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Autore: theGan    04/05/2022    8 recensioni
PARTE 1: Amburgo, 1986.
Genzo Wakabayashi inizia la sua nuova vita in Germania.
Karl Heinz Schneider decide di non farci amicizia, Hermann Kaltz è più pragmatico.
La long-story mai richiesta sulla storia del terzetto amburghese.
[CONCLUSA]
PARTE 2: Giappone ‘45 / Germania ‘87. 
Tatsuo Mikami vuole essere un calciatore, non un padre.
La vita è piena di sorprese.
Genere: Commedia, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Taro Misaki/Tom, Tatsuo Mikami/Freddy Marshall
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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* questa fiction viaggia parallela al canon: ci flirta insieme, ma non se lo sposa.

* Karl e Genzo sono entrambi queer in questa storia, non sarà però il focus di questo capitolo.


 

VARIABILI

 

 

1. Il nuovo compagno

 

 

A partire dal diciassette marzo ci sarà un nuovo studente in classe.

Li ha avvisati questa mattina la signorina Bumgarner che insegna matematica. Quando i professori parlano, Karl sente come dello statico, ma la parola Giappone la capisce pure lui. La Bumgarner aggiunge qualcosa sull’aiutare il nuovo compagno ad inserirsi visto che non parlerà ancora bene la loro lingua.

- Mi raccomando, ragazzi. Vediamo di non fare come l’anno scorso.

Anna Kuster, che sta in prima fila, annuisce convinta, altri borbottano qualcosa che potrebbe essere un “sì” o un gargarismo, alcuni ridacchiano. Karl non fa nessuna di queste cose, guarda fuori dalla finestra e conta nella mente quanti minuti restano alla fine della giornata di scuola. Se si concentra può vedere il campo da calcio dove l’Amburgo SV junior si allena. Qualche cretino mesi fa ha sparpagliato dei semi di menta tra l’erba e ora il prato è un insieme di chiazze profumate e sconnesse.

Cosa diavolo ci viene a fare un giapponese in Germania?

Vogel sta distribuendo le verifiche della settimana scorsa, la Bumgarner sceglie sempre lui per queste cose, forse perché è il primo della classe o perché è suo nipote. Quando si ferma al suo banco sussurra qualcosa di meschino e irrilevante. Karl sospira: ha lasciato l’ultimo compito praticamente in bianco, ma non ha bisogno di guardare il foglio per sapere di aver strappato l’ennesima sufficienza. Ci sono dei vantaggi ad essere una promessa del calcio e che il tuo coach sia il fratello del preside.

È passato quasi un anno dall’ultima volta in cui ha portato una verifica a casa, a volte si domanda se mamma si accorga che stia falsificando la sua firma o non le importi.

Sopravvive al resto della mattina, ignora il ragazzo basso dell’altra sezione che lo saluta in cortile e va dritto a casa. Vive a dieci minuti a piedi dalla scuola, sedici dal campetto, era stato papà a insistere per quella zona della città.

- Non c’è posto più sicuro in tutta Amburgo.

Ci hanno vissuti tutti e quattro per quasi tre settimane, poi Rudi Frank Schneider ha deciso di fare le valigie ed uscire dalle loro vite. Karl non è arrabbiato con suo padre, se n’è andato per proteggerli. Lo sa. Gliel’ha spiegato mamma. Però alle volte lei se ne dimentica, come adesso quando Karl entra e la sente urlare al telefono.

- Come sarebbe che non torni per il compleanno di Maria?! Cos… COME OSI?!

È tentato di girare sui tacchi ed andarsene, ma Maria è seduta sull’ultimo gradino delle scale e sta sentendo tutto, quindi ignora il ronzio nelle orecchie e raggiunge sua sorella.

- Che ne dici se io e te adesso usciamo e andiamo a prenderci un gelato?

Maria annuisce senza guardarlo, la aiuta ad alzarsi, le allaccia le scarpe e si assicura che abbia la giacca ben chiusa. Lascia un biglietto per mamma sul mobile delle scarpe ed escono. L’arretrare dell’inverno allunga pigramente le giornate, Maria indica i fiori che spuntano dal letto irregolare del prato e Karl le sorride. Sa che la sua espressione è tutta sbagliata, negli ultimi anni la sua faccia è diventata una maschera di pietra e gomma, ma cerca sempre di farla sembrare umana. Per sua sorella.

