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Autore: Usagi    07/05/2022    1 recensioni
Seguito de "Il Richiamo della Terra". Per Hitomi è l'inizio di una nuova vita insieme all'uomo che ama, tuttavia tra responsabilità e una Gaea da ricostruire, il suo destino si intreccerà ancora una volta con quello dell'antico popolo di Atlantide. « E' giunto il momento di sperimentare le potenzialità della Macchina di Atlantide. » Storia revisionata al 05/2017 e attualmente in prosecuzione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merle, Millerna Aston, Nuovo personaggio, Van Fanel
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Cieli di Gaea '
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The Vision of Escaflowne

«L’Ultimo Paradiso»


 
8
 
Suoni nell’oscurità

« Rispondere all'acciaio con l'acciaio 
 è l'ineluttabile dovere di un Cavaliere. 
»

 

Le notti di Zaibach erano fredde, nonostante fosse già quasi estate. 

Il territorio brullo e circondato dalle montagne rendeva quella regione desolata e inadatta alla prosperità, tuttavia, l’Imperatore Dornkirk era stato in grado di sfruttare i giacimenti minerari del suo sottosuolo per renderla una potenza militare gloriosa.

Utilizzando la sua intelligenza e la grande forza di volontà di quel popolo, Zaibach era divenuto un impero in un tempo sufficientemente breve da diventare minaccioso per la potenza belligerante che era stato in grado di sviluppare.

Hitomi, nell’apprendere la storia recente dell’Impero di Zaibach, aveva trovato un’interessante assonanza con qualcosa che era successa, ad un certo punto, sulla Terra: sapeva che quell’avanzamento culturale corrispondeva a quel periodo storico che aveva studiato nei libri di scuola, quando ancora era una studentessa giapponese. In occidente, si era verificato un fenomeno simile che poi era passato alla storia come “età industriale” e che aveva riguardato prima il cuore dell’Europa e solo poi aveva raggiunto gli estremi del pianeta terra.

Le grandi ciminiere che svettavano tra le abitazioni più basse probabilmente avrebbero potuto funzionare ancora, se fossero state alimentate a dovere, pensò Hitomi, osservando la città dall’alto.

Doveva esserci qualche ritardo nei piani di Rakos, poiché erano atterrati solo qualche ora dopo il tramonto del sole. In ogni caso, fu impressionata dal fatto che il Reggente di Basram non si facesse alcun problema a mostrarsi così apertamente, attraccando la nave proprio in prossimità del grande palazzo nella quale si trovava il quartier generale dell’Impero.

« Dopo la fine della guerra, Basram aveva tutti i diritti di controllare i territori di un suo vecchio alleato. » aveva spiegato Rakos, portandola all’interno del palazzo, i corridoi erano freddi ma tenuti illuminati da candele che diffondevano odore di fumo e cera.

Rakos aveva ripreso a spiegarle la situazione. « Ufficialmente, la giurisdizione di questi territori è stata disciplinata dall’accordo di pace, si vocifera che il popolo abbia chiesto di poter eleggere un suo rappresentante, visto che tutti i generali di Zaibach sono morti. » aveva riso allegramente, con sincera ironia, « Non credete che sia assurdo? Il popolo che sceglie il proprio sovrano! »

Hitomi non fu d’accordo con lui. « Io non credo che sia così sbagliato. In fondo, credo che sia giusto che siano le persone a determinare il modo in cui vivere nel luogo in cui abitano. »

Rakos si era fermato sui suoi passi, guardandola con aria sinceramente sorpresa.

« V-voglio dire. » cercò di spiegarsi, sentendosi improvvisamente in imbarazzo « Funziona così sulla Luna dell’Illusione. Non solo in Giappone, da dove provengo io, ma in quasi tutto il pianeta, ecco. »

Rakos si fermò ad osservarla, il suo sguardo era visibilmente interessato.
 « Giappone. È questo il nome del regno in cui siete nata? »

Hitomi annuì. « Sì. Centinaia di anni fa anche il Giappone era un Impero. Adesso è uno stato democratico. »

L’uomo si accese d’interesse. « Cosa significa “stato democratico”? »

« è quando le persone si riuniscono e decidono tutte insieme le leggi e le fanno rispettare. »

« E chi stabilisce l’autorità? Non avete un re o un ministro del culto che per diritto determina il controllo e la sovranità sul popolo? »

Hitomi scosse il capo. « Sì, abbiamo ancora un imperatore, ma non ha più il controllo sul Giappone. È più una figura di rappresentanza, un simbolo delle nostre tradizioni. È il popolo stesso che sceglie dei rappresentanti attraverso una votazione che coinvolge tutte le persone che vivono in quel luogo. »

Rakos di Basram sembrava scioccato e al contempo affascinato. Anche per lei era una novità: nessuno le aveva mai chiesto apertamente delle cose talmente specifiche sulla sua Terra. 

