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Autore: Shireith    04/05/2022    1 recensioni
Inej che rivede ovunque, un’ombra più ombra di quanto non lo fosse prima, il fantasma di un fantasma, lo spettro dello Spettro. Inej che è come un arto che l’ha accompagnato da sempre e ora che gliel’hanno tagliato ancora non si è abituato senza, e allora è come un sussurro nel vento, perenne: ne confonde il passo felpato nei vicoli, la vede spuntare dagli angoli bui, la sente ridere nella voce degli altri, ne cerca i tratti in volti che nemmeno gli somigliano, perché tutto gli ricorda lei ma niente gli appartiene, questo posto di merda non l’è mai appartenuto e tantomeno lei è appartenuta ad esso.
Kaz, Inej, l’acqua e il vetro.
Post!Il regno corrotto
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Kaz Brekker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sott’acqua
(due bambole di vetro)

 
Sott’acqua,
sott’acqua cosa c’è?
 
 L’inferno. Non credete a chi vi racconta di fiamme che bruciano in eterno, se insiste urlategli: bugiardo bugiardo bugiardo.
 Ditegli: l’inferno è profondo, scuro, gelido.
 L’inferno è sott’acqua.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Inej.
 Inej che è ovunque, nell’acqua che (Kaz) beve e nell’aria che respira, e già di per sé questo è un paradosso perché Inej gli ruba l’aria, il respiro, respira il suo respiro. La sua unica ragione di vita che gli toglie la vita, la sua ancora di salvezza che a salvarlo non viene mai, perché se lei salva lui poi chi salva lei?
 Pensa: io. Se mi rompono pure l’altra gamba vengo con due bastoni, tanto uno vale l’altro, se mi tolgono pure quelli vengo strisciando, se mi spaccano le gambe ho le unghie, se mi staccano pure quelle ho le mani e le braccia e i denti e qualsiasi cosa io voglia. Io e te, Inej, io e te contro il mondo.
 Ma sott’acqua, dove c’è solo lui, Kaz ha le gambe e le braccia e le mani e le unghie ma non riesce a salvarsi da solo. A salvarlo lei non viene mai, perché se lei salva lui poi chi salva lei?
 
 Inej è una bambola di vetro, solo nei sogni, dove Kaz può guardarla senza essere guardato e toccarla senza essere toccato – eppure non sa se persino nel limbo tra sogno e realtà avvertirebbe brividi salirgli su per la schiena al primo contatto, non ci ha mai provato, non è per quello che non la tocca, non la tocca perché ha paura.
 Di romperti, Inej.
 
 Se questa fosse una favola inizierebbe con “c’erano una volta due bambole di vetro” e finirebbe con “le due bambole di vetro vissero per sempre felici e contente”, ma il felici e contenti è una bugia che la realtà non può permettersi di sostenere.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, una persona.
 Io, Inej.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, due persone.
 Io, Inej.
 E lui.
 
 Jordie. Una notte Kaz si sveglia, apre solo gli occhi, non può svegliarsi, sta ancora dormendo: apre gli occhi, in sogno, e lo vede. Sott’acqua. Loro due soli, com’era un tempo, come non lo sarà mai più.
 
 Gli umani sono stupidi, prendono in considerazione una cosa solo quando la vivono in prima persona, altrimenti mai ci credono. Kaz si è sempre sottratto a questa legge umana non scritta, l’eccezione alla regola che la conferma, ma ora si rende conto che se l’eccezione esiste non è lui: perché lui all’amore non ci credeva, e ora invece sì. Perché c’è Inej.
 
 Inej che rivede ovunque, un’ombra più ombra di quanto non lo fosse prima, il fantasma di un fantasma, lo spettro dello Spettro. Inej che è come un arto che l’ha accompagnato da sempre e ora che gliel’hanno tagliato ancora non si è abituato senza, e allora è come un sussurro nel vento, perenne: ne confonde il passo felpato nei vicoli, la vede spuntare dagli angoli bui, la sente ridere nella voce degli altri, ne cerca i tratti in volti che nemmeno gli somigliano, perché tutto gli ricorda lei ma niente gli appartiene, questo posto di merda non l’è mai appartenuto e tantomeno lei è appartenuta ad esso.
Inej non assomiglia a nessuno, nessuno assomiglia a Inej.
 
