Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
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Autore: EleWar    12/05/2022    11 recensioni
Il pericolo è il loro mestiere, ripetono i due City Hunter, ma il pericolo più grande è rischiare di non capirsi mai.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Finalmente riesco a postare questa ‘vecchia’ shot, scritta mesi fa! In sé è corta, ma per correggerla ci ho messo un sacco.
Buona lettura! *_*

 
DECISIONI
 
Kaori, di ritorno dalla missione, era andata di filata in camera sua, senza dire una parola, cercando di nascondere il più possibile la leggera zoppia che il dolore alla gamba le stava provocando.
 
Non avrebbe mai ammesso davanti a Ryo che il dolore era quasi insopportabile, e stringeva i denti per non lamentarsi, perché a quel punto avrebbe dovuto anche ammettere che era stata la solita sciocca, goffa e inetta.
 
Erano stati coinvolti in un inseguimento rocambolesco, che li aveva portati in un vecchio magazzino abbandonato, dalle parti del porto.
Il fuggitivo, o meglio la fuggitiva, non appena scesa dalla macchina aveva proseguito la sua fuga inerpicandosi su per le scale arrugginite di quella che aveva tutta l’aria di essere una fabbrica, con ancora qualche macchinario, fatiscente e corroso dal tempo e dalla salsedine, ad ingombrare l’interno.
 
Ryo aveva sparato alcuni colpi di avvertimento, giusto per impaurirla e costringerla ad arrendersi; non era capace di ferire, e meno che meno uccidere, una donna: il suo codice d’onore glielo impediva.
Ma questo suo limite stava dando un margine di vantaggio sempre maggiore alla criminale.
 
Di tutt’altro avviso era Kaori, determinata a non lasciarsela sfuggire, ma la sua scarsa mira non le permetteva di raggiungere l’obiettivo, ed era fuori discussione usare armi più pesanti per dissuaderla.
Quel posto stava su per miracolo, e un solo passo falso, un boato, uno sparo o chissà cos’altro, l’avrebbero fatto ricadere su sé stesso come un castello di carte, uccidendo inseguita e inseguitori.
 
Non rimaneva che il corpo a corpo, in questo caso fra le due donne, ma prima… bisognava prenderla, o ridurre la distanza quel tanto che bastava per tentare un assalto, gettandosi su di lei.
 
Salendo di corsa quella lunga teoria di scale metalliche, zigzaganti per tutta la lunghezza del magazzino, scricchiolanti, traballanti, in un alternarsi di pianerottoli sfondati e strette passerelle, le due donne erano ormai arrivate quasi alla sommità dell’impianto.
Ryo, che le seguiva dappresso, lasciando che fosse Kaori a precederlo, urlava alla fuggitiva di arrendersi, che non aveva scampo, ma non poteva fare altro; aveva anche smesso di sparare, capendo l’inutilità del suo gesto.
 
Ma proprio perché era più addietro, e in un certo senso aveva una visione d’insieme, non essendo concentrato sulla sola criminale, ben presto Ryo si avvide che l’ultimo piano dell’incastellatura era corroso in più parti, e stava pericolosamente oscillando sotto il riverbero delle vibrazioni prodotte da quella corsa forsennata.
Sicuramente non avrebbe retto nemmeno al peso delle due donne.
E comunque poco prima che lo raggiungessero, la parte destra si distaccò definitivamente dai supporti, con uno schianto secco.
 
Ryo, nonostante la corsa affannosa, sentì il crack rivelatore e alzò gli occhi in direzione del rumore: con orrore capì la gravità della situazione e, spostando l’attenzione sulle due donne, non solo si accorse che Kaori era ormai ad un passo dalla fuggitiva, ma che tra non molto entrambe sarebbero approdate su quella trappola metallica, che le avrebbe trascinate con sé nell’inevitabile caduta.
 
A quel punto iniziò a gridare con quanto più fiato aveva in gola:
 
“Kaoriiiii, nooooo! Fermati!”
 
Ma lei non lo sentiva nemmeno, fra il frastuono dei loro passi svelti e concitati sul metallo, tutta presa a rincorrere la criminale.
 
“Fermatiiiiii! Kaoriiiii! Ho detto fermati!” urlava il socio in preda al panico, ma inutilmente.
 
Allora lui aumentò l’andatura, con un ulteriore sforzo: l’adrenalina già in circolo iniziò a pompare nelle vene e lo portò a cancellare la stanchezza in un attimo.
Aveva solo un pensiero in testa: salvare Kaori.
Perché innegabilmente era in pericolo, e ne andava della sua stessa vita!
 