Rakos allungò il braccio indicandole la porta chiusa in mezzo ad un corridoio. 
 « Questa sarà la vostra stanza. Fintanto che resterete qui non sarete trattata come una prigioniera. Potrete muovervi abbastanza liberamente all’interno di questo palazzo. »

Hitomi venne scortata all’interno della stanza: essa era piuttosto grande ed un fuoco ardeva già all’interno. Doveva essere stata preparata quando erano arrivati. Fece qualche passo all’interno, dandogli le spalle.

« Suppongo che la libertà di muovermi sia molto limitata anche qui, giusto? »
 Non lo vide, ma comprese che l’uomo aveva appena chinato il capo.

« Una guardia sarà ai vostri ordini per scortarvi tra le sale di questo palazzo. »

Sentì di fare una precisazione doverosa. « Ai miei ordini, o ai vostri piuttosto? »

Rakos abbassò le spalle. « Vostri, fino a quando essi non vadano in diretto contrasto coi miei. »

Hitomi apprezzò lo sforzo di cortesia che stava usando nei suoi riguardi e annuì lievemente, senza aggiungere altro. 

« Manderò qualcuno affinché si occupi delle vostre necessità personali. »
 Un suono inconfondibile si diffuse lieve ma udibile proveniente dall’addome della ragazza. Hitomi sobbalzò e il rossore le arrivò fino alle orecchie.

« Non temete, farò in modo anche che mangiate a sufficienza. Il viaggio deve essere stato comunque faticoso per voi: siete ancora molto pallida. » 

Nonostante stesse continuando a mantenere una fredda cortesia, Hitomi sentì, ancora una volta, nel suo tono di voce la sfumatura di una sincera preoccupazione. Se ne andò subito dopo.

Una volta rimasta da sola, Hitomi andò prima di ogni altra cosa a sedersi sul letto. 

Nonostante fosse già buio, non si sentiva pienamente stanca. Era sorpresa e perplessa al contempo di trovarsi all’interno del palazzo che solo poco tempo prima aveva ospitato il quartier generale dell’Impero di Zaibach. Era stato costruito per volere dell’imperatore Dornkirk e si sentiva piuttosto a disagio.

Nonostante la sensazione di essere in pericolo era svanita, in lei si fece strada l’urgenza di trovare il modo per liberarsi da quella situazione. Guardandosi allo specchio si accorse prima di tutto del suo stato assolutamente pietoso. Era ancora avvolta nel manto che Rakos le aveva dato, ma non poteva indossare quello e continuare a portare il suo abito nuziale che in più punti si era letteralmente strappato. Sorrise stancamente ricacciando le lacrime indietro, l’assurdità della situazione le fece provare pena per se stessa.

Guardandosi intorno, individuò nella stanza un grosso armadio. Ritenendo che non ci fosse ragione di indugiare, lo aprì, cercando al suo interno qualcosa che potesse indossare senza sembrare una fuggitiva. Fu fortunata. Trovò dei vestiti semplici e che sembravano adatti alle sue misure. Lo stile le ricordò in qualche modo gli abiti che andavano di moda ad Asturia, lunghi e con ricami all’altezza delle spalle e della scollatura. 

Desiderando, come di tanto in tanto accadeva, di poter indossare ancora una volta un paio di jeans, doveva rassegnarsi all’idea di indossare una gonna, purtroppo, ma sempre meglio che continuare ad indossare ciò che rimaneva del suo abito da sposa.

La gonna era lievemente a pieghe e raggiungeva le caviglie, era tinta di un colore pallido, un arancione non troppo acceso che ben si adattava con la sobrietà di quei luoghi ma ciò che la sorprese davvero fu il rivestimento interno di tessuto. In pelliccia, poiché con molta probabilità a Zaibach faceva freddo più che a Fanelia. Hitomi sapeva che in quelle zone non era insolito che cadesse la neve e c’era molto più freddo che altrove anche a causa delle montagne vicine. La prospettiva di potersi coprire di più era molto più allettante. 

