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Autore: colinred_    29/04/2022    1 recensioni
Di Jasper e del suo Inferno personale.
"In principio si trattò di attrazione, poi arrivò quel senso di appartenenza che mi guidava costantemente verso di lei, verso i suoi sguardi, verso i suoi timidi sorrisi, verso quelle braccia esili che tanto desideravo stringessero il mio corpo. Erano arrivate le cacce alle ore più disparate della giornata, per allontanarmi quanto più possibile da lei, da Alice, ma soprattutto da Edward, perché tenere a bada i miei pensieri e le mie emozioni diventava sempre più impossibile."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isabella Swan, Jasper Hale | Coppie: Bella/Jasper
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight, New Moon
Capitoli:
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I personaggi di cui parlo non mi appartengono e la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Inoltre, questo capitolo ripercorre alcuni momenti salienti del primo libro e i dialoghi inseriti – che troverete in corsivo – provengono direttamente dalle pagine di Twilight, tutto il resto invece è pura e semplice immaginazione e fantasia proveniente da me.

 
INFERNO
"Io non ho osato mai e mai ci riuscirò,
a dirle che per lei io brucio nel mio inferno.”
-Tebaldo, Oggi o mai, Romeo e Giulietta: Ama e cambia il mondo.

Jasper’s Inferno

Inferno.
Avevo sempre e solo considerato così la mia vita da addestratore di vampiri neonati per l’esercito quando pensavo al mio passato.
Un inferno in terra che mi faceva sprofondare passo dopo passo, uccisione dopo uccisione nell’abisso della disperazione, del vuoto incolmabile, dei miei giorni più bui.
Ero certo che si trattasse dell’inferno, ne ero sicuro, ne percepivo la paura strisciante che proveniva dai cadetti, la sentivo sibilare fino alle mie orecchie. Una punizione, doveva trattarsi di questo, quelli come me non dovevano vivere, anzi, non dovevano esistere, eravamo dei mostri che infrangevano quell’equilibrio naturale della vita e della morte.
Eppure, la vita da maggiore Whitlock al servizio di Maria era l’unica che conoscevo, l’unica che credevo possibile, mi ero arreso all’evidenza che a quelli come noi, una volta creati venisse assegnato un inferno personale in terra per scontare la propria punizione, una punizione necessaria per non essere morti quando ci spettava.
Osservavo la vita di tutti quelli della mia razza così come la mia e ne ero convinto: niente gioia, niente sprazzi di luce solo immenso e vuoto dolore, doveva essere così, mi guardavo intorno e non riuscivo a sentire niente di buono neanche nelle vite dei miei compagni più fidati; neanche nella vita di Maria sentivo nient’altro che una disperata ricerca del potere e una lussuria disarmante che portava con sé un oscuro dolore.
Tutto intorno a me confermava quanto meschina fosse la vita che stavo scontando - l’unica che conoscevo e alla quale non potevo mettere fine - e questo lo pensavo davvero, almeno fin quando Peter e Charlotte non mi mostrarono un’alternativa di esistenza a tutto ciò che avevo vissuto fino a quel momento, ma anche dopo che li lasciai restai fermamente convinto della mia teoria dell’inferno personale; pensai solo che quei due avessero trovato insieme un modo per alleggerire quella punizione che pesava sulle nostre teste fin dalla nostra creazione, un modo per renderla meno difficile da sopportare.
Continuai a pensarlo anche quando Alice mi trovò, vantando storie per le quali lei mi stava aspettando da molto tempo e noi due saremmo diventati compagni.
Compagni?
Non sapevo cosa volesse dire essere compagni di qualcuno, avevo vissuto nella più totale solitudine e disperazione prima della mia vita con lei che non sapevo neanche cosa volesse dire stare insieme a qualcuno.
Peter e Charlotte si amavano, certo, e io intuivo soltanto cosa potesse significare amare un vampiro e decidere di passare il resto della vita con lui, dell’eternità insieme e non pensavo davvero all’implicazione che portava esserne innamorati, ma al tempo, quando incontrai Alice per la prima volta, prendevo ancora troppo in considerazione l’aspetto emozionale dell’amore umano e probabilmente tutt’oggi lo considero ancora.
Se mi fossi innamorato - come accaduto nel giro di poco tempo, complice le emozioni enfatizzate della nostra razza e quelle che Alice mi trasmetteva - sarei stato con lei fin quando l’avremmo desiderato, fin quando lo avrei desiderato.