Con balzi agili e scattanti salì le scale a due a due, e ben presto riguadagnò terreno.
Davanti a lui le donne erano ad un passo dal metter piede sull’ultima, instabile piattaforma, e ancora Ryo gridò all’indirizzo della criminale:
 
“Hanzai, arrenditi, non hai scampo!”
 
Lei allora si volse brevemente a guardarlo, e anche da quella distanza Ryo le vide negli occhi una strana luce, un misto di paura come di animale braccato, disperazione e follia: la donna sapeva che non aveva altra via d’uscita, ma piuttosto che farsi prendere e finire in prigione, preferiva la morte.
Quando però Hanzai distolse lo sguardo da Ryo e lo posò su Kaori, un sorriso maligno le contrasse il viso: anche se era destinata a perire, poteva ancora nuocere al grande Ryo Saeba.
La sua morte non sarebbe stata vana: avrebbe portato con sé la sua adorata socia, l’avrebbe uccisa trascinandola nel baratro insieme a lei, e questa consapevolezza le diede una sferzata di energia.
Ryo capì immediatamente le intenzioni della criminale, e a quel punto fu invaso dal terrore, come non gli succedeva tanto spesso di provare: paura per la vita di Kaori; paura di non riuscire a fermare quell’assassina; paura di non arrivare in tempo.
 
Allora di nuovo gridò, stavolta in direzione di Kaori:
 
“Kaori fermati, è una trappola!” e poi ancora: “Non seguirla, fermati, rimani dove sei! Fra poco crollerà tutto!”
 
La ragazza, quindi, rallentò, prestando orecchio per la prima volta agli avvertimenti di Ryo, e lì per lì ne rimase infastidita: stavano dando la caccia a quella criminale da giorni, erano riusciti a scovarla, la stavano rincorrendo da ore…!
Era ad un passo dall’acciuffarla e voleva essere lei a farlo!
Lo stava per fare!
E lui… lui, il grande sweeper, sarebbe stato finalmente fiero di lei, gli avrebbe dimostrato che era in gamba come il mitico Ryo Saeba, che era la sua degna compagna.
Perché avrebbe dovuto rinunciare proprio adesso?
Non capiva.
 
Ma nella foga dell’inseguimento non si accorse di essere arrivata proprio lì, sull’ultima piattaforma malandata e traballante, fino a quando, non appena messo il primo piede, questa prese ad oscillare, scricchiolare, sbandare… tanto che Kaori fu costretta ad afferrarsi saldamente al parapetto.
 
“Noooooo!”
 
Un altro urlo squarciò l’aria polverosa di quell’enorme capannone, riecheggiando sotto le volte sfondate da cui filtravano gli ultimi raggi di sole.
Minuscole particelle di polvere danzavano nei fasci di luce e buffi ghirigori si disegnavano sul pavimento di cemento corroso, fra ombre sudice e pozze di luce abbacinante.
 
Per un attimo il mondo si fermò.
 
La corsa frenetica era giunta alla fine, il movimento disordinato dei tubi metallici si stava estinguendo nelle ultime vibrazioni, perdendosi in sinistri cigolii appena distinguibili.
I tre esseri umani che, soli, popolavano quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini, trattennero il fiato.
 
Dopo un breve lasso di tempo che parve durare secoli, di nuovo la voce dell’uomo riecheggiò nello spazio immobile del fabbricato:
 
“Kaori, torna indietro!”
 
Sembrava più un ordine che un consiglio, ma ad un orecchio bene allenato, non sarebbe sfuggito il tono di disperazione nascosto in quelle parole.
 
Kaori non rispose.
 
Impietrita, aveva la mente vuota; non poteva pensare di lasciare la famigerata Hanzai lì, dopo che l’avevano cercata e cacciata per tutto quel tempo.
Era responsabile di diversi crimini, tra cui l’omicidio, e il suo senso di giustizia si ribellava: no, non potevano lasciarla andare!
 
“Kaori, torna indietro, ho detto!” reiterò il socio, e la ragazza parve riscuotersi, nonostante l’incomprensione regnasse sovrana nella sua testa.
 
Credeva di averlo solo pensato, e si stupì quando si udì dire:
 
“Ryo… ma perché?”
 
Una risata secca lacerò l’aria.
 
“Mi fate ridere voi due. Siete davvero ridicoli, lo sapete?” berciò Hanzai “Mi avevano detto che i City Hunter erano dei duri, dei tipi tosti, e quasi ci avevo creduto! Invece siete due stupidi, come tutti. Non avete nulla di speciale!”
 
Ryo serrò la mascella.
Avanzando guardingamente, pistola in pugno, era ormai a pochi passi dalle due.
Non aveva mai sparato ad una donna, ma se una di loro avesse fatto del male alla sua Kaori, non gli sarebbe dispiaciuto fare un’eccezione alla regola.
 