Proprio quando ebbe finito di rivestirsi sentì bussare alla propria porta. 

Fece capolino una giovane fanciulla. Aveva corti capelli castani raccolti in una coda di cavallo e portava con sé un vassoio con del cibo ancora fumante. Chinò delicatamente il capo facendo il suo ingresso nella stanza.

« Mi chiamo Elyse e sono una cameriera di questo palazzo. Mi è stato chiesto di occuparmi di ogni vostra necessità. »

Hitomi l’osservò meglio. Era giovanissima, non dimostrava più di dodici o tredici anni. Aveva un viso rotondo e una spruzzata di lievissime lentiggini sul naso e sulle gote. L’oscurità nella stanza non le permetteva di discriminare correttamente quale fosse il colore dei suoi occhi, ma intuì una luce infantile e gioviale che la fece rilassare subito.

Vedendo che lei non aveva ancora detto nulla la giovane fece un altro passo.
 « Vi ho portato la cena. Se c’è qualcos’altro che preferite farò il possibile per accontentarvi. »
 Hitomi finalmente recuperò l’uso della parola. 

« Grazie, io… va bene così. »

Il suo stomaco sembrò apprezzare ciò che i suoi occhi videro sul vassoio con l’ennesimo brontolio rumoroso. La fanciulla fece finta di non sentire ma andò a poggiare con delicatezza il cibo sul tavolo posto ad un lato della stanza. Si soffermò a lungo sull’abito da sposa rovinato adagiato sul letto, ma per rispetto non disse nulla.

« Mangiate pure, prima che si freddi. Penserò anche ad alimentare il fuoco in questa stanza. »

Hitomi si era avvicinata al cibo quasi automaticamente.

« Il mio nome è Hitomi, piacere di conoscerti. » iniziò a mangiare, più che altro perché la ragazzina sembrava essere impegnata a sistemare i ciocchi di legna dentro il piccolo camino posto su un lato della camera e lei era davvero affamata. Era silenziosa e diligente, notò Hitomi. Forse poteva permettersi di essere più rilassata almeno in sua presenza. 
 « È da molto che lavori in questo palazzo? » 

La fanciulla ritornò immediatamente in posizione eretta. Sembrava essere vagamente stupita di aver ricevuto attenzione.

« Sì. Sono già trascorsi quattro anni. Prima lavoravo nelle cucine, ma adesso che sono più grande mi è stato permesso di diventare una cameriera. Anche se sono giovane ho già molta esperienza, non dovete preoccuparvi. » Aveva stretto le mani lungo il grembiule ed aveva abbassato lo sguardo, lievemente in imbarazzo.

Hitomi sorrise e si affrettò a chiarire. « Non devi preoccuparti di queste cose, con me. In ogni caso, non starò qui per molto. » 

Elyse sollevò il capo, stupita da quella affermazione. « Ma voi siete la preziosa ospite del nostro sovrano Rakos! Non potete andarvene già via. »

« Ospite? Una prigioniera, piuttosto. Non sono certo qui per mia volontà. » 

« Questo non è possibile! Il nostro reggente non è certamente una persona cattiva. »

Hitomi era perplessa di fronte ad una tale accorata difesa. Con molta probabilità, concluse, quella giovane ragazza non poteva davvero conoscere le reali motivazioni per cui era stata condotta in quel palazzo. 

« Aveva detto che voi ci avreste aiutato a rendere Zaibach un posto migliore, che sareste rimasta poiché con il vostro potere potete cambiare tutto quanto! »

Hitomi aveva spalancato gli occhi, sorpresa nel vedere che ci fosse qualcuno pronto a difendere sinceramente le azioni di quell’uomo.

« Hai visto anche tu la guardia alla mia porta. »

« Quella guardia serve a proteggervi. Per noi tutti siete davvero un ospite molto importante, vogliamo che vi sia garantita ogni necessità e la giusta protezione. »

« E da chi dovrei essere protetta? »

Adesso che la luce del camino acceso aveva reso più luminosa la stanza, Hitomi poté vedere più chiaramente lo sguardo della ragazzina. Occhi castano chiaro, tendente al colore dell’ambra erano accesi di pura determinazione. Era evidente che quella fosse una persona estremamente devota al suo servizio. Vide la sua incertezza e seppe di averla messa in difficoltà.

