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Autore: LondonRiver16    30/04/2022    0 recensioni
“Ho solo cercato di proteggere delle vite innocenti, quel giorno” fremetti, ancora nudo dalla cintola in su, ancora scosso per una punizione che ormai mi era entrata sottopelle e sarebbe sempre stata parte di me. “Un amore.”
La sua esitazione durò solo un battito di ciglia.
“Erano le vite sbagliate. Un amore sbagliato” decretò lapidario. “Tu fai parte di una famiglia privilegiata, Arlen. Questo comporta sacrifici. Comporta non poter scegliere chi amare. Ti rendi conto di quanto sia grave ciò che è successo? Questo tipo di scosse politiche può risolversi in un’onda come in un maremoto. Se vogliamo che l’Accademia e assieme a lei l’intero Continente rimanga stabile, questi errori da principianti non possono e non devono essere commessi. Un abbaglio può costarci ogni cosa.”
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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II. Responsabilità

 

Devin si ridestò dopo un paio d’ore e, confuso nel non avvertire più le guance pulsare per i colpi di suo padre, se le tastò e scoprì che Cora aveva operato con la magia a sua insaputa, mentre dormiva. Sorrise tra sé e sé, lieto di sapere che malgrado il suo orgoglio gli eventi, quella notte, avrebbero potuto proseguire come aveva pianificato qualche ora prima della lite con Kenneth.

Prima di ergersi in piedi, controllò che i suoi due fratelli vantassero un respiro regolare. Non poteva rischiare di essere visto, se non voleva che uno di quei due ficcanaso lo denunciasse di lì a poche ore. Dopo aver appurato la profondità del loro sonno, si alzò in piedi e uscì dalla stanza con passi leggeri, evitando le assi cigolanti di cui oramai conosceva a memoria la posizione.

Mantenne lo stesso livello di cautela nel superare la parte di corridoio sulla quale si affacciavano le stanze occupate dai membri della sua famiglia, senza lasciarsi ingannare dalla falsa sicurezza delle porte chiuse, ma non concesse ai suoi sensi di cessare l’allerta neppure una volta che ebbe svoltato nell’ala ovest e oltrepassato un portone massiccio che si richiuse alle spalle. Se il suo segreto aveva vissuto tanto a lungo era perché, almeno in quell’ambito della sua vita, non si era mai permesso di giocare d’azzardo.

Il corridoio che gli si parò davanti era ben tenuto, pulito, ma c’era qualcosa, nell’aria che si respirava in quella parte del maniero, che sapeva di abbandonato nonostante l’attenta manutenzione. Devin sapeva che quell’ala, assieme a tutti gli altri spazi della dimora che non erano abitati, sarebbe servita a ospitare nuovi rami della famiglia una volta che lui e i suoi fratelli avessero contratto matrimonio. Ma, dato l’uso che lui stesso aveva conferito a una di quelle piccole sale, l’inevitabile unione con una delle antiche famiglie del Continente era qualcosa a cui cercava di pensare il meno possibile.

Completò la sua marcia laddove un muro sembrava impedirgli di andare oltre e si ritrovò nel punto più silenzioso, meno illuminato e meno appariscente dell’androne. Si guardò in giro un’ultima volta, prima di intrufolarsi nell’ultima stanza a sinistra e richiudersi la porta alle spalle con cautela.

La ragazza dormiva a terra sopra due spesse coperte di lana, raggomitolata in posizione fetale e con ancora addosso la veste di cotone grezzo color mattone in cui Devin l’aveva intravista durante la giornata, mentre si recava a nutrire le galline e le oche o spariva nelle cucine per lavare i piatti della cena. Doveva essere salita dalla scala a chiocciola nascosta oltre la parete di fondo troppo presto e, nell’attesa, si era appisolata.

Per un attimo Devin rimase a rimirarla alla luce della luna che filtrava dalla finestra, senza neppure sforzarsi di cancellarsi dalla faccia il sorriso sereno comparso alla vista di lei. Aveva la sensazione di poter affogare delicatamente nella semplice visione del suo corpo, che si muoveva appena sull’onda del respiro tranquillo, del braccio che lei teneva piegato sotto la guancia, delle sue labbra schiuse appena, dei ciuffi di capelli color miele che le erano sfuggiti dalla treccia e ora le contornavano il viso dalle linee armoniche, dolci.