Kaori, nel frattempo, aveva riacquistato fiato e lucidità mentale.
Sapeva che lì, dove si erano ritrovate, non c’era altra via d’uscita se non provare a ritornare sui propri passi, ma non ci stava ad essere presa in giro da una bastarda come l’Hanzai.
La sweeper voltava alternativamente lo sguardo dalla donna al socio, e si sentiva impotente, inadeguata… No, non poteva finire così.
 
Hanzai capì subito il dilemma interiore della sua nemica, e volle sfruttare la sua debolezza fino in fondo:
 
“Su, fai la brava bambina!” l’apostrofò “Torna indietro dal tuo bel paparino, prima che venga qui e ti rifili una bella sculacciata!” e ridacchiò acidamente.
 
Kaori fu invasa da una rabbia sorda.
Ecco, anche una criminale qualsiasi si permetteva di metterla in ridicolo, di sminuire la sua professionalità!
Non sarebbe mai stata all’altezza di Ryo, se anche la più stupida delinquente la prendeva in giro.
 
Estrasse la pistola che ancora, miracolosamente, era rimasta incastrata dietro, nei suoi pantaloni, e gliela puntò contro, staccandosi dai tubi del parapetto con circospezione.
 
“Ohhh, allora facciamo sul serio!” la irrise l’Hanzai.
 
“Avanti Kaori, non fare sciocchezze. Metti via quella pistola e torna qui, subito!” le ordinò Ryo a pochi passi da lei.
 
“Sentito il paparino?” rincarò la balorda “Non farlo arrabbiare, se no stasera a letto senza cena!”
 
“Smettila!” sbottò a quel punto Kaori“Io non prendo ordini da nessuno e lui non è mio padre!”
 
“Uuuuh, che caratterino!” esclamò sarcasticamente Hanzai “Adesso mi piaci un po’ di più. In ogni caso non vorrai spararmi” e alzò le mani in segno di resa “Come vedi, io sono disarmata!”
 
“Non è mia intenzione farlo, a meno di non essere costretta!” rispose con decisione la sweeper.
E poi: “Quindi adesso verrai via con me, ci toglieremo da qui e torneremo di sotto, e nessuno si farà male!” e accennò con la testa alla rampa di scale, apparentemente più sicura, ad un passo da loro, dove sostava Ryo, sempre pistola in pugno.
 
“Ma io non ne ho la minima intenzione!” proruppe Hanzai “Io. Non. Voglio. Scendere. Da. Qui.” scandì “Perché non voglio tornare in prigione! Semplice, no?” e le sorrise malignamente.
 
“Kaori, vieni via di lì” disse nuovamente Ryo, ma stavolta aggiunse: “Non potrà restarsene lì per sempre e non c’è altra via d’uscita; dovrà scendere prima o poi, e noi l’aspetteremo giù” e nel dirlo le tese la mano libera, accennando un leggero sorriso sul volto tirato.
 
Successe tutto in un istante.
 
Kaori era ancora voltata ad ascoltare le parole incoraggianti di Ryo, quando Hanzai spiccò un balzo e, armata di una spranga trovata chissà dove, si avventò sulla sweeper.
Il primo fendente si abbatté con forza sul polso della mano che reggeva la pistola, e Kaori gridando dal dolore, aprì le dita e la lasciò andare.
In qualche modo la sweeper si riprese in fretta e riuscì a schivare i successivi attacchi che la Hanzai sferrava con rabbia cieca.
La malvivente non aveva nulla da perdere e uccidere Kaori, in una maniera o nell’altra, era in cima alla lista delle sue priorità.
 
Nonostante ciò, Kaori non perse la testa e restò lucida, nonostante all’inizio l’assalto l’avesse colta di sorpresa e la botta sul polso fosse stata notevole; cercò di difendersi in ogni modo, e di colpire l’avversaria con calci e pugni negli unici punti che rimanevano scoperti dalla sua guardia.
Riuscì così ad assestarle un paio di calci volanti sullo sterno che la lasciarono temporaneamente senza fiato, ma non riuscì a sferrarle quello decisivo, perché la piattaforma si staccò lateralmente inclinandosi paurosamente.
 
Kaori si piegò sulle gambe e rimase immobile, in posizione di attesa.
 
Ryo, impossibilitato a fare altro se non assistere impotente alla lotta delle due donne, si sentì venir meno, quando vide la piattaforma staccarsi.
Quell’ammasso di ferraglia sarebbe crollato inevitabilmente, e da quell’altezza non ci sarebbe stato scampo per loro; e forse nemmeno per lui, se nella caduta rovinosa avesse trascinato con sé anche la porzione di incastellatura su cui sostava.
Per una frazione di secondo si immaginò Kaori precipitare nel vuoto urlando, e il pensiero di dover morire insieme a lei, gli rese meno dolorosa la prospettiva di doverla perdere per sempre.
 