« Mi dispiace, ma io non dovrei essere qui. » spiegò Hitomi, indicando con lo sguardo il vestito che aveva lasciato sul letto.

Elyse sembrò non capire, scosse il capo e mosse lunghi passi verso l’uscita della porta.
 « Mi sono attardata troppo dalle mie incombenze. Voi sarete di certo stanca, dopo il lungo viaggio. Fatemi chiamare per qualsiasi cosa abbiate bisogno. »

Chinando il capo si era dileguata in fretta, chiaramente in difficoltà dal continuare quella conversazione. Sazia del cibo che aveva appena mangiato, la sensazione di sonnolenza e stanchezza s’impadronì in fretta di Hitomi. Il fuoco stava già iniziando a riscaldare la stanza e le arrivava un tepore piacevole che la spinse a rilassarsi fisicamente lasciandosi andare sul letto.

Il materasso era piuttosto morbido e le lenzuola profumavano ancora: evidentemente erano state lavate recentemente, realizzò, sfiorandole con la punta delle dita.

Era stato impossibile per lei, rendersi conto della reale grandezza del castello così immerso nell’oscurità della notte. Sembrava una enorme sagoma di una piramide priva di punta dall’esterno, ma sebbene una tale grandezza dovesse suggerire sfarzo, invece ciò che aveva visto fino a quel momento, rivelavano, invece un aspetto piuttosto semplice e austero all’interno. Era evidente che quel luogo aveva ospitato a lungo una nazione che era stata praticamente militarizzata sotto ogni punto di vista.

Persino dalla finestra non riusciva a vedere nulla, pensata per essere stretta così da reggere al meglio un eventuale assedio.

Era passato un altro giorno, un altro lungo giorno lontano da Van.

Chissà quanto dovesse essere preoccupato per lei in quel momento. Poteva solo immaginare quanto fosse in pena per le sue sorti. Anche per lui, Hitomi sentiva di non poter più lasciarsi andare allo sconforto e accettare passivamente tutto quello che le succedeva. Non sarebbe stato facile trovare una via di fuga, l’ultima volta che aveva lasciato Zaibach era stato proprio a bordo dell’Escaflowne. A meno che Van non riuscisse a trovarla e a trarla in salvo una seconda volta avrebbe dovuto trovare un modo per provare ad andarsene, fuggire. 

Le mancavano molte informazioni, realizzò, vedendo quanto potesse essere complicata quell’impresa.  Capire quelle che erano le intenzioni di Rakos avrebbe potuto aiutarla di certo ad anticipare le sue possibili mosse ma il giovane si era chiuso nella sua corazza di cortesia e non aveva parlato di nulla, rimanendo di fatto un mistero. 

Si addormentò cercando di capire come avrebbe potuto tirarsi fuori da quella situazione.

 

Il suono delle sue scarpe da tennis quando correva produceva lo stesso rumore che avrebbe generato se avesse corso in pista. Eppure, nell’oscurità del suo sogno, Hitomi avanzava in una direzione ben precisa, diretta verso una destinazione che aveva ben chiara in mente. Era un’immagine piuttosto bizzarra, la sua, visto che indossava un vestito la cui foggia ricordava lo stile che esisteva su Gaea, quando invece avrebbe dovuto indossare i suoi pantaloncini sportivi. Come quando si era ritrovata costretta a strappare il vestito che le era stato dato ad Asturia per poter riuscire a correre con maggiore agilità, anche in quell’occasione la gonna che indossava era strappata in maniera irregolare in più punti mostrando le gambe nude e scoperte fino a poco sopra il ginocchio.

Sentiva l’urgenza di affrettarsi, poiché sapeva che c’era poco tempo per porre fine all’enorme errore che avrebbe potuto facilmente rovinare tutto ciò che era stato costruito fino a quel momento. Non c’era nessun’altro che avrebbe potuto impedire che il peggio accadesse. 

Con sgomento, fu costretta a fermarsi: le sue mani erano viscide e umide, guardandole, si accorse che erano ricoperte di sangue. Il liquido nonostante fosse vischioso era così abbondante da gocciolarle tra le dita e lungo i polsi. 

Sangue non suo. 

