Anime & Manga > Tokyo Revengers
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Autore: lainil    04/05/2022    0 recensioni
"Under the moonlight" è una raccolta di fanfiction su varie ship, collegate unicamente dal tema dell'angst, che raramente arrivano alle mille parole, scritte senza pretese, in poco tempo, per puro allenamento e passatempo.
Sono tutte tentativi di storie che potrei approfondire, ma che, per ora, tengo in questa raccolta per non perderle, condividendole con voi perché amo l'angst, amo le ship e, purtroppo, pochi sono i rapporti con un bel finale in Tokyo Revengers.
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#1: Ran x Mitsuya: [I ciliegi non fioriscono su Marte]
#2: Draken x Mikey: [Eravamo tanto felici]
#3: Kazutora x Chifuyu: [Le notti ti sognavo]
#4: Koko x Inui [Sotto lune pallide]
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Leggete gli avvertimenti all'inizio dei capitoli
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haitani Ran, Haruchiyo Sanzu, Ken Ryuguji (Draken), Manjirou Sano
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Le notti ti sognavo;
Genere: drammatico, triste;
Rating: verde;
Personaggi: Kazutora Hanemiya, Chifuyu Matsuno
Parole: 500.
Avvisi: Spoiler manga dal capitolo 193.
Prompt:“You’ve never been loved, I can tell."


 

 

Le notti ti sognavo [Kazutora x Chifuyu]

 

Le mani di Kazutora erano premute sulle sua bocca, mentre un senso di nausea lo pervadeva.

Non riusciva ad alzare lo sguardo verso Chifuyu, non ne aveva il coraggio dopo quelle parole.

Non capiva perché meritasse quella cattiveria, cos’avesse fatto di così grave per cambiare in modo tanto drastico il modo in cui Chifuyu lo aveva trattato:

“Alzati e vai via, per favore, non obbligarmi… A fare qualcosa. Sei licenziato.”

Non era vero.

Non poteva esserlo.

Lui non era meglio di Baji e lo sapeva, non aveva mai avuto la presunzione di esserlo.

Lui era Kazutora e, nonostante tutti gli errori, voleva riprovarci, poteva farcela, Chifuyu l’avrebbe aiutato, no? Non era quella la sua promessa? Non era per quello che era andato a prenderlo dal riformatorio?

Allora perché ora si trovavano in quella situazione?

“Tu non… Dici davvero?“

“Mi dispiace Kazutora, ma non riesco più a fingere.” Chifuyu tratteneva le lacrime, doveva resistere: “Ci ho provato, te lo giuro, ho provato ad andare avanti, ma non riesco. Tu non sei Baji, non gli assomigli, ma me lo ricordi, me lo hai ricordato per tutti questi anni.”

“Ma i nostri sogni, i nostri progetti…”

“Erano miei e di Baji. Non tuoi. I tuoi capelli sono quelli di Baji, le tue espressioni sono le sue e anche il tuo modo di parlare. Io ho amato la versione di Baji che proiettavo su di te, non ho mai amato te. Posso dirlo con certezza ora. In tutti questi anni non ti ho mai amato, ho amato l’immagine mentale che ti ho obbligato ad avere e indossare, forzandoti nei miei ricordi, in modo che assomigliassi a Baji, ma tu sei solo colui che l’ha ucciso, come puoi spartire qualcosa con lui?”

Kazutora era in lacrime: tutto ciò che avevano creato era stato uno scherzo, una finzione, un bisogno di colmare un vuoto che lui stesso aveva creato non solo nel suo cuore, ma anche in quello di Chifuyu.

E Chifuyu aveva sempre finto con lui, lo aveva illuso di poterlo amare, illuso qualcuno potesse ancora volerlo, solo per far vivere un po’ più a lungo Baji perché di sognarlo non gli bastava, voleva viverlo, vedersi muovere, parlare, ridere, pranzare e cenare con lui.

Ma era solo un’illusione e prima o poi se ne sarebbe dovuto rendere conto.

Sia lui che Chifuyu.

Solo che Chifuyu lo aveva fatto da solo, senza poter condividere la sua realizzazione con lui, se non durante un giorno di lavoro, un giorno particolarmente difficile perché erano quindici anni che Baji era morto e quelle giornate pesavano un po’ di più sulle spalle di entrambi.

Eppure Chiuyu l’aveva guardato e gli aveva chiesto scusa per non averlo mai saputo amare, che entrambi meritavano di meglio e quel “meglio” era Baji e continuare a forzare quella relazione fatta di menzogne non avrebbe portato a nulla, se non al male.

Eppure quando Chifuyu chiude il negozio alle sue spalle, Kazutora piange.

Perché l’unica menzogna che aveva raccontato era quella di aver accettato quell’addio.

   
 
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