Avrei potuto trovare un compagno anche in un amico e se l’avessi trovato in una donna vampiro avrei potuto desiderare che fosse la mia compagna anche senza un sentimento d’amore a legarci.
Carlisle infondo, per porre fine alla sua secolare solitudine, aveva creato Edward per primo, lo aveva scelto come suo compagno e solo dopo trasformò e aggiunse alla sua cerchia Esme, l’amore della sua vita.
Insomma, ragionavo ancora troppo con la mente di un umano rispetto alla questione amore. Le emozioni erano così labili e io le percepivo talmente bene che sapevo che, anche con una semplice mancanza di fiducia, un minimo torto subito o semplicemente l’aggiunta di variabili all’equazione, queste si sfaldavano come neve al sole e non importa quanto potenti potessero essere le emozioni dei vampiri, se il seme fosse stato piantato tutto avrebbe lasciato presagire che da quel seme prima o poi sarebbe potuto spuntare un piccolo germoglio verde.
 Le emozioni di Alice erano così pure ed elettrizzanti – emozioni che non avevo mai lontanamente immaginato di poter provare prima di allora - che non avevo potuto far altro che seguirla nella sua prevedibile vita alla ricerca della felicità, di un’alternativa di esistenza, dei Cullen insomma.
Stare con lei era facile, avevo tutto ciò di cui avevo bisogno, perché Alice me lo donava ancora prima che potessi solamente chiederlo, amarla, mi dissi, lo era ancora di più; con lei quasi dimenticai, per un lungo periodo, di quella mia personale teoria dell’inferno creato ad hoc per chiunque facesse parte della nostra razza.
 Quasi, perché quella teoria si fece nuovamente spazio fra i miei pensieri, prepotente, quando vidi lei per la prima volta: la variabile all’equazione.
Probabilmente se non avesse suscitato tanto interesse in mio fratello Edward, non l’avrei notata, mi era parsa una così normale ragazza all’inizio, che non avevo neanche respirato la sua scia in mensa quel giorno. Stare a contatto con gli umani mi provocava uno sforzo immane, ma avevo Alice che mi contagiava con la sua allegria e farfugliava di come lei e questa Bella presto sarebbero diventate buone amiche. Insomma, quella ragazza prima o poi si sarebbe avvicinata a noi e chissà come e in quale modo – umano o meno - avrebbe cominciato a far parte della nostra famiglia.
Avevo sospirato e quasi per gioco avevo rivolto il mio sguardo al tavolo dove lei sedeva, mi guardava da sopra la sua spalla e cercava di nascondersi dietro i suoi capelli mossi, anzi, ci guardava e passava in rassegna i nostri volti uno ad uno mentre quell’insopportabile di Jessica Stanley stilava l’elenco della famiglia Cullen, gli strani della scuola.
Era curiosa, come tutti chiaramente, glielo si leggeva bene in faccia – senza che usassi il mio potere, perché, mi dissi, non avrei sprecato energie e non avrei alimentato la mia curiosità più del necessario - e non c’era neanche un motivo valido alla disperazione di mio fratello, provocata dal fatto che non riuscisse a leggere i suoi pensieri, quella ragazza era un dannato libro aperto che, per quanto imprevedibili fossero le sue azioni e le sue reazioni alla scoperta del nostro mondo – del tutto fuori dal normale – era talmente intelligente che nel giro di poche settimane ci aveva messi alle strette scoprendo il nostro segreto, certo, Edward con la sindrome dell’eroe ci aveva messo del suo.
Erano partite da qui le nostre litigate - quelle tra me, Emmett e Rosalie - sulla possibilità che Edward lasciasse in pace la ragazza, perché ci aveva anche provato fuggendo a Denali la prima settimana che lei si era trasferita a Forks, ma il tutto si era risolto in un nulla di fatto.
Occhi marroni, capelli castani, una ragazza anonima, non c’era assolutamente nulla di particolare in lei, lo vedevo! Eppure, ne avvertivo il fascino.
Cosa aveva di così tanto speciale quella ragazza? Gravitarle intorno, anche semplicemente a mensa, nonostante fossi lontano dal suo tavolo era diventato frustrante, sì perché mi ero reso conto che la mia curiosità non si era affatto fermata e grazie al mio potere studiavo in silenzio le sue emozioni. Era frustrata dal comportamento di Edward probabilmente, frustrazione che si trasformò in sorpresa quando mio fratello, un giorno, lasciò il nostro tavolo e invitò la ragazza a sedere con lui in un tavolo tutto per loro alla pausa pranzo.
