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Autore: Enchalott    29/04/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un incarico inatteso
 
Shaeta si rigirò sul giaciglio, stremato dalla notte insonne. Si strinse nella coperta, osservando il filtrare rosato delle prime luci dell’alba.
Avvertiva i solchi dello scudiscio come appena sferrati, il dorso e le spalle erano un’orchestra di spasmi. I suoni inequivocabili provenienti dall’alcova di Dasmi non lo avevano aiutato ad addormentarsi. Si era seppellito sotto le coltri, ma i gemiti di piacere lo avevano raggiunto. Aveva realizzato suo malgrado quanto fossero instancabili i Khai anche sotto quell’aspetto, assegnando un’ulteriore ragione al disprezzo che gli riservavano.
Davvero non hanno ritegno.
Il fatto che i due non si fossero curati della sua presenza gli aveva fatto pensare che lo considerassero alla stregua di un animale, del quale non ci si vergogna o cui non si presta attenzione.
Non vedo l’ora di tornare nel mio cantuccio!
Un rumore lo distolse dalle sconsolate considerazioni.
Valka sollevò il lembo divisorio della tenda: non sembrava provato dalla notte focosa e l’uniforme scarlatta si tendeva senza una grinza sul fisico aitante.
«Il Kharnot ti attende» asserì nel suo minkari stentato.
Gli gettò dei vestiti decenti, esaminandolo con aria critica.
«Le ferite sono ancora aperte. Hai la pelle delicata, principe.»
«È la tua ragazza che ha le mani pesanti.»
«La mia cosa?»
«Fidanzata, quella cui sei promesso.»
«Ci hai sentiti?» rise il reikan «In effetti quando è arrabbiata il divertimento raddoppia, ma Dasmi non è la mia futura moglie, ce la spassiamo e basta. La cosa ti stupisce?»
«Sì, ma…»
«Non hai mai fatto sesso, vero?»
Shaeta arrossì a quella che era una deduzione più che una domanda e l’altro snudò le zanne in una smorfia svagata.
«Ti pronuncerai quando sarai attratto da una donna. Alzati.»
Il principe radunò le forze, ma senza supporto non si sarebbe messo in piedi.
«Non ho esperienza, però sono in grado di intendere» borbottò piccato «È scorretto andare a letto con lei, se non ti piace.»
«Certo che mi piace! Se non solleticasse il mio istinto maschile, non mi infilerei tra le sue gambe appena si presenta l’occasione!»
Shaeta s’indignò per la trivialità della risposta.
«Però, se non sei innamorato di lei…»
«Un Khai non ama! E ora muoviti!»
Attraversarono la zona riservata agli ufficiali d’alto rango e ai cavalieri alati.
Il padiglione del Šarkumaar svettava tra le tende circostanti, il vessillo carminio con il Sole Trigemino coronato sventolava nell’aria ghiacciata del mattino.
Shaeta stentava a reggere il passo. Si domandò dove fosse Dasmi e congetturò che la sua presenza non fosse necessaria: forse l’incontro era riservato ai guerrieri più influenti. Si ricredette quando la individuò accanto alla madre: non si assomigliavano, eccezion fatta per il cipiglio altero.
Un Khai non ama.
Trovò conferma in quella gelida vicinanza, come se tra le due non esistesse legame familiare e fossero costrette a interagire per mera necessità.
Gli occhi verdi della più giovane lo trafissero con un disprezzo tale da metterlo a disagio, mentre Taygeta lo ignorò.
 
Il supremo stratega delle armate demoniache era in piedi accanto a un braciere di fattura spartana, l’ambiente arredato con tappeti di lana, un robusto tavolo di legno e sedie prive di fronzoli. Soltanto il seggio antistante al drappo di broccato che separava la zona privata era ornato di pellicce pregiate.
Shaeta cercò l’attenzione di Valka per sapere come comportarsi, ma questi rimase in silenzio. Gli altri Khai gli rivolsero una scorsa distratta, ma tanto bastò per gelargli il sangue.
