Per la lettura di questo
capitolo, consiglio l’ascolto di Welcome home, Son dei Radical Face,
nella versione orchestra.
Ci vediamo all’epilogo,
Deirbhile
Il paesaggio frecciava
dal finestrino in un turbinio di colori, mentre alla radio davano una vecchia
canzone (Born too late delle Poni-Tails), facendo sentire Chiara come in
un vecchio film anni Cinquanta, mentre sorrideva fra le raffiche di vento che
le arrivavano in volto. Si sistemò meglio sul sedile della Mini Cooper di
Roberta, sporgendo fuori il gomito destro e facendo per stendere le gambe
scoperte sul cruscotto, desiderosa di godere ancora del sole in procinto di
tramontare. Era stata una lunga giornata di mare, sia lei che Roberta avevano
ancora addosso l’odore del sale marino, della crema solare e di qualche
scottatura (un’altra delle scomode eredità della stirpe irlandese di Chiara), e
si sentiva leggera, come se il suo corpo fosse illuminato da dentro, attraversata
da un benessere profondo. Aveva voglia di stringersi a Roberta, di tornare
avvinghiate come lo erano state nel loro angolino di spiaggia quando avevano
visto andar via l’ultimo degli avventori.
-
Non ci provare nemmeno, signorina- la
richiamò prontamente la riccia, mentre con un sorriso malefico le mollava un
pizzicotto sulla pelle lasciata scoperta dai pantaloncini, - sarà anche da
rottamare, questa macchina, ma vediamo di farla durare almeno fino alle fine
dell’università.
Chiara sbuffò contrariata,
mentre la canzone sfumava in Penny Lane dei Beatles e sentiva la sua
ragazza mormorare qualche vago apprezzamento sulle scelte di qualità del canale
radiofonico. Fuori, uno spettacolare tramonto di fine estate si estendeva sul
Mare Adriatico, mentre loro due sfrecciavano in superstrada con la vaga
sensazione che avrebbero dovuto inventare una buona scusa per tutto quel
ritardo. Chiara aveva detto ai suoi genitori che sarebbe andata in spiaggia con
i suoi amici, mentre Roberta aveva solo informato sua madre del fatto che
avrebbe dovuto usare la macchina per tutta la giornata, e che sarebbe tornata
per ora di cena. Sono maggiorenne, aveva sentenziato, quando quella le
aveva rivolto un’occhiata sospettosa.
-
Va bene, ma sappi che sono frustrata- fece
sapere Chiara con tono lamentoso, spostando lo sguardo verso le altre auto che
le sfrecciavano accanto.
Roberta le prese
velocemente la mano per lasciarle un leggero bacio, come a scusarsi.
-
Arriveremo tardi, lo so, ma abbiamo fatto
troppe soste- disse, alzando poi ironicamente un allusivo sopracciglio.
L’estate procedeva sempre
più veloce, Chiara era tornata dall’Irlanda ricca di storie da raccontare sulla
sua famiglia, sui posti che aveva visitato e sulle sue avventure con Benedetta
e i cugini d’oltre Manica. Si erano viste a casa di Chiara quella mattina con
l’idea di approfittare dei rinnovati turni in ospedale di Margaret e del
ritorno in ufficio di Matteo, prendendo poi alla rinfusa tutto ciò che sarebbe
potuto servire per un’improvvisata gita al mare, colte da un improvviso
entusiasmo e dalla consapevolezza che sarebbero tornate al liceo solo dopo due
settimane. Cavolo, il tempo vola, aveva detto Roberta, accarezzando i
capelli rossi della sua ragazza in estasi, stese sul divano, ringraziando
mentalmente il fatto che Chiara aveva una sorella così cool dal capire
immediatamente quando fosse il caso di ritirarsi in camera a studiare e lasciar
loro un po’ di privacy.