Era una visione, per Devin. Lo era sempre stata, in un modo o nell’altro, in una maniera che sapeva rendere il ragazzo inerme al punto da spaventarlo. Quella passione, quei desideri erano quanto di più pericoloso si fosse mai concesso in vita propria e non essere in grado di resistervi serviva soltanto ad aumentare il suo turbamento.

Improvvisamente, come se avesse avvertito quello sguardo di contemplazione pesarle addosso, Martha aprì gli occhi e si erse a sedere sobbalzando non appena mise a fuoco la figura che si stagliava poco oltre la soglia della porta.

Il ragazzo attese qualche secondo affinché lei lo riconoscesse. Poi, come accadeva ormai da una vita, lei lo accolse con un sorriso sollevato.



Il mattino seguente a quell’inquieta nottata mi svegliai con un acuto mal di testa che mi obbligò a restare ancorato a letto per qualche minuto al fine di riordinare le idee. Fin da bambino avevo sofferto di quel tipo di disturbo, che io maledicevo mentre i miei genitori lo associavano alla mia, per dirla come loro, smisurata bontà d’animo. Per il semplice fatto che l’emicrania si presentava ogni volta che cercavo di togliere dai guai i miei fratelli e invece che un accorato ringraziamento ne ricevevo in cambio solo sguardi vendicativi e sprezzanti.

Ogni volta che mi lasciavo invadere da tali pensieri, questi mi soffocavano con la loro asprezza. Rimarcavano la mia convinzione che, mentre fra Devin e Kenneth – anche se di eterna rivalità – esisteva malgrado tutto un legame profondo, i miei rapporti con i miei gemelli si facessero più scarni e freddi ogni anno che passava, allontanandomi da loro come mai avevo sentito dire da due fratelli.

Mio padre insisteva nel sostenere che ciò era dovuto per una parte al mio livello di maturità e per l’altra alla quasi totale mancanza di giudizio ereditata da Kenneth e Devin, ma tali parole non erano bastate a incantarmi da bambino e sortivano un effetto ancora minore ora che vagavo nel deserto infuocato dell’adolescenza.

Mi strofinai gli occhi con vigore e mi misi seduto con una spinta, lamentandomi debolmente per la fitta che il movimento brusco mi provocò alla nuca.

Accorgendosi che ero sveglio, Devin, che si stava vestendo dandomi le spalle, mi lanciò un’occhiata assassina che decisi di ignorare. Non valeva la pena di ritornare a discutere sull’argomento della sera precedente, soprattutto perché Devin preferiva di gran lunga regolare i propri conti con un’arma in mano piuttosto che a parole e presto sarebbe riuscito a centrare la propria occasione per farmela pagare. Senza alcun dubbio.

In quanto alle scuse che ognuno credeva di meritare dall’altro, eravamo entrambi troppo giovani e superbi per cedere senza alcun incentivo.

Mi alzai dal letto massaggiandomi le tempie per dirigermi verso la finestra incavata nel muro di pietra con nulla addosso, sperando che l’aria fresca rimettesse in sesto il mio cervello e si portasse via i miei pensieri più lugubri per trasportarli lontano, oltre le montagne che ci circondavano da est a nord-ovest.

Mi affacciai per prendere grandi boccate della frizzante aria mattutina, rendendomi conto che era da poco passata l’alba, il sole aveva appena fatto capolino dalle cime a est e nel cortile sul retro della casa il ciclo di attività quotidiane svolte dai domestici stava lentamente riprendendo dopo la pausa notturna: uno degli sguatteri delle cucine stava ritornando dalle stalle con andatura caracollante, reggendo un enorme secchio di latte appena munto, mentre una ragazza vestita con un abito di stoffa grezza e un grembiule color panna lo seguiva stando attenta a non farsi scappare dalle mani qualcuna delle uova appena prelevate dal pollaio, mentre una lunga treccia bionda le dondolava sulla schiena.

Il maniero di famiglia dove vivevamo si trovava all’interno della cittadella, non lontano dal confine a nord del territorio dell’Accademia, perciò il panorama che potevo godere ogni giorno da quella finestra era a dir poco mozzafiato, con le inaccessibili vette innevate e spesso celate da coltri di nebbia poste a coronare il tappeto di prati e foreste che si estendeva in salita per una distanza che nessuno di noi ragazzi aveva mai avuto l’ardire di misurare. Gli alloggiamenti dei soldati, degli apprendisti cavalieri e dei maestri d’armi e il dedalo di viuzze della città che si potevano ammirare dalla stanza di Cora erano senz’altro imponenti, ma nel mio cuore non potevano nulla a paragone della maestosità della natura.

