “Ho una sorellina, una sorellina!”, gridavo felice. Non posso confermare che andò davvero così, ma darei buona parte della pensione per poter tornare indietro e leggere nella mente della me che sono stata tanto tempo fa. Perché sì, di sicuro non avevo ben capito che cosa nascondesse quella parola, sorellina, altrimenti non sarei balzata di gioia da un capo all’altro della stanza. Poco ma sicuro.
Ero una bambina di due anni con il viso tondo, le fossette sulle guance paffute e un piccolo neo sopra al labbro superiore. Una di quelle bambine a cui la gente sorride per strada e che starebbe proprio bene in una rivista di moda per l’infanzia, con gli occhi scuri, i boccoli castani e le manine cicciottelle. Zia lo diceva in continuazione che sarei potuta diventare una modella e Mamma ci stava pensando davvero a farmi fare un servizio fotografico. Lo so perché nonna parlava tanto, negli ultimi tempi, e sembrava che solo le minuzie del passato riuscissero a tranquillizzarla. È grazie a quei mesi passati seduta sul suo letto d’ospedale, nell’odore pungente di disinfettante e pelle di malato, che sono venuta a sapere di tante cose che prima ignoravo; cose piccole come la mia carriera di indossatrice stroncata sul nascere e cose che avrei voluto rimanessero occultate per sempre nella sua memoria ormai piena di crepe.
 
 
CAPITOLO 2
SOLO MANINE SUDATICCE
 
Giugno 2007, dopo cena
 
Seguo Giada lungo il corridoio. Alcuni boccoli, raccolti in due codini morbidi ai lati della testa, sono fuoriusciti dagli elastici di colori diversi e le incorniciano il capo come un’aureola bionda. Tipo quella che hanno i Santi nei quadri appesi a San Francesco, solo che lei non è buona. Ma questo, nessuno tranne me lo sa.
Giada accende la luce in salotto e rimane immobile sulla soglia. La mano che tiene una Gocciola, immancabile dolcetto del dopo cena, le scende lungo il fianco e un po’ di briciole finiscono a terra, in rilievo sul marrone più chiaro del parquet. Mamma non ne sarà affatto contenta.
«Emmy.» sussurra, girandosi verso di me. Un velo di lacrime le trema già contro l’iride. «Emmy, g-guarda.»
Non c’è bisogno di guardare, so già che cosa l’ha sconvolta tanto. E come potrei non saperlo?
«Che cosa c’è?» Mi accarezzo la punta della treccia in un tono che spero il più neutro possibile.
Lei non risponde. Si schiaccia contro lo stipite della porta e mi fa cenno di entrare. Altre briciole cadono a terra e quando le passo davanti sento un leggero crick-crack sotto la suola degli infradito.
Tutto è come l’ho lasciato prima di andare in cucina ad apparecchiare e prendermi un “bravissima” da parte di mamma: Nemo è immobile sul pizzo e le lampadine si riflettono tremolanti sul sottile strato d’acqua che ricopre il tavolino. I sassolini grigi e bianchi, invece, sono tornati asciutti e opachi. Mi ero dimenticata, per colpa della tortura di dover finire l’insalata, degli occhi del pesciolino sbarrati, cechi. Morti.
Mi passo la lingua sulle labbra. «Sei stata tu?»
Giada scuote la testa, il labbro inferiore inizia a tremolare. «Ma è solo caduto fuori dalla boccia, vero? Adesso lo rimettiamo nell’acqua e starà bene, vero?»
No, non funziona esattamente così. «Io…non lo so.»
Ma che cosa dico? Io la so la verità e la verità è che non c’è nulla da fare per Nemo se non buttarlo nel water, tirare lo sciacquone e vederlo sparire. Poi, gettare il centrino in lavatrice, asciugare il tavolino, pulire la boccia e rimetterla a posto sulla mensola in alto della lavanderia dove non riesco ad arrivare neanche salendo sulle sedie. Avrei potuto, avrei dovuto spiegarle tutto. Non era questo lo scopo di quello che avevo fatto? Osservare la mia sorellina perfetta realizzare di non poter ottenere ogni cosa solo sgranando gli occhi e mettendo il broncio?
Giada tira su con il naso. «M-m-mamma lo sa di sicuro.»
