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Autore: michaelgosling    07/05/2022    1 recensioni
Tre amiche appassionate una di Harry Potter, una di Star Trek e una della Disney in seguito ad un incidente vengono catapultate ognuna in uno di questi universi, ma non di quello di cui sono fan.
Proveranno ad usare quello che sanno della storia per renderla migliore? O le loro azioni porteranno ad un finale peggiore? La loro presenza influenzerà queste storie molto più di quanto immaginano, perché una sola persona può cambiare tutto.
[Fandom Variabile: il Fandom in cui verrà pubblicata la storia dipenderà dall'ambientazione dell'ultimo capitolo pubblicato. Sarà comunque possibile trovare la storia anche negli altri due Fandom nella categoria Crossover]
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 3








 
 
“Ehy..”
 
Una voce lontana.. era ancora quella bambina? Non si era dissolta? E perché non riusciva a vederla?
 
“Ehy..”
 
La voce era più chiara. No, non era quella bambina. Era la voce di un bambino, un maschio questa volta, che però non riusciva a vedere. Sentiva solo la voce. Nolwenn continuava a muoversi, ma non riusciva a vedere nessuno.
“Ehy!”
 
Nolwenn sentì il suo corpo muoversi a scatti, eppure non si era mosso, era solo una sensazione, ma le sembrò terribilmente reale. Aprì gli occhi di colpo, e si trovò davanti un bambino chino su di lei.
 
Il bianco era sparito. La bambina sparita. Il sogno.. sparito. Era tornata nella foresta, e riusciva a sentire di nuovo il tronco dell’albero dietro la sua schiena e il dolore della ferita alla gamba.
 
Se quel ragazzino ebbe un attimo di paura dal suo risveglio improvviso, non lo diede a vedere: una mano teneva una vecchia lanterna, mentre l’altra l’aveva appoggiata sulle spalle di Nolwenn. Che fosse stato quel contatto a provocarle la sensazione che il suo corpo si era mosso? Quasi percependo i suoi pensieri, il bambino allontanò la mano dalla sua spalla e fece un passo indietro, rimettendosi eretto.
 
Aveva abiti vecchi e logorati fatti da qualcuno di inesperto, ma che comunque lo ricoprivano dalla testa ai piedi impedendogli di sentire freddo. I suoi capelli, dorati e lisci, erano così splendenti da riuscire quasi a fare più luce della lanterna, e i suoi occhi chiari la guardarono dalla testa ai piedi, più per preoccupazione che per scherno. Le mani e le dita erano sporche di terriccio, Nolwenn riusciva a vederne qualche minuscolo pezzettino anche sotto le unghie. Era evidentemente povero, ma ben curato e ben lontano dalla malnutrizione: era magro ma non in modo eccessivo, il viso leggermente paffuto e i capelli corti e curati. Non poteva avere meno di dieci anni.
 
“Ti senti bene? Hai bisogno di aiuto?” chiese, sinceramente in pensiero.
 
“Certo io..” Nolwenn spostò lo sguardo, cercando disperatamente le parole “.. stavo semplicemente facendo una pausa.”
 
Certo che aveva bisogno di aiuto e quel bambino sembrava un vero tesoro, ma sicuramente ha già i suoi di problemi e lei era una donna adulta che aveva superato la maggiore età da un pezzo.
 
“Non si direbbe.” Mormorò lui, indicando con la testa la ferita alla gamba “l’hai già medicata?”
 
Nolwenn guardò quel bambino per una manciata di secondi come se stesse per tirare fuori una risposta arguta, ma tutto quello che le uscì fu un imbarazzante “no”.
 
Il ragazzino si mise in ginocchio per osservare meglio la ferita. Quando si avvicinò, Nolwenn si accorse che somigliava spaventosamente al bambino di Room.
 
“Io ho delle bende con me, ma sono piccole e non riuscirebbero a coprire la ferita. Riesci a camminare?”
 
