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Autore: Zobeyde    07/05/2022    6 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA CORTE DEI MIRAGGI

 




La prima impressione di Jim fu che la casa dell’Arcistregone del Sud si meritasse assolutamente il suo nome.
Il velodrago lasciò lui e Solomon di fronte a un vestibolo con arcate a ferro di cavallo rivestite da azulejos variopinte e dopo averlo superato si ritrovarono catapultati in una pagina illustrata delle Mille e una notte: aranci in fiore, mirti e palme da datteri facevano da cornice all’enorme palazzo, che splendeva nella luce vellutata del crepuscolo con le sue cupole dorate. Allievo e maestro percorsero una serie di cortili abbelliti con fontane zampillanti e vasche di ninfee; pavoni e fenicotteri rosa scorrazzavano nei giardini, e fra gli alberi, Jim vide pappagalli colorati e persino delle scimmie.
Tuttavia, c’era qualcosa di strano in quel posto. I fiori non lasciavano cadere nemmeno un petalo e nessuno di quegli animali aveva emesso un solo suono da quando erano entrati. Per Jim, che in mezzo agli animali del circo ci era cresciuto, la spiegazione fu presto chiara.
«Sono tutte illusioni.»
«Macon Ludmoore è il miglior illusionista al mondo» gli ricordò Solomon. «La Corte dei Miraggi è il suo palcoscenico e quello dei suoi apprendisti: non dare mai niente per scontato mentre siamo suoi ospiti.»
«Sta dicendo che non possiamo fidarci di lui? Avevo capito che foste amici.»
Lo stregone sospirò. «Mi piacerebbe crederlo. C’è stato un tempo in cui eravamo legati, ma dalla guerra contro l’Eretica sono passati anni e hai visto in che modo i Decani hanno indottrinato la gente di qui.»
Jim annuì, ripensando alla cerimonia a cui avevano appena assistito; il popolo di Arcanta amava la città che lo aveva accolto e protetto per secoli e credeva ciecamente in chi lo governava.
«Non mi illudo di sapere a chi offrirebbe la sua lealtà» proseguì Solomon con amarezza. «Se gli chiedessi di scegliere tra Arcanta e un vecchio nevrotico con tendenze autodistruttive.»
Non ha mica tutti i torti, convenne Jim, ma decise di tenere quel pensiero per sé. «Quindi, qual è il piano?»
«Sempre lo stesso: profilo basso con chiunque. Anche se a quest’ora saremmo già al sicuro a casa, se non ti fossi messo tanto d’impegno per stare simpatico a Macon.»
«Adesso sarebbe colpa mia?» protestò Jim. «Non posso farci niente se sono adorabile!»
«Non siamo qui per socializzare.»
«Neanche a lei non farebbe male, sa?» disse Jim. «Essere più socievole: forse il suo naso adesso sarebbe ancora dritto.»
Solomon non replicò, ma un guizzo della bocca rivelò che stesse trattenendo un sorriso.
L’Arcistregone del Sud li attendeva all’ingresso, con un piccolo lemure abbarbicato sulla sua testa e due giovani in uniforme viola e bronzo al suo fianco.
«Benvenuti alla Corte dei Miraggi!» li accolse con la solita vivacità, incurante del lemure che gli rovistava tra i capelli blu. «Entrate, entrate! Cyrus e Tariq vi mostreranno dove alloggerete. Fate come se foste a casa vostra e rilassatevi, siete tra amici!»
Entrati nell’atrio, Jim fu scortato alla sua stanza dal ragazzo di nome Tariq. Attraversarono anticamere e corridoi dai soffitti animati in modo spettacolare, con deserti in cui il vento mutava forma alle dune come onde e savane assolate dove gli elefanti giocavano spruzzandosi getti d’acqua addosso per rinfrescarsi. E mentre Jim li contemplava col naso all’insù, Tariq osservava lui.