Mi sentii subito meglio e, aiutato da un rinnovato ottimismo, il mal di testa iniziò a scivolare via.

Mentre godevo di quegli istanti, sentii la porta della stanza schiudersi da qualche parte alle mie spalle e mi voltai. Kenneth, già vestito e pronto per i primi allenamenti della giornata, comparve sulla soglia, concesse uno sguardo glaciale sia a me che a Devin a mo’ di saluto e c’informò con tono seccato.

Nostra madre mi ha mandato a dirvi di darvi una mossa se volete mangiare qualcosa prima di andare.”

Andare dove?” domandai, perplesso. “È ancora presto per raggiungere il maestro d’armi.”

Non direi” replicò Kenneth, acre, senza degnarmi di uno sguardo. “Niente addestramento ordinario per oggi, sarà nostro padre a farci da maestro d’armi.”

Grandioso, un’altra lezione di buone maniere. Finirà per sfiancarci” borbottò allora Devin, calzando dei parastinchi di cuoio sopra i pantaloni di lino. “Arlen, è tutta colpa tua.”

Senza concedermi il tempo di smentirlo, mi lanciò addosso una delle tuniche leggere che usavo ogni giorno durante le sessioni di addestramento, subito seguita da un paio di calzoni smessi da Kenneth e da un paio di schinieri morbidi della mia misura. Io afferrai il fagotto con uno scatto azzardato, imponendomi di non rispondere ad alcuna provocazione e nel contempo chiedendomi per quanto ancora avrei dovuto sopportare il ruolo di assennato del trio con cui gli Dei avevano voluto punirmi.

In silenzio, ma ripetendomi mentalmente alcuni dei fondamentali principi morali del codice cavalleresco per non farmi indurre in tentazione, seguii i miei fratelli fuori dalla stanza e verso l’antica sala dove la nostra famiglia era solita consumare tutte le colazioni e le cene assieme.

Coinvolto com’ero nella tensione del momento, il corridoio mi parve interminabile e ogni minimo scricchiolio prodotto dai nostri passi un’esplosione degna di una battaglia per la sopravvivenza.

Abbassai il capo e strinsi i pugni, consapevole di ciò che stava accadendo. Come sempre provavo più rimorsi che orgoglio per la giusta azione che avevo compiuto e, anche se sapevo che erano i miei gemelli a essere dalla parte del torto, il bisogno di parlargli per chiarire la faccenda mi premeva contro il petto con l’insistenza e la capacità di persuasione di un carbone ardente.

La mia debolezza nei confronti degli sguardi duri di Kenneth e Devin, però, suscitò in me un disgusto tale da indurmi a retrocedere per mettere da parte certe idee.

Entrammo nella sala dopo aver convenientemente bussato e ci posizionammo uno accanto all’altro e con le mani dietro la schiena poco oltre la soglia, in attesa di un cenno di assenso da parte di nostro padre. Lord Morven era seduto a capo di una lunga tavola di mogano lucidata e apparecchiata con tutto il necessario per una colazione luculliana che nessuno si stava veramente godendo.

Lui non alzò subito lo sguardo per degnarci della sua attenzione, ma continuò a spalmare paté di carne su una grossa fetta di pane, imprimendo nel movimento del polso più vigore del necessario a mo’ di monito. Alle sue spalle, la luce mattutina che filtrava dalla finestra donava un che di mistico alla sua figura rabbuiata.

Nostra madre, seduta alla sua sinistra con la schiena ritta, vestiva un abito verde muschio stretto in petto da ordinati lacci dorati e ci rivolse un sorriso incerto, mostrando gli occhi chiarissimi e gonfi. Non era certo la prima volta che la preoccupazione per i suoi figli le impediva di prendere sonno, ma notare la sua sofferenza equivaleva ogni volta a una stilettata inferta al cuore.

Lo sguardo di Kenneth precipitò a terra, rammaricato, mentre Devin fece finta di perdere interesse per dedicarlo ai vari quadri dai colori tetri che popolavano i muri, lasciando poco respiro alla parete vera e propria.

In quanto a me, quella sala arredata completamente in legno mi aveva sempre messo in soggezione. Forse perché era il luogo preferito da nostro padre quando si trattava di imprimerci una buona lavata di capo. O forse a causa dell’alto soffitto intonacato, dei mobili che profumavano di lettere deposte ad asciugare nei cassetti, dei dipinti maestosi che trasmettevano l’eco di antiche leggende.