Così avevano deciso di
fare proprio, alla lettera, il motto carpe diem e correre al mare con dei
sandwich, asciugamani, crema solare e qualche romanzetto estivo. Chiara si era
portata dietro Anna Karenina, con somma ilarità della sua ragazza, che
era poi stata costretta a farsi carico della borsa per l’intera escursione alla
ricerca di un posto libero e riparato sulla spiaggia pubblica. La
letteratura non va in vacanza, aveva alzato le spalle Chiara, per poi
baciarla ed intimarle di cederle il carico.
Ora entrambe guardavano
assorte la distesa grigia della strada di fronte a sé, mentre il canale radio
retrò era passato a trasmettere hit degli anni Ottanta, con Funky Town,
e Roberta cercava di recuperare il tempo perduto nel tragitto di ritorno,
sorpassando di tanto in tanto qualche auto fra le urla di Chiara. La rossa aveva
preso a muovere la testa a ritmo, per calmare la tensione, e a fare mossette di
ballo che Roberta trovava alquanto divertenti. Glielo fece notare con una
risata, mentre girava a destra per immettersi in autostrada e lasciarsi il
panorama marino alle spalle.
-
Non prendermi in giro, Rob. Altrimenti la
smetto di leggere le indicazioni del navigatore- Chiara le fece uno sguardo
bieco da dietro agli occhiali da sole gialli, accennando a spegnere il
cellulare che teneva sulle gambe.
Fra le ragioni del loro
ritardo c’era, oltre ad una prolungata permanenza al mare e una sosta
improvvisata ad una stazione di servizio perché Chiara aveva fame (più un lungo
bacio nei bagni dell’autogrill), la loro assoluta incapacità in due di
orientarsi fra le strade indicate dal navigatore, cosa che aveva costretto la
rossa a prendersi l’onere di ripetere, scandendo bene le istruzioni, le
indicazioni della voce elettronica alla sua ragazza, che cercava di capirci
qualcosa nel caos del traffico. Roberta scosse la testa ridendo, intimandole di
dirle quanti chilometri mancavano alla prossima uscita, che le avrebbe
riportate verso le montagne del loro paese.
-
Ne abbiamo per un po’, tranquilla. A
proposito, tieniti a destra- aggiunse quella, chiudendo il finestrino ora che
l’aria dell’autostrada entrava più forte- mi sa che dovremmo inventarci una
delle nostre scuse.
Chiara faceva riferimento
a tutto un repertorio di storie che si erano prontamente inventate, con l’aiuto
e il sostegno pratico di Carmen, Sabrina e Ivan (e, ovviamente, Benedetta, in
uno dei momento in cui non si sentiva in colpa verso i loro genitori), da usare
ogni qual volta fossero insieme, per poter stare indisturbate a casa l’una
dell’altra o in qualche altro posto della città dove i loro genitori non
avrebbero dovuto vederle insieme.
Una volta, per esempio,
avevano deciso di provare a passare una notte insieme in campeggio, e Roberta
aveva detto ai suoi genitori che sarebbe andata alla casa al mare di un’amica
di classe (detta Sabrina, che loro non conoscevano, ma che gli era sembrata sufficientemente
lontana da Chiara per non insospettirsi), mentre Chiara aveva tirato in ballo
una serata da Carmen. Nel silenzio generale, si erano poi dileguate in treno
verso uno dei campeggi vicini, affittando tenda e attrezzatura necessaria a
passare una notte fuori, per poi essere raggiunte da Ivan e Niccolò con una
griglia e cibo a volontà. Quella sera avevano festeggiato per la seconda volta
il compleanno di Chiara (la prima festa, diceva lei, era stata troppo
tranquilla per i suoi gusti) facendosi il bagno al lago vicino a mezzanotte,
per poi ritirarsi nella loro tenda, cercando di non fare troppo rumore mentre
si baciavano, lasciandosi scivolare via i vestiti di dosso con la fretta di chi
era stato troppo a lungo lontano.