Maria dice di aver chiesto a papà un cane per il compleanno, le risponde che è una buona idea, ma che deve sentire anche con mamma.

- Mamma dirà di no.

- Questo non lo puoi sapere.

- Mamma dirà di no, perché papà ha già detto sì.

Logica inoppugnabile in effetti. La gelateria è in centro, prendono un pullman e Karl si assicura di tenere sempre sua sorella per mano. Una volta arrivati Maria sceglie una mostruosità colorata dai gusti improbabili come “chewingum” e “puffo”, non riuscirà mai a finirla e Karl decide saggiamente di non prendere nulla per sé e limitarsi ad aspettare l’inevitabile:

- Kaaaarl, non ne posso più!

E finire il mostro di Frankenstein semi-sciolto al posto di sua sorella. L’orologio del municipio rintocca ricordandogli che in questo momento dovrebbe essere da un’altra parte. Maria lo prende per mano e lo trascina a una di quelle macchinette automatiche che hanno installato appena fuori dal negozio, Karl ha abbastanza monetine per tre sorprese. Sua sorella adora il portachiavi morbido a forma di giraffa, non ha un’opinione particolare su quello a forma di mucca da schiacciare e, molto generosamente, gli consegna quello a forma di orso.

- Così ti protegge! Vedi che aria un sacco tosta?!

Rientrano alle quattro, Maria è molto stanca, così la prende in spalla e la trasporta per il breve tratto che separa casa dalla fermata degli autobus. Al loro rientro, mamma è in giardino a raccogliere i panni, l’aria preoccupata che si allunga come un’ombra sul suo viso evapora quando li vede arrivare.

- Vi siete rovinati di nuovo la cena!

Dice, ma sorride, un sorriso tirato. Ha una ruga sulla fronte che Karl potrebbe giurare ieri non c’era. Si offre di prendere Maria, le risponde che non le pesa e le chiede se ha bisogno di una mano per cena.

- Niente compiti?

Fa segno di no con la testa. Il frigorifero è praticamente vuoto, mamma ha quell’aria che ha spesso ultimamente in cui sembra distratta e sorpresa allo stesso momento.

- Potremmo… andare a mangiare fuori.

Non gli va, ma risponde di sì, poi Maria si sveglia e dice che è stupido uscire e che vuole le uova con la salsiccia questa sera. Ma dove pensa di metterle? Mamma ridacchia e dice che una cosa così semplice è ancora capace di gestirla da sola, lo spinge fuori dalla cucina e gli ricorda di divertirsi all’allenamento.

- Salutami tanto Hermann!

Sono le cinque del pomeriggio, la squadra si trova alle due e finisce alle sei. Forse se si sbriga… indossa le scarpe da ginnastica, esita, prende il pallone, esce e si dirige nella direzione opposta. È il quarto giorno consecutivo che salta gli allenamenti, ha fatto di peggio. Il mister ha persino smesso di minacciare di metterlo in seconda squadra. Però non gli va di vedere la faccia dei suoi compagni: metà di loro se la trascina dalle elementari, si ricorda benissimo cosa pensavano di lui prima che iniziasse a farli vincere. O di suo padre.

Fa freddo: è uscito senza mettere guanti o sciarpa. O giacca. Dovrebbe avere lasciato un maglione pesante nell’armadietto… Si concede un minuto per riflettere: potrebbe tornare a casa, ignorare l’espressione vuota di sua madre o il fatto che sia troppo distratta per ricordare quando sia uscito, andare in camera sua e studiare per la verifica di storia; oppure potrebbe andare al campetto, fare finta di niente e lasciare che il mister gli trafori i timpani per mezz’ora. E poi gli faccia fare trenta giri di campo. Decide di rischiare.

I giri di campo sono quaranta.

***

Il ragazzo nuovo arriva un lunedì mattina. È parecchio alto, non sa bene perché, ma Karl pensava che gli asiatici fossero più bassi. Parla bene il tedesco anche se lo fa con un accento strano che metà della classe trova esilarante. Idioti.