«Alcuni di quegli affreschi sono opera mia» lo informò con orgoglio. «Il maestro ci dà molta libertà di iniziativa, così ci divertiamo a modificare l’aspetto della Corte come più ci piace.»
«Siete degli ottimi arredatori.»
«E il tuo maestro com’è con te?» domandò poi, senza smettere di fissarlo come fosse un animale particolarmente raro. Aveva un’aria familiare, pensò Jim, la pelle scura e gli occhi a mandorla dalle ciglia lunghe come quelle di un’antilope. «Solomon Blake è famoso per i suoi metodi…poco ortodossi.»
«Be’, ecco» fece Jim. «Sì, lui è dell’idea che viaggiare sia un ottimo modo per accumulare esperienze.»
«E avete viaggiato molto?»
«Abbastanza.»
«Sarà per questo che hai un accento così insolito.»
«Tu invece hai sempre vissuto qui?»
Il ghigno sfrontato di Tariq evaporò. «Sono nato a Marrakech, ma ho vissuto la maggior parte della mia vita ad Arcanta. I miei genitori non hanno voluto seguirmi.»
Jim batté le palpebre. Ecco chi gli ricordava…
«Tuo padre è Yusuf Alzanar?» chiese e quando il giovane assunse un’espressione meravigliata, spiego: «L’ho incontrato nel Meridiano. Ci teneva molto a rivederti.»
Tariq sbuffò con sufficienza. «Sì, è mio padre. Ma non credevo che sarebbe venuto sul serio.»
«Perché, non andate d’accordo?»
«La mia casa ora è la Corte dei Miraggi» affermò Tariq, con una sfumatura fredda nella voce. «Macon mi ha dato una grande occasione, se i miei genitori non sono riusciti a trovarsi un posto ad Arcanta non è un problema mio.»
Subito dopo però, gli rivolse uno sguardo tagliente. «Ho saputo che Solomon Blake non ha accettato più allievi dopo lo scontro con l’Eretica.»
«Ah» fece Jim. «Ehm, sì, l’ho sentito.» 
«E poi, esattamente diciott’anni dopo, spunti fuori tu, un Esterno per giunta» riprese Tariq, assottigliando gli occhi da antilope. «Curioso, non credi?»
«Già» disse Jim, senza sapere quale risposta si aspettasse. «Nella vita si può sempre cambiare idea, no? Magari non ha trovato ad Arcanta ciò che cercava.»
Tariq sorrise in maniera enigmatica. «Suppongo di sì. E siamo tutti molto curiosi di scoprire di cosa si tratti.»
Per fortuna, poco dopo giunsero di fronte alla sua stanza, dando a Jim un buon motivo per interrompere quella strana conversazione.
«Il ricevimento si terrà alle nove nella Sala dell’Astrolabio» disse Tariq. «Nel frattempo, la Corte è a tua completa disposizione; ti consiglio di approfittare per riposarti, le feste di Macon possono risultare impegnative per chi non ci è abituato.» E senza aggiungere altro, batté i tacchi degli stivali e lo lasciò davanti alla porta.
La camera che Macon gli aveva messo a disposizione sembrava l’alloggio di un principe, pieno di cuscini, ottomane e tappeti persiani striati dagli ultimi raggi di sole che filtravano dalle finestre traforate; il genere di ambiente, insomma, in cui Khazam sarebbe cresciuto se fosse stato un personaggio reale e Jim trovò la cosa piuttosto ironica.
Ma nel ricordare Khazam, i suoi pensieri tornarono anche al circo. Chissà cosa avrebbero detto i suoi amici di Arcanta; sarebbe stato divertente esplorare insieme ad Arthur il palazzo, e Vanja sarebbe letteralmente impazzita di fronte agli abiti e ai gioielli che esibiva la gente di lì! Sorrise a quel pensiero, ma subito dopo avvertì una fitta di tristezza lancinante, perché Arthur e Vanja non sarebbero mai venuti con lui ad Arcanta. Probabilmente, non li avrebbe rivisti mai più.
