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Autore: Izayoi9863    12/05/2022    0 recensioni
Momento di fantasticheria ambientato dopo DMC 5.
Una One shot su Nero e Vergil (ATTENZIONE SPOILER)
Dante e Vergil sono usciti dal mondo dei demoni, che cosa succederà dopo? Cosa fare se non si ha una casa in cui tornare?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nero, Vergil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NELLA STANZA DI NERO

 

 

Lui e Dante erano riusciti ad abbandonare gli inferi per il rotto della cuffia e senza la necessità di sacrificare Yamato, come avevano preventivato.

 

Il fratello era tornato alla sua agenzia, ma Vergil non aveva un vero posto dove andare, così aveva fatto una cosa stupida: era tornato a Fortuna.

 

Inutile dire che quel posto a primo impatto gli era sembrato anonimo. Da qualche anno era stato ricostruito da capo, ma avvicinandosi al centro città ancora in rovina, dei ricordi erano iniziati a riaffiorare.

 

Iniziò a muoversi meccanicamente in delle direzioni che non ricordava a livello conscio, ma la sua anima sapeva perfettamente dove lo stava guidando.

 

Si trovò, per quel poco che era rimasto, in uno stretto vicolo e gli sembrò di sentire ancora vivido il fetore del demone che tanti anni prima aveva ucciso proprio in quel luogo. Aveva messo alle strette una giovane ragazza che a causa della paura era scappata dal pericolo chiudendosi in un vicolo cieco e lui, per una pura casualità si era trovato a passare da lì. Stava evitando le guardie dell’Ordine della spada ed era finito anche lui lì. Di solito non aiutava mai nessuno, ma in quell’occasione ne fu quasi costretto, lo sguardo della ragazza era un pugnale di terrore che gli chiedeva silenziosamente salvezza. Del resto che differenza poteva mai fare? Non gli costava nemmeno un minimo di sforzo liberarsi di quel Trypoxylus immondo.

 

Da sotto il mantello Vergil fece scattare l’elsa di Yamato.

 

Quella sciocca e debole umana non aveva avuto il tempo di rendersi conto di nulla. Nel tempo di meno di un battito di ciglia, le spalle larghe di un uomo avvolto in un mantello logoro le facevano da scudo e il demone che prima la minacciava giaceva riverso in una pozza di putrido sangue, tagliato di netto a metà.

 

Con lentezza l’uomo si girò verso di lei e fissò il suo sguardo di ghiaccio in quello d’ebano della ragazza. Entrambi avevano circa vent’anni, ma mentre il volto della ragazza sembrava un fiore appena sbocciato in primavera, quello del ragazzo era duro e glaciale come l’inverno, era difficile credere che fosse realmente così giovane.

 

La paura stava lasciando velocemente il corpo della ragazza lasciandola priva di ogni energia. Prima di perdere completamente coscienza, la fanciulla strinse le esili dita sul tessuto liso del giovane senza smettere di guardarlo negli occhi.

 

Vergil poté assaporare l’istante in cui le pupille di lei si allargarono ed il suo volto si distendeva, beatamente.

L’afferrò al volo e rallentò la caduta assecondando il movimento del corpo verso terra.

 

Con il braccio sinistro le sorreggeva le spalle e la testa. Si prese qualche istante per osservarla. Si sentiva stranamente incuriosito e non ne capiva il motivo.

La giovane sconosciuta era avvolta in un vestito rosso di modesta fattura, ma curato. In testa indossava un fazzoletto che era allacciato come un cappuccio al vestito. Svenendo le era caduto scoprendole i capelli.

 

Vergil li osservò incuriosito. Non si avvicinava mai agli umani, tanto meno alle donne e quella volta fu l’eccezione che confermava la regola.

Passò la mano destra tra quei fili color mogano e ne tastò la setosa consistenza. Dalla ragazza proveniva un profumo che gli strinse il cuore in una morsa di nostalgia.

Era gelsomino, come quello che indossava sua madre. Avvicinò il viso alla ragazza inerme, inspirò meglio l’ odore e chiuse gli occhi.

Provava una strana sensazione generale. Un formicolio lieve che si irradiava in tutto il corpo, concentrandosi nello stomaco e sulla punta delle labbra. Gli sembrava di essere assetato.

Gli venne in mente che effettivamente i demoni mangiano gli umani, probabilmente la sua metà demoniaca la desiderava, desiderava nutrirsi di lei.

I loro visi erano molto vicini e Vergil era talmente preso ad osservare la pelle chiara della ragazza che non si era reso conto che questa aveva riaperto gli occhi e lo stava osservando con interesse tanto quanto il suo.

 

La giovane improvvisamente si sporse verso di lui e avvicinò le labbra a quelle del ragazzo in un bacio.

 

Vergil si ritrasse sorpreso e sulla difensiva, lasciandola seduta sull’asfalto.

