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Autore: MadLucy    27/04/2022    1 recensioni
[Albus/Gellert | epistolary fic | + supportive Minerva]
Mi attribuiscono la saggezza, e non sanno che sono qui, come un bambino, a chiedermi perché l’amore non ci abbia salvati.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Minerva McGranitt | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Minerva McGranitt ruppe il silenzio dicendo: «Credo che quel dolore sia sprecato per uno come Grindelwald.» Dovevano essere parole che le erano costate molto, almeno in termini di tempo di elaborazione. Non si era mai esposta così tanto, da quando erano colleghi. 

Albus sollevò la testa dallo scrittoio, sorpreso. «Se devo dire la verità, non mi piace pensare alle emozioni in termini di spreco, di certo non per qualcosa come il dolore.» Ci meditò per un istante. «E la parte di lui per cui non mi vergogno di soffrire non è così estranea da ciò che ero.»

«No, io non credo, se permette.» Lo scetticismo era perentorio sulla sua fronte; dopo una pausa deliberata, aggiunse il resto più dolcemente. «Meriterebbe che qualcuno le alleggerisse queste giornate. Come… come Miss Strenia. È una delle mie persone preferite.»

Albus sorrise compiaciuto. «Allora mi sforzerò intensamente di innamorarmi di Miss Strenia per lei, professoressa. Oppure potrebbe farlo di persona.»

La professoressa McGranitt avvampò. «Questa è impertinenza.»

«Mi limito a rispondere all’impertinenza con l’impertinenza.» Albus scosse il capo. «Incanti la porta per me, gentilmente. Voglio ascoltare degli archi.»

Ottenne in risposta uno sguardo apprensivo. «Cerchi di dormire.»

Una volta solo, senza riflettere, Albus trasse un foglio di pergamena nuovo e intinse la piuma. 

 

Mi hanno appena consigliato di sposare la barista di Hogsmeade. Magari lo faccio. Così tu arrivi, pesti i piedi, butti tutto all’aria, fai una sceneggiata –ti saresti sentito così irragionevolmente tradito che avresti distrutto il Patto di Sangue con la punta del mignolo. Ho imparato a credere all’invincibilità del tuo odio –l’unico modo che hai avuto per dimostrare quanto mi ami, d’altronde, è stato odiandomi, e ho dovuto nutrirmi di quell’intensità. Magari mi uccidi pure, e poi piangi. Mi piacerebbe un po’, perché mi manca anche il modo in cui ti rendi ridicolo. Mi manchi anche se non voglio più vederti. Non voglio perché non so se ce la faccio, ad essere chi voglio, quando arrivi tu. Non voglio più sconfiggerti, siamo già sconfitti. Mi sento così debole. Saresti contento di saperlo. Nonostante tu confonda la forza con la debolezza, mi preferisci debole piuttosto che forte. L’ho sempre saputo, la felicità non ti sarebbe mai bastata. I miei difetti peggiori erano tutto ciò che ti importava, e ti sarebbe sufficiente, ora, che ti allungassi un solo difetto residuo, una sola piccola paura, e protenderesti la mano per riprendermi con te. L’idea ha un gusto meraviglioso e rivoltante. Provo disgusto per il terribile desiderio di separarti dal dolore che hai procurato e riavere per me qualcuno che forse sei tu, forse per nulla. La memoria scrive le proprie storie. Mi attribuiscono la saggezza, e non sanno che sono qui, come un bambino, a chiedermi perché l’amore non ci abbia salvati. La risposta è talmente semplice che la respingo: dovevamo essere noi a farlo. Mi mordo le mani, perché non mi viene in mente nessuno che abbia messo piede sul suolo di questo mondo di più inetto di noi due a diciassette anni. Ci muovevamo come nella nebbia. Chi ha permesso che l’intrallazzo estivo di due imbecilli diventasse politico, è ancora più imbecille di loro. Eravamo stupidi, ma eravamo piccoli, e non puoi non perdonare due così. Sto compiendo un lungo cammino per perdonarmi. 