-
Questa volta mi sa che Sabrina è off
limits, mia madre ha capito che è un’amica tua- roteò gli occhi Roberta,
cambiando marcia ed assestandosi su una velocità più regolare.
A Chiara venne da ridere
ripensando al campeggio e alle battutine maliziose di Ivan, mentre i lampioni
al lato della strada si accendevano e la sera scendeva lentamente su di loro. Pensò
anche a come Roberta l’aveva baciata, quella notte, e a come era stata
elettrizzata dall’idea di dormire con lei in mezzo al silenzio del campeggio.
Erano già da un bel po’
in autostrada- ognuna immersa nei propri pensieri, facendosi di tanto in tanto
cenno di essere ancora lì con un gesto gentile- su corsie quasi deserte, quando
alla radio passò una canzone che Chiara riconobbe subito, perché le ricordava
sempre casa sua in Irlanda, il giardino di meli, le fronde verdi e rigogliose
nel pieno dell’estate. Era Welcome home, Son dei Radical Face.
-
Adoro questa canzone- disse, assorta,
accarezzando placidamente il braccio di Roberta e chiudendo leggermente gli
occhi.
Roberta alzò il volume,
tornando a guardare la strada con uno sguardo stranamente pensieroso. Aveva
riconosciuto anche lei la canzone.
-
Heal
the scars from off my back, I don't need them anymore, you can throw them out
or keep them in your mason jars, I've come home – cantò, mentre un sorriso le spuntava sulle labbra, -
la conosco, Chiara. È davvero molto bella.
Quando, un’ora dopo,
ebbero imboccato l’uscita dall’autostrada, Roberta fermò la Mini Cooper in una
macchia in mezzo alla campagna brulicante dei rumori di fine estate, per poi prendere
fra le mani il volto della sua ragazza e baciarlo profondamente.
Al diavolo i nostri genitori
disse, per poi continuare a baciarla ancora e ancora, mentre a Chiara
rimbombava in testa quella canzone, cantata dalla voce morbida e melodiosa di
Roberta, e le veniva quasi da piangere perché, sì, erano arrivate a casa.
Erano a casa, mentre
Roberta le infilava delicatamente le mani sotto la maglietta bianca, sulla
pelle scottata dal sole, mentre i loro respiri si intrecciavano senza nessuna
parola, senza nessun discorso, senza nemmeno più la musica a fare da
sottofondo. Mentre lei si aggrappava ai suoi capelli ricci, tirandola su di sé,
cercando di annullare qualunque distanza separasse i loro corpi: anche un
centimetro lontana da lei sarebbe stato insopportabile. Mentre il corpo di
Roberta, bianco di fronte ai suoi occhi, ora nudo e lucente alla luce della
luna, la lasciava senza fiato come tutte le volte, mentre si chiedeva come
fosse stato possibile, in quell’universo tanto strambo, innamorarsi
perdutamente di una delle sue più acerrime nemiche, come fosse possibile
passare dagli sguardi di sottecchi al baciarsi la pelle senza riuscire a starne
lontana nemmeno un secondo, mentre le loro bocche si scontravano e si
riappacificavano, e tutto attorno a loro sembrava aver smesso di muoversi, come
a lasciar loro lo spazio per essere le uniche protagoniste della notte. Mentre
Roberta sospirava rumorosamente, mentre Chiara sentiva le sue guance diventare
sempre più calde, sempre più rosse, e l’intero corpo scuotersi come se stesse
per essere per essere spazzato via da un potentissimo terremoto.
Erano a casa. Non avevano
più bisogno di nascondersi alcuna cicatrice.
**
Il quindici settembre,
alle otto e dieci, suonò la campanella dell’ultimo primo giorno di scuola per
una cinquantina di ragazzi del liceo Giulio Cesare, fra cui Chiara, Carmen, Ivan
e Sabrina, che se ne stavano insieme, in attesa di entrare in classe,
ciondolando nell’androne del liceo. Iniziava l’anno della maturità, l’anno
della resa dei conti, l’anno in cui la Manzi avrebbe smesso di essere il loro
più grande problema, per lasciar spazio ad una vita misteriosa, fatta di
decisioni importanti, di volti sconosciuti, di materie complicate e
preoccupazioni sempre più impellenti per il loro futuro.
