Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LondonRiver16    08/05/2022    0 recensioni
L'urlo fece sobbalzare le infermiere, che corsero a procurarsi quanto richiesto. Ma Levi sussultò per un altro motivo: Isabel giaceva abbandonata sul lettino e ormai tutti sembravano averla dimenticata. Solo l'indignazione gli diede la forza di cavarsi di bocca un ringhio di protesta.
"No... no!" esclamò, digrignando i denti e riprendendo ad agitarsi sul lettino macchiato di sangue. "Dovete curare lei! Prima lei…"
Erwin ignorò le sue parole, ma fece da diga al suo corpo – così minuto rispetto al suo, all’apparenza così inadatto alla nomea che si portava appresso –, afferrandolo saldamente per le spalle e costringendolo di nuovo con la schiena contro il materasso. La superiorità della sua forza fisica soffocò i tentativi di Levi e fece montare la collera in petto al ragazzo.
"E qualcuno che lo tenga ben fermo" aggiunse Erwin alle proprie richieste, mentre con un brusco cenno del capo ordinava al soldato che lo aveva accompagnato fin lì di avvicinarsi e rendersi utile.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Isabel Magnolia, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Opera creata per il "MAY I write" del gruppo Non Solo Sherlock.

 

 

Primavera

 

Levi stava sanguinando più del dovuto.

Sapeva di aver iniziato a farlo quando la porzione di terreno sul quale era atterrato di pancia aveva pensato bene di accoglierlo esponendo il suo fianco a un masso aguzzo, prima che la sua coscienza si inabissasse in un'oscurità priva di suoni come di dolore. E seppe di star sanguinando quando rinvenne, minuti o forse ore dopo, nell'infermeria del campo di addestramento dove aveva trascorso gli ultimi due anni e mezzo della sua vita.

La prima sensazione che lo colpì, facendolo irrigidire da capo a piedi sul lettino malfermo sul quale era stato adagiato, furono le fitte intense al fianco, che peggiorarono al suo primo, minimo movimento. Avvertì le mani di qualcuno forzarlo a restare sdraiato e una voce femminile imprecare, mentre lui stringeva le palpebre e le labbra per non lasciarsi sfuggire più di un mugolio.

La prima scena che gli si parò davanti una volta che la vista gli divenne meno offuscata, invece, gli strappò via il fiato dai polmoni. Il giaciglio accanto al suo ospitava il corpo di una ragazza, silenzioso e immobile se non fosse stato per il respiro gravoso che le faceva tremare le labbra e gonfiare il petto a un ritmo la cui irregolarità aveva dell'inquietante.

Levi spalancò gli occhi, ricordando all'improvviso qualche altro dettaglio di ciò che era accaduto prima che perdesse i sensi. Il rumore del tonfo di un corpo che cadeva, rotolava, si spaccava. Un corpo che non era il suo.

Un singhiozzo gli si bloccò tra lo sterno e la gola proprio mentre poco lontano una porta si apriva e poi richiudeva in tutta fretta.



Erwin si guardò intorno, non appena si fu affacciato sui locali dell'infermeria, ma scoprì ben presto che lo stanzone era troppo affollato perché potesse arrangiarsi.

"Dove?" chiese al soldato che lo aveva accompagnato fin lì dopo aver interrotto la sua lettura per comunicargli che c'era urgente bisogno di lui.

"Laggiù, signore" lo indirizzò quest'ultimo, accennando all'ala nord dell'infermeria.

Poco più di un novellino, valutò Erwin, almeno a giudicare dal balbettio e dal sudore che gli imperlò la fronte quando il tanfo del sangue raggiunse le narici di entrambi.

"Conosci i feriti?" lo interrogò nuovamente Erwin, avviandosi a grandi falcate nella direzione indicata.

"Non personalmente, signore."

"Bene" commentò l'uomo, finendo di arrotolarsi le maniche della camicia bianca fino ai gomiti mentre raggiungevano i due ospiti più malconci dell'intero ospedale.

Non riconobbe i loro volti, ma le loro espressioni, tipiche di chi si sta sentendo la forza vitale scivolare via dalle dita, erano quelle di tutti i compagni che aveva perso negli ultimi dieci anni.

"Che cos'è successo?" pretese nuovamente di sapere, rapido come la situazione imponeva, mentre le due infermiere che si stavano occupando della situazione accoglievano il suo arrivo scambiandosi occhiate sollevate.

Il suo accompagnatore non lo fece attendere.