Mahati ultimò il colloquio in corso, la sinistra appoggiata all’elsa della spada lunga. Indossava aderenti abiti da volo e un pesante mantello nero. Il colletto di pelliccia bianca che contornava lo scollo contrastava con il dorcha. Era molto alto e le corna lo rendevano imponente: Shaeta sapeva che erano posticce, ma la cosa non lo rassicurò affatto.
«Il principe dell’Irravin, mio signore» si inchinò Taygeta.
Valka, piegato in rispettosa attesa, gli assestò uno strattone e lo costrinse a mettersi in ginocchio.
Le iridi del Šarkumaar fendevano come lame di topazio: nessuna esitazione nello sguardo feroce ma nobile, più limpido dell’acqua della lontana primavera. Dal suo corpo emanava un’aura di orgogliosa sicurezza, le membra enunciavano una forza straordinaria, il volto una risolutezza inscalfibile. Era affascinante e spaventoso, tuttavia suscitava un sincero rispetto.
Oh dei, quanto vorrei essere come lui!
Si vergognò: non avrebbe dovuto anelare la somiglianza con chi stava sterminando la sua gente, sebbene come condottiero sfiorasse la perfezione.
«Siete solito genuflettervi davanti al nemico?» esordì Mahati «È resa o deferenza?»
Parlava un minkari privo d’inflessione. Shaeta avrebbe voluto ribattere con la medesima decisione, ma la voce non uscì. Deglutì a vuoto, le labbra aride di febbre e di paura, le mani sudate e tremanti. Rimase abbassato in preda all’incertezza.
«Rispondi, shitai!» ringhiò Taygeta intimidatoria.
Il Šarkumaar sollevò una mano con infastidita indolenza.
«Vostra madre ha proposto un baratto tra prigionieri. Di proposito non uso il termine sovrana, poiché permettere al privato di prevalere sulla razionalità è indegno per chi regge le sorti di un popolo.»
«Non offendete mia madre!»
Mahati socchiuse le palpebre, sulla bocca fiorì un sorriso algido, come se avesse verificato una certezza. Fece segno a un attendente, che si affrettò a porgere un vassoio con due coppe fumanti. Shaeta trasecolò quando gli offrì la seconda.
«Avete intenzione di bere da supplice?» proseguì il principe khai.
Con uno sforzo si levò in piedi, spinto dalla collera e dall’insopportabile senso di inferiorità. Non avrebbe fatto il gioco del nemico, non si sarebbe lasciato prevaricare: sarebbe stato il primo passo verso la schiavitù mentale, verso l’annullamento della personalità. I suoi pensieri corsero a Evlare e l’ira increbbe.
«Non desidero bere con voi!»
«Non è avvelenato, se è ciò che paventate.»
Shaeta impietrì: non ci aveva affatto pensato. Trafitto dallo sguardo del demone, si sentì ancora più ingenuo e incapace. Reagì d’istinto.
«Sono certo non ricorriate a simili bassezze. Se miraste alla mia vita, mi sfidereste, se invece meditate di farmi a pezzi per atterrire i Minkari, vi servo vivo.»
«Ottima deduzione, meritate di scegliere la parte da mutilare per prima. È un onore riservato a pochi.»
Il giovane principe sbiancò e retrocedette. Valka lo spinse, riportandolo al suo posto. Avrebbe evitato volentieri la figura del vile. La coppa era lì in attesa: per un attimo pensò di prenderla. Brancolò a caccia di una valida scusante.
«Perché brindare con l’assassino dei miei?»
«In guerra siamo tutti assassini, i Khai non hanno l’ipocrisia di negarlo. Offrendovi il vino, nonostante siate mio prigioniero, vi riconosco come uomo. Sono in errore?»
Per la prima volta da quando era stato catturato, Shaeta non si sentì trattato come un essere inferiore.