“Non lo so.” Rispose con imbarazzo Nolwenn.
 
Il bambino si rimise in piedi.
 
“Perché non vieni con me? Abito a mezz’ora da qui, e là dovrei avere le bende che ti servono.”
 
Nolwenn sorrise nervosamente.
 
“Sei un vero tesoro..” sospirò “ma non penso di riuscire a camminare per mezz’ora.”
 
“Chi ha parlato di camminare?”
 
Si spostò da un lato, e Nolwenn vide dietro di lui un vecchio carro di legno trainato da due cavalli. Al suo interno, c’erano dei secchi pieni d’acqua, sempre di legno.
 
“Io non.. non posso accettare. Grazie, davvero, ma non posso.”
 
Il bambino, che nel frattempo si era avviato verso il carretto, si fermò e la guardò.
 
“Stai aspettando qualcuno?”
 
Ovviamente no, ma Nolwenn questo non lo disse.
Si limitò ad abbassare la testa.
 
“In tal caso, non penso tu abbia molta scelta.”
 
Il bambino appoggiò la lanterna sul carro, poi tornò verso Nolwenn. La aiutò ad alzarsi e la accompagnò verso il loro mezzo di trasporto. Quando arrivarono a meno di un metro dai cavalli, la ragazza non riuscì a fare a meno di guardare gli animali, quasi emozionata.
 
“Cosa c’è?”
 
“Niente è che..” si sentiva tremendamente a disagio, ma non riusciva a trattenersi “i cavalli. Sono dei cavalli veri.”
 
Il bambino parve divertito.
“Non.. non avevi mai visto dei cavalli?!?”
 
“Non spesso, e non così da vicino.”
 
Si rendeva perfettamente conto di quanto stupida potesse apparire in quel momento, soprattutto considerando che se era davvero in un mondo del passato, era palese che i cavalli fossero la norma, ma non le importava. Lei era una ragazza di città, e gli unici cavalli che avesse mai visto erano o lontani o in TV.
 
Il bambino sembrò sul punto di ridere, ma non disse nulla. Quando furono sul carretto, prese le redini dei cavalli e con un piccolo movimento li fece partire.
 
“Come ti chiami?” chiese Nolwenn, mentre stendeva la gamba ferita.
 
“Mathieu.” Fece una pausa poi continuò “tu invece come ti chiami?”
 
“Nolwenn. I tuoi genitori non ti hanno detto di non fidarti degli sconosciuti, Mathieu?” non voleva che sembrasse come una ramanzina, così usò un tono scherzoso, che riuscì.
 
“Chi ha detto che mi fido di te?” rispose Mathieu trionfante, sorridendole.
 
“Beh, mi stai aiutando. Mi stai portando a casa tua. E se fossi cattiva? Se ti facessi del male?”
 
“E cosa potresti mai farmi? A mala pena cammini!”
 
“Ouch!” fece Nolwenn fingendosi offesa, dando un amichevole e gentile pugnetto sul braccio al bambino, il quale rise.
 
Calò di nuovo il silenzio, così Nolwenn decise di chiedere ciò a cui pensava da quando l’aveva visto.
 
“Che ci facevi da queste parti?”
 
“C’è un fiume a dieci minuti a piedi da dov’eri. Sono venuto a prendere dell’acqua.”
 
Già. Il carro è pieno di secchi con dentro l’acqua. Era ovvio. Che domanda stupida. Dovevo arrivarci.
 
“Tutto da solo? Non hai paura?”
 
“Ehy, ho undici anni!” fece Mathieu, come se fosse un uomo fatto ormai “lo faccio da quando ne avevo otto. Anche prima lo facevo, ma allora mi accompagnava mio padre.”
 
Deve essere davvero molto fiero di te. Undici anni e fai tutto questo. Io a undici anni pensavo solo a giocare, e credevo ancora a Babbo Natale.
 