"Un incidente durante l'addestramento con l'attrezzatura per il movimento tridimensionale, signore. Non si stavano muovendo, ma sono caduti da un'altezza non indifferente e…"

"L’istruttore ha ripreso a tagliare le corde dei cadetti più promettenti durante l'addestramento per testarne l'equilibrio?"

Malgrado il tono di Erwin non avesse lasciato trasparire nemmeno un briciolo dell’acredine che provava, questa volta l'esitazione del ragazzo fu ben percepibile prima che una risposta tartagliata gli uscisse di bocca.

"Sì... sì, signore."

"Gli parlerò più tardi" fu tutto ciò che Erwin si concesse di commentare in pubblico.

Il soldato annuì, confortato da quella reazione, ed Erwin passò a lavarsi le mani nella bacinella posata sul ripiano in fondo a uno dei due letti. Quando ebbe finito, si infilò un paio di guanti sterili prima di affiancarsi alla ragazza, che dei due era quella evidentemente messa peggio.

Mentre la visitava e faceva domande all'infermiera sul suo caso, avvertì chiaramente lo sguardo del secondo ferito premergli sulla nuca, sulle mani, su ogni singolo movimento che fece attorno alla cadetta quasi priva di sensi. Quella sensazione di essere osservato, controllato addirittura, non lo abbandonò mentre sollevava con delicatezza la camicia di lei fin sotto al seno per esaminare quello che l'infermiera aveva detto essere stato il punto d'impatto più preoccupante.

Quando la pelle dell’addome fu scoperta, l'unico aspetto di cui Erwin poté rallegrarsi fu di aver impedito quella vista al ragazzo alle sue spalle con la propria schiena. L'ematoma aveva delle dimensioni e una colorazione che avrebbero gettato nel panico chiunque e neppure Erwin, con tutte le ferite che aveva visto, poté trattenere una smorfia che solo l'infermiera notò.

Pur apparendo priva di sensi, la ragazza respirava ancora, resisteva. Ma il tempo utile rimasto era ben poco e i feriti due. Come le mani di Erwin, solo due.

Erwin si concesse di riflettere per appena un paio di secondi, prima di rimettere a posto la camicia di quella che era poco più di una bambina, voltarsi e chinarsi sul fianco squarciato del ragazzo – Levi Ackermann, aveva sussurrato la sua guida improvvisata con venerazione, il miglior cadetto dell’ottantanovesimo, un vero fenomeno.

"D'accordo, mi serviranno dei panni intrisi di soluzione disinfettante, ago e filo" decretò dopo un esame veloce della ferita slabbrata su cui l'infermiera aveva tenuto premuta a lungo una pezza ormai color sangue. Quindi ruggì: "Veloci!"

L'urlo fece sobbalzare le infermiere, che corsero a procurarsi quanto richiesto. Ma Levi sussultò per un altro motivo: Isabel giaceva abbandonata sul lettino e ormai tutti sembravano averla dimenticata. Solo l'indignazione gli diede la forza di cavarsi di bocca un ringhio di protesta.

"No... no!" esclamò, digrignando i denti e riprendendo ad agitarsi sul lettino macchiato di sangue. "Dovete curare lei! Prima lei…"

Erwin ignorò le sue parole, ma fece da diga al suo corpo – così minuto rispetto al suo, all’apparenza così inadatto alla nomea che si portava appresso –, afferrandolo saldamente per le spalle e costringendolo di nuovo con la schiena contro il materasso. La superiorità della sua forza fisica soffocò i tentativi di Levi e fece montare la collera in petto al ragazzo.

"E qualcuno che lo tenga ben fermo" aggiunse Erwin alle proprie richieste, mentre con un brusco cenno del capo ordinava al soldato che lo aveva accompagnato fin lì di avvicinarsi e rendersi utile.

Levi non si arrese quando la sua gabbia diventarono le braccia del giovane invece di quelle del capitano.

"No! Isabel! Isabel…"

"Non c'è più nulla di utile che possiamo fare per lei" gli mentì consapevolmente Erwin, mentre si voltava per valutare l'ago portatogli. Si atteggiò a freddo, glaciale nel riportare quell’informazione, per non rischiare di perdere la concentrazione e, di conseguenza, anche la vita del ragazzo. "A malapena cercare di tenerle compagnia mentre si avvia verso l'inevitabile."

A un suo gesto, una delle infermiere si affiancò a Isabel e le poggiò una mano sulla guancia e una su una spalla, perché sentisse la vicinanza del calore umano a cui comunque non sembrava in grado di reagire. Ma Levi non parve nemmeno accorgersene, data la violenza con cui cercò di scagliarsi contro Erwin e il suo primo tentativo di cominciare a ricucirgli la ferita.