Finalmente nostro padre alzò lo sguardo dal piatto, togliendoci dall’imbarazzo per gettarci nell’angoscia che un tale sguardo adirato portava sempre con sé. Vedevo in quei suoi profondi occhi oltremare che la collera non aveva ancora lasciato il posto alla rassegnazione ed ero anche in grado di leggerci il pronostico di una dura giornata di lavoro ai suoi ordini di esperto cavaliere e Comandante dell’Alta Cavalleria.

Io e vostra madre non abbiamo chiuso occhio, questa notte. Ma mentre lei non riusciva a placare l’apprensione per voi disgraziati, io ho riflettuto” esordì l’uomo, non staccando gli occhi di dosso ai miei gemelli. “Ho anche ricordato che lo spettacolo che voi due avete offerto ieri sera non si differenzia molto dalle liti di due mocciosi che vogliono lo stesso balocco. Ora, io pensavo di avere dei sedicenni come figli, e che cosa mi ritrovo? Due uomini fatti e finiti nel corpo che combattono fra loro per decidere chi è il più forte? No, anzi, sono costretto a correggermi.”

Alzò la voce così all’improvviso che tutti e tre trasalimmo vistosamente: “Due fratelli con l’intento di uccidersi a vicenda per presunzione!”

Solamente quando l’eco di quell’urlo si fu placato, Kenneth si azzardò a prendere la parola in quanto primogenito, ma i suoi occhi indugiarono prima di alzarsi al livello di quelli di nostro padre.

Padre, noi… non saremmo mai arrivati a quel punto, lo sapete. Noi…”

Voi siete sempre gli stessi, Kenneth” proseguì l’uomo con rinnovato ardore. “È da quando siete bambini che tu e tuo fratello vi sfidate in mille modi, e se all’inizio erano lotte innocenti ora sono diventate le manie di due giovani perfettamente capaci di ferire e di uccidere. E sinceramente non so se uno di voi due sia abbastanza giudizioso da sapere quando è ora di fermarsi, accecati come siete dalla boria.”

Certo, secondo voi fra noi tre Arlen è il solo che sappia formulare una frase di senso compiuto” bofonchiò Devin, infastidito, attirando l’attenzione di tutti su di sé come il magnete per guai che era sempre stato.

Lord Morven si irrigidì appena un poco di più.

Ti pregherei di metterci a conoscenza delle tue opinioni senza esporle a metà, Devin.”

Il giovane prese fiato senza timore: “Dico semplicemente che ci sottovalutate.”

Kenneth gli assestò un’implacabile gomitata nel fianco mentre nostro padre tornava a gonfiarsi d’ira.

Ragazzino, se solo sapessi quante cose devi ancora imparare sulla vita, ti…”

Prima che scoppiasse di nuovo, nostra madre allungò una delle sue pallide mani affusolate per sfiorargli il braccio e rivolgergli un’occhiata amabile che, dopo anni di matrimonio, nascondeva ben pochi significati. Nostro padre parve calmarsi e prese un respiro profondo prima di continuare con tono più contenuto.

Kenneth, ogni volta spero che sia l’ultima in cui mi toccherà ripetertelo, ma cerca di ricordare che bene o male sei il fratello maggiore e perciò hai una responsabilità speciale nei confronti degli altri.”

D’ora in poi lo terrò a mente” promise il mio gemello, grave.

E Devin” procedette l’uomo, non celando l’inclinazione pungente del suo tono di voce. “Che non succeda mai più.”

Sì, padre” disse questi tra i denti, indispettito.

Solo allora nostro padre si alzò da tavola. Mi parve più stanco della notte precedente.

Ora fate compagnia a vostra madre per la colazione. Vi aspetto in cortile, pronti, tra un quarto d’ora. Portate i vostri zaini più resistenti.”

Mentre noi ci accomodavamo ai nostri posti, l’uomo si diresse verso la porta e, passandomi accanto, mi toccò la spalla per attirare la mia attenzione e rivolgermi un breve sussurro.

Ovviamente considerati escluso da tutto questo.”

Io assentii, tirando gli angoli della bocca in un sorriso forzato, poi presi posto a tavola e mi servii del latte e una pagnotta ancora calda.