Se con la Bumgarner non vola una mosca, nelle ore di storia della Baer volano palline di carta. Alla terza il giapponese si volta, alza un sopracciglio e sorride in un modo che dice: la prossima ve la infilo su per il naso. La professoressa chiede se c’è qualche problema, il ragazzo fa segno di no e Karl non è certo si sia accorto che non si stava rivolgendo a lui.

La Baer è molto simile agli insegnanti della sua vecchia scuola. Karl non è mai stato granché come studente, ma si è sempre impegnato per quanto il suo massimo fosse sotto la media. Il suo vecchio professore di matematica scherzava spesso con suo padre:

- Speriamo che col calcio gli vada bene come a te o qui siamo messi male.

Poi c’era stata quella partita.

Il professore di matematica aveva smesso di scherzare. Tutto il quartiere aveva smesso di scherzare.

Per prime erano arrivate le telefonate, Maria aveva tre anni e aveva preso l’abitudine di nascondersi nel suo letto quando l’apparecchio cominciava a squillare. Mamma e papà all’inizio avevano provato a rispondere, poi lo avevano staccato, infine avevano cambiato numero. Un giorno, tornando a casa da scuola, aveva trovato il portone del garage ricoperto di vernice. Papà si era irrigidito e l’aveva costretto a rientrare, ma Karl aveva fatto in tempo a leggere cosa avevano scritto. Conosceva quelle parole: erano quelle che gli ripetevano a scuola.

Karl rimane seduto al banco durante la ricreazione, potrebbe uscire e andare a cercare Kaltz che sta nell’altra sezione al piano di sotto, ma non gli va. Metterebbe su quella faccia che fa alle volte, quella non esattamente preoccupata, e poi sorriderebbe e direbbe qualcosa di stupido. Tipo: questa sera vieni a mangiare da me. A cena riderebbero e parlerebbero dei baffi che sta cercando di farsi crescere Koertig, poi Karl noterebbe qualcosa di insignificante, come il padre di Kaltz dare un bacio tra i capelli di sua moglie o la madre di Kaltz chiedere se vogliono il bis, e il cibo gli si strozzerebbe in gola.

Così rimane in classe, tira fuori il quaderno, finge di fare i compiti e ascolta Herz, Rothstein e Beike girare come squali attorno al ragazzo giapponese.

- Ehi, cinesino! Ma riesci a vedere qualcosa da quegli occhi?

- Povelino, plobabilmente non capisce niente di quello che dici.

La Baer, seduta alla cattedra, finge di non sentire. C’è questa cosa che non ti dicono riguardo agli insegnanti: a loro non frega un accidente. Sicuro, gli importa che tu stia seduto, fermo, composto, che tu stia zitto. Ti sgridano se non fai i compiti, ti umiliano quando sbagli durante un’interrogazione, ma sono preoccupati per te come un macellaio per un taglio di carne. Probabilmente meno.

Il giapponese aggrotta le sopracciglia e pare leggermente confuso.

- Ma siete cretini o non avete ancora capito che sono giapponese? Se volete ridere di come parlo, almeno fatelo nel modo giusto.

A Karl piace il nuovo compagno.

Un’opinione che il passare dei giorni non fa che confermare. Il giapponese è sfrontato, siede in uno dei banchi davanti e non ha paura ad alzare la mano quando non capisce, non cerca di farsi piccolo per non farsi notare. Una fortuna: è troppo alto, non funzionerebbe. Durante l’intervallo nota spesso Kuster e Vogel parlarci assieme, sente qualcosa riguardo a degli appunti e a delle ripetizioni di latino, secchioni infami.

Il giapponese continua a peggiorare la sua precaria posizione nella catena alimentare della classe, ma non sembra importargli, il suo sorriso è particolarmente affilato e pare non aspettare altro che una battaglia aperta. Non ha speranze. Chi ha il vantaggio del numero vince sempre.

Si morde le labbra, non è Karl stesso la prova vivente del contrario? Non hanno spezzato lui, forse il ragazzo nuovo ha qualche speranza. Buffo. Era da un po’ che non si interessava a qualcuno al di fuori della propria famiglia. O a Kaltz. Deve essere la novità, magari l’accento o il modo in cui a volte aggiunge una “u” alla fine delle parole. Una curiosità passeggera destinata a svanire con l’arrivo della primavera.