Si sforzava in tutti i modi di non pensarci, ma c’erano giorni in cui la vecchia vita gli mancava come l’aria. E in quei momenti non poteva fare a meno di chiedersi cosa stessero facendo i suoi amici, se stessero tutti bene. Se ogni tanto pensassero a lui, se anche loro sentissero costantemente quel vuoto in mezzo al petto.
Verso le otto, Solomon lo raggiunse con l’abito che gli avrebbe prestato per il ricevimento. Attese nel salottino che Jim si cambiasse dietro un separé, e quando fece la sua comparsa, gli rivolse un sorriso raggiante. «Però, che trasformazione!»
Jim invece rispose con una smorfia. «È da vecchio.»
«È classico.»
«Mi scambieranno per un cameriere!»
«Sciocchezze, sei molto affascinante» ribatté lui sventolando la mano. «E poi non possono scambiarti per un cameriere: non ce ne saranno.»
Prese a esaminarlo da varie angolazioni, neanche fosse un pezzo d’arte contemporanea.
«Vedrai che non sarà così male» disse, mentre gli rifaceva il nodo al papillon. «E poi Macon non ha tutti i torti: un po’ di divertimento ti ci vuole.»
«Pensa che gli altri suoi colleghi se la siano bevuta?»
«Difficile dirlo, per il momento sembra che stiano al gioco» disse Solomon. «Approfitterò della serata per scoprire cosa sanno: come hai detto tu, “socializzare”.»
«E nel frattempo io cosa dovrei fare?»
Solomon gli diede una pacca dietro la schiena. «Non farci uccidere, se ti riesce.»
Così vestiti, i due stregoni uscirono nel corridoio, ma si trovarono di fronte un altro allievo di Macon, un lentigginoso ragazzino sui quattordici anni che era letteralmente sbucato dalla parete.
«Il maestro mi ha chiesto di scortarvi all’Astrolabio» spiegò, col tono di chi ha sulle spalle una grande responsabilità. «Restate vicino a me, per favore: l’architettura stasera è un po’ ballerina.»
E s’incamminò con passetti frettolosi. Jim non era sicuro di aver capito, ma in effetti quel posto era un autentico labirinto, con tutte quelle scale e porte vere e dipinte a trompe-l’oeil. E presto capì anche cosa intendesse l’allievo con “architettura ballerina”.
Si stava apprestando a scendere l’ennesima scalinata, con gli occhi fissi sulla schiena di Solomon per paura di perderlo di vista, quando improvvisamente finì di faccia contro un muro; la scala si era trasformata in un affresco e sia Solomon che l’allievo erano scomparsi.
«Ma che..?»
Colse delle risate alle sue spalle e vide tre ragazzini sbucare dalle tende di un’alcova per poi sparire dietro una porta che credeva fosse dipinta.
«Ehi!» gridò Jim. «Rimettete subito a posto quella scala!»
Cercò di raggiungerli, ma la porta dietro cui si erano nascosti era tornata a essere solo un affresco molto realistico.
«Merda!»
«Signor Cavendish!» rimbombò una voce leziosa dall’altra estremità del corridoio. «Che incredibile coincidenza trovarla qui!»
Il direttore dell’Oraculum, Seneca Honeyfoot, stava venendo a passo svelto verso di lui, con le code bianche della redingote che gli svolazzavano dietro.
Oh, non adesso!
«Mi deve ancora quell’intervista, si ricorda?»
«Scusi, sono in ritardo!» replicò Jim in tono festoso e si tuffò dietro il primo angolo disponibile.
«Ma dove va? Aspetti!»
Senza avere la più pallida idea di dove stesse andando, Jim imboccò corridoi a casaccio, finché qualcuno non gli finì addosso.
Era Alycia, fasciata da un lungo vestito di satin grigio-argento. «Che fai qui? Dovresti essere con mio padre.»