Non faccio in tempo a richiamarla indietro che lei è già corsa via. Mamma non è Giada, non ha la misera intelligenza di una bambina qualunque che tutti credono un piccolo genio solo perché è la preferita della maestra. Mamma sa ogni cosa e capirà. Allora, che importa se prima mi ha detto “bravissima”?
Devo fare qualcosa e anche in fretta.
Ok, eliminare le prove. O almeno, provarci.
Prendo la boccia rovesciata e la raddrizzo. Afferro a manciate i sassolini e li lascio cadere sul fondo. Così potrebbe andare. Come ha detto Giada, Nemo ha solo nuotato troppo forte, magari ha fatto un salto fuori dall’acqua per godersi il panorama sul salotto e non ha centrato l’apertura della boccia. È finito di fuori e ha schizzato acqua da tutte le parti. Perfetto. La Signora in Giallo sarebbe molto fiera di me.
«…vieni a vedere, vieni a vedere!» urla Giada.
Mi precipito alla porta e il cuore batte così forte che mi fanno male le orecchie. Forse esploderò, a questo punto.
«Tesoro, devo finire di là.» dice mamma.
«Vieni, vieni!» La vocetta acuta di Giada si fa più vicina ed eccola, che tira mamma per un braccio con tutta la forza che ha.
Mamma guarda Nemo. Giada guarda lei. Io mi guardo lo smalto fucsia scheggiato sull’unghia dell’alluce.
Giada rompe il silenzio. «Che cosa facciamo, mammina?»
Alzo lo sguardo, curiosa di sapere. Esatto, ora che si fa?
Mamma accarezza la guancia di Giada con il dorso della mano. Serra le labbra e mi cerca con gli occhi. Deglutisco. So che sa.
Sei colpevole solo se ti comporti come tale. Lo ha detto ieri la signora Fletcher nell’ultimo episodio della stagione che ho visto con nonna. Insomma, una cosa del genere. E io sì, sono colpevole, ma basta fingere di non esserlo.
«Giady, Nemo adesso è nel Paradiso dei Pesci insieme a Limone.» dico.
Mamma annuisce, ma mia sorella si mette a piangere lo stesso e scappa via. In cameretta, raggomitolata sopra le lenzuola insieme a Sara, l’orso con la camicia da notte color panna. Lo fa ogni volta. Normale amministrazione, insomma.
Mamma sospira e si avvicina a Nemo. «Emma, hai qualcosa da dirmi?»
Ehm, potrei mangiare un altro biscotto prima di andare a lavare i denti?
«No, mammina.» Prendo un fazzoletto pulito dalla tasca dei pantaloncini e lo appoggio sopra alla pozza d’acqua. Vedi, sono solo una brava bambina che ti aiuta a rimediare a un pasticcio combinato da un pesce troppo sciocco.
Il fazzoletto si bagna d’acqua e diventa molliccio. «Buttiamo Nemo?» E ora, vedi la proposta di una brava bambina che vuole sbarazzarsi di un animale inutile per desiderio di ordine e pulizia, sia chiaro.
Mamma ci mette un secondo in più del normale a rispondere di sì. Lo sa. O forse sono stata bravissima, così brava che non riesce a capire davvero se il sospetto che le scorgo annidato nel marrone caldo degli occhi sia reale.
«Emma, te lo chiedo un’altra volta. Devi dirmi qualcosa?»
Domani devi lavorare o vieni al mare anche tu?
«Mammina, non capisco.» Con un movimento veloce del polso spingo prima di lei sulla plastica dello sciacquone. «Che devo dire?»
«Come ha fatto Nemo a finire sul centrino?»
No, non ci voleva. Stringo i capelli nel palmo e li sento appiccicarsi alla pelle. Sto sudando. Anche gli assassini che trova la Signora in Giallo sudano spesso, quando vengono interrogati dal poliziotto grasso. Non va affatto bene.
«E smettila di tormentarti i capelli.» Mamma libera la fine della treccia dalla stretta delle mie dita, «ecco perché sei piena di doppie punte.»
«Scusa, mammina.» Nascondo le mani dietro la schiena.
«Allora? Come ci è finito Nemo fuori dall’acqua?»