Due giorni dopo Karl se lo ritrova seduto accanto durante la pausa pranzo.

***

Per risparmiare sul gas la scuola ha deciso di organizzare due rientri pomeridiani il giovedì e il venerdì dalle quattordici alle sedici. Gli studenti che partecipano alle attività del club di calcio sono esonerati dagli allenamenti durante quei giorni, cosa che ha causato parecchia acrimonia tra coach e corpo insegnante. La Bumgarner come vicepreside funge da antenna parafulmine per le proteste.

- La squadra di calcio subirà un duro colpo.

- Se il club giovanile dell’Amburgo non riesce a reggere un terzo dei suoi membri perdere quattro ore di allenamento a settimana, allora il coach non sta facendo il suo lavoro.

- Due rientri pomeridiani sono troppo pesanti per gli studenti.

- Anche non avere il riscaldamento il prossimo inverno.

- Non c’è la sala mensa.

- Ci stiamo lavorando.

Il laboratorio d’arte subisce un restyling e agli studenti con permesso firmato viene concesso di rimanere in classe per consumare il proprio pranzo al sacco. La scuola promette di fornirne uno gratuito a partire dal mese prossimo.

Karl ha portato la circolare a casa, ha detto a sua madre che serve per avere accesso alla mensa e non ha menzionato l’ intenzione di prendere possesso di una delle aule libere per ribattezzarla sua personale “fortezza della solitudine”. In ogni caso il piano fallisce. Le aule in cui agli studenti è permesso sostare durante la pausa sono limitate così Karl sceglie di rimanere in classe. Non è l’unico.

Ci sono i secchioni, gente strana, ma generalmente a posto. La Kuster si porta dietro le amiche che ha nell’altra sezione e s’impadronisce della prima fila di banchi. Le ragazze li riorganizzano in un semicerchio dove vengono passate merendine e succhi di frutta in una sorta di rituale iniziatico.

Rimangono anche i tipi strani, quelli che giocano a quella roba americana tipo gioco di ruolo e che si appartano sul fondo della classe sedendosi per terra come animali.

Karl rimane al suo banco. Non spreca tempo a cercare una soluzione più appartata, Vogel è uno stronzetto acido, ma gli altri sono tipi a posto. La Kuster si era pure offerta di passargli gli appunti quando si era trasferito l’anno scorso. In classe ci sono ancora Reinhard e Schroder che sono amici di Kaltz e si sono sentiti in dovere di convincerlo circa un milione di volte ad unirsi al loro gruppo. Ci sono volute due settimane perché si rassegnassero a lasciarlo educatamente in pace. Insieme al resto della scuola in effetti.

Le persone come la Kuster o Schroder lo fanno perché hanno abbastanza cervello per capire quando la loro compagnia non è né voluta, né richiesta. Quelli come Herz, Rothstein o Beike lo fanno perché sanno che in una scuola in cui tutto o quasi gira attorno allo sport, non è una mossa intelligente prendere di mira la persona che la stampa ha iniziato a soprannominare “il piccolo Kaiser” e definire “la promessa del calcio giovanile tedesco”. I ragazzi della squadra non la fanno passare liscia anche solo a chi pensa di sfiorarlo.

Questo si traduce in un campo di forze attivo attorno a Karl ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette. Il limitato numero di persone autorizzate ad oltrepassarlo sono sua madre, Maria e, per sua sfortuna, Hermann Kaltz.

Non sa se sia frustrante o solo bizzarro il fatto che il giapponese rientri in classe, noti come il suo banco sia stato sequestrato dal circolo delle secchione, recuperi il suo pranzo, rifiuti l’invito di unirsi a loro e si diriga dritto verso di lui. Forse è un errore. Il giapponese lo fissa, agguanta una sedia, la gira e si siede al suo banco. La fa sembrare pure una cosa naturale.

Karl sbatte le palpebre due volte, la soluzione più semplice sarebbe applicare la strategia abituale: rifiutarsi di riconoscere di essere in presenza di un altro essere umano. Poi fa l’errore di alzare gli occhi e incrociare lo sguardo dell’altro. Il giapponese lo prende come un invito per sbattergli una mano davanti alla faccia e dire:

- Piacere, Genzo Wakabayashi.