 E allora si spaventa quando si specchia e la vede al suo posto, la pelle scura quanto la sua è chiara, i ciuffi che sfuggono ribelli alla treccia quanto i suoi sono perfetti.
 Inej gli sorride, fa aderire un palmo alla superficie liscia, rimane in attesa come in un invito silenzioso a fare lo stesso: Kaz rifiuta, no no no no no, non posso toccarti, va’ via, Inej obbedisce.
 
 Se non sono uguali, quantomeno simili. Non è facile nemmeno per me, gli ha detto — ma per te è facile, tu non ti spacchi mai, Inej.
 
 Ci ripensa, rettifica: è più facile per te, Inej. Tu sei sul punto di spaccarti e mai lo fai. Se ti buttano in mare non affoghi, nuoti.
 
 La rivede negli specchi, tutti i giorni, una bambola, una bambola di vetro che non può toccare perché quella è già scheggiata e se poi la rompe non sa come riaggiustarla.
 
 La rivede poi, in carne ed ossa, a casa di Wylan che ormai è pure di Jesper. Sta ballando con Jesper, sembrano due bambini che si prendono per mano, si lasciano e si riprendono muovendo i piedi a caso, come se la musica fosse impazzita, ma sono loro a decidere di non seguirla. La guarda dal bordo della stanza e pensa sarebbe bello unirsi a lei, lasciarsi trascinare dalle note: bello, non facile.
 Gli ha detto: quando Jesper mi mette un braccio alla vita mi sento come scomparire.
 Ballano, Jesper le tocca la spalla, la vita, la schiena: Inej non si rompe.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, due persone.
 Io, Inej.
 E lui.
 
 Jordie. Jordie che non se ne va. È difficile, sai? Cacciarlo.
 Kaz è sott’acqua proprio per causa sua, da quando Jordie l’ha lasciato è come se non fosse mai riemerso. Non riesce a riemergere, dà la colpa all’armatura (è lei che mi appesantisce), ma a togliersela farebbe solo peggio, cadrebbe giù, ancora più in profondità di giù, giù giù giù, perché ad appesantirlo non è quella.
 
 Kaz è pesante. Una bambola di vetro che sembra fatta del materiale più pesante di questo mondo, uno tanto testardo che nemmeno un Fabrikator potrebbe piegare.
 
 Sono due bambole di vetro, almeno in questo sono simili.
 Di nuovo però si guarda allo specchio, non si riconosce: c’è Inej.
 Inej che gli dice, vetro a vetro: la bambola sei tu.
 E comunque non ti spacchi.
 
 Ti specchi, mai ti spacchi.
 
 La bambola è solo lui, vetro scheggiato che non si spacca — e per forza che non si spacca: c’è l’armatura a proteggerlo. Ma è ingombrante, toglie il respiro, intorpidisce le gambe: e quanto pesa.
 
 Inej è tornata, di nuovo, in carne e ossa. Non l’ha mancata per un soffio, lei l’ha intercettato, gli ha chiesto, un po’ sfottente un po’ seria: mi stai evitando?
 Ha risposto, serio, solo serio, di no, mangiandosi la verità a forza come un boccone amaro: sì, Inej, ti sto evitando, no, non lo faccio apposta, sì, mi viene naturale, è più facile così, non so come prenderti.
 Non sa come prenderla davvero. È l’unica persona di cui gli importi più della sua stessa vita, paragone forse non ideale perché a quella ci tiene più per spirito di autoconservazione che per puro e semplice amor proprio: allora, meglio, è l’unica bambola di vetro che abbia il terrore di rompere, anche se non è più tanto sicuro che lo sia, lei, bambola di vetro.
 «Domani hai da fare?»
 «No.»
 «Vieni a cena. Qui. Ci ha invitati Wylan. Ci saranno anche Nina, il padre di Jesper e i miei genitori.»
 Ci andrà, ma sarà l’ombra di sé stesso.
 