«Ho avuto un piccolo contrattempo…»
«Signor Cavendish, si fermi! Le porterò via solo un minuto!»
Alycia non perse tempo e lo tirò insieme a lei all’ombra di una nicchia, poi fece saettare le dita e l’aria si increspò come uno specchio d’acqua.
Attesero immobili e in silenzio nell’angusto spazio, protetti dall’incantesimo. Sebbene non fosse proprio ciò che Jim aveva in mente, gli era mancato starle così vicino; il suo profumo inconfondibile, dolce e fresco, gli riempiva le narici e con quel vestito era bella da togliere il fiato. Dalla loro ultima sera insieme a New Orleans non aveva fatto che pensare a lei, e anche in quel momento moriva dalla voglia di annullare del tutto le distanze e mangiarla di baci. Alycia però non incrociò il suo sguardo neppure per un istante.
«Quel dannato marmocchio!» borbogliò Honeyfoot, passando loro davanti ma ignorandoli completamente. «Dove si è cacciato adesso?!»
Non appena i suoi passi si ridussero a un’eco, Alycia si sottrasse. «Bene, via libera.»
Un po’ a malincuore, anche Jim abbandonò il nascondiglio. «Gli allievi di Macon mi hanno fatto proprio un bello scherzetto.»
«Sì, è il loro modo di dire “benvenuto”» disse lei, tenendo d’occhio le estremità del corridoio. «Ci vuole un po’ di esercizio, ma non è difficile riconoscere i luoghi veri da quelli illusori: basta fare attenzione ai paradossi.»
«Paradossi?»
«Ti faccio vedere.»
Lo condusse giù per un’altra rampa di scale e indicò un vaso di gerani da cui i petali invece che cadere a terra salivano verso l’alto.
«Quando tante illusioni agiscono nello stesso luogo capita che nascano delle sovrapposizioni» spiegò.  «E la maggior parte degli allievi è troppo pigro per correggerle.»
Riprese subito il cammino e dopo un po’, si fermò di fronte a un salone grande come una cattedrale.
Tutto brillava, dal pavimento di marmo policromo alla volta blu solcata da costellazioni. Le pareti tondeggianti erano rivestite da arazzi viola e bronzo, che conferivano all’ambiente l’aspetto di una gigantesca tenda. L’Astrolabio era affollato, caldo e illuminato da una dozzina di candelabri fluttuanti; ogni tavolo traboccava di pietanze di ogni genere, zuppe aromatizzate, quaglie e conigli arrosto serviti su foglie di banano e una vasta gamma di torte a più piani coperte di glassa.  Come centrotavola torreggiavano sculture di ghiaccio a forma di pavone, mentre, proprio al centro della sala, c’era una fontana dentro cui sguazzava un trio di vere sirene con le conchiglie posizionate nei posti giusti, che porgevano ai passanti vassoi di ostriche.
Gli invitati, in abiti dalle forme e colori stravaganti, danzavano su una melodia di ʿūd, flauti e percussioni suonata da un’orchestra invisibile e tra la folla si esibivano anche ballerine rivestite di foglia doro, mimi e contorsionisti. Per un attimo, a Jim sembrò di essere tornato al circo.  
«Alla faccia della “festicciola intima”.»
«Mio padre è laggiù» disse Alycia, facendo un cenno di fronte a sé; dall’altra parte della fontana, Macon stava intrattenendo un capannello di ospiti parlando ad alta voce e indicando con ampi gesti lui e Solomon. «Raggiungilo e cerca di non perderlo più di vista, va bene? Io adesso devo andare.»
E si allontanò di nuovo in tutta fretta.
Ma Jim stavolta la rincorse: «Aspetta! Non hai nient’altro da dirmi? Sono venuto fin qui apposta per te.»
Dopo pochi passi Alycia si fermò, le spalle rigide. Poi, tornò indietro e lo fissò dritto negli occhi. «Sì, qualcosa da dirti ce l’ho: è stato da irresponsabile venire ad Arcanta.»
