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Autore: drisinil    29/04/2022    16 recensioni
Questa breve OS è interamente ispirata alla stupenda e divertentissima fanart pubblicata su IG il 29/04/22 da @chihiro15_17 (https://www.instagram.com/p/Cc75c7SMMTO/) ed è dedicata a lei e al suo talento. In una giornata uggiosa mi ha regalato un sorriso (anzi, mi sono proprio sganasciata dal ridere).
Kageyama Tobio gioca con Ali Roma da quasi un anno e ormai un po' d'italiano lo sta imparando. Ma, si sa, in Italia il linguaggio non verbale è altrettanto importante...
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tetsurou Kuroo, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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La meravigliosa fanart di @chihiro15_17
La meravigliosa fanart di @chihiro15_17

Di Shoyou, Tobio non parla quasi mai. 
La verità è che si sforza di non pensarci. A un certo punto si è trattato di scegliere, e ha scelto. Ha scelto la pallavolo, una vita nomade, nessuna famiglia, nessuna casa, ha scelto di restare dentro la zona di conforto.
Ha scelto di alzare e alzare, di servire punti su un piatto d’argento, di esprimere il talento, vivere per quello.
Non c’è più nessuno per cui alzerebbe anche se la palla fosse di marmo, non c’è più nessun Re, nessuno che sogna di crescere e spaccare il mondo.
C’è un adulto che è anche un atleta e, diciamocelo, è piuttosto soddisfatto. O forse ce ne sono due di adulti soddisfatti, che hanno fatto la stessa scelta.

Poi, ci si è messo Kuroo-san. 
E’ sempre stato imprevedibile. Imprevedibile è il tipo di aggettivo che, in campo, non si può ignorare, anche se non è abbinato a un talento particolare, anche se il giocatore non è forte, un po’ come Suga-senpai, mediocre con la palla in mano, ma imprevedibile.
Kuroo-san di più.
E infatti, adesso che se n’è andato e Tobio sta pranzando da solo (non gli è nemmeno passato per la testa di invitarlo), si chiede se abbia fatto bene, ad accettare.
Beh, alla fin fine è pallavolo. Non è che potesse davvero rifiutare. 
E poi Joffe, due metri e diciotto, un’occasione irripetibile.
Oikawa e l'orrido Miya da fare a pezzi.
Waka, che un po’ gli manca.
Korai si poteva evitare.

E Shoyou.