Se non penso a me stesso come a un adulto, sarò per sempre il moccioso impacciato delineato da Dasmi!
Lanciò un’occhiata alla ragazza inginocchiata, un’immobile stele di granito. Quando i loro sguardi si incrociarono, in quello di lei scintillò il consueto disprezzo, unito a una favilla feroce d’odio, come se detestarlo fosse il suo incarico principale. Invece il principe nemico, cui tutti rivolgevano deferenza, gli usava un riguardo privo di edulcorazione. Afferrò la coppa per dispetto alla sua aguzzina.
«Non voglio risultare arrogante. Berrò con voi e vanterò la circostanza quando mi presenterò alle dimore del sommo Reshkigal.»
Tracannò la bevanda, sforzandosi di non tossire per il sapore brusco. Avvertì la scia rovente approdare nello stomaco, l’alcol gli infuse un lieve stordimento, ma la sensazione di ossa ghiacciate e vuoto si dileguò.
Mahati lo osservò con un certo svago, come avesse intuito le sue condizioni precarie e lo scopo fosse stato quello di non farlo crollare miseramente a terra.
«Il divino Custode attenderà. Non morirete tanto presto. A meno che, disobbedendo, non corteggiate la lama fatale.»
Shaeta rimase imbambolato, la coppa tiepida tra le mani.
Non vuole uccidermi. Esiste qualcosa di peggiore?
«Non commettete l’imprudenza di ritenervi al sicuro. Non vi sto risparmiando, sto progettando il futuro. La risposta all’indecorosa richiesta di Amshula consisterà in un attacco alla massima potenza. Minkar cadrà, l’Irravin si piegherà al seggio di mio padre, ogni opposizione verrà stroncata nel sangue. Prenderemo shitai e acqua, sopravviverà soltanto chi accetterà le nostre incontestabili condizioni.»
Shaeta fremette di rabbia impotente.
«Non vincerete! Le mura resisteranno, la mia gente combatterà, vi pentirete della vostra presunzione! Danyal vi farà scontare…»
«Danyal morirà con l’onore che merita. Voi firmerete gli accordi di pace. Questa è la mia volontà.»
«Io mi rifiuterò!»
Le iridi chiare Mahati rosseggiarono alle fiamme del braciere, rendendolo simile a una creatura ancestrale. Scosse la testa con spazientita indulgenza e le catenelle intrecciate alle corna tintinnarono.
«Non siete acuto, altezza. Vi suggerisco di ragionare a mente fredda, non di cedere alle emozioni imitando la deprecabile caduta di vostra madre. Preferisco siglare un accordo con un re che conosce i nostri costumi, tanto assennato da accettare il male minore per il popolo di cui è guida, risparmiandogli la repressione. Nelle guerre passate non è avvenuto e le condizioni degli sconfitti sono più dure di quanto prospettato. Usare il terrore come deterrente comporta sacrifici tanto feroci quanto inutili. Domandate agli shitai salki o ai Jandalini, se non prestate fede alle mie parole. Gli unici da biasimare sono il loro governanti, non i Khai che hanno vinto.»
«Q-questo è assurdo! Ci avete attaccati e pretendete di aver ragione!?»
«Pretesa? La ragione è di chi vince. Se Minkar sbaragliasse le mie armate, sarei costretto a ritirarmi con ignominia, se Mardan fosse aggredita, sarei pronto a difenderla e se perdessi, dovrei sottostare a nuove leggi. Il giudizio morale non è contemplato, potete solo strappare al dominatore qualche centimetro della corda che vi ha messo al collo e ciò significa respirare. Questo, altezza, dipende da voi.»
«Dovrei trattare? Accettare i morti, i soprusi, lo sfruttamento di ciò che ci appartiene? Con il mio primo atto come sovrano dell’Irravin, dovrei condannare il mio popolo alla sottomissione?!»
«Potete demandare l’incarico, se non ve la sentite. Certo mi deludereste.»