Il tempo si fermò all’istante.
 
Le due donne si fronteggiavano ai lati opposti del piano inclinato: Hanzai era nella parte più in basso, Kaori in quella più in alto.
E a quel punto la sweeper le disse:
 
“Avanti, il gioco è finito” e tendendole le braccia aggiunse: “Afferra le mie mani e ci salveremo entrambe. C’è ancora una possibilità”.
 
Se Hanzai avesse accettato l’aiuto offertole da Kaori e avesse risalito in fretta il graticcio metallico, forse avrebbe avuto salva la vita, ma non poteva credere che quella mocciosetta, seppur tosta e tenace, avesse la meglio su di lei.
Una volta scese da lì, era la prigione che l’aspettava, e lei aveva deciso che preferiva morire.
I suoi piani non sarebbero cambiati, nemmeno a riguardo di colei che le stava tendendo le mani.
 
Quando la donna si mosse di scatto, Kaori credette che veramente sarebbe corsa ad afferrare le sue mani tese, e invece, sempre impugnando la sbarra metallica, si abbatté nuovamente sulla sweeper.
Ma il pavimento sdrucciolevole fece perdere aderenza ad Hanzai, e quando questa vibrò il colpo, sbilanciandosi in avanti, fu sulla gamba destra di Kaori che riuscì a colpire con tutta la sua forza, prima che, scivolando inevitabilmente all’indietro, non finisse fuori dal reticolato, cadendo nel vuoto, urlando.
 
Le sue grida si mischiarono a quelle di Ryo, che senza accorgersene urlava:“Nooooooo!” immaginando che anche la sua adorata socia avrebbe fatto la stessa fine della Hanzai, cadendo di sotto.
In preda all’angoscia, e dimentico di tutta la prudenza del caso, fece per slanciarsi su Kaori, ma inaspettatamente fu proprio lei a bloccarlo sul posto.
 
“Fermati Ryo! Non ti avvicinare!” gli disse perentoria.
 
L’uomo si riscosse, e rimase sospeso sul nulla, indeciso sul da farsi.
 
“Questo affare non reggerebbe anche il tuo peso!” spiegò la ragazza.
 
E nonostante il caos emotivo che gli sconvolgeva la mente, Ryo dovette ammettere che la sua socia non aveva tutti i torti.
 
“Fo-forse hai ragione” le rispose “Ma non posso stare qui senza far niente e vederti cadere giù… come come… Hanzai”.
 
Kaori sorrise intenerita, vedendolo così turbato.
Avrebbe voluto dire che non sarebbe caduta, che non sarebbe morta, ma il dolore alla gamba era così tanto incalzante, pressante, che non sapeva come avrebbe fatto ad uscire da lì, pericolosamente in bilico sul baratro.
Guardò brevemente di sotto: quell’altezza non riusciva nemmeno a vedere il corpo della Hanzai.
Sarebbe stata inghiottita anche lei dal buio?
 
Chiuse gli occhi.
Respirò a fondo.
 
Ripensò velocemente a ciò che si sarebbe persa morendo in quel momento: Ryo le aveva fatto quella specie di dichiarazione nella radura, teneva a lei, voleva vivere e sopravvivere per la donna che amava.
E quella donna era lei: non c’erano errori stavolta, o fraintendimenti.
E se lui aveva dichiarato che non voleva morire, perché avrebbe dovuto farlo lei?
Aveva aspettato tutta la vita di sentire quelle parole…
Quanto tempo era passato?
Una settimana?
Un mese?
Un giorno?
Strano che in quel preciso istante non se ne ricordasse.
Se fosse morta non avrebbero potuto vivere il loro amore, quello che prepotentemente stava venendo alla luce.
Avrebbe perso tutti i baci che Ryo ancora non le aveva dato, gli abbracci… avrebbe perso l’occasione di stare con lui, di fare l’amore con lui, di vivere ed invecchiare insieme.
Non era giusto!
 
Riaprì gli occhi con forza e lo guardò.
 
Ryo era ancora lì, paralizzato, dove lei gli aveva detto di restare.
Sembrava annientato, e un pensiero le attraversò la testa: se fosse caduta lei, si sarebbe gettato anche lui, ne era certa.
Le salì un singhiozzo dalla gola stretta in un nodo:
 
“Ryo…”
 
“Kaori…” mormorò lui in risposta.
 
Possibile che la loro storia sarebbe finita lì, così, in quel modo?
 