Mi stringo nelle spalle. «E io che ne so? Quel pesce era di Giada, mica mio.» Mi alzo sulle punte e prendo il dentifricio nel bicchiere accanto al rubinetto. Vedi, prima che me lo dici tu mi sto anche lavando i denti. Sono proprio brava, lo so.
«Emma, rispondi.»
Apro il tubetto e lo spremo. Dal basso e non dalla punta. Un altro punto per me. «Non lo so! Forse…forse ha fatto un salto ed è caduto. Prima io e Giada giocavamo alle principesse, Nemo e Limone erano le nostre guardie al palazzo e forse lui voleva continuare il gioco da solo.»
Apro la bocca e inizio a spazzolare gli incisivi superiori. Adesso non ho più uno spazio enorme, fatto di sola gengiva, lì dove i denti da latte sono caduti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Ci sono due rettangolini bianchi e anche se non sono né dritti né vicini li trovo un netto miglioramento rispetto a prima.
Mamma si passa una mano sugli occhi. «Emma, dimmi che non sei stata tu a tirare fuori Nemo dall’acqua.»
«On ata io.» sputacchio, la bocca piena di dentifricio. Alcune goccioline di schiuma finiscono sullo specchio e scorgo mamma scuotere la testa, tra una macchiolina bianca e l’altra. «Sul serio. Te lo giuro, mammina.»
La carne umida delle guance brucia e sfrigola; odio questo dentifricio alla menta. E ce ne è anche un altro, di bruciore, che mi solletica la pelle. Come quando prendo troppo sole sulla spiaggia, poi torno a casa e mi sento tutta dolorante e tesa.
«Perché lo hai fatto, Emma?»
Mi sciacquo la bocca. «Io non ho fatto niente.»
Mamma mi appoggia le mani sulle spalle e mi fa girare verso di lei. «Avreste potuto giocare tutte e due con Nemo. Sarebbe stato di entrambe, tuo e di Giada.»
Stringo i pugni per vincere la tentazione di giocherellare ancora con la treccia che mi solletica la schiena. «Limone era mio. Nemo era di Giada. Punto.»
Lo aveva detto anche lei, nel momento in cui mi aveva dato il sacchetto pieno d’acqua con Limone dentro; Questo è tuo, Emma. Non di Giada, non ti tutte e due, ma mio. Mio e basta. Solo mio come niente lo era stato prima, né la gonnellina a quadretti rossi né il grembiule della scuola con Flora ricamata sulla tasca. Perché era tutto passato a mia sorella, insieme al pigiama di Topolino o il costume con i brillantini, visto che a me andavano troppo stretti o corti ed erano quasi nuovi. Un peccato buttarli via, secondo nonna.
«Che cosa hai ottenuto, facendo quello che hai fatto?»
Una domanda trabocchetto. Mamma voleva farmi ammettere che sì, ero stata io a uccidere Nemo per poi mettermi in punizione. Mi avrebbe proibito di leggere e io ero troppo curiosa di sapere se Edmund avesse rivisto i suoi fratelli, scappando dal castello di ghiaccio della Strega Bianca. O mi avrebbe vietato di mangiare il gelato e guardare i cartoni. Perché mamma a volte era cattiva ed era più che consapevole di ciò che mi importava.
«Tanto tu non mi credi mai!» Faccio un passo indietro, «per te io sono bugiarda e Giada dice sempre la verità.»
Non è la prima volta che piango per questo e mamma sospira. La ruga leggera che ha sulla fronte si fa più profonda; e se per colpa mia quella brutta riga non se ne andrà più? Se le spunteranno strisce profonde anche sulle guance e intorno agli occhi come a nonna? Righe e strisce che si uniranno in ragnatele tremolanti a causa della bugia che ho detto.
«Emma, smettila con questa storia per favore.»
«Anche tu.»
Mamma si avvicina e alza un indice, puntandomelo contro. «Non mi piace il tuo atteggiamento, signorina. Fila a letto e rifletti su quello che hai fatto. Non sono per niente contenta, Emma, per niente.»
Be’, poteva finire in modo peggiore. «Buonanotte.» mormoro, rivolta ai fiorellini lilla del tappeto.