Tenevo il capo chino, rivolto al cibo nel vassoio che anche quel giorno non avrei sfiorato e ascoltavo ciò che i due avevano da dirsi appena qualche metro più in là. Non volevo dare l’impressione che stessi ascoltando, sapevo che il resto della mia famiglia lo stava facendo, ma non volevo essere tanto palese come lo era Rosalie che, ad esempio, digrignava i denti al fratello mentre questo parlava di lei con Bella.
La curiosità toccò vette altissime quando mi costrinsi a ricercare la sua scia e notarne la differenza tra quelle degli altri umani, avevo imparato a riconoscerla ormai, era così piacevole stare a respirarla, da lontano, che non sapevo davvero come avrei reagito se avessi respirato una volta di troppo la sua essenza a pochi passi da lei, e forse quest’ultimo pensiero me lo lasciai sfuggire, a differenza degli altri, mentre Edward mi era troppo vicino.
Che stupido che ero stato, come si era creato nella mia mente e con così poca attenzione un pensiero tanto…strano.
Il seme era stato piantato.
Era sempre più difficile nascondere quei pochi pensieri che mi balenavano nella mente a mio fratello, era assurdo, quei pensieri non dovevano neanche essere lì perché semplicemente quell’umana non era niente, nulla, per me e mi imposi di crederlo almeno fin quando Edward non ci comunicò che Bella, la sua ragazza, sarebbe venuta a trovarci. Chissà se in quei giorni ero stato bravo a tenere a bada la mia fervida immaginazione mentre la mia mente era invasa dal ricordo di un odore sublime come quello di Bella, cercai di tenere fuori il suo nome dai miei pensieri e questa cosa mi faceva impazzire, ma lo nascondevo bene perché mi facevo cullare dalle emozioni di Alice.
In quel periodo un lieve bruciore prese vita all’interno del mio corpo.
 
Bella era attratta da Edward, da tutti noi.
Trovare attraente la nostra razza era una prerogativa degli umani, la nostra trasformazione ci donava quella bellezza in più che a loro era difficile ignorare e così doveva essere. Insomma, eravamo una sorta di specchietto per le allodole perché in questo modo era molto più facile attirare le nostre prede.
Io non prestavo molta attenzione al mio aspetto, ma ero consapevole di non essere ciò che comunemente viene definito “brutto”, soprattutto dopo la mia trasformazione e questo mi bastava.
Attraenti lo erano tutti nella famiglia Cullen, nessuno escluso, a partire da Carlisle che dimostrava ancora i suoi ventitré anni di età; quasi mi sentii in difetto invece quando adottai il cognome di mia sorella Rosalie per fare in modo che apparissimo come gemelli, perché la prima volta che la vidi restai semplicemente senza parole.
Come potevo io Jasper Whitlock poter essere il gemello di Rosalie Hale? Certo, agli occhi degli umani un paio di cose parevano confermare la nostra storia: i capelli color miele, il colorito stinto e smorto alle volte.
Eppure, per gli occhi più attenti, nient’altro ci legava.
La mia famiglia le vedeva, loro riuscivano perfettamente a scorgerle, quelle innumerevoli cicatrici sparse lungo il mio corpo, la mia caratteristica dominante, Bella probabilmente ad occhio nudo ne avrebbe scorte meno della metà se avesse dato uno sguardo alle mie braccia ma non si sarebbe mai accorta, neanche se Edward mi avesse permesso di avvicinarmi a pochi centimetri da lei, che ne esibivo anche lungo tutto il collo, sulla mascella e perfino ai lati degli occhi.
Memorie del mio passato.
Lei le avrebbe viste mai? Le avrebbe contate prima o poi? Non riuscii a spiegarmi il motivo, ma a quei pensieri mi incupii.
 
Edward si preoccupò di avvertirmi di starle lontana.
Quando sarebbe arrivata a casa Cullen, avrei dovuto rivolgerle un cenno di saluto, ma a distanza di sicurezza.
Come confessargli che mi beai immensamente del suo odore quando Alice e io, fermo alla porta della stanza di mio fratello, comunicammo la nostra intenzione di andare a giocare una partita di baseball?
Come avrei potuto evitare di non respirare un odore così coinvolgente quando la ragazza che lo emanava era seduta a meno di un metro di distanza da me, nel sedile posteriore, mentre guidavo ininterrottamente in direzione di Phoenix?