Passarono il resto del tragitto in silenzio. Nolwenn vide che ogni tanto Mathieu le lanciava qualche fugace occhiata, un po’ divertito e un po’ incuriosito, e ogni tanto le guardava gli abiti che indossava e si tratteneva dal ridere. Prima o poi le avrebbe chiesto perché fosse conciata così, e Nolwenn doveva ancora decidere se essere onesta o inventare una stupidaggine che sembrasse più realistica.
 
Poi, arrivarono.
 
Un gruppo di alberi pieni di grandi mele gialle circondavano una minuscola casetta, fatta eccezione per un piccolo sentiero che conduceva all’ingresso. Solo in secondo momento Nolwenn notò che alla destra dell’abitazione, dopo un notevole numero di alberi, sorgeva un piccolo capannone.
 
Mathieu fermò il carro, scese e fece il giro per aiutare Nolwenn a scendere. Seguirono il sentiero che portavano alla porta d’ingresso, che pareva molto grossa e pesante, ma Mathieu non ebbe comunque difficoltà ad aprirla.
 
La casa all’interno era ancora più piccola di quanto apparisse dall’esterno. La sala d’ingresso era così piccola che Nolwenn avrebbe potuto fare solo venti passi, cinque ad ogni lato, per percorrere il perimetro, e oltre ad essere piccola, era anche spoglia: un vecchio e malconcio divano, qualche banco, qualche cassa e vari oggetti negli angoli. C’erano anche tre porte chiuse. Probabilmente conducevano alla camera di Mathieu, quella dei suoi genitori e il bagno. L’unica cosa che stonava rispetto a tutto il resto era un grosso e rettangolare tavolo di legno al centro, con due sedie ai lati opposti, le quali erano particolarmente curate e raffinate, quasi regali, contrariamente al resto della stanza.
 
Perché avere un tavolo così grande per poi metterci solo due sedie?
 
Non ci pensò troppo, anche perché il suo interesse per la risposta era quasi a zero. Mathieu la accompagnò al divano e la fece sedere, mormorò un “torno subito” e uscì.
 
Nolwenn vide dalla finestra dietro di sé che Mathieu stava conducendo il carro e i cavalli nel capannone. Lo vide poi uscire con un secchio d’acqua, che portò dentro casa e appoggiò vicino alla porta. Andò poi verso uno dei banconi, e aprì un cassetto, dal quale estrasse un rotolo di garza.
 
“Ma vivi tutto da solo?” chiese Nolwenn, quasi senza pensarci.
 
Non riteneva possibile che un bambino potesse vivere da solo, ma la casa era deserta e lui sembrava molto, troppo maturo per la sua età, come se fosse abituato a cavarsela da solo.
 
“Vivo con mio padre. Lui è in città adesso, dovrebbe tornare stasera. A volte sta via per un po’ per lavoro quindi capita di stare da solo, ma mai più di tre giorni.” Fece Mathieu, iniziando a medicare la ferita.
 
“E tua madre?”
 
Mathieu fu in silenzio per qualche secondo. Si morse il labbro superiore nervosamente.
 
“Siamo solo io e mio padre. Mia madre..” fece una pausa “.. se ne è andata quando ero molto piccolo.”
 
Nolwenn si sentì improvvisamente una merda. Ora fu lei ad essere nervosa.
 
“Oh io..” deglutì “.. mi dispiace tanto.”
 
“E’ okay. Io neanche me la ricordo. Mio padre non parla mai di lei. Tutto quello che mi ha detto è che aveva i capelli scuri e ricci.”
 
“Forse perché la sua morte lo ha rattristato al punto che parlarne gli fa troppo male?”
 
Nolwenn fu sul punto di dirlo, ma si trattenne. Era un argomento delicato, lei non conosceva Mathieu fino a quel punto, e le sembrava di intromettersi in una faccenda che non la riguardava.
 
Dopo qualche minuto, Mathieu finì di mettere la garza, e si alzò.
 