Le arrivò al naso l’odore e la vista le si annebbiò. Al suo cuore mancò un battito: sapeva di chi era quel sangue.

 

 

« Van, cosa hai intenzione di fare? »

La voce del Cavaliere Celeste lo raggiunse alle sue spalle. Lui si trovava all’interno di un’ala del castello che da sempre aveva contenuto i guymelef appartenenti a Fanelia. Il loro arsenale di armature da combattimento contava meno di quindici guymelef, più di quanti il suo regno ne avesse avuti. 

Nel corso dei mesi erano stati ricostruiti, riparati o donati alla nazione che aveva il privilegio e l’orgoglio di ospitare colei era benedetta da Gaea stessa. 

Al centro di quella grande sala capeggiava l’Escaflowne, un posto privilegiato non a caso. Van aveva fatto costruire un’apertura sommitale esattamente sopra l’alloggiamento. Lo aveva pensato per una rapida sortita, per fronteggiare una minaccia improvvisa.

Curiosamente, quella sarebbe stata la prima volta che l’avrebbe usata.

« La guerra non è che un pretesto per perdere tempo! Lui è da qualche parte con Hitomi! Hai sentito anche tu cosa vuole fargli quel maledetto Rakos. »

Aveva indossato abiti comodi, da viaggio, una blusa rossa e un paio di pantaloni chiari, la spada al suo fianco legata alla cintura. Era pronto ad andare. Ogni minuto che passava lontano da Hitomi era un minuto in più in cui lei si sarebbe trovata in pericolo.


 « Signorino Van! »


 Ovviamente. Sapeva chi c’era dietro a quella fuga di informazioni. Merle era appena entrata nella sala, trafelata e visibilmente in difficoltà.

« Hai intenzione di lasciare il tuo popolo senza una guida? » Allen aveva usato un tono oltraggiato: sapeva come ferire il suo orgoglio, si conoscevano abbastanza da sapere l’uno i punti deboli dell’altro. Proprio lui, forse più di tutti gli altri, non capiva come si sentisse?

« Non riesco neanche a proteggere la persona che amo, Allen. » 

Le parole erano venute fuori colme di una rassegnata frustrazione, lasciando cadere il silenzio per qualche lungo istante.

« Lui non le farà del male, Hitomi è troppo preziosa per la sua causa. »

« E tu cosa ne sai di quello che vuole farle? Hai sentito l’uomo-camaleonte? Quell’uomo era un alchimista dell’Impero di Zaibach. Adesso è Basram che ha il controllo di quella terra! Siamo stati così stupidi da pensare che nessuno sarebbe stato interessato a tutta quella tecnologia e noi abbiamo lasciato che la prendessero! » 

Si era finalmente voltato, mostrando la sua frustrazione e la sua ira chiaramente. 

Le mani indossavano i guanti rinforzati che lo aiutavano meglio ad utilizzare i comandi dell’Escaflowne, ma la forza con cui stava stringendo le mani chiuse a pugno faceva comunque sentire le nocche penetrare nei palmi. 

Allen Schezar, rimase silenzioso, accusando il colpo. Era stata una leggerezza che avevano commesso tutti loro, Asturia in primis. 

« Non andate via Signorino Van, come faremo senza di voi? » Merle era quasi in lacrime. Van la guardò a lungo e un po’ la compiacque: sicuramente anche lei era preoccupata per Hitomi ed in quei giorni aveva fatto del proprio meglio per essergli di supporto, sapendo che quella era l’unica cosa che avrebbe potuto fare. 

Anche lui doveva fare del proprio meglio.

« Ho già dato disposizione affinché i miei generali vi seguano in battaglia, Allen. Fanelia non si tirerà indietro quando viene minacciata. »

« E tu? Cosa farai? »

« Io… devo trovare Hitomi. Se le parole dell’uomo-camaleonte corrispondono a verità, se è vero che Rakos sta tentando di riportare in vita ancora una volta il Potere di Atlantide, allora utilizzerà di certo quello che l’Imperatore Dornkirk aveva scoperto. La sfera apparteneva a mio fratello. Sono sicuro che c’è un legame con questo, erano entrambi alchimisti. »

 « E se fosse una trappola? » fu Merle a parlare, muovendo un passo in avanti: aveva la coda sollevata e dritta, tesa.