Minerva, una donna con il cuore di gran lunga più puro del mio, mi consiglia di non pensarti. Non sa che non pensarti non sortisce alcun effetto sulla tua presenza accanto a me. Non sarò mai solo, nemmeno quando vorrò esserlo –e ancora non riesco a volerlo. Sarò per sempre la tua stupida vedova, incapace di liberarmi della tua concreta assenza. La gente guarderà me e vedrà te. Tu sei mai solo, Gellert? Sei riuscito a liberarti di me? Ti piace così tanto disorientare la solitudine con esperienze confuse. Non ti spaventa nemmeno il fatto che i tuoi sogni si siano realizzati. Sei sempre stato benedetto da una pessima determinazione e una ancora più disgraziata temerarietà. Io ho paura di tutto, Gellert. Persino il Pensatoio ha cominciato a terrorizzarmi, ed è solo uno strumento, che richiederebbe la mia azione per farmi del male. Il ragazzino che eri sarebbe inorridito davanti a questo signore patetico, tu invece cosa mi diresti, ora? Non so cosa darei per poterti parlare senza dolore, senza l’intrusione del mondo. Temo di essere la radice di tutto il male che provo, Gellert, molto più di te. Non so se voglio vincere. Ciò che volevo davvero non può più esistere. Forse è giusto, e bello, che io muoia insieme a quel futuro scomparso. Forse questa è la linea temporale sbagliata, forse Ariana doveva diventare la professoressa allegra e saggia di una scuola di magia, e dovevo morire io. A volte le cose che ho perso mi paiono più reali di quelle che ho; a volte, invece, non ho proprio nulla. Ho solo te. Ma averti è un privilegio oscuro. 

Non credere che io sia sempre così. Preferisco curare le storie degli altri che piangere sulla mia, davvero, ma stasera mi lascio sopraffare, senza opporre resistenza, perché sono stremato. Se entro l’alba non sono finito nel Pensatoio, forse anche tutto il resto verrà facile, mi dico. Ma se non lo farò, sarà più per inerzia che per virtù. Persino punire me stesso mi ha stancato. Ameresti mai questa persona vile? Non credo. Non accetteresti mai di soffrire insieme, senza fragore. Più probabile che il tuo amore sia come il mio, un sentimento di fantasmi, di cuori ignorantissimi che si ricordano solo il falso. 

Ogni amore vuole l’eternità, e anche tu la volevi. La vuoi ancora? La tua, o la nostra? L’unica che vedo è la mia. In questo preciso momento so che morirò prima di te. Mi chiedo dove potrei andare a piangerti di nascosto. L’amore rende le persone coraggiose, dicono. Per me è stato un perenne esercizio di viltà. Non riuscirò mai a salvarti né a ucciderti. Tutti dicono che hanno bisogno di me, e non mi sono mai sentito più inutile. Non potendo fare altro, faccio l’unica cosa che ho sempre fatto, e che ti ha sempre spazientito: ti scrivo lettere di improbabile lettura, ipotesi di risposte che non mi hai chiesto. Sono ancora più prolisso di quando mi amavi. E ora, invece? Un momento prima mi sembra che non ci sia niente di me che ti piacerebbe più, quello dopo che uno sguardo appianerebbe anni, stratificazioni di scelte opposte e immensa sofferenza. Ma non possiamo concederci quello sguardo.

Dal Pensatoio potrei non uscirne, Gellert. Non lo farò se tu sei laggiù. Chi potrebbe mai venire a recuperare qualcuno che non vuole che i ricordi finiscano? Sarei dovuto andare a dormire. So come reagiresti che leggessi questa lettera: brinderesti della mia deriva psicofisica, dicendo che hai vinto tu. Poi ti sentiresti di colpo arrabbiato, stizzito e irritabile, ti isoleresti e sbatteresti un po’ di porte, grattandoti il collo ed esorcizzando la fonte sottocutanea di quel malessere indefinito. 

Non leggerai niente di tutto ciò, ma spero che in questi anni tu abbia sbattuto qualche porta per me. Il mio dolore ti fa ridere, invece il tuo, permettimi, mi fa sorridere. 

Me lo ricordo ancora, perfettamente intatto, e forse sarà il mio ultimo ricordo, nudo e commovente come quello di tutti quanti.

«Gellert, che c’è? Cosa ti prende?»

«Stai zitto, lasciami in pace. Ti sto guardando. Stai fermo.»

Sono così certo che ti basterebbe guardarmi da non volerti vedere più. Però ti vedrò, e spero di riuscire a non stare fermo. A fare un passo indietro.

 

Albus posò la piuma. Un sottile, penetrante ronzio gli invadeva le tempie. La coltre magmatica e iridescente del Pensatoio baluginava come un occhio spalancato. Non riuscì né ad accogliere, né a fuggire da quella possibilità, inerme. Lasciò che la luce delle candele si scolasse la notte. 

  
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