“Prova a tenerla ferma ancora per un paio d’ore, poi prova a muoverla. Dovrebbe andare meglio.”
 
“Grazie. Di tutto. Sei un ragazzino davvero adorabile.”
 
Mathieu parve offendersi in un primo momento probabilmente perché si sentiva più grande, ma si limitò ad annuire con la testa intuendo le buone intenzioni di Nolwenn.
 
“Hai degli abiti davvero strani.. i più strani che abbia mai visto. Te li sei messi per la festa dei folli?”
 
Quella era una ragione plausibile in effetti, la più plausibile a cui Nolwenn riuscì a pensare, ma non riusciva proprio a mentire a qualcuno che l’aveva aiutata tanto, e senza pretendere niente in cambio.
 
“In realtà—”
 
La sua voce si interruppe quando sentì il rumore degli zoccoli di un cavallo che si avvicinava sempre di più e sempre più forte.
 
“Deve essere mio padre.” Fece Mathieu.
 
Aveva ragione.
 
Il rumore degli zoccoli cessò, e Nolwenn sentì dei passi veloci. Poi la porta d’ingresso si aprì cigolando, e sulla soglia apparve un uomo alto che non poteva avere meno di quaranta anni.
 
Aveva i lineamenti duri, rigidi e scavati, due piccoli occhi chiari freddi e distaccati e un naso piuttosto grande e appuntito. I capelli, lunghi quasi fino alle spalle, dovevano essere dorati come quelli del figlio, ma apparivano più scuri perché sporchi, e la stessa poca cura si poteva trovare nella barba che nascondeva due piccole labbra sottili, e i vestiti sembravano degli stracci. Non doveva essere un brutto uomo, ma conciato così sembrava un barbone.
 
Mi sembra di averlo già visto.
E’ uguale spiaccicato a qualcuno che ho già visto, in un film o in una serie TV, ma non qualcosa legato alla Disney mi sa.
Ma chi?
 
“E tu chi ca..” gettò un’occhiata al figlio “.. chi diavolo sei?!?” sbottò infastidito.
 
Voleva aggiungere cazzo tra “e tu chi” e “sei?!?”, ma si è trattenuto perché non voleva dire quella parola davanti al figlio.
 
“Mi dispiace io.. mi sono fatta male, e Mathieu si è gentilmente offerto di aiutarmi. Non avevo cattive intenzioni. Io mi chiam—”
 
“Non mi interessa. Alzati dal mio divano, SUBITO.”
 
Nolwenn riusciva a sentire nella sua voce sia il distacco sia un fastidio che man mano si stava tramutando in ira. Con l’aiuto delle braccia si rimise in piedi, continuando a tenere la gamba con la ferita tesa.
 
“E’ stata colpa mia, papà..” fece Mathieu, timoroso ma risoluto “.. era vicino al fiume e aveva una ferita alla gamba. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarla lì e non aiutarla?”
 
“Sì, è esattamente quello che avresti dovuto fare.” Fece severamente il padre, con tono di rimprovero.
 
“Mi dispiace, signor..?” iniziò Nolwenn, per poi fare una pausa aspettando che il padre dicesse il suo nome, ma lui si limitò a gettarle occhiate di fuoco come se volesse incenerirla, e dopo qualche secondo imbarazzante, Nolwenn continuò “.. Mathieu voleva solo aiutarmi, e ha fatto anche troppo. Non volevo creare problemi. Me ne vado subito.” Fece per andare verso la porta, ma l’uomo si mise in mezzo.
 
Ma che problemi ha questo?!? Tutte quelle scene dopo avermi trovata qui e ora non mi fa uscire?!?
 
“Sono le mie garze quelle?” sbottò, indicando con la testa le bende intorno alla ferita. Non urlava come prima, ma la rabbia era ben lontana dall’essere andata via.
 
“Beh..” mormorò Nolwenn, quasi senza accorgersene.
 