« Lo è, quasi certamente. Ma nonostante questo andrò. »

« I tuoi soldati marceranno senza che vi sia il suo Re alla testa del suo esercito. »

« Se le mie supposizioni sono esatte, troveremo un esercito sguarnito. »

Allen aveva scosso il capo: « Sei forse impazzito?! Ed è tua intenzione andare da solo dove pensi che vi sia il grosso delle truppe? » strinse la mano sull’impugnatura della sua spada, come faceva ogni volta che stava cedendo al nervosismo « Non possiamo correre il rischio di dividere l’esercito. Preferisco andare da solo.»

« È una follia, questo non può definirsi un piano, te ne rendi conto? » 

Merle aveva preso a singhiozzare cercando di mantenersi silenziosa, con pochi risultati. 

« Signorino Van, vi prego… »

« Se dovesse succedere qualcosa a Hitomi, non me lo perdonerei mai. » 

Allen aveva annuito: « Ricordati che sei un sovrano, Van. Tuttavia sono sicuro che c’è un’altra soluzione. » il tono del Cavaliere Celeste era cambiato, le labbra si erano allungate in un sorriso sghembo. Il Cavaliere Celeste aveva avuto un’idea. 

Van rimase ad ascoltare.

 

Hitomi si svegliò di soprassalto, come se fosse stata colta da un incubo che, tuttavia, aveva dimenticato nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi. Ricordava vagamente il profilo dell’Escaflowne stagliarsi su un campo di battaglia con la luce del tramonto alle spalle, vessilli spezzati catturati dal vento e un cielo al tramonto avvolto dal fumo di fiamme lontane.

Aveva dormito solo qualche ora, notò, rendendosi conto che la stanza era completamente avvolta dalle tenebre e che anche il fuoco, non essendo più alimentato, era già ridotto ad un cumulo di braci ancora ardenti. 

Si sollevò seduta, portandosi una mano all’altezza della fronte: sentiva un dolore sordo pulsarle all’altezza delle tempie e che stava iniziando ad estendersi. La stanchezza non era ancora svanita dalle membra, infatti, pensò che avrebbe dovuto dormire ancora ma subito si sentì pervadere dall’angoscia e dall’inquietudine.  

Rimase con gli occhi chiusi, mentre con la mente, inevitabilmente, correva nuovamente agli ultimi momenti trascorsi nel fitto della foresta dove si era separata da Van.

Il suo disperato tentativo di fuga non aveva avuto alcun esito, l’energia che l’aveva avvolta era letteralmente deflagrata all’esterno, svuotandola. Qualche istante prima di perdere sensi però, si era resa conto che il suo potere aveva investito tutti gli altri coinvolgendo anche Van.

Era stata una stupida. Era comunque riuscita a complicare le cose, come al suo solito. Si sollevò seduta, completamente sveglia. Se fosse stata in grado di usare i suoi poteri forse le cose sarebbero andate diversamente forse… 

Una voce, un canto lontano risuonò da qualche parte all’esterno della sua stanza. Istintivamente si mise in piedi, spingendo di lato le lenzuola mentre cercava di osservare nell’oscurità intorno a lei. Solo un fascio di luce notturna emergeva dalla feritoia posta dall’altro lato della stanza, definendo i contorni degli oggetti intorno a sé. Il caminetto oramai ridotto ad un cumulo di polvere e braci prossime a spegnersi non le avrebbe fornito più luce della notte.

Lo sguardo andò alla porta, dove il riflesso di quella che doveva essere una torcia accesa, certamente per dare luce alla guardia che doveva essere ancora lì a svolgere il suo servizio di sorveglianza. Proprio in quel momento vide un’ombra attraversare il fascio di luce e allontanarsi all’improvviso. A quel punto, Hitomi era oramai in piedi, vinta dalla curiosità.

Elyse le aveva lasciato delle scarpe da notte che assomigliavano a delle babbucce. 

Le infilò alla svelta e apprezzò il fatto che fossero ricoperte di pelliccia e che non dovesse sentire il freddo del pavimento ai piedi. 

Il canto sembrava essersi affievolito, ridotto ad una melodia sempre più distante. Eppure, riusciva ancora ad udirlo chiaramente, da qualche parte all’esterno. 

Arrivò alla porta e con un movimento incerto, provò ad aprire lentamente appoggiandosi con una mano allo stipite. Rimase stupita quando si accorse che la porta non era stata chiusa dall’esterno. Rakos aveva detto, in fin dei conti, che sarebbe stata trattata da prigioniera.