E allora quel bruciore, insistente, cominciò a crescere.
Era quello l’inferno per i vampiri? Non dava pace e spazzava via ogni sintomo di felicità all’instante?
Eppure, quella sera stessa, poco prima di partire, dopo aver dato vita ad un piano nel giro di pochi minuti, che speravamo vivamente funzionasse, feci qualcosa che non mi sarei mai aspettato di fare.
Non avevo mai parlato molto in sua presenza e fu una cosa che stupì anche lei, lo percepii.
Avevo aspettato pazientemente che Edward si dileguasse in fretta insieme al resto della famiglia, in casa eravamo rimasti solo io Alice e…Bella.
Lei mi stava di fronte, dall’altra parte del corridoio, la faccia piegata in una smorfia, probabilmente cercava di non pensare a cosa le sarebbe potuto accadere da un momento all’altro a causa di James, anzi, ripensandoci non era corsa via impaurita alla scoperta della nostra vera identità e in quel momento non sembrò neanche essere toccata abbastanza alla notizia di un segugio che sgomitava alla ricerca di tracce che portassero a lei.
A Bella non importava affatto che lei fosse in pericolo, Alice me lo aveva raccontato velocemente e sottovoce mentre preparava le ultime cose, a lei importava solo che altri non si trovassero in pericolo a causa sua.
Studiai le sue emozioni e non trovai altro che un’ansia tremenda ad attanagliarla, che sentii subito anche io all’altezza dello stomaco, e un’altra cosa: insicurezza.
Diavolo, perché si sentiva così insicura? Aveva paura che un clan di sette vampiri potesse fallire contro un solo vampiro, pur segugio quale fosse? No, non avremmo di certo lasciato che Bella morisse, perché adesso lei faceva parte della famiglia, poi un pensiero fugace mi colpì in pieno e realizzai solo in quell’istante: avevo capito ciò che la rendeva insicura.
Ricordai di quando pensai che Bella fosse un libro aperto, non c’era bisogno di leggerle nel pensiero per capire ciò che le passava per la testa, a volte bastava osservarla attentamente e… comprendere le sue emozioni.
“Lo sai che ti sbagli, vero?”, dissi piano.
“Cosa?”, mi rispose senza fiato.
“Sento ciò che stai provando adesso, e ti dico che sono sicuro che ne vali la pena”.
Sottolineare la parola sicuro mi venne d’istinto.
“No”, lei bofonchiò. “Stanno rischiando per niente”.
La sua risposta mi confermò esattamente ciò che avevo appena capito di lei, da cosa scaturiva la sua insicurezza, gongolante ribadii “Ti sbagli” asserii e poi le sorrisi gentilmente.
Quella era stata la nostra prima conversazione e feci di tutto per trasmetterle pace e serenità, sapevo che tra i Cullen ero stato quello più schivo di tutti nei suoi confronti, persino Rosalie con la sua indignazione non era stata del tutto indifferente, ma decisi che avrei fatto del mio meglio per rendergli quei prossimi giorni meno pesanti.
Dentro di me seppi che quel seme era pronto a germogliare da un momento all’altro.
No, non glielo avrei mai confessato.
Confessare avrebbe significato prendere una decisione e le conseguenze sarebbero state catastrofiche, avrei perso Alice per prima, poi Edward e tutta la mia famiglia.
Ne valeva davvero la pena? A Bella avevo detto di sì e non stavo mentendo, ma se solo lo avessi fatto avrei perso tutto ciò che Alice pazientemente mi aveva donato e io le dovevo tanto, troppo, un’intera eternità di devozione, che comunque non sarebbe mai bastata a ricambiare il suo amore.
Che patetico, descrivevo già il sentimento per Alice come devozione, mentre il bruciore dentro il mio corpo cominciava ad irradiarsi senza limiti.
Adesso ne ero sicuro, era quello il vero e definitivo volto del mio inferno.
Quella dannata situazione di stallo che mi costringeva a rimanere nel limbo, a metà strada fra due scelte: da una parte la mia compagna ormai da oltre mezzo secolo, Alice, e il resto della mia famiglia (perché sarebbe stato così, li avrei persi uno ad uno se solo mi fossi costretto prima o poi ad abbandonarla); dall’altra l’attrazione bruciante verso quell’umana che era entrata nelle nostre vite solo da pochi mesi ma che le aveva stravolte completamente, Bella, che aveva stravolto anche le mie più fervide convinzioni e fatto saltare in aria quelli che, prima del suo arrivo, credevo fossero i miei punti fermi.