“Era una domanda retorica.” La interruppe bruscamente lui, come fa un insegnante intollerante e poco paziente con un alunno impacciato “certo che lo sono. Dammi cinque monete d’oro e la chiudiamo qui.”
 
Come? Cosa ha detto?!?
 
“Sono stato io ad offrirmi di aiutarla—” tentò suo figlio, ma venne interrotto subito dal padre.
 
“Mathieu, vai subito in camera tua. Parleremo dopo. E a lungo.”
 
Mathieu fece per parlare di nuovo, ma il padre gli lanciò un’occhiataccia, e il bambino scrollò le spalle rassegnato. Aprì una porta, e poi se la chiuse dietro. Ora Nolwenn e quell’uomo erano rimasti soli.
 
“Pensi che non abbia capito il tuo gioco?”
 
Nolwenn lo guardò confusa.
 
Quale gioco? Ma di che cosa stava parlando?
 
“Non fare la finta tonta con me. Non so da quale ghetto o buco provieni, ma è esattamente là che ritornerai.”
 
Nolwenn aveva cercato di essere gentile fino a quel momento considerando le circostanze, ma ora stava iniziando a stancarsi, e a breve sarebbero stati in due ad avere l’ira che cresceva.
 
Va in giro con degli stracci e dei capelli che probabilmente non lava da mesi, ma la barbona sarei io?
Stai calma, Nolwenn. Calma.
Fai un respiro profondo.
 
“Non sono una barbona.” Fece Nolwenn in tono più seccato di quanto avrebbe voluto.
 
L’uomo la guardò con scherno e disprezzo.
 
“O sei una barbona o una strega, considerando gli indumenti ridicoli che porti. In entrambi i casi non ti voglio a casa mia, e tanto meno vicino a mio figlio.”
 
Nolwenn era allibita.
 
“Infatti stavo per andarmene!”
 
“E le mie cinque monete d’oro? Cosa credi, che le bende crescano sugli alberi?”
 
“NON LE HO!” urlò Nolwenn, un po’ per l’ira e un po’ per la stanchezza.
 
Si infilò le mani nelle tasche agitatamente, mostrandogli che erano vuote.
 
Se quel tizio fu sorpreso da quell’urlo improvviso, di certo non lo diede a vedere. Rimase impassibile e anzi, sembrava addirittura.. annoiato?
 
Chiamerà qualcuno.
I soldati, o chiunque sia il fautore della legge.
Li chiamerà e mi farà arrestare perché ero a casa sua, perché mi ritiene una strega, una mendicante o una truffatrice, o tutte e tre le cose.
Perché non ho quelle cazzo di cinque monete.
Lo farà.
Glielo leggo negli occhi.
Vedo l’astio che ha per me, il disprezzo.
E per cosa? Cosa gli ho fatto? Cosa ho fatto a ciascuno di loro?
 
Nolwenn poteva sentire le sue dita tremare, poi tutta la mano, poi tutto il corpo. Sentiva il battito del suo cuore farsi sempre più accelerato, passando da leggero sussurro ad una tromba assordante che suonava ogni secondo sovrastando ogni suo pensiero.
 
Cercò di calmarsi, di respirare, ma il suo corpo non parve collaborare. Sentiva l’agitazione crescere, il panico, sentiva la terra che le mancava sotto i piedi. Quell’uomo, quella casa, il dolore alla gamba, tutto parve scomparire.
 
Tutto quello che riusciva a sentire era la paura. Il panico. No no, il terrore. Poi ebbe l’impressione di cadere in un buco profondissimo, e si sentì sprofondare nelle viscere della terra. Voleva urlare, chiamare aiuto, ma dalla sua bocca non uscì un suono. E vide di nuovo tutto davanti agli occhi.
 
