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Autore: Lady Warleggan    15/05/2022    1 recensioni
Fanfiction ambientata dopo la fine della 4° stagione (allerta spoiler!)
Isla ha ventisette anni quando accetta un impiego come istitutrice in Cornovaglia presso la tenuta di Trenwith. George invece, ormai sulla soglia dei quaranta, si è letteralmente catapultato nel lavoro e nella politica per mettere al tacere il dolore che lo tormenta dalla morte di Elizabeth.
Isla rappresenta per lui la più fresca delle novità: è intraprendente, dolce e amorevole col piccolo Valentine, di cui è diventata la sua migliore istitutrice. Tra i due c’è un semplice rapporto di educazione e rispetto, ma il destino ha in serbo per entrambi qualcosa di completamente diverso, e forse per George riserva ancora l’opportunità di amare di nuovo.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, George Warleggan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo dell’autrice
Ehilà! Lo so, di solito mi faccio sentire alla fine del capitolo, ma stavolta ci tenevo davvero molto a dire qualcosa prima di lasciarvi alla lettura. Questo capitolo è molto importante per la storia, soprattutto per il passato di Isla. Ci terrei perciò davvero molto a sapere cosa ne pensate!
 
P.S.: Sempre in questa sezione, troverete una mia nuova storia intitolata Skam Cornovaglia. Si tratta di una AU di Poldark ambientata ai giorni nostri, in cui i protagonisti della nostra serie preferita sono dei divertentissimi adolescenti. Il personaggio di Isla, che è protagonista di questa storia, mi è piaciuto talmente tanto che ho voluto inserirlo anche in questa AU e ovviamente la ship con George sarà presente anche lì! ;)
Si tratta di una nuova storia che aggiornerò però di tanto in tanto, per ora avrà la priorità L’istitutrice. Se vi fa piacere passare anche lì e dirmi cosa ne pensate, ne sarei davvero contenta.
Un abbraccio
Lady Warleggan

 