Rifiutare di stringerla servirebbe a far passare il messaggio. Passano circa trenta secondi in cui il giapponese non muove un singolo muscolo.

- Kaltz dice che siamo compagni di squadra nell’Amburgo SV. Prendi ‘sta mano e facciamola finita che non ho tutto il giorno.

Karl stringe la mano, il tipo Waka… com’è che si pronuncia? GENZO, apparentemente soddisfatto, si accomoda meglio sulla sedia e si mette a mangiare come se nulla fosse.

Il suo portapranzo è una scatola rettangolare alta e di un materiale che non si capisce bene se sia legno, metallo o plastica. C’è una stampa sul dorso e Karl la riconosce perché è uguale all’orso che Maria gli ha regalato come portachiavi. Mangia usando le bacchette. Non ha mai visto qualcuno mangiare usando le bacchette. Forse è maleducato fissare.

Nel portapranzo dell’altro c’è, ma che sorpresa, del riso, delle verdure cotte tagliate in modo strano e un sacco di un qualcosa che potrebbe essere carne o pesce, ma che emana un odore delizioso.

- Vuoi assaggiare?

Genzo ha un sopracciglio sollevato. Karl è stato colto in flagrante e ora non ha molta scelta se non sembrare maleducato o scemo. Cosa fare? Karl non ha alcuna intenzione di fare amicizia con il ragazzino straniero, innanzi tutto perché Karl è un pessimo amico e il giapponese probabilmente merita di meglio. In secondo luogo Karl ha già abbastanza scocciature nella sua vita senza andare a cercarsene un’altra.

- Senti, se ti schifa dillo e basta. Altrimenti sposta la mano che te ne metto un po’ nel piatto.

Karl obbedisce. Allunga così rapidamente il piatto di plastica che l’altro si mette a ridere. Non è un brutto suono. L’alimento misterioso è pollo, ma è tiepido, delizioso e con un retrogusto particolare che non riesce bene ad identificare.

- È la salsa di soia. Mister Mikami lascia il pollo ammollo nel latte e poi lo cuoce in padella con le mandorle.

Genzo dice qualcosa riguardo alle bacchette che Karl non capisce bene, poi aggiunge nel suo piatto anche le verdure, a quanto pare cotte al vapore, e il riso che ha una consistenza completamente diversa da quella a cui è abituato. Sarebbe bello cucinarlo per Maria. A sua sorella piacciono un sacco le novità anche se poi finisce sempre per mangiare le solite quattro cose.

Karl ha dimenticato come gestire una relazione interpersonale che fuoriesca dal campo da calcio. Di solito ha Kaltz a reggere anche la sua parte di conversazione. In ogni caso un’offerta di cibo, può essere ricambiata solo con un’altra offerta di cibo. Afferra senza preavviso il portapranzo di Genzo e ci rovescia dentro metà del suo.

Forse avrebbe dovuto chiedergli se soffre di qualche allergia. Maria e Kaltz non possono mangiare mandorle e nocciole.

Genzo assaggia con cautela, si ferma e poi procede a spazzolare il resto del pranzo a velocità record. Quando incrocia lo sguardo perplesso di Karl, alza un sopracciglio e replica.

- Che c’è? Era buono.

Ha le guance un poco rosse. A Karl sboccia nel petto quella gioia discreta di quando le piante si vestono delle prime gemme alla fine dell’inverno. È un pensiero talmente imbarazzante che ora è costretto a presentarsi.

- Karl Heinz Schneider.

Genzo fa una smorfia con la bocca, poi si china verso lo zaino, tira fuori un thermos gigantesco e gli fa segno di passargli il bicchiere.

- Dovresti bere qualcosa quando mangi Karl Heinz Schneider. Altrimenti finisce che ti ci strozzi.

Sente le guance tirare, per qualche ragione non è difficile sorridere se sta parlando con Genzo. Porta il bicchiere di plastica alla bocca e quasi sputa: a quanto pare Genzo Wakabayashi è tipo da portare a scuola un thermos grande quanto il suo braccio pieno zeppo di caffè. Non c’è neanche lo zucchero. È praticamente la fotocopia asiatica di Hermann Kaltz. Ma più alta.