 

Quel terribile formicolio era aumentato, mentre l’arsura che nell’attimo in cui si erano toccati era svanita adesso invece sembrava divorarlo da dentro.

 

Senza dire una parola si sistemò meglio il mantello sulle spalle, si girò ed iniziò a camminare in direzione dell’unica uscita del vicolo buio. Doveva allontanarsi da lei, dal suo profumo, e adesso anche dal suo sapore o non sapeva cosa sarebbe potuto accadere, forse l’avrebbe uccisa.

 

Vergil batté più volte le palpebre e la scena svanì davanti ad i suoi occhi.

 

Finalmente si era ricordato di QUELLA ragazza. Non una qualsiasi, ma la madre di Nero. Era così che si erano conosciuti. A causa della sua totale inesperienza sui sentimenti e le reazioni fisiche si era lasciato travolgere da quelle emozioni che non era minimamente riuscito a contenere e aveva messo al mondo un figlio a sua totale insaputa.

 

Si fermò in mezzo alla strada, guardando un punto indefinito sul pavimento.

 

Nero era suo figlio. Improvvisamente tutta la realtà di quella affermazione lo colpì.

 

Nero era suo figlio, sangue del suo sangue. Il frutto dell’unione tra lui e Quella ragazza. L’unione dei loro baci e dei loro profumi.

 

Un bambino gli passò accanto correndo, ma non vi fece caso. Si sentiva intontito.

 

Il bambino tornò indietro e gli si parò davanti, solo a quel punto Vergil sollevò lo sguardo sulla figura che aveva davanti. Quando incrociò lo sguardo del bambino questi sobbalzò spaventato.

 

“M-m-mi scusi” balbettò a metà tra lo spaventato e l’imbarazzato. “Non volevo disturbarla, l’avevo scambiata per un altro” e così dicendo si girò per proseguire per la sua strada.

 

“Chi?” chiese Vergil lapidario, fermando il ragazzino.

 

“Nessuno…” disse evasivo il giovanotto.

 

Vergil continuò ad osservarlo e questo fece cedere il suo interlocutore.

 

“L’avevo scambiata per un mio conoscente… Nero…” Disse cercando di sfuggire allo sguardo di ghiaccio dell’uomo.

 

A quel nome Vergil scattò. Quel piccolo umano conosceva suo figlio?

 

“Conosci Nero?” Voleva accertarsi di aver capito bene. Il bambino annuì.

 

“Sì, certo che lo conosco” Vergil non sapeva come chiedergli di condurlo da suo figlio, senza risultare un pazzo maniaco.

 

Il ragazzino indicò dietro di se con il pollice. “Posso portarti da lui se vuoi…” quando erano passati a darsi del tu? Vergil annuì e seguì silenziosamente il bambino. Mano a mano che si spostava per le strade di Fortuna, iniziò a riconoscere la strada. L’aveva percorsa diversi mesi prima ma in quel momento era troppo debole per comprendere pienamente cosa stesse facendo.

 

Si fermarono davanti ad un portone sopra il quale una scritta sbiadita recitava: Orfanotrofio.

 

Quel ragazzino lo aveva davvero condotto al posto giusto?

 

Guardò sulla destra e riconobbe la saracinesca del garage in cui era entrato la prima volta.

 

“Aspetta qui” disse il ragazzino mentre saliva i pochi gradini che portavano all’ingresso dell’orfanotrofio, ma Vergil non era esattamente una persona capace di attendere e quindi appena il suo accompagnatore si richiuse la porta alle spalle anche l’uomo salì i gradini ed entrò nell’edificio.

 

Si ritrovò in un ampio ingresso. Sulla sinistra, proprio di fronte alla porta, c’era un bancone di marmo adorno di piante verdi ma non c’era nessuno ad accogliere i visitatori. Sulla destra si trovava un’ampia scalinata che conduceva alle camere dei bambini, sotto la scala c’era una porta in legno dalla maniglia scolorita, veniva usata spesso.

 

Vergil si avviò in quella direzione e aprì la porta, trovandosi in un corridoio. Poco più avanti una porta appena accostata affacciava sul garage, ma a differenza delle aspettative dell’uomo suo figlio non si trovava lì.

 

Una strana sensazione gli formicolò nello stomaco, riconobbe l’aura demoniaca, veniva dal piano di sopra, forse era lì che si trovava Nero.

 

Tornò indietro ed imboccò le scale, seguendo la sensazione familiare fino ad una porta. Era anonima, come tante altre, ma Vergil aveva la sensazione che fosse proprio la stanza del figlio.

 

Non era usanza, per il Mezzodemone, seguire le regole delle buone maniere umane e non si prese il disturbo di bussare, ma bensì girò la maniglia ed entrò nella camera.

 

Era una stanza piccola, con un solo letto singolo posizionato sotto la finestra aperta. Accanto all’ingresso c’era una bassa scrivania ingombra di oggetti, ma prevalentemente oggetti per la manutenzione di pistole e spade.