Quel poco di amor proprio che mi era concesso mi trattenne dal rivolgere la parola ai miei fratelli per l’intera durata della colazione e il silenzio di nostra madre unito alla debolezza che traspariva dal suo viso non mi incitò a nulla di più.

Fu nel tragitto dalla sala da pranzo alla nostra stanza, dove ci stavamo recando per recuperare quanto richiesto, che persi il controllo, mi fermai nel bel mezzo del corridoio e li chiamai per attirarne l’attenzione.

Ragazzi.”

Accettai di buon grado lo sguardo di sufficienza che mi rivolse Devin e quello più benevolo e curioso di Kenneth mentre alzavo il mio, in cerca di pace, verso di loro.

Volevo dirvi che mi dispiace per ieri notte. Forse… forse avrei dovuto mettermi dalla vostra parte. Forse avete agito meglio di me, combattendo, mentre io non ho fatto nulla per dimostrare il mio valore e ho persino ricevuto le lodi di nostro padre. Quindi, ecco…”

D’accordo” assentì semplicemente Kenneth, interrompendomi con un sorriso smagliante quanto inaspettato.

Da dove l’aveva tirato fuori? Era stato forse il discorso di nostro padre?

Prima che potessi anche solo rendermi conto di essere restato senza parole, lui mi saltò addosso senza alcun preavviso, mi intrappolò mettendomi un braccio attorno al collo e cominciò a strofinarmi le nocche sulla nuca fino a farmi urlare dal dolore mentre tentavo di scrollarmelo di dosso.

Ah! Lasciami andare, bestione, piantala!”

Questo ti insegnerà a non fare mai più il leccapiedi con nostro padre rise lui, liberandomi dalla morsa dei suoi muscoli per posarmi una mano bollente sulla spalla. “No, la verità è che sei troppo buono a chiederci perdono. Sei stato tu a comportarti nella maniera più giusta ieri e, dal canto mio, ho compreso di essermi meritato il castigo.”

Pace fatta, allora?” azzardai, speranzoso.

Ma certo, fratellino.”

Entrambi ci voltammo verso Devin, che ci stava osservando con un’espressione accigliata, come se stesse pensando a quanto suonassero sdolcinate e poco adatte a un discorso tra due uomini quelle parole. Infine sbuffò e mi rivolse un sorrisetto accorto.

Sai bene che non bastano le tue melensaggini da donnetta per soddisfare me, Arlen. Se vuoi il mio perdono devi guadagnartelo. Che ne dici di una sfida?”

Non potrei essere più d’accordo” annuii, deciso a non apparire inferiore alla sua arroganza. “Cosa proponi?”

Combattimento” replicò Devin senza un secondo d’esitazione. “La spada sarebbe ideale, ma vista la situazione ogni occasione per misurarsi andrà più che bene.”

Devin” obiettò però Kenneth, rimproverandolo con lo sguardo. “Non ti è bastata l’umiliazione di ieri? Di cosa si tratta veramente, vuoi mettere anche Arlen sotto una cattiva luce agli occhi di nostro padre? Vuoi vendicarti?”

Che bassa considerazione hai di me, fratello! Tutto ciò che desidero è regolare i conti con Arlen come farebbe un cavaliere e non un politico vestito con una tunica soffice e comodi sandali ai piedi” lo provocò l’altro, godendo del fastidio che provocava.

Prima che l’atmosfera si riscaldasse, provvidenziale come un temporale scatenatosi su un incendio dirompente, Cora comparve dalla profondità delle scale, tutta trafelata, con l’orlo del suo abito color ambra sporco di fango per almeno tre dita.

Tutti capimmo che era andata di nuovo a cogliere piante selvatiche di nascosto, ma non avemmo il tempo di farglielo notare in quanto lei fu la più lesta ad ammonirci, stentando a celare un sorriso.

Che fate ancora qui, scansafatiche? Nostro padre vi sta aspettando nel chiostro. E posso dirvi che ha una faccia da generale che non promette nulla di buono!”

Allora sarà meglio fornirgli al più presto un po’ di carne da macellare” le sorrise Kenneth, allungandole un buffetto sulla guancia prima di affrettarsi ad andare a recuperare il suo zaino, seguito da me e Devin. “A più tardi, piccola peste.”

 

 

 

 

Angolino dell'autrice

Err, avevo forse detto che avrei aggiornato ogni due settimane? Ops. Ma accorciare i tempi non ha mai fatto del male a nessuno, dico bene? 🌻

   
 
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