La separazione forzata da Arielle e Yvonne. Un mondo che era apparso il suo ma diverso, spaventoso, sconosciuto. Un mondo pericoloso. Il carro buio e oscuro in cui era stata rinchiusa per giorni, se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentirsi soffocare. Le minacce. Quel tizio che l’aveva afferrata. Che le aveva fatto male, e che intendeva fargliene dell’altro. La corsa nei boschi oscuri, con chissà quali animali feroci. La caduta e la ferita. Il drago.
 
Nolwenn voleva muoversi, scappare, ma non riusciva a muoversi. Quelle immagini continuavano a venirle addosso, come un treno in corsa. I battiti del suo cuore erano incessanti, quasi un tormento. Sentì la sua forza mancare, come risucchiata da quei ricordi.
 
Man mano che si sentiva più debole, le immagini si fecero più distanti, quasi sullo sfondo. Si ritrovò nuovamente nella casa di Mathieu, e vide davanti a sé suo padre.
I soldati. Adesso li chiamerà. Mi porteranno via. Mi arresteranno. MI STUPRERANNO. MI UCCIDERANNO. No, no. Non voglio. Ho paura. Arielle? Yvonne? Mamma.. ho paura..
 
Sentì un rumore. No, no. Era più qualcuno che si era mosso. Un cigolio di una porta?
 
Sono qui. E’ finita. Sono qui per me. E faranno di me ciò che vogliono. Morirò qui. Sola. Sola. Sola..
 
Alla fine non ce la fece più, era troppo.
 
“Mi dispiace! Mi dispiace! MI DISPIACE!” urlò di getto Nolwenn quasi senza accorgersene, vomitando tutto quello che aveva sopportato e represso fino a quel momento “Non ho le tue monete! Non ho nemmeno una moneta! Non ho una casa! Non ho nessuno a cui importi UN CAZZO se vivo o muoio! Non ho.. non ho niente. Assolutamente niente..” iniziò a piangere, la voce che iniziava a mancarle “sono sola, completamente sola spedita in un luogo che non conosco e nel quale non sono in grado di sopravvivere. Voglio solo tornare a casa..” ora piangeva a dirotto e basta, le parole che si facevano meno chiare man mano che continuava “e non ho la più pallida idea di come fare! E tutto quello che avevo di casa mia l’ho perduto.”
 
Sono perduta anch’io.
 
Si portò d’istinto le mani sul viso per nascondersi dalla vergogna che stava provando, dimenticando che una delle mani era appoggiata sul tavolo aiutandola a stare in piedi. Cadde.
 
Continuava a piangere, ma sentì il panico e la paura devastante che l’avevano assalita come una febbre improvvisa farsi più lievi, e anche il battito del cuore iniziò a rallentare fino a tornare alla norma. Il dolore alla gamba tornò, così come tutta la realtà in cui si trovava che si era come dissolta in quegli attimi terribili.
 
Si tolse le mani dal viso, e vide il padre di Mathieu ancora in piedi davanti a lei. Guardandolo dal pavimento in cui era caduta, sembrava ancora più minaccioso e incombente. Iniziando a rendersi conto della situazione e di quanto fosse appena accaduto, cercò di calmarsi: respirò a fondo, e smise a poco a poco di piangere, anche se fu più difficile del previsto. Sentiva ancora gli occhi lucidi, il mal di testa dovuto a quello scatto improvviso, e non riusciva proprio ad evitare qualche singhiozzo.
 
Che stupida. Ho sclerato come una mocciosa viziata a cui sono state negate le caramelle. Cosa mi è preso?
 
Non voleva alzare lo sguardo e vedere la reazione del padre di Mathieu. Non voleva scoprire le conseguenze di quell’attacco di panico appena avuto. Ma doveva.
 
Lentamente e a fatica, alzò lo sguardo, era ancora seduta a terra e il volto dell’uomo appariva così lontano, impossibile capire cosa stesse provando, ma con sua sorpresa si accorse che per un fugace attimo, la sua attenzione non era rivolta a lei, ma a qualcosa, o qualcuno, dietro di lei. Ma solo per un attimo, poi voltò lo sguardo.
 