 
Il primo giorno passato in quella suite d’hotel fu un tormento per Bella e chiaramente lo fu anche per me, solo Alice ne era estranea. La voce di Bella tremava ad ogni parola pronunciata, faticava a controllarla, mentre aspettavamo una chiamata da Carlisle che sembrava non arrivare mai. Aveva paura.
Alice tentò di dirle che “Significa soltanto che non hanno nulla da dirci” ma la sua voce calma e piatta stonava decisamente con l’atmosfera che si respirava.
Mi imposi di raccogliere tutta la pace e serenità che in quel momento potevo donarle e mi affiancai ad Alice, avvicinandomi nello stesso momento a Bella più di quanto avessi mai fatto prima.
Bella” sussurrai tentando di ammorbidire il mio tono di voce, in un modo in cui non le avevo mai parlato prima, “non c’è niente di cui preoccuparsi. Qui sei al sicuro, fidati”.
Questo lo so” mi rispose.
E allora, perché hai paura?”, tentai ancora.
Sentivo le sue emozioni, mentre mi spiegava il perché si agitasse così tanto. Il discorso di Laurent, quel pomeriggio, aveva fatto breccia in lei e ciò che strabordava fuori dal suo corpo era solo tanta paura, che non lasciava più spazio ai nervi saldi o al raziocinio.
Come potrei vivere sapendo che è colpa mia? Nessuno di voi dovrebbe rischiare così tanto per me…
Avrei dovuto trovare in fretta un modo per calmarla, oltre che con i miei poteri, anche con le mie parole.
Alice restò fuori dal nostro piccolo dialogo mentre tentavo di stabilire un contatto visivo con la ragazza, tremante dalla paura, di fronte a me. I miei poteri lavoravano ininterrottamente, avrei impiegato ogni mia minima energia a disposizione affinché potessero intrappolare quella paura e riuscissero a scacciarla via, azzardai un altro passo verso di lei, Bella sembrò non farci caso, “Bella, Bella, smettila” parlai velocemente.
Ti preoccupi delle cose sbagliate. Credimi, se ti dico che nessuno di noi rischia niente. Sei già abbastanza sotto pressione: non caricarti del peso di preoccupazioni superflue.” Bella distolse lo sguardo dal mio, avrei voluto prendere il suo volto fra le mie mani e costringerla a guardarmi negli occhi, ma mi trattenni, non potevo rischiare, poi fu lei stessa ad incatenare i suoi occhi marroni di nuovo nei miei e continuai, “la nostra famiglia è forte. L’unica paura che abbiamo è quella di perderti”.
L’unica paura è quella di perderti, ripetei a mente mentre osservavo il suo viso sconvolto e sorpreso.
Alice l’aveva vista arrivare ed Edward non poteva rischiare di perderla, ora che finalmente aveva trovato qualcuno per cui vivere, dopo quasi un secolo.
Noi non potevamo rischiare di perderla, era davvero la nostra paura più grande, lo era per la nostra famiglia e mai prima di allora mi sentii di farne parte, perché anche io avevo troppa paura di perderla.
Le donai ancora un’ondata di tranquillità e sentii che Bella l’accolse, questa volta, senza imporsi.
Quasi mi decisi a confessare, mentre le sentii discutere nell’altra stanza della suite che avevamo prenotato, Bella aveva domandato della trasformazione ad Alice e sulla possibilità che fosse lei a trasformarla, ma perché lei? Mi fermai per un secondo, perché non potevo essere io a posare le mie fredde labbra sopra il suo splendido e candido collo?
Bella sarebbe sicuramente diventata una splendida e affascinante vampira, Alice lo aveva visto accadere.
Cancellai in un istante quel pensiero ed ecco che affiorò, ancora, quel senso di colpa nei confronti di Alice che mi fece irrigidire e restare fermo dov’ero.
Quel seme appena germogliato presto o tardi sarebbe bruciato – doveva bruciare - insieme al mio dolore, fra le pieghe del mio inferno, con il quale avrei dovuto convivere.
 
I piani del segugio cambiarono ancora, questa volta ad essere in pericolo era la madre di Bella, che presto sarebbe tornata a Phoenix.