Fu ancora più sorpresa quando si accorse che, contrariamente alle sue aspettative, non c’era nessuno a sorvegliare la porta. 

Mise un piede fuori dalla sua stanza e con la testa si mosse a destra e a sinistra senza incontrare anima viva. Il corridoio era avvolto dall’oscurità tranne che per qualche torcia ancora accesa. 

Hitomi si sentì rabbrividire e si rese conto di avere il cuore in gola. 

Quella poteva essere un’occasione insperata.

Il suo sguardo venne attirato da qualche parte alla sua destra e la melodia si fece più forte, riprendendo una strana cantilena di cui ancora non riusciva bene a comprenderne il significato. 

Lasciò la sua stanza senza neanche avere troppa cura di socchiudere la porta alle sue spalle. Quella melodia la incuriosiva enormemente al punto tale che non le importava risultare incauta. Fece qualche passo in avanti e un istante dopo vide un’ombra attraversare l’altro lato del corridoio.

Win dain a lotica

En valturi

Si lota…

Hitomi mosse i suoi passi e, nel frattempo, un piccolo anfratto della sua mente si sforzò per cercare di afferrare il senso di quelle strane parole che aveva udito. Una parte di sé aveva riconosciuto quel linguaggio. 

La melodia continuò e i suoi piedi si mossero da soli, seguendo la direzione del suono. 

Si mosse in silenzio e nell’oscurità, oltrepassando stanze chiuse e continuando, in silenzio ad inoltrarsi nella fortezza di Zaibach.

Ancora una volta sentì ripetere le parole accompagnate dalla melodia e questa volta, fu in grado di comprendere il significato celato dietro quelle sillabe appartenenti ad una lingua a lei sconosciuta. 

Si sentì avvolgere completamente dal suono e la sua mente ne fu soggiogata. 

Una minuscola parte di sé, la stessa che guidava i suoi movimenti e la guidava in quegli spazi che non conosceva si rendeva conto che si stava allontanando dagli alloggi e da una possibile via d’uscita, ma non le importava. 

Non indugiò neanche quando si trovò di fronte una rampa di scale completamente avvolta nell’oscurità. Le discese con la stessa naturalezza di chi sapeva esattamente dove mettere i piedi.

Sentì gli occhi pesare enormemente e nell’ultimo fulgido momento di consapevolezza capì di sentirsi come quando le erano state praticate le arti segrete dal Monaco Pranktu. 

Con la mente svuotata di ogni pensiero, solo la melodia e il canto lontano la stavano guidando. 

Arrivò ad un’ampia sala dove sorgevano dei macchinari che dovevano essere operativi a giudicare dal suono basso emesso dagli ingranaggi che riusciva a malapena a scorgere. 

Hitomi fu assalita da un senso di cognizione: sapeva dove si trovava perché c’era già stata una volta.  

Il laboratorio dell’Imperatore Dornikirk. O meglio, quello che ne era rimasto. 

La grande macchina che aveva tenuto in vita l’imperatore era stata spostata di lato, probabilmente troppo grossa per poter essere rimossa. Ma c’era un’altra cosa, qualcosa che attirò maggiormente Hitomi.

A partire dal pavimento si ergeva un pilastro alto circa tre metri sormontato in cima da una sfera verde dai riflessi dorati, sembrava leggermente illuminata al suo interno. Comprese proprio in quel momento che la melodia e il canto provenivano dall’interno. 

Allungando le braccia, l’istinto che ebbe fu quello di cercare di raggiungere la sfera. Cosa che, ovviamente, le risultò impossibile. 

Mi chiama…

Dedusse, nella sua mente. 

Si fermò ai piedi del pilastro e con lo sguardo sollevato verso l’alto continuò a rimanere lì ad ascoltare la melodia che proseguiva. 

Chiuse gli occhi, lasciando che la visione l’accogliesse.

 

C’era il profumo di fiori e di sole e i prati erano verdi tutt’intorno.

Ricordava di aver visto quello stesso paesaggio quando Gaea aveva unito il suo spirito con la sua anima perduta, ricostruendo l’antica capitale di Atlantide come se non avesse mai conosciuto un solo giorno di rovina. 

Quel mondo perduto era stato ricostruito ed era stato abitato nuovamente. 