 Non passa un giorno che Inej, quella nello specchio, ritorna, e allora Kaz ripensa a quella vera, che scherzava con Nina, ballava con Jesper alla musica di Wylan mentre i suoi genitori tenevano il ritmo battendo l’una le mani tra sé e l’altro sulle cosce, poi alla fine si univano pure loro e ballavano tutti, pure Wylan, che un po’ seguiva Jesper e un po’ suonava. Nina si è fermata un attimo per rifornirsi di cibo, si sono scambiati alcuni convenevoli loro due soli, Kaz non è stato nemmeno capace di dirle che gli dispiace per Matthias. Inej l’ha fatto – l’ha abbracciata, le ha sussurrato parole dolci, le ha scoccato baci sulle guance, le ha giurato che tutto sarebbe andato per il meglio.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, due persone.
 Io, Inej.
 E lui.
 
 Sono da soli, nella stanza che Wylan ha fatto preparare per Inej, quando Kaz le dice: non è facile. Vorrebbe dirle dell’acqua, di suo fratello che lo guarda con occhi bianchissimi dal fondo dell’oceano, di lui che affonda con o senza armatura, ma non ce la fa. Allora le dice solo: «Non è facile».
 «Non mi aspetto più di quello che puoi darmi.»
 Ma nemmeno meno, e quello che può darle è niente.
 Le ha dato una nave, e poi? E poi niente. Inej che balla con Jesper, che ride con Nina, che osserva Wylan disegnare, e lui in un angolo, fantasma di sé stesso, più spettro dello Spettro.
 «Nemmeno per me è facile.»
 È un sussurro nel vento, ma questo non se l’è immaginato.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, due persone.
 Io e te, Kaz.
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, due persone.
 Io e te, Inej.
 
 Si spaventa, non perché pensi di avercela portata lui, ma perché ha paura di romperla, ne ha il terrore, se poi la rompe non può lasciarla ad aggiustarsi da sola né può aggiustarla lui, una bambola di vetro scheggiata in un’armatura ammaccata. Ci sono solo loro due, nel fondo del mare, sott’acqua, e Kaz non sa se attirarla a sé, tornare a galla insieme, oppure guardarla risalire da sola perché da sola avrà più chance di vincere. Nei giorni cattivi vuole solo annegare, nei giorni buoni fa il tifo per lei e anche per sé stesso, per loro.
 
 Kaz è come un bambino, quando c’è Inej: non lo ammetterebbe ad anima viva, ma quando sono solo lui e lo specchio lo pensa così intensamente che è come dirlo ad alta voce. Ha visto Nina e Matthias stringersi e baciarsi come due esiliati che non s’incontrassero da cent'anni, Jesper e Wylan guardarsi come fossero loro due soli in una stanza di mille, ma lui e Inej sono troppo diversi per poter tracciare una linea di confine con il resto del mondo. Sott’acqua è disposto a stare con lei, e nessun’altro. Sott’acqua è lei che difende, e gli devono rompere tutto il corpo per impedirgli di non farlo, tutt’e due le gambe, non solo quella malconcia, che pure con quella può notare.
 
 E se ci riesce è per lei, grazie a lei. E vuole che quando lei cade giù nuoti per lui, grazie a lui. Allora sono di nuovo soli, questa volta però in corridoio, quando aspetta che Nina abbia sbattuto la porta per chiederle se la prossima volta che Wylan suona può ballare più lentamente, perché lui ancora non è capace e col bastone potrebbe schiacciarle un piede.
Inej si guarda il piede, sorride. «Potrei sostituirlo con una gamba di legno, nel caso.»
 
Sott’acqua,
sott’acqua chi c’è?
 
 Il freddo, il nulla, il vuoto, due persone.
 Io e te.
 
   
 
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