-
Ci siamo- disse Flavio, sbucando alle
spalle del gruppetto e dando una pesante pacca sulla spalla ad Ivan, con la
solennità di un oplita, per poi rivolgere un sorrisino a Carmen- siamo all’ultima
fatica, compagni.
Chiara ridacchiò quando
vide l’amica roteare gli occhi teatralmente. Sapeva che lei e Flavio avevano
preso a vedersi, di tanto in tanto, dalla fine dell’estate – aggiungendosi alla
lista delle coppie esilaranti ed improbabili di quella stagione - e che a
quanto pare alla sua migliore amica lui iniziava a piacere parecchio, anche se
continuava a considerarlo un pesce lesso.
-
Su, Leonida, andiamo incontro alle nostre
Termopili- gli disse infatti, prendendolo sottobraccio e avviandosi verso la
porta della loro classe.
Ivan e Chiara si
scambiarono un’occhiata improvvisamente triste, quando videro scritto sulla
porta della loro aula “Classe III”. Era davvero arrivata la fine del liceo, e
dopo un’estate piena di eventi, novità e piccoli problemi quotidiani, ed
iniziavano a realizzarlo solo in quel momento. Il ragazzo riccio le si
avvicinò, facendole segno di accostarsi.
-
Roberta dov’è? - le chiese, aggrottando le
sopracciglia.
Avevano tutti convenuto
che, una volta tornati a scuola, non avrebbe avuto più senso ignorare che la
relazione fra Chiara e Roberta fosse ormai di dominio pubblico, e avevano elaborato
insieme una serie di strategie nel caso in cui si fossero ripresentate strane
situazioni come quella del giorno delle pagelle. Chiara, in realtà, non era
riuscita a pensarci fino a quel momento, forse cercando di ritardare il più
possibile il momento della realizzazione (quell’estate, persa com’era a godersi
le giornate con Roberta, l’idea di dover tornare fra i banchi non l’aveva
nemmeno sfiorata), ma Ivan si rese conto dal suo sguardo vacuo che iniziava a
rendersene conto.
-
Non lo so, mi ha detto che mi avrebbe
raggiunto a scuola- rispose quella, guardandosi attorno un po’ preoccupata.
Non che temesse di essere
di nuovo invischiata in una rissa, ma qualcosa le diceva che ancora per qualche
mese avrebbero dovuto guardarsi le spalle, perché i liceali sapevano essere
particolarmente cattivi, quando in gruppo, e Chiara non voleva che ne andasse
della loro serenità, in un anno tanto importante. Per il resto, rendersi conto
che la gente la guardava, che a volte ridacchiava alle sue spalle, non le aveva
fatto l’effetto destabilizzante che aveva creduto. Aveva semplicemente tirato
avanti, senza degnare nessuno di uno sguardo, anzi spesso rispondendo con
occhiatacce minacciose. Perché hanno tanto da guardare? aveva chiesto a
Sabrina arrivando di fronte all’istituto, non hanno mai visto Glee? Beh, i
gay esistono anche nella vita reale. Sabrina aveva riso, e tutto il gruppo
si era tranquillizzato sul fatto che, nonostante tutto, Chiara Torri era sempre
la solita.
Quando presero tutti
posti in aula, e la testa della Manzi fece malignamente capolino dalla porta
(con un sorriso, in realtà, ugualmente malinconico che suoi studenti), Chiara
iniziò seriamente a preoccuparsi. Dov’è Roberta? pensò.
-
Buongiorno, miei cari- esordì la
professoressa di latino, entrando trionfalmente in classe con la sua solita
pila di libri sotto al braccio, - siamo pronti per iniziare l’anno?