Gli sguardi che si scambiarono tradivano lo struggimento di due anime tormentate.
Poi Kaori si riscosse: doveva provarci, doveva tentare il tutto per tutto e, se fossero crollati, lo avrebbero fatto insieme, abbracciati.
E come se anche Ryo fosse giunto alla stessa conclusione, senza dire altro le tese le braccia, un chiaro invito ad afferrarla, a prenderla, non appena lei avesse deciso di saltare verso di lui.
 
Kaori lo guardò e annuì.
 
Lentissimamente, passo dopo passo, lateralmente, iniziò a spostarsi nella sua direzione, trattenendo il respiro: Ryo la guardava fiducioso, era come se la sua aura volesse trasmetterle tutto il suo coraggio e il suo amore.
Alla ragazza sembrò che non fossero mai stati così tanto vicini come in quel momento cruciale.
Il dolore alla gamba però era atroce, e non era facile ignorarlo: sospettava una frattura o comunque qualcosa di altrettanto doloroso.
Cercò di mettere in pausa questo pensiero e di concentrarsi il più possibile su tutto il resto.
 
Quando fu sufficientemente vicina a Ryo, tanto da poter tentare un ultimo balzo – visto che in quel punto la piattaforma si era già staccata, e il parapetto era corroso dalla ruggine e non sembrava poter reggere oltre – i due soci si guardarono negli occhi, intensamente.
 
Un dialogo silenzioso avvenne fra i due: la fiducia, la speranza, fluivano libere dalle loro anime, e anche l’amore che per tanto, troppo tempo, si erano ostinati a tener nascosto, ora li avvolgeva e li colmava di una calma quasi sovrannaturale.
Al cospetto di quel sentimento, potente e inestinguibile, tutto sembrava possibile, fattibile.
O tutto o niente.
 
Dopo un ultimo attimo di esitazione, come due trapezisti che si lancino nel vuoto, sicuri che l’altro ti afferrerà al volo senza mai farti cadere, Kaori diede fondo alle sue ultime energie, e ignorando il dolore lancinante alla gamba, e fingendo che le avesse entrambe sane, si raccolse su sé stessa, pronta per spiccare un balzo verso Ryo, verso colui che rappresentava la vita… la sua vita.
E prima ancora di sentire il senso di vuoto sotto di sé, due braccia forti la strinsero, imprigionandola, contro un petto possente e ansante, un petto che conosceva molto bene e che mai come in quel momento rappresentava la salvezza.
 
Il cuore di entrambi pareva sul punto di esplodere, tamburellava impazzito nel petto e, irrazionalmente, pensarono che, facendo così tanto rumore, avrebbe finito per far crollare quel vecchio impianto traballante.
Restarono abbracciati, stretti, fino a quando battito e respiro non tornarono regolari.
Erano scampati ad un pericolo immenso, ma non era ancora finita.
Dovevano andarsene da lì, e pure in fretta, perché erano precariamente in piedi sulla sommità di un complesso sistema di scale e passerelle metalliche, vetuste e corrose, che in più erano state violentemente sollecitate dalla corsa forsennata di poco prima.
I due sweeper si chiedevano quanto ancora avrebbero retto, eppure anche pensare di ridiscenderle era una pura follia.
Lassù, in cima, erano più vicini al tetto che al pavimento, e non avevano nessuna intenzione di accelerare la discesa, magari precipitando nel vuoto.
 
Uno scricchiolio seguito da un cigolio allarmante, li riscosse.
 
Immaginando che la gamba di Kaori le facesse così tanto male da non permetterle di camminare speditamente, Ryo le passò un braccio sotto all’ascella e si dispose a sostenerla.
Lei, istintivamente, mise il suo intorno al collo del socio, e soffocando i gemiti di dolore, piano piano, passo dopo passo, ridiscesero lentamente tutti i gradini saliti di corsa.
 
Messi i piedi a terra, tirarono entrambi un sospiro di sollievo e Kaori si sentì venir meno.
Prontamente Ryo la sostenne prima che cadesse, preoccupato per il suo svenimento, ma consapevole che ciò era stato inevitabile, dopo tutto lo stress vissuto e il dolore alla gamba.
 
 
 
 
Kaori si era ripresa quando già erano in macchina, sulla via di casa, e la ragazza si disse che almeno così non era stata costretta a vedere lo spettacolo di Hanzai sfracellata sul cemento.
Nemmeno Ryo vi aveva indugiato più di tanto, si era giusto accertato della morte della criminale, poi aveva telefonato a Saeko per occuparsi di tutto il resto.
Aveva lasciato Kaori svenuta sul sedile della Mini e non vedeva l’ora di andarsene di lì e… prendersi cura di lei.
Ma quando si era risvegliata, non aveva detto nulla: si era chiusa in un cupo mutismo e si ostinava a fissare, fuori dal finestrino, il buio e le luci della notte metropolitana.
Ryo non riusciva a capire la reazione della socia; forse, pensava, era ancora sottoshock per aver visto precipitare e morire la criminale… oppure, fisicamente e mentalmente, era provata da tutta quella sporca faccenda.
Dal riflesso che a tratti riusciva a scorgere, il viso della partner gli appariva teso ed emaciato, lo sguardo vitreo e duro, quasi rabbioso…
 
Si concentrò sulla guida.
 