A Phoenix c’eravamo anche noi, io e Alice sapevamo che dovevamo tenere Bella sott’occhio ed evitare che impazzisse. Carlisle, Edward ed Emmett stavano arrivando con il primo volo da Seattle per portarla al sicuro, io e Alice saremmo rimasti a Phoenix per proteggere Renée, era la decisione migliore e per un breve istante pensai che fosse la cosa migliore anche per me: restare lontano da Bella, mi sarei fatto passare quella smania nei suoi confronti.
Dovevo farlo.
Ripensai di nuovo alla prima settimana di scuola di Bella e il tentativo disperato di mio fratello di rifugiarsi a Denali per non pensare a lei, completamente mandato in fumo il giorno del suo ritorno a scuola, le aveva parlato durante tutto il corso delle ore, millantando a noi di come, attraverso i pensieri della Stanley, avesse intuito come Bella si sentisse in difetto nei suoi confronti, pensava che lui la odiasse e così Edward aveva cominciato a comportarsi, con l’approvazione di sua sorella Alice, nel modo che più sentiva giusto.
Se fossi rimasto a Phoenix, quindi, sarebbe servito a qualcosa? La sua lontananza avrebbe davvero attutito quel dolore cocente che si dipanava lungo tutti i meandri del mio corpo e della mia mente, o avrebbe solo peggiorato le cose?
Non volevo pensarci, lo avrei fatto a tempo debito.
Bella si oppose fermamente alla scelta mia e di Alice di restare a proteggere Renée, urlava che non era solo preoccupata del fatto che James potesse far del male alla sua famiglia umana, questo sottintendeva di come ci considerasse già la sua famiglia, non umana. “Farà del male a qualcuno a cui voglio bene…
Bella ci voleva bene, mi voleva bene, assurdo come stessi ad analizzare ogni singola parola pronunciata dalle sue labbra.
Alice mi lanciò uno sguardo d’intesa e accorciai di nuovo le distanze, questa volta la mia mano toccò la sua spalla e capii che ciò che le avevo trasmesso stava facendo effetto, nonostante i suoi sforzi di rimanere sveglia. Eppure, vinse quella battaglia: si costrinse a riaprire gli occhi e si alzò allontanandosi dal contatto con la mia mano.
Desiderai con tutto me stesso, che si abbandonasse ai miei poteri, che si facesse cullare dalle mie emozioni, che potessi ancora bearmi di quel contatto con la sua pelle calda e morbida, così diversa da ciò che ero, così diversa da ciò che negli ultimi cinquanta anni ero ormai abituato a toccare. 
Toccai ancora la sua spalla quando ci ritrovammo all’aeroporto, diavolo, come avevamo potuto essere così stupidi io e Alice, come avevamo potuta lasciarcela scappare in quel modo.
Scioccamente, pensai che mi avesse scelto per accompagnarla al bagno perché potessi aiutarla a infonderle calma, cosa che feci durante tutto il tragitto e cosa che mi distrasse parecchio dalle sue vere emozioni, ma Bella aveva scelto me perché sapeva che Alice l’avrebbe fermata prevedendo le sue azioni.
Le stavo un passo indietro e ancora una volta, silenziosamente, studiavo la forma che la sua pelle assumeva sotto il mio tocco, quasi immaginai di poter spostare la mia mano dietro la sua schiena e afferrarle un fianco, lo avrei fatto per non dare l’impressione che fossimo due strani individui che camminavano attraverso la folla, mi dissi, ma non era certo questo il mio intento se solo avessi seguito il mio istinto.
Volevo provare ciò che mio fratello provava ogni volta che la stringeva fra le sue braccia, volevo sentire cosa si provasse a sfiorare con cura una creatura tanto delicata come Bella, a saperla propria ed essere il solo in grado di salvarla da qualsiasi cosa.
Era strano, ma in quel momento, anche solo con la mia mano, fredda e dura come la pietra, appoggiata alla sua spalla, mi sentii l’unico in grado di capirla, l’unico in grado di proteggerla, l’unico.
Questa magra consolazione sperai mi bastasse per il resto della mia esistenza.
Mi sentii anche stupido, perché Bella non avrebbe mai ricambiato ciò che…provavo?
Bella arrestò il suo passo e capii che eravamo arrivati ai bagni dell’aeroporto, mi fece un cenno e camminò verso quella direzione.
 
Stupido, stupido, stupido, di nuovo.