Fra gli sbuffi generali e
qualche battutina, finalmente Roberta fece il suo ingresso un po’ trafelata,
mormorando mi scusi professoressa, la macchina si è fermata improvvisamente,
è da riparare. A Chiara mancò un battito: alta, nella sua maglietta bianca macchiata
d’olio di motore e jeans chiari, con i capelli neri tirati indietro e la fronte
imperlata di sudore, le sembrò un’eroina greca alla fine di una grande prova.
Mimò un buongiorno con le labbra, mentre l’altra le sorrideva di sbieco,
prendendo posto in fondo all’aula. A nessuno sfuggì che, invece di sedersi
accanto ad Angela, aveva preso posto vicino a Flavio, che si era galantemente offerto
di prenderla sotto la sua protezione, in quanto affermava di godere, come
rappresentate di classe, di immunità diplomatica. Vanessa e Angela erano
invece sedute dal capo opposto dell’aula, e non avevano rivolto la parola a
nessuno, da quella mattina, oltre che per i loro aggiornamenti di inizio
settimana. Quando si era sparsa la voce della denuncia, sorprendentemente anche
la loro reputazione intoccabile ne aveva risentito, con sommo sollievo di
Roberta, che iniziava a vedere una fine a quel calvario.
-
Ora che ci siamo tutti, direi di sì. Siamo
proprio pronti per iniziare l’anno- sorrise l’insegnante.
Alla fine delle lezioni,
mentre gli studenti di prima sciamavano confusi fuori dalle aule e i ragazzi di
quinto li guardavano sghignazzando, mettendo loro qualche sgambetto o
inventandosi fantomatiche assemblee a cui avrebbero dovuto obbligatoriamente
partecipare, Roberta e Chiara si ritrovarono al parcheggio del Giulio Cesare,
valutando i danni della Mini Cooper che quella mattina aveva lasciato la riccia
a piedi. Da lontano, scorsero Vanessa fumare sulle scale antincendio e, mentre
il sole riscaldava i loro volti ancora abbronzati dall’estate, Chiara tirò a sé
Roberta per un bacio, come ad avvertire il mondo che, no, non si sarebbe
nascosta.
Roberta non poté fare a
meno di ridere sonoramente per quella possessività, mentre un paio di ragazzi
si erano fermati come in shock di fronte a loro, dandosi un paio di gomitate,
mormorando ma quella non è Roberta Della Corte? Non ci credo! E chi è la
rossa?
-
Lasciali parlare- disse le disse rossa,
staccandosi dal bacio e infilandosi lo zaino in spalla, - vedrai che gli faremo
il culo quest’anno alla maturità.
E comunque,
aggiunse rivolgendosi ai due bellimbusti che ancora le fissavano con un
sorrisino ebete, io sono Chiara Torri.
**
-
Allora, hai già pensato a che cosa farai
dopo? – chiese distrattamente Chiara, riversa sul letto di Roberta mentre lei
sistemava i libri di scuola sulla scrivania.
Il sole di settembre
illuminava la stessa stanza in cui, nel buio, si erano trovate vicine per la
prima volta, dandole un aspetto nuovo, come se fossero passate ad una fase
successiva. Quel giorno, in effetti, a Chiara e Roberta era parso di essere entrate
davvero in un altro capitolo della loro storia: baciarsi all’uscita da scuola,
sotto gli occhi di tutti, aveva sancito il punto di non ritorno. La rossa gettò
uno sguardo alla sua ragazza, che silenziosamente spostava blocchi per appunti
usati in fondo ai cassetti, per tirare fuori materiale intonso.
-
Chiara, siamo solo al primo giorno di
scuola- mormorò divertita, scuotendo la testa.
Continuò per un po’ a
mettere a posto le sue cose in silenzio, passando in rassegna agli ultimi
disegni che aveva realizzato, per poi riporli accuratamente in una cartellina
gialla. Prese un sorso del suo tè freddo, per poi raggiungere Chiara sul letto.