Nemmeno quando giunsero a casa le cose migliorarono e, lì per lì, Ryo non seppe cosa dire; del resto non era molto bravo con le parole.
Vedeva che Kaori nascondeva il dolore: non aveva più richiesto il suo aiuto per salire le scale, e nemmeno prima per scendere dalla macchina.
Per un attimo se ne dispiacque: avrebbe voluto esserle utile, occuparsi di lei.
Era stato tentato di lasciarla andare, di farle smaltire come meglio credeva la tensione e lo stress, ma poi, contrariamente a come faceva sempre, decise che no, avrebbero risolto la faccenda insieme, tanto più che il rinnovato senso di colpa lo stava torturando: se Kaori era in quello stato e, peggio ancora, aveva rischiato la vita, era tutta colpa sua, che la costringeva a vivere e lavorare pericolosamente come facevano!
 
“Kaori, aspetta!” le disse lui, un attimo prima che scomparisse dietro la porta della sua camera, trattenendola per un braccio.
 
La ragazza si voltò a guardare la mano del socio che, fermamente ma non duramente, la stava stringendo. Non disse niente.
 
“Sugar…” sussurrò lui.
 
Lei alzò gli occhi a guardarlo, uno sguardo indecifrabile: Ryo ebbe paura che Kaori fosse ancora sottoshock, e che l’avventura appena trascorsa l’avesse profondamente turbata.
Ma quando lei fece per entrare, lui la seguì sempre tenendola per il braccio.
La lasciò solo quando fece l’atto di sedersi sul bordo del letto.
Lui preferì rimanere in piedi, davanti a lei.
 
Solo allora si accorse che era spettinata, i capelli sporchi di ragnatele e polvere nera, il viso annerito dalla sporcizia del capannone, striato da leggeri graffi più chiari.
I vestiti erano stazzonati e laceri in più punti e, soprattutto, era evidente lo squarcio sulla gamba destra dei jeans, all’altezza della coscia, da dove si intravedeva una ferita non profonda, ma già gonfia e tumefatta.
 
“Kaori… la gamba…” scappò detto a Ryo.
 
“Ah, sì” ammise laconicamente la socia, apparentemente dimentica di tutto.
 
Ryo si preoccupò: quale tormento stava dilaniando la sua amata testolina rossa, tanto da farle dimenticare una ferita del genere?
 
“Fammi dare un’occhiata…” e già si sporgeva verso di lei.
 
“No-no… ti prego, no” scattò, subito allarmata.
 
Ryo fece un balzo indietro, stupito della sua reazione, ma poi il buon senso prese il sopravvento: quella ferita poteva infettarsi, e non era il caso di fare tanto le schizzinose, di vergognarsi di lui!
Era poi solo una coscia!
E infatti le disse:
 
“Su, dai, non vorrai mica dirmi che ti vergogni…! Che ti vergogni di me!” e assunse un tono canzonatorio per sdrammatizzare.
 
A quel punto, lei alzò gli occhi ad incontrare quelli di lui e gli rispose:
 
“Ce-certo che no!”
 
“E allora da brava, siediti bene sul letto e distendi la gamba… anzi sarebbe meglio se ti sfilassi i jeans… Puoi farlo da sola?” ed ecco che già andava in panico al pensiero di doverlo fare lui, alla faccia del vergognarsi.
 
“Dovrei… dovrei riuscirci”.
 
E, sbottonandosi i pantaloni, li fece cadere a terra, trattenendo a stento un lamento.
Poi si trascinò al centro del letto e si lasciò andare, apparentemente esausta, sulla testiera del letto.
Chiuse gli occhi.
 
Era per giunta così sconvolta che il tutto andava al di là della solita vergogna provata di fronte a Ryo; non le importava di spogliarsi davanti a lui, che la vedesse in mutandine – come se non fosse mai successo prima! – non c’era niente di equivoco in tutto ciò, non c’era nulla di cui vergognarsi.
Era solo stanca, stanca di tutto, e scoraggiata.
 
Non appena Ryo vide la ferita con tanto di ematoma, trattenne un fischio:
 
“Deve farti molto male” le chiese.
 
“Ummm, sì. Un po’” sminuì lei.
 