«Allora To’? Non ce racconti?»
Ovviamente, sono tutti lì. Non aspettano un invito, fanno come sempre. Si siedono, sorridono, gli sbattono le mani sulle spalle. Hanno già finito di pranzare, ma la cosa non ha alcuna importanza. Per bere due dita scarse di caffé possono metterci mezz’ora e in ogni caso, anche se lo avessero finito, non farebbe differenza. Se vogliono sedersi e rompere le scatole, lo fanno e basta.
«Che vi devo racconta’?»
«E annamo! Arriva uno tutto in tiro, co’ quella giacchettina, il capello sparato, che pare venuto mo’ mo’ da Tokyo, e non c’hai niente da racconta’ agli amici tua?»
Tobio sospira, e dà un morso alla fetta di pizza.
«E’ un tuo amico pure lui?»
Domanda insidiosa. Perché la parola amico ha un significato diverso a ogni longitudine, e forse però anche uno uguale per tutti.
«E’ uno che a scuola faceva il centrale in una squadra forte» risponde.
«Aho, pe' dillo Tobio che era forte...»
Ridono. Ridono tanto, senza fatica.
«E che voleva?»
Fanno anche tante domande, sempre senza fatica.
Tobio li guarda, uno a uno. Sono rilassati, sorridenti, l’invadenza, propria o altrui, li turba pochissimo.
«Mi ha detto che fanno una partita...»
«De pallavolo?»
«Ennò de hockey!» si rispondono da soli. Vola un buffetto sulla nuca e altre risate rumorose.
«Pe’ la nazionale?»
«Pallavolo» conferma Tobio, masticando. «Ma non la nazionale.»
«A To’ nun fa scherzi, se te ne vai te menamo!»
E’ una minaccia, ma ridono lo stesso. Tobio ancora non ha ancora ben capito dove corra, per loro, il confine fra  scherzo, complimento e  provocazione.
«E’ una partita…come se dice, non de campionato.»
L’inflessione con cui Tobio parla li fa sempre sorridere compiaciuti.
«Pe’ divertisse? E pe’ divertisse a giocà co’ gli amici, questo viene dal Giappone a pija a te!»
«A me nun me pareva uno che era qui a fa ‘na gita.»
«E’ della federazione giapponese» spiega Tobio.
«Ah ma quindi è ‘n evento della federazione 'sta partita. Altro che divertisse, so’ un sacco de soldi!»
Fanno il gesto dei soldi, strofinando pollice e indice. Tobio alza le spalle, il denaro non lo lascia indifferente, ma neppure fa da motore alle sue azioni. Come direbbero loro, gliene frega il giusto.
«A To’, dimme ‘na cosa: ce sta’ pure er piccoletto roscio?»
Tobio abbassa lo sguardo e lo infila nel piatto.
«Chi?» chiede qualcun altro.
«Come chi? Quello bassetto del Brasile che zompa come ‘n grillo e pare ‘n bazuka de veloci. N' fenomeno! Annava a scuola co’ Tobio, facevano coppia.»
Si scambiano fra loro gesti, cenni, smorfie e occhiate che raccontano intere storie: a volte spiegano, a volte rafforzano, a volte persino contraddicono le parole parlate. Tobio su quella parte non verbale dell’italiano sa di essere ancora molto indietro.
«Se chiama Hinata er piccoletto, de cognome. A To’, come fa de nome?»
A Tobio va di traverso il pomodoro e tossisce convulso. Gli piovono pacche sulle spalle.
«Allora? Com’è che se chiama?»
«Shoyou» risponde, mentre ingolla acqua gelata. E, maledizione, sta arrossendo.
«E sei contento? Devi esse contento, è ‘n sacco che non ve vedete co Shoyou.»
Un sacco. Davvero. Se Tobio avesse un sacco, enorme, di iuta, lo riempirebbe di ricordi, e di insulti, e di notti in bianco e di alzate sprecate e lo tirerebbe dritto in faccia a Shoyou, come un servizio.
Li guarda. E loro stanno guardando lui. E Tobio ha l'improvvisa certezza che abbiano capito tutto. 
Tutto cosa? E come hanno fatto? 
Okay, è vero, hanno guardato insieme qualche partita dell’ASAS, ma è bastato quello? Oppure è lui che fa una faccia strana e non se ne rende conto? Sono maledettamente allenati a cogliere le espressioni, le mezze parole, la mimica. Ci nascono, così.
Tobio sente le orecchie andare a fuoco, e quello di sicuro lo hanno notato. Ma nessuno infierisce. Sorridono, gli arruffano i capelli, arriva l'ennesima pacca sulla spalla.
«Aoh! Gli hai detto de sì al tuo amico co’ la giacchettina? Che ce torni, a casa, a gioca’ cor piccoletto?» 
Tobio annuisce.
«E bravo!»  Sorridono e gli strizzano l’occhio, come se sapessero più cose di lui. 
«Mo’ basta. C’è riunione fra ‘n’oretta, Tobio, fai con calma. 'Nnamo gente, famoglie fini’ de’ pranza' in santa pace.» 
Si alzano, lo salutano con la mano. I loro discorsi a mezza voce si allontanano:
«Perché ‘n se n’annamo anche noi a Tokyo a vedé ‘sta partita?» 
«Secondo me se po’ fa.» 

Uno torna indietro e si china verso di lui.
«Daje Tobio!» gli sussurra all’orecchio.
«Ma che stai a di’?!» risponde Tobio di getto, voltandosi. Fa anche il gesto con la mano, dita unite, il polso che oscilla. Qualcosa, in un anno intero, l’ha imparato.
La risposta è una risata forte. «Eh, che sto a di’, che sto a di’... a Tobio! Lo so io che sto a di’. E me sa che lo sai pure te!»
Tobio scuote il capo.
L’altro ridacchia e si allontana.
«Daje Tobio!» urla, con il pugno alzato, quando è già arrivato alla porta.
Si volta mezza sala.
E adesso anche a lui viene da ridere. E non vede l’ora di giocarla ‘sta partita.
Daje Tobio!

 
   
 
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