Jim rimase spiazzato. «Ma io…»
«Stai mettendo tutti noi in pericolo, te ne rendi conto? Me, mio padre, te stesso!»
«Guarda che tuo padre era d’accordo» replicò Jim. «E poi credevo che quella cerimonia fosse importante per te.»
«Io non te l’ho chiesto.»
Jim sbuffò con impazienza. «Sì, è così che funziona: quando vuoi fare un gesto carino per qualcuno non aspetti che te lo chieda!»
«Alycia, cara!»
Una ragazza avvolta in un cheongsam[1] cremisi dai ricami in oro si fece largo tra la folla, con una sigaretta a bocchino languidamente tenuta tra le dita.  Alycia alzò gli occhi, ma ingessò la faccia in un sorriso falso. «Oh, ciao Mei Lin!»
Aveva lucidi capelli neri raccolti in due piccoli chignon ai lati della testa e gli occhi a mandorla contornati di rosso. Jim la riconobbe subito, era una delle ragazze che avevano riso durante l’esposizione della tesi di Alycia, quella mattina.
«Ti ho cercata dappertutto! Sono secoli che non ci vediamo!» esclamò con voce incredibilmente squillante e, dopo aver esaminato Alycia da cima a fondo, aggiunse con un sorrisetto: «Sei ingrassata.»
Alycia arrossì, avvilita e rassegnata.
«Non ho neanche avuto modo di farti le congratulazioni per oggi!» riprese Mei Lin, sospirando con enfasi. «Scusa se non ce l’ho fatta a rimanere fino alla fine.»
«Tranquilla, non ti sei persa niente» replicò Alycia. «È stata una cerimonia noiosa.»
Ma Mei Lin aveva già spostato il suo interesse su altro. Cioè, Jim.
«E così ci rincontriamo, “amico delle piante”.»
Anche Alycia lo guardò, stupita. «Vi conoscete?»
«Abbiamo scambiato due chiacchiere» spiegò Mei Lin, il sorriso che si allargava. «Ma non siamo stati ancora presentati.»
«Oh… ehm, sì» fece Alycia, a un tratto impacciata. «Lui è il mio procugino Winston. Cavendish. Il nuovo assistente di mio padre.»
Mei Lin inspirò dalla sua sigaretta e sbuffò una nuvoletta di fumo rosa. «Non mi avevi detto che ci sono tipi così carini nella tua famiglia.»
«Mi reputano un difetto di fabbrica» rispose Jim, con fare accattivante.
Mei Lin rise. Alycia, no.
«Sono Shu Mei Lin» si presentò la ragazza, sollevando una piccola mano con un tintinnio di bracciali. «Della Corte dei Sussurri.»
Jim ricambiò il sorriso e si portò la sua mano alle labbra. «Incantato.»
«Mei Lin è un’allieva di Una Duval» specificò Alycia, con voce secca. «Papà te ne ha sicuramente parlato, Winston.»
«In effetti, la Corte dei Sussurri è famosa per la sua riservatezza» replicò Mei Lin ammiccando. «Ma forse qualcosina a te posso rivelarla. Durante un ballo, magari. Sempre se a tua cugina non dispiace.»
«Oh, sono sicuro che non le dispiace» rispose Jim, offrendo ad Alycia un sorrisetto vendicativo. In cambio, lei gli restituì uno sguardo di ghiaccio tipicamente “alla Blake”, ma rispose in tono neutro: «Ma no, certo. È tutto tuo.»
«Perfetto!» miagolò Mei Lin, stringendosi al braccio di Jim. «Cercherò di riportartelo tutto intero.»
Alycia non disse niente, limitandosi a seguirli con lo sguardo mentre si allontanavano insieme tra la folla. 
 
[1] Cheongsam: tradizionale abito femminile cinese, caratterizzato da colletto alto abbottonato con alamari che scendono in diagonale dalla base del collo fino all’ascella e spacchi laterali molto profondi
  
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