Ci aveva fregati, non persi neanche tempo a controllare che lei non ci fosse davvero. La sua scia portava direttamente fuori l’edificio, così compresi l’ultima visione di Alice e la collegai direttamente al momento in cui Bella aveva preso la sua decisione: non avrebbe mai permesso a nessuno, neanche a dei vampiri che avrebbero avuto più possibilità di uscirne illesi, di soffrire per causa sua.
Raggiunsi Alice di corsa, cercando di camuffare quanto più possibile la mia velocità in mezzo agli umani.
Digrignavo i denti, mentre aspettavamo di scorgere le teste di Carlisle, Emmett ed Edward atterrati da pochi minuti. A questo punto Edward doveva già essere in grado di leggere i nostri pensieri.
Che li leggesse pure, mi dissi, avrebbe solo letto della nostra – mia – immensa preoccupazione nei confronti della sua ragazza, e soprattutto dell’ultima terribile visione di Alice e tentai di confortarmi rammendando a me stesso cosa avevo risposto a Bella, solo qualche ora prima, quando mi domandò di come funzionassero le visioni.
Edward ha detto che non sono definitive…che le cose cambiano, è vero?
Sì, le cose cambiano…” e lo sperai quel pomeriggio, perché avevo capito ciò che Alice aveva visto, e mi aggrappai ardentemente a quella risposta data anche quando vidi spuntare mio padre e i miei fratelli oltre le porte.
Fremevo dalla voglia di abbandonare tutto e correre da solo alla ricerca di Bella, stare fermo lì e deviare i miei pensieri fu invece quella che considerai ancora una volta come una punizione da scontare.
 
Rubare un’auto e muoverci velocemente tra la confusione fu la nostra mossa successiva, trovare l’esatta posizione della scuola di danza di Bella fu invece quella più difficile, nessuno di noi riusciva a tenere via dalla mente il pensiero che ciò che Alice aveva previsto fosse già accaduto.
Edward sedeva immobile, con il volto deformato in un’espressione di dolore, di paura, di rabbia, non lo invidiai in quel momento; sentire i nostri pensieri incontrollati non doveva essere un toccasana per lui, così cercai di alleggerire la situazione tentando di raccogliere tutte le emozioni positive per trasmetterle a tutti i presenti - persino Emmett, sempre baldanzoso e pronto a gettarsi nella mischia, nascondeva una punta di terrore - eravamo ancora in tempo?
Quando arrivammo, una scia potente, molto più della normale essenza di Bella, ci investì ma mi imposi di mantenere il controllo.
Era sangue, Bella era stata ferita o…
La seguimmo, eravamo tutti alterati da quell’odore tranne Carlisle ma subito un suono, seppur lento e incostante, arrivò alle nostre orecchie: il battito del cuore di Bella.
Era ancora viva, il sollievo ci raggiunse alla svelta, ma se avessimo tergiversato ancora l’avremmo davvero persa.
La stanza, quella in cui si trovava, era completamente fatta a pezzi, la maggior parte degli specchi erano rotti e contro uno di questi, Bella aveva sbattuto la testa, ora sanguinante.
Carlisle per primo, poi Edward e Alice corsero da Bella, io inspirai profondamente, nessuno lo notò, forse solo Emmett che come me restò in disparte, annusò anche lui quell’invitante profumo e dopo lo vidi ingaggiare una lotta corpo a corpo con James.
La gola mi bruciò e mi risvegliò da quell’assuefazione.
Dovevamo far fuori James, non potevo permettermi di pensare ad altro, non potevo permettermi di…attaccare Bella e dissetare la mia sete.
Cosa ne sarebbe rimasto di lei? Come avrei potuto convivere anche con quest’altro dolore?
Digrignai i denti a quei pensieri veloci che mi sfrecciavano nella mente, Edward era troppo impegnato a salvare Bella per accorgersene.
Il bruciore all’altezza della gola fu intenso e difficile da ignorare, ma era tanto diverso da ciò che provavo di solito? No, non lo era affatto. Seppur un’illusione del dolore, con quel bruciore riuscivo a conviverci, lo facevo da mesi ormai e avrei dovuto farlo anche ora.
Ignorarlo, così presente e reale, graffiante alla base della gola, fu molto difficile e mi costò parecchio sforzo, ma mi imposi di pensare che se avessi seguito l’istinto le conseguenze sarebbero state tragiche, per Edward, per la mia famiglia…per me.
Nonostante Bella fosse la ragazza di Edward, pensare di non rivederla mai più mi diede la forza di cambiare la direzione dei miei passi e raggiungere Emmett, che non se la stava cavando affatto male, in tempo per elargire al corpo martoriato di James il colpo finale.
