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Autore: Pandora13    30/04/2022    2 recensioni
A volte casa è un luogo, altre volte una persona.
Cosa succede quando quella persona è troppo lontana dall'unico luogo che ormai per noi è casa?
Oikawa e il suo rapporto con la distanza.
⚠️Allerta spoiler e allerta angst! ⚠️
Questa storia partecipa al concorso "La distanza tra me e te" del profilo @WattpadFanfictionIT
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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NdA: la seguente storia contiene spoiler del manga di Haikyu.
Partecipa al concorso "La distanza tra me e te" del profilo WattpadFanfictionIT.
C'è una piccola scena in parte ispirata ad una fanart che ho visto su Twitter mentre scrivevo, vi lascio il link nei commenti.


 



Il giorno in cui era partito, non gli aveva detto niente.
Non gli aveva detto che si sarebbe trasferito dall'altra parte del mondo.
Non gli aveva detto che in Giappone avrebbe lasciato il suo mondo.
Lo aveva fatto perché doveva andarsene.
Rimanere avrebbe significato arrendersi.
Rimanere avrebbe significato non far mai sbocciare il suo talento tardivo.
Forse, però, rimanere avrebbe significato non perdere tutto solo per ritrovare se stesso.
Avrebbe potuto mentire, sembrare più altruista e generoso e dire di essersene andato per non tarpare le ali ad Hajime, in fondo anche lui voleva viaggiare, studiare all'estero, imparare dai migliori.
Avrebbe potuto, ma -a dispetto della maschera che ha sempre indossato- Oikawa non sa mentire, non a se stesso.
Partire non era una scelta, era un obbligo: un obbligo per diventare degno, degno di amare se stesso e -solo allora- degno di amare anche qualcun altro.
Di quell'obbligo, sentiva il peso ogni giorno e lavorava, lavorava, lavorava migliorando il suo gioco e se stesso, sperando forse che scivolasse via dalle sue spalle insieme al sudore.

Quel giorno il peso sembrava passato dalla sua schiena, agli angoli della bocca.
Era Natale e non era riuscito a tornare a Miyagi.
Non poter passare le festività a casa era così doloroso, ma quella chiamata su skype lo era ancora di più.
Faceva male perché c'era una maschera di serenità e sorrisi da tenere ben posizionata sul viso, ma sentiva l'ombra della malinconia velargli lo sguardo e quel peso tirare verso il basso, cercando di sfaldare quella smorfia di falsità che gli deformava il volto.
Dall'altro lato dello schermo c'erano i suoi ex compagni di classe e di squadra, tutti riuniti per salutarlo dalla camera di Hajime.
La stanza era identica a quando viveva con i suoi, eppure così diversa, le pareti non erano più ricoperte dai poster di Godzilla -anche se era certo che fossero ancora ben conservati da qualche parte, se il tappetino per il mouse di Iwa-chan significava qualcosa- ma foto degli anni passati: loro quattro in divisa al loro terzo anno; loro due in un collage di tre foto: una da bambini, pieni di graffi, cerotti e occhi lacrimanti, ma sorridendo sinceri, una del giorno del diploma e una alle olimpiadi, ognuno con la propria maglia, la maglia della nazionale, la maglia di casa...

«Così hai mollato il biondino e sei tornato qua, eh?».
Non aveva resistito a provocarlo, al loro nuovo incontro in terra straniera.
Quella volta era il Sao Paulo di Hinata a fare un ritiro di allenamento in Argentina, Chibi-chan lo aveva immediatamente contattato, chiedendogli di fargli da cicerone nel giorno di riposo, così tra un piatto tradizionale e una spiegazione da guida turistica, si erano lasciati andare a chiacchiere più banali e la domanda era sfuggita senza controllo, la curiosità mista alle vecchie abitudini, Shoyo comunque non ne era stato minimamente colpito.
«Non ci siamo lasciati.» aveva risposto, il volto corrucciato di quando studiava qualcosa che non riusciva a comprendere.
Oh, lui era la cosa che non riusciva a comprendere, lui e la sua domanda apparentemente così assurda nella sua ottica.
Non si erano lasciati, perché avrebbero dovuto? La distanza altro non era che un'altra sfida per raggiungere la vetta, era solo pallavolo e non aveva niente a che fare con i sentimenti romantici.
Idioti della pallavolo!
Qualcuno forse avrebbe annoverato anche lui tra i nomi noti rientranti in quella descrizione.
Anche lui aveva lasciato tutto per ripartire da zero, per farsi un nome, per scalare la vetta eppure non si vedeva come loro.
Forse era solo perché non si era mai sentito uno di quei geni, di quei mostri capaci di ogni cosa, o forse era semplicemente perché dopo tanti anni, per lui quella distanza pesava, pesava come un macigno, pesava perché voleva l'amore della sua vita al proprio fianco, ma lo voleva da quel paese che ormai era casa sua e che non sarebbe mai stato la casa di Hajime.

Avrebbe dovuto esitare, avrebbe dovuto almeno pensarci un attimo, avrebbe dovuto rifiutare... "avrebbe dovuto" un sacco di cose, ma non lo aveva fatto.
Alzare di nuovo per Hinata era allettante e lasciar credere a quel manipolatore di Kuroo Tetsuro che quello fosse il motivo del suo "sì" era stato sin troppo semplice, la verità era che non aveva resistito ad una nuova occasione per rivedere Hajime e lavorare fianco a fianco con lui, nonostante sapesse il male che gli avrebbe fatto.

L'incontro col Team era stato incredibile, lo scontro con Miya Atsumu esilarante, l'intervento di Iwa-chan lo aveva lasciato con il groppo in gola, tanto quello scambio era stato naturale.
Si era ritrovato con la mente intrappolata nel passato, le mani sudate e un vuoto nel petto.
«Dovresti dirglielo.» Hinata Shoyo era apparso, silenzioso come un ninja, non appena era riuscito a rimanere solo con i suoi pensieri.
Dopo il match, ovviamente, non aveva seguito quel consiglio.

Era partito di nuovo senza avvisare nessuno.

Era partito di nuovo senza dirgli niente.

Aveva messo il suo cuore nel bagaglio a mano e lo aveva portato via dal Giappone, aveva deciso di riportarlo con sé, a casa.

 

   
 
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