Poteva sentire il vociare delle persone a distanza e già i suoi occhi riuscivano a scorgere, dal punto elevato in cui si trovava, le persone andare e venire nelle strade sottostanti. Alcuni si libravano nel cielo con ali candide lieti di accorciare le distanze in quel modo. 

Nessuno sembrava curarsi di lei, non era un elemento estraneo a quel contesto. 

Una parte di se stessa sapeva che avrebbe potuto muoversi con la stessa semplicità. Testò questa consapevolezza dando un preciso ordine al suo corpo e due ali bianche le spuntarono sul dorso. 

La parte di lei che stava vivendo quel momento e che era ancora legata ai ricordi della sua vita precedente si chiese come potesse essere possibile una cosa del genere. 

Da quando anche lei era in grado di volare?

Da quando lo aveva desiderato. 

La risposta le era arrivata alla mente con la stessa facilità. 

Avrebbe potuto mutare anche il suo aspetto, se lo avesse voluto. 

Pochi ci riuscivano ma lei ne sarebbe stata certamente in grado.

I paramenti che indossava, erano indice dell’alto rango che possedeva: la lunga veste e la gemma dello stesso colore del suo ciondolo appuntata al centro della veste, all’altezza del petto, riusciva a catalizzare i suoi poteri e permettere di realizzare l’impossibile.

Quel pensiero produsse una consapevolezza: lei era in grado di fare qualsiasi cosa.

Aveva già curato delle malattie e aveva guarito ferite che avrebbero certamente condotto alla morte tanti soldati. 

Hitomi si arrestò a mezz’aria, mentre nella sua testa si era formato un ricordo doloroso. 

Erano morti in tanti, in troppi, nella guerra che li aveva condotti a questo futuro e lei… Ebbe un sussulto e riaffiorò alla sua mente una rivelazione sconcertante. 

Era stato tutto a causa sua! 

Il senso di disperazione l’avvolse e si sentì quasi andare in pezzi. Aveva perso tutto in cambio di un futuro costruito sull’inganno. Il suo volo si fece incerto, le ali pesanti. Scosse la testa, lasciando che calde lacrime le annebbiassero la vista. 

Come aveva potuto pensare di dimenticarlo? 

Aveva creduto davvero di poter andare avanti in quel mondo che era stato costruito sul sangue di coloro che aveva amato. Neanche il suo stesso potere aveva potuto obliare quei ricordi dolorosi che aveva deciso di rilegare per poter continuare a sopravvivere. 

Tornò a guardare sotto di sé, la città brulicante di vita e di felicità solo apparente. Pianse, perché non era servito a nulla, tutti i suoi sforzi erano stati vani, già il seme del male aveva intaccato Gaea dalla profondità e lei… stava diventando uno strumento di terrore e paura verso coloro che aveva in verità voluto solo proteggere. Non aveva più alcun senso continuare in quel modo. Aveva fatto una scelta, credendo che avrebbe salvato tutti, ed invece, era stata tradita! 

Guardò in basso e individuò il campo fiorito dalla quale si era allontanata. 

Ora ricordava cosa stava per fare.



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Che sorpresa, questo capitolo!

In questi giorni, forse complice l'essere riuscita a scrivere un nuovo frammento nelle short-stories dedicate a questa long fic sono finalmente andata avanti con la storia principale! 

Finalmente sono riuscita a completare questo capitolo e, il successivo, è oramai alle sue battute finali. 

Non ho mai voluto accantonare la storia principale anche se è diventata impegnativa. La storia ha già raggiunto le oltre 100 cartelle su Word e questo mi fa capire quante ore abbia dedicato ad un lavoro di questo tipo.

In futuro, mi piacerebbe revisionare sia questa storia che "Il Richiamo della Terra": è certamente scritta con un registro linguistico che, ad oggi, ritengo essersi sviluppato ulteriormente. Tuttavia, sono sicura di una cosa: è mio preciso compito finire questa storia PRIMA di dedicarmi a progetti di review. Sento di doverlo fare per chi ancora popola questo fandom, per chi ancora - come me - riesce a scrivere qualcosa su questo Anime meraviglioso che avrebbe meritato certamente più attenzione.

Spero che ci sia ancora qualcuno a leggere questa storia e che voglia lasciare un commento. Non sapete quanto potete rendermi felice dirmi semplicemente cosa ne pensate.

A presto!

Usagi.

  
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