- Parli bene il tedesco.

Chissà da quanto lo studia. Karl non riesce a immaginarsi a parlare un’altra lingua. In teoria dovrebbe stare studiando latino e inglese, ma se in matematica galleggia qui è aprire uno scenario francamente pietoso. Genzo ha una pronuncia strana, strascica un paio di parole, ma si capisce sempre quello che sta dicendo e, checché ne dicano i coglioni in classe, il suo accento è piacevole.

Forse i suoi genitori si sono trasferiti qui per lavoro come hanno fatto quelli di Kaltz, solo che loro prima vivevano a Tosdet che è praticamente a mezz’ora di macchina da Amburgo. Lo sta fissando di nuovo probabilmente.

- Parlo il giapponese anche meglio.

Genzo gli fa l’occhiolino, riempie di caffè la tazza del thermos e poi se la scola tutta in un colpo. Karl è un costrutto di ghiaccio in forma umana, una città decomposta di lava seppellita sotto venti strati di neve. A volte appaiono delle fratture.

Scopre che stare in silenzio con Genzo non è strano, ma che parlare di nulla è altrettanto rilassante. Karl chiede come facesse il suo cibo a essere tiepido e l’altro prende il portapranzo, lo chiama bento e gli mostra una specie di piastra nascosta in uno scomparto e alimentata a batteria. Deve assolutamente procurarsene uno uguale per Maria.

Genzo chiede cosa gli abbia rifilato da mangiare, perché era “un sacco squisito” e mentre lo dice incespica sulla “q” come se avesse cambiato idea all’ultimo su dove andasse l’accento. Karl spiega di aver improvvisato qualcosa con gli avanzi del giorno prima e di non essere sicuro di cosa ci sia effettivamente dentro. La risposta è uno sguardo pieno di ammirazione.

- Cazzo, ma sei bravo.

Le lezioni riprendono troppo presto. La campanella suona mentre stanno ancora parlando, Genzo è convinto che a Maria potrebbero piacere i prodotti di una ditta chiamata Sanrio vedendo i suoi gusti in fatto di portachiavi e disegni. Karl potrebbe avergli mostrato i pasticci che sua sorella gli ha fatto sul quaderno di tedesco e che lui conserva con religioso zelo. Il corridoio si riempie di schiamazzi e rumore di piedi. Karl si congela.

Genzo è simpatico, ma non vuole che lo vedano con lui.

È una cosa stupida anche solo da pensare e figurati se può dirla ad alta voce.

Così sta zitto e non guarda mentre Genzo decide per tutti e due. Ritira bacchette, thermos, portapranzo, raggiunge la Kuster e la aiuta a sistemare i banchi. Si siede.

Karl fissa la sua schiena per circa metà del pomeriggio, a un certo punto l’altro si gira e gli strizza un occhio.

Che scemo.

 


 

NOTE:

 

BENVENUTI! Celebriamo l’inizio di un luuungo percorso. Come avete potuto leggere nel riassunto “Variabili” è una long story dedicata all’amicizia del terzetto amburghese attraverso gli anni a partire dall’arrivo di Genzo in Germania (con un certo grado di libertà sugli eventi della continuity del manga).

Questo capitolo è in particolare una rielaborazione di una mia storia scritta in precedenza in inglese e che potete leggere qui.

Karl/Genzo sono endgame, ma l’amicizia con Kaltz giocherà un ruolo assolutamente primario. Se avete letto “Cambiare l’ordine degli addendi” sapete già come la penso.

Ho fatto molte ricerche su scuole e club giovanili calcistici tedeschi negli anni ’80, ma siccome mi fumavano le orecchie e la vita è già molto difficile, tenete presente che anche qui mi prendo grossi margini di libertà.

Come al solito: una recensione anche breve è la benzina che convince l’autrice ad anteporre scrivere questa storia alle scadenze di lavoro.

 

Ci vediamo il primo mercoledì del mese con il secondo capitolo scritto dal POV del caro Genzo.

 

                                                                                         >>> 2. Parentesi.

Misaki parte per la Francia, Tsubasa NON se ne va in Brasile e Genzo deve prendere una grossa decisione.

  
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