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Autore: Octave    08/05/2022    10 recensioni
Ogni storia nasce, in qualche modo, per dar voce ad un personaggio. O magari a più di uno.
Spesso poi succede che una storia segua una strada che non avevamo previsto. E quando questo accade c’è poco da fare. Possiamo solo decidere se condividerla o meno. Questa storia ha deciso di raccontare un diverso punto di vista sull’episodio 25 e sui fatti successivi ( e consequenziali).
Un sincero ringraziamento a Settembre17 e ad OscarAndrè76 , che partendo da presupposti diversi, mi hanno convinto che valeva la pena di dare un seguito alla storia.
"Quella sera, ritirandosi nei suoi appartamenti, il Conte Hans Axel di Fersen non aveva le idee del tutto chiare su cosa fosse accaduto e su quale fosse stato il suo ruolo in tali accadimenti."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La sala da ballo era sfavillante di luci e Oscar, trasportata dalla musica, volteggiava tra le braccia del Cavaliere Nero. Una stretta sicura, ma gentile. E lei sapeva bene che doveva andare via da lì, ma prima voleva strappargli la maschera e guardarlo in faccia. E intanto - che strano! - si chiedeva se lui, potesse, a sua volta, riconoscerla. Improvvisamente le luci si abbassavano e anche la musica diventava più ovattata, mentre continuavano a danzare, ed erano rimasti loro soltanto in quella sala immensa.
Ma il Cavaliere Nero somigliava così tanto ad André adesso, anzi, era André, vestito come il Cavaliere Nero, con il volto coperto dalla maschera, che danzava con lei e le sorrideva, e all’improvviso a lei non sembrava più così importante andare via da lì, e neanche così necessario, mentre stava cercando di capire se aveva addosso l'uniforme o se invece indossava l'abito della sera del ballo, e solo allora, con il cuore in gola, si rendeva conto di non avere affatto vestiti addosso.
Subito dopo si trovava per terra, in un ambiente che non le sembrava di avere mai visto, e il Cavaliere Nero la sovrastava. Ma no, era di nuovo André -  per questo le aveva risparmiato la vita - vestito di nuovo come il Cavaliere Nero, la guardava e rideva. Rideva di come potesse, ancora, non essere evidente, per lei, una cosa così ovvia. E quando lei gli chiedeva di farsi riconoscere, André, senza staccare gli occhi dai suoi, si toglieva la maschera, e il suo sguardo intenso ed insolente la confondeva, mentre rideva, rideva ancora. Subito dopo, impietrita dall’angoscia, senza riuscire a fermarlo, Oscar lo vedeva lanciarsi contro la vetrata della sala da ballo e precipitare nel vuoto.
Si era svegliata di soprassalto, con il nome di André sulle labbra, in un letto sconosciuto, in una stanza sconosciuta, mentre una sconosciuta la fissava con sollecitudine.
 