Non era da Kaori essere così poco loquace, e Ryo, quando aveva a che fare con lei in quelle condizioni, non sapeva come comportarsi, si sentiva a disagio.
Meglio una bella litigata, quattro urla ben assetate, un po’ di strepito e tutto filava liscio…
Ma a vederla così, era uno strazio.
Da sempre poco avvezzo a capire le donne in generale, e Kaori in particolare, non sapeva come comportarsi.
Per il momento decise di medicarla.
Più tardi, magari, la sua socia si sarebbe convinta a parlare, a sputare il rospo, o forse piangere, come fanno le femmine, si disse.
Anche se Kaori in sua presenza non piangeva quasi mai; non l’aveva fatto nemmeno quando le aveva comunicato che l’amato fratello era stato ucciso.
 
“Torno subito” le disse. E scomparve.
 
Lasciare la stanza, almeno per un po’, fu un sollievo per lui.
 
Sarebbe tornato con il necessario per pulire e medicare la ferita, almeno per l’immediato, anche se avrebbe tanto voluto portarla dal Doc per farle fare una radiografia.
 
Rimasta sola, Kaori si lasciò andare ad un sospiro lungo e sconsolato.
 
Possibile che Ryo avesse deciso di essere così premuroso proprio adesso?
Lì al magazzino lei aveva fatto un casino: non gli aveva dato ascolto, la tipa l’aveva aggredita, ferita, e alla fine era morta.
Ryo aveva avuto ragione: quel posto era una trappola di metallo marcio e lei aveva voluto fare di testa sua.
 
Stava per lasciarsi andare al pianto che le pungeva gli occhi come mille spilli, quando il socio fece ritorno, armato di bacinella, spugna e cassetta del pronto soccorso.
 
Ryo, vedendo brillare le lacrime attraverso le sue ciglia, prendendo posto accanto a lei, seduto sul letto, le sussurrò:
 
“Fa così male?”
 
“Oh, Ryo! Perché sei così gentile con me?” sbottò allora la ragazza con un singulto.
 
“Ma-ma che vuoi dire?” si stupì enormemente il socio, quasi offeso da quel suo rimarcare le gentilezze che gli venivano spontanee; veramente lo vedeva solo come un rozzo maniaco buono a nulla?
Incapace di essere serio e premuroso come può essere un… amico, un collega di lavoro, un… innamorato?
 
“Voglio dire…” cercò di spiegare Kaori “che dovresti essere arrabbiato con me, pieno di disappunto, e invece…”
 
Ryo la guardò in maniera interrogativa, ma poi, anziché ribattere, si dispose a detergere delicatamente la ferita e il poco sangue rappreso sulla sommità del gonfiore violaceo e rosso, intingendo la spugna nella bacinella.
Non appena vi passò sopra la spugna, Kaori ebbe un guizzo della gamba e si lasciò sfuggire un “Ahi!” lamentoso.
 
“Scusa, non volevo farti male, ma è importante pulire bene la ferita, altrimenti potrebbe infettarsi” le disse Ryo a mo’ di scusa.
 
Se parlare gli riusciva male, Ryo aveva al contrario una manualità e una maestria nel medicare fuori dal comune, e Kaori si ricordò che anni e anni di guerriglia prima e di vita violenta poi, l’avevano istruito al meglio su come affrontare ogni tipo di lesione, ferita, ecchimosi e quant’altro.
E quasi seguendo il corso dei pensieri della socia, le disse, al termine della medicazione:
 
“Fatto! Però starei più tranquillo se tu andassi dal Professore a fare una radiografia, e controllare che non ci sia nulla di rotto” e le fece l’occhiolino.
 
Ma più Ryo era gentile e ben disposto, più il suo atteggiamento esasperava Kaori, che sbuffò.
 
“Okay, okay” si affrettò ad aggiungere l’uomo “potremo andarci domani mattina. Intanto prendi questo antidolorifico” e le porse un tubetto che aveva appena estratto dalla tasca della giacca.
 
Kaori stava per ribattere, ma poi si accorse che anche lui era spettinato, sporco, aveva la giacca strappata in alcuni punti, aveva perso dei bottoni…
Aveva l’aria stanca, ma sembrava in qualche modo rilassato, tranquillo, sollevato.
 
“Ryo, sono un’inetta… capirò se vuoi mandarmi via” esordì quasi dal nulla Kaori.
 
“Eh?” rispose l’uomo, che si era alzato in quel momento per riporre i medicinali. Si risedette.
 
“Non sono la degna compagna di City Hunter… ho messo in pericolo tutti oggi, e non ho seguito il tuo ordine, mi dispiace!” e si coprì il viso con le mani, lasciandosi andare al pianto.
 
“Kaori…” lo sweeper non seppe dire altro, paralizzato in tutto e per tutto.
 