Vederlo bruciare fra le fiamme, mentre esibivo un sorrisetto sghembo, fu la cosa che più di tutte mi appagò, avrebbe dovuto bruciare fra le fiamme dell’inferno per aver solo tentato di distruggere un essere tanto fragile e stupendo come Bella, per averla morsa, per aver solo pensato di poter mettere le sue luride mani sul suo corpo.
 
Quell’ultimo pensiero mi costrinse involontariamente a deformare il mio volto in una smorfia di consapevolezza, ritornai alla realtà e di nuovo l’odore bruciante alla base della gola riapparve più doloroso che mai.
Non diedi neanche uno sguardo a terra, mentre il corpo tremante di Bella tentava di non reagire al dolore inferto dal veleno, corsi via abbandonandomi quella stanza e infine l’edificio alle mie spalle.
Mi piegai e appoggiai le mani alle ginocchia, non ero davvero stanco dopo quella corsa, ma fu un movimento naturale, di quelli che gli umani fanno spesso e che io tentavo di copiare per apparire uno di loro.
Ero appena scappato via.
Via da quella stanza, via da quelle fiamme, via da quell’ultimo pensiero formatosi nella mia mente e via dalla consapevolezza che…avevo ragione.
Avrei dovuto bruciare anche io fra le fiamme dell’inferno per aver solo pensato di poter mettere le mie mani sul suo corpo, per averlo già fatto in realtà e per aver immaginato e sperato di ottenere di più.
Non meritavo altro e quelle fiamme vivide furono un monito, mi aiutarono a comprendere come avrei concluso la mia esistenza se avessi ceduto all’istinto.
Infondo, non stavo già soccombendo internamente alle piaghe dell’inferno?
Quell’inferno personale di cui tanto teorizzavo mi aveva già da tempo avviluppato fra le sue lingue di fuoco, ma non avevo ceduto e non avrei mai e poi mai dovuto farlo, che il fuoco si prendesse tutte le emozioni e i ricordi più cari che custodivo, non gli avrei mai permesso di distruggere anche quel piccolo germoglio verde, piantato, ora più che mai, saldamente ai bordi del mio cuore pietrificato. Sarebbe stata l’unica cosa, adesso lo sapevo, per la quale avrei sempre lottato, per l’eternità, senza il minimo sospetto da parte di lei.
Cedere avrebbe significato confessare, confessare avrebbe significato far soffrire tutte le persone che mi stavano intorno, avrebbe significato far soffrire lei e, in quel momento, mi promisi che mai più avrei voluto farle rivivere emozioni così orribili.
No, non avrei osato mai dirle che per lei stavo già bruciando nel mio inferno.

 
Angolo Autrice
Salve!
Mi presento, sono colinred (Angela) ed è la prima volta che pubblico in questa sezione, nonostante la frequenti da anni.
 Il punto di vista della storia è quello di Jasper e ho immaginato lui sentire e provare emozioni che chiaramente nel libro non esistono. I dialoghi mi hanno aiutata molto a far lavorare la mente e ho cucito attorno ad essi una storia che fosse quanto più possibile veritiera e ancora coerente con i dialoghi. Inoltre, mi piaceva l’idea di scavare più infondo nel personaggio di Jasper, attraverso un possibile sentimento che prova per Bella.
Mi piace troppo Jasper e ricordo che quando leggevo ogni minima interazione che Bella aveva con lui o qualche paragrafo dedicatogli, mi beavo immensamente di ogni singolo dettaglio che la nostra scrittrice inseriva; quindi, in un certo senso le conseguenze dell’adorare le loro interazioni, sono state pensare a Bella e Jasper come ad una possibile coppia, quindi mi piaceva l’idea di giocare con i dialoghi del primo libro e immaginare che dietro le frasi di Jasper si nascondesse altro, ad esempio questo amore nascente nei confronti di Bella.
Vogliate perdonarmi ma è la mia primissima volta che scrivo in prima persona, inoltre non ho letto Midnight Sun e quindi non terrò conto di ciò che potrebbe essere scritto lì.
Spero che l’idea vi sia piaciuta e che mi facciate sapere cosa ne pensate, un minutino su dai non vi costa nulla :'D
Pubblicherò questa storia anche su Wattpad per chi volesse passare anche di là, sono sempre colinred_
Un bacione e a presto!
  
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