"Non è vero! Vaffanculo, lasciami stare, pezzo di merda, è lei a stare male! È lei che…"

Le grida di Levi terminarono in un gemito sofferto, mentre lacrime roventi cominciavano a scorrergli lungo le guance e il suo sguardo incredulo correva verso l’amica morente. Erwin non si scosse, ma il sudore cominciò ad attaccargli la camicia alla pelle.

"Se mi occupo prima di te, avrai una possibilità di non morire dissanguato" spiegò con una lentezza esasperante, malgrado la ragione gli dicesse di correre come il vento per fermare l’emorragia. Ma il ragazzo si meritava qualche parola in più, qualcosa che non fosse un ordine sputato con fin troppa leggerezza. “Se mi occupo prima della tua amica, invece, lei morirà comunque e tu la seguirai a breve distanza."

Gli occhi umidi del ragazzo – nemmeno quindicenne, ricordò Erwin – si affilarono come rasoi dopo aver indugiato sui suoi per un solo istante.

"Bugiardo di merda…"

Erwin comprendeva, sentiva ogni singola stilla della sua rabbia. L'unico motivo per cui voleva che quel ragazzo si desse una calmata era che sapeva di poterlo salvare, se lui gliene avesse concessa la possibilità. O lui o la ragazza, ed Erwin aveva davvero i suoi dubbi in merito a quest’ultima. Aveva dovuto prendere una decisione necessaria e urgente, ma non per questo meno ardua per la sua coscienza.

Considerò per un altro paio di secondi lo sguardo assassino di Levi Ackermann e tutto ciò che vi ribolliva dietro, quindi sospirò e si rivolse all’infermiera rimasta in attesa di istruzioni.

"Probabilmente ci vorrà del cloroformio.”

Lo aveva suggerito anticipando lo strazio di sentirsi ricucire la pelle tumefatta, non per togliere di mezzo l’animosità del cadetto dal quadro della situazione, ma il ragazzo si oppose come se lo avesse appena condannato alla fustigazione.

"No! Non voglio addormentarmi. Non mentre Isabel è… lei potrebbe… cazzo!” rabbrividì tra le lacrime, sbattendo la nuca contro il cuscino come se si aspettasse di trovarvi un muro. Rimase immobile per un momento prima di riempirsi i polmoni d’aria e cercare nuovamente gli occhi chiari di Erwin: “Fai quello che vuoi, ma dammi... vaffanculo, dammi la sua mano."



Era primavera da appena un paio di settimane. La stagione preferita di Isabel, che anche quell’anno l'aveva salutata trascorrendo ogni minuto libero a indicare sia a Levi che a Farlan ogni bocciolo neonato e a computarne diligentemente il nome botanico a favore della loro assoluta ignoranza in materia. Era la stagione sbagliata perché lei morisse senza nemmeno sentire con quanta disperazione la stretta delle dita di Levi cercasse di tenerla in vita.



Al tramonto, il corpo di Isabel non c’era più. Levi non aveva assistito alla scena del cadavere di quella che considerava una sorella minore che veniva incartato in un bianco lenzuolo e portato via, ma si sorprese a non serbare rancore nei confronti del capitano Erwin per averlo steso col cloroformio prima che le fitte al fianco uncinato lo facessero svenire. Anche se lui fosse stato sveglio quando lei era stata portata via, Isabel avrebbe comunque compiuto quell’ultimo viaggio da sola.

La morte ferisce solo i vivi, gli ricordò una voce dalla famigliare intonazione amara.

Levi si era perso tra i propri pensieri a tal punto che, quando il capitano Erwin gli apparve di lato, lui non se ne accorse veramente finché l’uomo non si sedette accanto alla sua branda con un sospiro. Levi immaginò che avesse dedotto con facilità il tracollo del suo odio e la sua metamorfosi in pura e semplice afflizione.

"La ragazza…"

"Era mia amica" mormorò Levi, con gli occhi fissi sul lettino accanto al proprio, oltre le spalle del capitano.

"È la prima che perdi?" gli chiese quest’ultimo, con una delicatezza che secondo ogni logica avrebbe dovuto mantenersi estranea a una domanda del genere. E con lo stesso malaugurato garbo proseguì, imperterrito e inesorabile come solo un militare di grado superiore riusciva a essere, di quei tempi. "Non sarà l'ultima. Soprattutto se, come ho sentito, ambisci a entrare a far parte del Corpo di Ricerca."