Poi però cercò di dare un senso alle parole della socia, e appoggiando i medicinali sul suo comodino, così le parlò:
 
“Sei stata molto coraggiosa invece, non ti sei persa d’animo nemmeno per un secondo…”
 
“Ma tu mi avevi detto di fermarmi, di non andare oltre!” rispose quasi aspra.
 
“È vero, ma io te l’ho detto solo perché, da dove ero io, vedevo che la piattaforma era instabile” spiegò lui.
 
“Io non ti ho dato retta, nemmeno quando mi hai detto di tornare indietro e lasciare Hanzai lì”.
 
“Eri troppo coinvolta…” mormorò l’altro.
 
“È questo il punto! Io non riuscirò mai ad essere fredda e lucida come lo sei tu, sul lavoro. Non volevo rinunciare a lei, a prenderla, non dopo tutto il lavoro che avevamo fatto per scovarla, dopo quell’inseguimento assurdo. Non potevo… Ryo…” finì dicendo con rammarico.
 
“Ma io ti capisco…” ammise il socio.
 
“Eh?” dovette chiedere incredula la ragazza.
 
“Sì, non è facile dover rinunciare sul più bello alla cattura di un malvivente. Ma lì eravate, eri, in serio pericolo. Però poi ti sei comportata alla grande, è stata lei che ti ha aggredita con la spranga, e aveva già deciso che sarebbe morta, portandoti con sé…”
 
Kaori rabbrividì.
 
“Sugar, non fartene una colpa” riprese Ryo “fino all’ultimo hai cercato di salvarla, hai fatto la tua parte. Lei non voleva tornare in prigione… si sarebbe fatta uccidere piuttosto”.
 
“Lo so però… se ti avessi dato retta… magari… noi…”
 
“Non pensarci più… ormai è andata così” le disse distogliendo gli occhi da lei e alzandosi.
 
Si sentiva inquieto, e preferiva passeggiare per la stanza piuttosto che restarsene seduto lì a parlare.
 
A Kaori non sfuggì il cambiamento di umore del socio e pensò che fosse dovuto alla sua pochezza, alla sua inettitudine:
 
“Ryo, ti prego perdonami!” gli disse equivocando.
 
L’uomo si voltò di scatto a guardarla, sorpreso:
 
“Perdonare te? Sugar sei tu che devi perdonare me!” le disse, fermandosi al centro della stanza e guardandola intensamente “Sono io che ti costringo a fare questa vita ingrata, sempre in mezzo al pericolo, alla violenza…”
 
“Non. Dirlo. Mai. Più!” l’interruppe la ragazza, scandendo le parole “Te lo spiego una volta per tutte: io, Ryo, hai capito bene? IO, ho scelto questa vita, perché avrei potuto andarmene mille volte e non l’ho fatto. È una mia scelta, non la tua. Amo questo lavoro e amo farlo con te. Me ne assumo tutti i rischi, me ne addosso la responsabilità di una libera scelta!”
 
Ryo, stupefatto, la guardò spalancando gli occhi, ma poi si riprese e ribatté:
 
“E allora tu non dire mai più che non sei all’altezza di essere la mia degna compagna, la mia socia! Perché sei la collega più in gamba e più adatta che io abbia mai avuto!” e la serietà con cui pronunciò tali parole fece scorrere un brivido di piacere lungo la schiena della ragazza “Però non mi rassegnerò mai alla tua impulsività, alla tua audacia che a volte sfiora la sconsideratezza…” ma non era un rimprovero e il suo sguardo si addolcì “anche se tutto ciò fa parte di te… meravigliosamente parte di te”.
 
Tornò a sedersi sul letto e le prese la mano:
 
“Sapessi che tale paura ho avuto di perderti… di perderti per sempre. Per colpa di quella bastarda, per colpa del destino. Kaori, e mi si stringe il cuore solo a pensarlo, se tu fossi caduta giù, io mi sarei gettato dalla piattaforma dietro di te!”
 
“R-Ryo…” balbettò la ragazza, e con l’altra mano strinse quella dell’uomo “Anche io ho avuto paura… paura di morire perché ho ancora tante cose da realizzare, da fare… con te” e lo guardò intensamente.
 
Sotto quello sguardo caldo e dolce, Ryo si sentì invadere da una gioia potente e consolante.
Si avvicinò di più a lei, e le accarezzò la guancia sporca e rigata di lacrime: non gli era mai apparsa così bella come in quel momento, e prima ancora che potesse pensare a ciò che stava per fare, era lì che la baciava.
Dolcemente, lentamente, assaporando quel contatto di labbra così a lungo desiderato e rimandato.
 
E non ci fu più bisogno di dire o fare altro.
 
 
 
   
 
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