 

Un oggetto in particolare attirò l’attenzione di Vergil. Sopra al comodino, accanto ad una sdolcinata foto che ritraeva Nero abbracciato ad una ragazza dai capelli rossi, e sopra al libro che aveva affidato qualche mese prima al figlio, c’era un foulard nero piegato con cura.

 

Vergil attraversò la stanza e prese il fazzoletto. Non c’erano dubbi, quello era il Suo fazzoletto, quello che di solito portava al collo ma che aveva dato tanti anni prima a Quella ragazza.

 

“Siamo già nella fase di mancato rispetto della privacy dei figli?” Una voce alle sue spalle lo costrinse a girarsi. Nero lo guardava accigliato a braccia conserte sulla soglia della camera.

 

Non appena il giovane si accorse di cosa il padre avesse tra le mani scattò furibondo.

“Hey! Posalo subito quello è-”

 

“Mio” disse Vergil prima che Nero potesse finire la frase. “Questo è il mio fazzoletto” Disse l’uomo toccandosi il colletto.

 

Nero spostò nervoso il peso da un piede all’altro e guardò il padre con aria a metà tra l’incuriosita e l’infastidita.

 

“Credevo che lo avesse ancora tua madre, ma se lo hai tu…” Disse Vergil posando nuovamente il foulard al suo posto.

 

Nero si grattò la nuca e spostò lo sguardo altrove. Per anni aveva creduto che quello fosse l’unico ricordo di sua madre, invece era anche qualcosa di più… era un ricordo dei suoi genitori.

 

Vergil osservò ancora per qualche istante il fazzoletto “Profuma ancora di gelsomino”

 

“E di demone” aggiunse Nero, lo aveva sempre sentito, ma solo ora sapeva a chi fosse appartenuto l’odore demoniaco.

 

Vergil annuì, riconoscendo che i loro odori erano entrami presenti su quel pezzo di stoffa.

 

“Il mio nome deriva dal colore del fazzoletto… che fantasia…” disse il giovane appoggiandosi alla scrivania e giochicchiando con un cacciavite ostinandosi a non osservare il padre in volto.

 

“Non è stata tua madre a sceglierlo?”

 

Nero scrollò le spalle “No, avevo solo qualche giorno quando sono stato lasciato sui gradini di questo posto” non riuscì a nascondere il tono amareggiato, così dicendo gettò malamente il cacciavite sulla scrivania e si girò per andarsene.

 

“Non è da lei…” quella frase fece fermare Nero, che si girò ad osservare il padre che se ne stava fermo a braccia conserte ad osservare un punto indefinito sul pavimento.

 

“Che vuoi dire?” Che ne sapeva lui di sua madre?!

 

“Carlotta non è una di quelle persone che abbandona gli altri, non lo ha fatto con me, figuriamoci con suo figlio”

 

Lo stomaco di Nero tremò in un misto di eccitazione, sconforto, sorpresa, commozione.

 

Carlotta… il nome di sua madre era Carlotta.

 

Vergil mise mano alla sua fidata Yamato, ma si bloccò e scosse la testa.

 

“Forse non è il caso…” disse più a sé stesso che a Nero, il quale sembrava trepidante.

 

“Cosa?!” chiese senza riuscire a trattenere l’emozione.

 

Vergil lo osservò ma distolse poco dopo lo sguardo “Pensavo di vedere se si trova nell’aldilà… ma se anche la trovassi… beh…” disse con un velo di imbarazzo.

 

“...Se per qualche ragione fosse morta poco dopo averti messo al mondo… sarebbe ferma all’età di 24 anni” Nero trattenne il respiro.

 

“Avere una madre tua coetanea sarebbe strano…” disse Vergil sistemandosi i capelli e pensando al fatto che invece lui era invecchiato eccome…

 

“Possiamo riportarla qui?!” Nero non aveva minimamente ascoltato le turbe del padre perché si sentiva tornato bambino, un bambino in trepidazione durante il periodo di Natale.

 

Vergil lo guardò accigliato senza comprendere “Ovvio” disse lapidario.

 

Il giovane si fiondò nell’armadio e prese una grossa custodia nera. L’aprì sul pavimento ed iniziò a montare la sua Red Queen.

 

“Che stai facendo?” non riusciva ancora a comprendere il ragazzo ed il suo modo di fare.

 

“Non è ovvio? Vengo anche io” Vergil inclinò la testa di lato. Quando esattamente avevano deciso di partire?


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ANGOLO DELL'AUTRICE:

E' una piccola storia nata da un momento di noia e la mia ossessione momentanea per la serie di DMC. Probabilmente sarà seguita da altre One shot ma non prometto nulla XD. Fatemi sapere che cosa ne pensate e se siete curiosi di leggere altre storie su questo filone! 

Un abbraccio a tutti i lettori silenziosi e non!

-Iza- 

 

   
 
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