Levi ingoiò la bile e le lacrime che gli erano rimaste in un’unica botta. Presto o tardi Farlan sarebbe riuscito a trovare il tempo di visitare l’infermeria e lui non poteva certo accoglierlo piangendo. Non se desiderava che avesse qualche possibilità di riprendersi dalla morte di Isabel.

"Eravamo cresciuti insieme."

"Molti dei nostri morti erano cresciuti assieme ai nostri vivi. I sopravvissuti riescono ad andare avanti solo concedendo al lutto il tempo di riassorbirsi, buttandosi nella nostra missione. Dando il proprio meglio per aiutare il nostro Corpo a scoprire la verità e il genere umano a sopravvivere" ponderò Erwin, con quel modo incredibile che aveva di apparire distaccato e comprensivo allo stesso tempo.

Per la prima volta da quando aveva riaperto gli occhi, Levi allontanò lo sguardo dal materasso stropicciato sul quale Isabel aveva esalato il suo ultimo respiro ed esaminò distrattamente il volto regale dell’uomo che aveva interrotto la sua galoppata verso la morte.

"Sei del Corpo di Ricerca?"

"Già. Da quello che mi dicono, sto facendo carriera. Presto mi imporranno compiti ritenuti più importanti di restare fino a tardi in infermeria per ricucire qualche cadetto."

Come a sottolineare quelle parole, in quell’istante una figura che vestiva i drappi militari comparve a pochi metri dai piedi di Levi per rivolgersi al suo illustre visitatore.

"Capitano Erwin? È ora. La riunione con…"

"Certo. Arrivo" assentì Erwin, rimettendosi in piedi di buon grado. Prima di avviarsi, però, chinò di qualche centimetro il capo in direzione di Levi a mo’ di saluto. "Ti auguro buona fortuna, cadetto."

"Mi chiamo Levi" lo informò il ragazzo in un soffio. "E lei era Isabel."

Fu in quell’istante, più che nei precedenti, che il capitano lo stupì. Forse perché non finse di registrare quell’informazione con una finta espressione costernata, mentre la sua mente correva già incontro ai suoi doveri. Al contrario, mantenne gli occhi fissi in quelli di Levi e sembrò trarne a sé l’angoscia, perché subito dopo aggrottò le sopracciglia ed ebbe la buona creanza di abbassare lo sguardo a terra. Quando parlò, la sua voce esprimeva un cordoglio sincero.

"Mi dispiace."

Sincero al punto che Levi non dovette sforzarsi per aggiungere con un fremito: "Grazie di avermi ricucito, suppongo."

Erwin non pretese altro. Levi ebbe la sensazione che non si aspettasse nemmeno quella manciata di parole, da parte sua.

"Resta a riposo per almeno una settimana. E fatti controllare la ferita ogni mattina e ogni sera, nel caso in cui io non fossi nei paraggi per occuparmene di persona."

Aveva già mosso qualche passo verso l’uscita quando la voce del ragazzo tornò a raggiungerlo, imperiosa quanto concesso dalle condizioni del cadetto.

"Capitano."

Un voltarsi di tacchi lucidi sul pavimento di legno consunto, di nuovo quegli occhi chiari e solenni che consideravano i suoi con modesta curiosità.

"Sì."

"Mi prometta di fare il culo all’istruttore per quelle corde tagliate."

Malgrado sapesse che nulla di ciò che avrebbe potuto fare sarebbe stato anche lontanamente sufficiente per mitigare il lutto, Erwin annuì solennemente. Quella ragazza, Isabel, non avrebbe mai avuto altra giustizia se non quella che avrebbe potuto raggranellarle lui cercando di procurare all’istruttore dei ragazzi dell’ottantanovesimo la peggior pena possibile.

"Hai la mia parola."

Un battito di ciglia dopo, aveva smesso i panni di medico e raddrizzato la schiena per uscire dall’infermeria a testa alta e riprendere il suo ruolo di capitano.

Levi Ackermann. In qualche modo Erwin sapeva già che non avrebbe avuto bisogno di fare alcuno sforzo per ricordare quel nome e seguirne le orme finché il ragazzo non fosse approdato nel Corpo di Ricerca. Per qualche motivo, a partire da quella notte si sarebbe sempre sentito incollato alla nuca lo sguardo cupo del cadetto la cui vita aveva scelto di salvare quella notte di primavera.

 

 

 

   
 
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