Shaeta faticò a trattenere le lacrime. Il cuore pulsava convulso, avvolto dal dolore e dalla crudeltà della prospettiva offerta. Eppure…
Ha centrato il punto. Esistono vite che dipendono da me, dalla mia forza d’animo e fragili speranze da mantenere accese. Forse un giorno tutto cambierà, ora non posso voltare le spalle a chi mi ha concesso fiducia. Il mio ruolo comporta oneri e onori, non sarò tanto vigliacco da respingerlo.
«Avete compreso» mormorò soddisfatto il demone «Preferisco un fiero alleato a un servo che cova vendetta. Da oggi vivrete come un Khai, porterete l’uniforme scarlatta, imparerete la lingua e apprenderete l’arte della spada. Vi assegnerò un incarico e un tutore vi affiancherà, ricordandovi che non siete libero.»
«Non temete che possa superarvi e agire contro di voi?»
«No. Possedete un difetto congenito.»
Il ragazzo aggrottò la fronte tra il dubbioso e il risentito.
Un Khai non ama.
«La capacità di amare?»
Il Šarkumaar sedette e accavallò le gambe. Se l’affermazione lo aveva colto alla sprovvista, non lo diede a vedere.
«Dovrei congratularmi con me stesso per la lungimiranza, ma non ho l’abitudine di incensarmi» asserì ironico «Siete sull’eccellente strada della comprensione. Quando la guerra sarà vinta, mi seguirete a Mardan e ci resterete finché non vi giudicherò pronto a prendere le redini dell’Irravin nel glorioso nome di Kaniša. Diventerete il mio strumento e la mia voce.»
Shaeta ascoltò la sentenza con l’animo in pezzi, ma lo stratega supremo proseguì senza dargli il tempo di assimilarla.
«Reikan Valka! Sarai il suo maestro d’arme, mentre il resto competerà al capitano Dasmi. Entrambi farete rapporto ai vostri superiori.»
I due piegarono il capo in assenso. Shaeta si persuase che la ragazza gli avrebbe fatto scontare ogni singolo secondo sottratto alla carriera cui ambiva.
«Quale mansione desiderate assegnargli?» si informò Taygeta.
«Questione stimolante» sospirò Mahati, passandosi le dita tra le ciocche corvine.
Il principe minkari notò al mignolo sinistro un sottile anello d’oro e si chiese se fosse un pegno. Aveva sentito che era prossimo alle nozze e non riuscì a figurarsi in cosa consistesse la relazione coniugale tra demoni, unione fisica a parte. Forse erano tutti libertini e la donna destinata al figlio del re era solo un mezzo per assicurargli la discendenza.
«Potrebbe occuparsi dei vradak» suggerì Sheratan.
«Approvo. Sei il valido consigliere di sempre, generale.»
Il ragazzo minkari rimase a bocca aperta. Avvertì un brivido al pensiero dei rostri e degli artigli letali dei predatori alati. Eppure gli sembrò che una divinità avesse ascoltato il desiderio espresso, mentre osservava il loro volo spettacolare.
«Come ve la cavate con gli animali?» domandò Mahati.
«A palazzo ho un cavallo.»
«È una bestia da montare. Così è stabilito. Siete congedati fino a nuovo ordine.»
Valka lo sospinse all’uscita. Shaeta si fermò, pungolato da un’insolita risolutezza.
«Principe Mahati!» pronunciò in un fiato «Siete voi il mio modello di riferimento, spero non vi pentiate della vostra decisione.»
«Come io spero che guardiate ad altri esempi» restituì l’altro.
 
«Buona l’ultima battuta!» ringhiò Valka «Fortuna che il Kharnot ti ha preso sul serio o la tua testa sarebbe in viaggio per la capitale!»
«Lo penso davvero!»
Il reikan lo fissò severo, poi alzò le spalle.
«Dove si è cacciata Dasmi!? Devo sempre stare ai suoi capricci!»
«Perché lo fai, se non ti va?»