I suoi occhi erano più calmi questa volta, e apparirono anche più chiari. C’era anche una sorta di tristezza? O era pietà? Pietà per lei? Poi si abbassarono per fissare il pavimento, come se Nolwenn non ci fosse.
 
Sospirò. Poi guardò nuovamente dietro la ragazza, esattamente come fece prima.
 
“Mathieu..” fece l’uomo, facendogli cenno di avvicinarsi.
Mentre il bambino si avvicinava, Nolwenn si chiese come fosse possibile che non si era accorta della sua presenza, soprattutto considerando che aveva sentito la sua porta chiudersi quando era andato in camera, ma non l’aveva sentita aprirsi.
 
Che abbia aperto la porta mentre avevo l’attacco di panico? Per questo non me ne sono accorta?
 
“Portala..”
 
Nolwenn respirò a fondo cercando di restare calma, preparandosi a quello che sarebbe venuto dopo.
 
“.. nel capanno. Dormirà lì stanotte.”
 
Eh? Cosa?
 
Nolwenn lo guardò stupefatta e sollevata, ma lui la guardava come se non ci fosse. Le gettò un’ultima occhiata di disprezzo poi andò in camera sua, chiudendo la porta. Mathieu si avvicinò e la aiutò ad alzarsi.
 
“Vieni.” Le disse dolcemente, facendo un sorriso incoraggiante.
 
Ci misero più di quanto Nolwenn avrebbe pensato. Forse era il buio. O forse era l’imbarazzo. O forse perché rimasero in silenzio. Mathieu ogni tanto si voltava verso di lei come ad assicurarsi che stesse bene, e la ragazza gli sorrideva debolmente ogni volta, anche se dentro si sentiva sprofondare dalla vergogna.
 
Arrivati davanti al capanno, Mathieu fu costretto ad appoggiare a terra la lanterna per riuscire a spostare le due grosse travi di regno orizzontali che impedivano l’accesso. Una volta fatto, un enorme portone di legno si aprì: il bambino si fece da parte per permettere a Nolwenn di passare.
 
Il capannone era più grande della casa, ma non troppo. In fondo vide tre cavalli, due dei quali erano quelli che aveva usato Mathieu per il carro. Il terzo, nero come la notte, doveva essere il cavallo che aveva usato suo padre.
 
Oltre ai tre animali, non c’era molto altro. Fieno ovunque, e attaccati al muro alla sua destra tante casse di legno che contenevano un notevole numero di mele: ce n’erano minimo un centinaio.
 
Mathieu fece per andarsene, ma poi si voltò nuovamente verso di lei.
 
“Mi dispiace.. per quello che ti è successo.”
 
Da una parte Nolwenn ne fu grata, dall’altra si vergognò all’idea che un bambino l’avesse vista in quello stato, quando dei due era lei l’adulta.
 
“E a me dispiace che tu l’abbia saputo così. Non volevo.. spaventarti.”
 
“Non mi hai spaventato.”
 
“Avrai pensato che sono pazza.”
 
Mathieu abbassò lo sguardo.
 
“Ho pensato che tu avessi bisogno di un attimo per respirare. Tutti ne hanno bisogno, qualche volta.”
 
Nolwenn lo guardò quasi con affetto e commozione. Si sentì capita e vista per la prima volta da quando era arrivata in quello strano universo.
 
“Sono sicuro che riuscirai a tornare a casa.” Aggiunse poi in tono incoraggiante.
 
“Davvero?”
 
“Tu no?”
 
Nolwenn non rispose, ma abbassò tristemente lo sguardo, e quella fu una risposta sufficiente.
 
“Se da casa tua sei arrivata qui, deve esserci anche un modo per partire da qui e tornare a casa tua. Basta fare il viaggio al contrario.”
 
Vorrei fosse così semplice, ma qualcosa mi dice che non sarà così.
 
 
  
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