In cameretta, alzo il cuscino e mi metto il pigiama. Mamma si siede sul letto di Giada, la schiena rivolta verso di me. Nascondo la testa sotto le lenzuola anche se fa caldo. Così, la voce di mamma e i singhiozzi di mia sorella arrivano ovattati e si confondono in brusii lontani. Nel nero dietro le palpebre serrate mi concentro sulle mille lucine colorate che esplodono e pulsano, evitando di dover vedere mamma che asciuga le lacrime a Giada e la coccola e le accarezza i capelli.
«Notte, mammina.»
«Notte, cucciola.»
E quelli, di sussurri, li sento benissimo anche con le orecchie coperte.
Mamma accosta la porta, dal corridoio solo una lama di luce aranciata rischiara il buio della stanza.
«Giady, dormi?»
«No.»
Ha la voce impastata e bagnata di chi ha ricominciato a piangere.
La gola mi si fa secca.
«Emmy, tu dormi?»
«No.»
Non so che cosa le ha detto mamma. Potrebbe averle rivelato il sospetto che ha su di me e allora anche Giada terrà il muso per giorni. Rifiuterà ogni proposta di giocare insieme, farà castelli di sabbia lontani dai miei e conoscerà altre bambine con cui cantare canzoncine alle onde per far calmare il mare.
Scalcio le lenzuola e quelle mi si arrotolano attorno alle caviglie. Mi dà fastidio che lei possa, in qualche modo, sapere quello che ho fatto.
Sapere che sei stata tu a uccidere Nemo.
Uccidere. Nemo.
Agito una mano davanti al viso, ma l’aria che riesco a spostare è più appiccicosa di quella di oggi pomeriggio.
«Stai piangendo?»
«No.» risponde Giada in un singhiozzo strano, come se avesse tentato di farlo sparire affondando la faccia nella federa del cuscino. O tra le pieghe della camicia da notte di Sara.
Sta piangendo. Lo so.
«Piangi per Nemo?»
«N-no.» Altro singhiozzo, «s-si.»
Giro il cuscino dalla parte più fresca e richiudo gli occhi. Dovrei essere felice. Ho raggiunto il mio scopo. E allora perché gli occhi mi pizzicano? Se solo Giada smettesse di produrre quei suoni strozzati riuscirei a dormire con un bel sorriso di soddisfazione; Nemo non c’è più, mamma non mi ha messo in punizione, domani potrò mangiare il gelato per merenda e gli incisivi superiori mi sembrano più lunghi di ieri a passarci sopra la lingua, così.
Eppure, eppure le mie labbra non si tendono verso l’alto e non riesco a immaginare che gusto potrei scegliere nel cono.
Mi metto a sedere sul materasso, cerco con i piedi gli infradito e vado verso il letto di Giada, identico al mio.
«Giady, posso?» Senza aspettare risposta scosto le lenzuola, allontano Sara e mi sdraio accanto a lei.
Le sue iridi brillano nel buio insieme alle lacrime. Ed è strano perché gli esseri umani non brillano al buio.
«Non devi essere triste.» Le allontano un boccolo schiacciato sulla fronte, «Nemo ora è un pesciolino felice.»
«Non puoi saperlo.»
«Invece lo so.» Sorrido, spero che anche lei riesca a vedere questa parte di me brillare nel buio. «Starà nuotando con Limone tra nuvolette di alghe celesti.»
«Ne sei sicura?»
«Assolutamente.»
Giada cerca la mia mano e la stringe. È calda e sudaticcia, però sento il sorriso che ho messo su solo per lei farsi più ampio e vero.
Nemo è morto e lei ha ancora i capelli ricci che alla fine dell’estate avranno riflessi color miele, ha ancora i dentini piccoli e perfetti, ha ancora gli occhioni enormi e la capacità di apparire perfetta.
Ha ragione mamma; che cosa ho ottenuto?
Niente, tranne il dover dormire accanto a Giada e svegliarmi, domani, con il suo respiro a solleticarmi le narici.
E per una notte, mi va bene così.

 
Note:
Grazie a tutti coloro che sono arrivati alla fine anche di questo secondo capitolo!
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Un grazie particolarmente caloroso a _Il colore del vento_ (lei sa perché). Autrice fantastica che, se ancora non la conoscete, vi invito a iniziare a leggere SUBITO. Vi basterà entrare nel suo profilo, aprire una qualunque delle sue storie e lasciarvi trasportare dalla magia delle sue parole. Non ve ne pentirete, promesso.
Alla prossima!
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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