«Ovviamente per portarmela a letto. Quello mi va parecchio.»
Perché l’ho chiesto?
Shaeta sospirò e caracollò dietro al giovane ufficiale. Poco mancò che andasse a sbattere contro la sua schiena. Ebbe la prontezza di non superarlo, annuendo al cenno che lo ammoniva di tenere la bocca chiusa e si limitò a osservare sbirciando oltre il suo mantello scarlatto.
 
Taygeta e la figlia discutevano frenetiche oltre la palizzata di legno, visibili attraverso il perlinato.
«Non mi sono mai vergognata tanto, Dasmi! Tuo padre ed io siamo molto scontenti, nessuno del nostro clan è sceso così in basso!»
«Nusakan ha la mente difettosa, è impossibile stargli in sella! Voglio provare con un altro esemplare!»
«Di tutte le scuse, questa è la più patetica! Quel vradak vanta una genealogia di rispetto, l’ho selezionato di persona! Se ti ha disarcionata, è per la tua incapacità!»
«Nessuno riesce a montarlo!»
«Gli altri non appartengono alla nostra famiglia! Sei l’unica a non aver superato l’esame! Cerca di esibire rammarico!»
«Ripeterò la prova, dimostrerò che non è stata colpa mia!»
Il generale la squadrò come se stesse osservando qualcosa di disgustoso. Le labbra si piegarono in una smorfia sprezzante.
«Ho preso accordi con i genitori di Kayran. Nonostante il tuo indegno fallimento ha accettato il matrimonio, poiché ha un ottimo ricordo di te e desidera una moglie d’alto rango, che gli partorisca eredi forti.»
«Cosa!? No, madre! Non sposerò Kayran!»
Taygeta la schiaffeggiò con un pesante manrovescio.
«Che alla seconda occasione tu ottenga o meno i gradi, obbedirai! Non credere di poter convolare a nozze con quel reikan di second’ordine!»
Gli occhi verdi di Dasmi si spalancarono per l’umiliazione e la collera. Si portò la mano alla guancia arrossata e fissò la donna con profonda avversione.
«Valka non è nei miei progetti! Non lo è nessuno! Voglio combattere!»
Shaeta rabbrividì al tono sdegnoso con cui aveva pronunciato il nome del compagno. Sollevò lo sguardo e gli sembrò di scorgere tra le sopracciglia aggrottate del giovane una ruga di dolore. Fu un’impressione fugace.
I Khai non provano amore, perché patirebbe l’affermazione?
«Sai perché ho scelto tuo padre?» continuò Taygeta.
«Perché lo hai sfidato per il ruolo di primo generale e lo hai ferito.»
«Esatto. Raslan si è proposto dopo il combattimento, ammirato dalla mia maestria e dalle mie doti guerriere. Non si è neppure bendato per la fretta di raggiungermi. Per lo stesso motivo ho accettato di dargli subito un figlio, sospendendo per alcuni mesi la carriera. Non intendo più allontanarmi dalla battaglia e tu potresti restare la nostra unica discendente. Se dimostrassi pari virtù, sceglieresti un uomo di tuo gradimento. Purtroppo sei una delusione, rimedierai perpetrando il nostro sangue.»
«Ti chiedo un’ultima possibilità! Non sbaglierò!»
«Stai supplicando, Dasmi? Ti concedo di ripetere l’esame per recuperare l’onore, ma la decisione è presa. Kayran verrà per ufficializzare il fidanzamento e programmare le asheat. Appartiene al clan di Ŷalda, il più prestigioso dopo quello reale. Non fallire o dimenticherò di averti messa al mondo.»
Se ne andò impettita, lasciando la ragazza a lottare con la rabbia, la mortificazione e con l’implicita intimidazione di ridurla a sottomessa.
«Per l’Arco letale!» esalò Valka, sollevando l’indice «Non una parola. Lei non deve sapere che abbiamo sentito.»
   
 
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