Era iniziato tutto dopo il ballo. L’alba era arrivata, alla fine, ma non aveva riportato quella chiarezza, che Oscar aveva immaginato. I raggi del primo sole, piuttosto, capricciosi ed impertinenti, giocando ad infilarsi negli spiragli di quelle porte, dalla sera prima soltanto accostate, giungevano adesso ad illuminare gli angoli più nascosti e più segreti di quelle stanze così nuove, ma così familiari. E tutta quella luce e l’aria e il suo profumo le davano una vertigine impossibile da fronteggiare. Razionalizzare non era più possibile, questa volta. Bisognava dimenticare, cancellare.
L’altro capo di quel filo, che Oscar voleva recidere, però, non era più nelle sue mani.  
Quasi non rivolgeva la parola ad André, ma lo cercava, lo cercava continuamente con gli occhi, quando pensava che lui non la guardasse. E sembrava sempre che stesse per dire qualcosa, ma poi restava così, assorta e un po’ incupita. E André, che se ne accorgeva tutte le volte, rimaneva zitto anche lui.
Nei giorni a seguire le cose erano solo peggiorate. Doveva far tacere quella parte di sé che le stava mettendo i bastoni tra le ruote e che insisteva nel volerci veder chiaro, per esempio, su dove diavolo sparisse André, la sera. Cosa faceva? Cosa le nascondeva? E perché aveva quella dannata fretta di augurarle la buonanotte? A cavallo? A quell’ora? Con quel freddo?
Con quella collana, che non si era neanche preoccupato di nascondere meglio, nella sua tasca.
Della collana gliene aveva parlato apertamente lui stesso, il giorno dopo. Non c’era niente di cui preoccuparsi. Doveva solo rimanere calma. E trovare il modo di riprendere nelle sue mani il controllo della situazione.
Era stato per questo, forse, che si era buttata a capofitto in quella storia del Cavaliere Nero, quasi che avere un assillo e un’occupazione potesse placare la sua inquietudine.
Per condividere qualcosa con André. Per averlo complice. Per averlo accanto.
Invece era come se quell’iniziativa avesse aperto una serie di questioni irrisolte. Il vento soffiava furioso mentre André, di fronte alla sua richiesta di prepararle una lista dei balli organizzati in quei giorni, aveva voluto sapere perché dovesse occuparsene proprio lei. Che domande! Doveva occuparsene perché quello era un ladro. Perché voleva vederlo in faccia.
E perché doveva essere certa che non fosse…  sì, insomma, che lui non avesse niente a che fare con quella storia.
Quella mattina, poi, sul terrazzo le aveva anche chiesto, nel suo solito modo, diretto e disarmante, se fosse proprio necessario catturare il Cavaliere Nero, che alla fine non faceva male a nessuno e ciò che rubava lo dava a chi non aveva di che mangiare. E lei a quelle parole aveva alzato lo sguardo, per rispondere, ma poi era rimasta a guardarlo, mentre si stirava pigramente. Era davvero insolito che André le desse le spalle. Si era accorta, improvvisamente, che era una bella giornata, benché fosse inverno, e le era venuta voglia di affacciarsi anche lei alla ringhiera del terrazzo inondato di sole. Invece era rimasta seduta e gli aveva risposto con un’ovvietà. Certo che era necessario, perché era un ladro. Non aveva avuto il coraggio di dare una vera risposta a quella di André, che era una vera domanda. E non aveva potuto fare a meno di chiedersi quanto ci fosse di provocatorio, in quel quieto assenso di André, mentre, tornando dentro, si era sentita addosso il calore del sole, nell’istante in cui lui le era passato accanto, quasi sfiorandola.
Ma intanto André, quella sera, era uscito. Lasciando detto di aspettarlo, certo, ma era uscito comunque. E lei, non potendo ammettere che si sentiva mancare il terreno da sotto i piedi, era andata al ballo da sola. E proprio quella sera - coincidenza? - per la prima volta, il Cavaliere Nero si era fatto vedere e lei era stata aggredita e ferita, mentre lo inseguiva.
 
Si era svegliata in quella casa, dove una Rosalie felice e commossa le si era gettata tra le braccia.  E adesso le confessava che aveva lasciato la casa dei Polignac, perché non poteva accettare di essere uno strumento nelle mani di quegli aristocratici che lei odiava - Oh, scusatemi, vi prego! - il cui unico interesse era preservare lignaggio e potere. Ma non sarebbe tornata dai Jarjayes, perché Parigi era la sua casa. Anche se doveva lavorare duramente. Anche se, quel giorno, non avevano niente da mangiare da offrirle. Anche se non avevano, in realtà, mai niente da mangiare.
Si era sentita travolgere dalla nostalgia e dalla tenerezza, dalla sensazione del sole sul viso, in riva al mare e dal rumore delle onde e dai profumi e dai colori di una vita che era perfetta, forse, solo nel ricordo, ma di cui lei adesso riusciva a rammentare solo la meraviglia di stare insieme e di condividere la gioia e il dolore, con la certezza incrollabile che tutto l’orrore, di cui, pure, il mondo era pieno, non li avrebbe avuti, fintanto che si fossero protetti ed amati a vicenda.
Tra i sentimenti contrastanti, che agitavano il suo cuore, era stato un orgoglio mai provato prima a piantare, vittorioso, la sua bandiera. Orgoglio per quella giovane che era cresciuta accanto a loro, in qualche modo grazie a loro, e che le stava dicendo, con quello sguardo sereno e determinato, che voleva essere lei a decidere della sua vita. Le sembrava una cosa magnifica. E sentiva anche che, in modo non contingente e non marginale, tutto questo riguardava anche lei. Riguardava anche loro.
Sulla carrozza che l’avrebbe riportata a Veirsalles, Oscar si sentiva un po’ come un maestro che ha appena ricevuto una lezione dal suo allievo più brillante. E considerava che qualunque cosa lei le avesse insegnato sul coraggio, Rosalie glielo aveva appena restituito con gli interessi.
 
 
 
   
 
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