Su, alzati, le disse con una risatina, così ti farai andare il sangue
al cervello.
-
In realtà, ho già una mezza idea. Farò le
selezioni per l’accademia di belle arti- continuò dopo un po’, facendo girare
Chiara di scatto verso di lei.
-
L’accademia delle belle arti? Sarebbe
incredibile! Tu sei un’artista pazzesca.
Roberta si strinse nelle
spalle, ritirandosi nella timidezza che la coglieva sempre quando si parlava
della sua arte, dei suoi interessi.
-
Sì, ma non credo che i miei saranno
d’accordo. Dovrò capire come fare. In alternativa, mi piacerebbe studiare
storia dell’arte. Sai, potrei fare l’insegnante.
Chiara ridacchiò,
avvicinandosi alle sue gambe per poggiarle la testa in grembo.
-
Professoressa Della Corte…
sì, suona bene. Oddio, mi innamorerei perdutamente di te, se fossi una tua
studentessa! Dovrò fare i conti con torme di ragazzini infatuati.
La riccia prese ad accarezzarle
i capelli, in silenzio, per poi rivolgerle la stessa domanda.
-
E tu, cosa pensi di fare dopo? Hai
talmente tanta scelta, sei brava praticamente in tutto.
-
Tranne in chimica- intervenne puntualmente
la rossa, con un grugno frustrato.
-
Beh, sei comunque una delle migliori della
scuola. Immagino che tutti si stiano chiedendo che cosa farai dopo il liceo.
Chiara si alzò a sedere,
sistemandosi i capelli dietro le orecchie con aria nervosa. Non ne avevano mai
parlato, ed in effetti con il bel daffare che c’era stato quell’estate nemmeno
lei si era soffermata troppo a pensarci, ma si rendeva conto ora di aver covato
un proposito segreto per gli ultimi mesi, indecisa se condividerlo o meno,
forse per indecisione, forse per scaramanzia.
-
Pensavo che… sai, forse potrei provare il
test di medicina.
Roberta sgranò gli occhi,
con un sorriso che si faceva lentamente strada sulle sue labbra.
-
Come tua madre?
Chiara annuì, abbassando
lo sguardo un po’ imbarazzata.
-
Non so, ci ho pensato quest’estate, e non
sono ancora sicura- iniziò, un po’ titubante, - ma mi affascina tanto la mente
umana, le sue connessioni col corpo. Vorrei capire come funziona, che cosa ci
porta a comportarci in un modo o in un altro, che cosa dipende da noi e che
cosa no. Forse ho letto troppo Freud quando ero piccola, ma è bastato a
incuriosirmi. E poi mi piacerebbe aiutare le persone.
La riccia le si avvicinò
e con un sorrisino aggiunse Dottoressa Torri, suona davvero bene. Si
guardarono per un po’in silenzio, come se stessero cercando una risposta alla
domanda che davvero, più di tutto, interessava entrambe (che cosa faremo,
noi, l’anno prossimo?), e l’aria per un po’ si fece tesa, carica di non
detti. Da fuori arrivavano i rumori di poche macchine in circolazione, in un
pigro pomeriggio di metà settembre, e qualche uccellino che pigolava dalla
grondaia. Rimasero in silenzio, tenendosi per mano, per quella che sembrò
un’eternità. Poi Chiara si divincolò dalla stretta di Roberta e, poggiandole
una mano sul viso, la guidò dolcemente a stendersi con lei.
-
Sai che sei la ragazza più bella che io
abbia mai visto? – le disse, assorta, - e spero che l’anno prossimo, con me, ci
sia anche tu.
Roberta, a quelle parole,
si strinse forte a lei, come presa da un’improvvisa felicità, e dalle pieghe
della sua maglietta mormorò anche io voglio che tu ci sia, sempre.