Sette.
I preparativi per l'arrivo di Mary in Cornovaglia assorbirono gran parte dei pensieri di Isla, cosa che, nel giro di un paio di settimane, l'aiutò non poco a non farsi distrarre da altre preoccupazioni.
Ormai non sentiva e non vedeva più Demelza dal litigio avuto a casa di Caroline. Si era ripromessa che una volta risolta la questione del viaggio di sua sorella avrebbe chiarito anche le cose con lei, ma la verità era che rimandare quel momento con tutte le scuse possibili le veniva più facile che affrontare di petto la situazione. Normalmente non si sarebbe fatta problemi a confrontarsi faccia a faccia con lei, come la volta precedente in cui non si era certo tirata indietro al litigio, ma non le era piaciuto il modo con cui Demelza le aveva parlato e aveva insinuato certe cose tra lei e George. Certo, non escludeva che la gente avesse già iniziato a parlare di entrambi e del loro legame all'epoca del ricevimento degli Enys, quando si era stabilita in Cornovaglia da appena un mese, ma il parere delle amiche valeva più di qualunque altra cosa e non poteva accettare simili allusioni da una persona che, dopo molti mesi, reputava importante.
Quella discussione le aveva caricato la testa di mille domande che aveva tentato (riuscendoci, appunto, in parte) di spazzare via pensando soltanto a Mary.
Non era certa che quel litigio la innervosisse soltanto per una pura questione di orgoglio. Non riusciva più a sentirsi sicura di quello che sentiva: forse Demelza aveva toccato un nervo ancora scoperto o inesplorato. Isla aveva ammesso senza riserve che le piaceva stare a Trenwith, e forse non soltanto perché da quando era arrivata in Cornovaglia si era sentita finalmente a casa.
Ricordava ancora la prima impressione che quella vecchia e ricca residenza le aveva dato e come, dopo molti mesi, la sua opinione fosse radicalmente mutata.
Voleva bene a Valentine, più di quanto si aspettasse. Così tanto che le era costato caro il pensiero di doversi rimettere in viaggio verso la Scozia soltanto per aiutare Mary, e questo l'aveva portata a cercare la soluzione che non la strappasse più via dalla Cornovaglia. E che forse... Demelza non fosse poi tanto lontana dalla verità? Forse teneva anche a George più di quanto si fosse accorta in tutto quel tempo?
Isla sospirò. Era tardi mentre, seduta alla scrivania della sua camera, quei pensieri le affluivano alla testa tutti assieme.
Si era messa in testa di rileggere tutte le lettere arrivate nelle ultime due settimane, per essere sicura che non le fosse sfuggito nulla, ma ora si sentiva solo più stanca e stressata. Il solo pensiero che in un paio di giorni avrebbe rivisto sua sorella e suo marito e che sarebbe tornata a convivere col suo passato non la aiutava di certo a prender sonno.
Guardò poi le lettere e gli inviti di Caroline a cui aveva risposto con le scuse più improbabili, e sperò che, tutta quell'improvvisa codardia, non le costasse anche lei come amica. Doveva ammettere che, anche per com'erano andate le cose con George, era molto più legata a lei che a Demelza.
Era anche certa che quelle lettere costituissero dei tentativi da parte di Caroline di aiutare le sue due amiche a riavvicinarsi, ma Isla aveva ora troppo in ballo per continuare a discutere con Demelza. Avrebbe messo tutto a posto, prima o poi, ma adesso non se la sentiva.
George, in quelle due settimane, non era cambiato affatto e non aveva di certo mutato le sue abitudini per lei. Il ricordo di quanto capitato la sera in cui gli aveva parlato di Mary era ancora fresco, soprattutto perché la conversazione aveva preso una piega decisamente non troppo piacevole, cosa che le aveva confermato la terribile opinione che il mondo intero sembrasse avere del suo datore di lavoro.
E proprio per questo motivo, in un primo momento, la proposta di aiuto da parte sua le era parsa a dir poco strana. Dapprima aveva pensato che lo facesse per senso del dovere: d'altronde ora Isla era una presenza fissa in casa e non si poteva negare che quasi facesse parte della famiglia; poi aveva anche più ragionevolmente pensato che lo facesse solo per una questione di puro orgoglio nel non farsi superare da nessuno, anche se gli Enys non erano di certo i Poldark.
Infine, all'improvviso, doveva aver capito perché l'avesse fatto: per sdebitarsi. Probabilmente dopo quella notte strana in cui lui si era lasciato andare accanto a lei, Isla aveva dedotto finalmente che George non fosse ubriaco e il fatto che lei lo avesse visto in un tale momento di difficoltà doveva averlo messo talmente tanto a disagio che l'unica cosa che aveva potuto pensare un uomo come lui era unicamente quella: che ora avesse un debito nei suoi riguardi. Non avevano avuto più occasione di parlarne visto che con lei aveva mantenuto il più grande riserbo (e la sua discrezione era stata una cosa che aveva sinceramente apprezzato), ma era chiaro che George Warleggan non si sarebbe mostrato più a lei in quello stato e ora, mettendo a disposizione Trenwith per sua sorella e suo cognato, per lui rappresentava il modo migliore che conoscesse per sdebitarsi.
Non che lei avesse intenzione di parlare con qualcuno di quello che era successo. Ma doveva ammettere che, l'ospitalità di George, risolveva gran parte dei suoi desideri più egoisti di non voler lasciare la Cornovaglia.
Isla guardò la tazza di tè che Anne le aveva preparato prima di ritirarsi in camera propria, ormai intiepidita dalla temperatura gelida della stanza che lei non riusciva a percepire dalla tanta agitazione e preoccupazione, nonostante indossasse una camicia da notte e una vestaglia piuttosto leggere.
Riusciva soltanto a pensare che, in un paio di giorni, il suo passato avrebbe bussato alla porta di una casa che aveva iniziato a considerare come sua, più di quanto Thurso o la sua famiglia stessa fossero mai state capace di essere.
* * *
I due giorni passarono forse troppo in fretta e la mattina in cui, secondo i calcoli, prevedeva l'arrivo di Mary, sua sorella si presentò puntuale lungo il viale di ingresso di Trenwith. Isla aveva sinceramente sperato che qualcosa rallentasse il viaggio, ma poi si era sentita in colpa al solo pensiero.
Era abbastanza presto quando gli ospiti sopraggiunsero e lei, imbambolata, si ritrovò a fissare come un'ameba dalle finestre della sala da pranzo la carrozza dei Thomson. In quel momento, stava facendo colazione assieme a Valentine e George, anche se in realtà aveva mangiato ben poco. Ormai le si era chiuso lo stomaco da giorni.
Probabilmente George dovette accorgersi di quanto strana si sentisse, perché fu costretto a chiamarla un paio di volte per attirare la sua attenzione e nemmeno la voce squillante di Valentine che saltellava allegro per l'arrivo degli ospiti, con le sue nuove scarpe nere e lucide, servì a farla sentire meglio.
"Vi sentite bene?" le chiese George, poco prima che mettesse mano alla porta per uscire di casa.
Stavano indossando tutti dei cappotti per non gelare al cospetto del clima rigido della Cornovaglia, e Isla, quando guardò George, gli diede l'impressione di essersi accorta soltanto in quel momento della sua presenza.
Un paio di domestici, nel frattempo, erano già all'esterno pronti a dare il benvenuto agli ospiti della tenuta, com'era stato dato loro ordine nei giorni precedenti, quindi non c'era di che preoccuparsi; e sua sorella e suo cognato non si sarebbero di certo sentiti inadeguatamente accolti come spettava a due persone del loro rango.
George la guardava così intensamente che le diede la sensazione che non avrebbe aperto la porta fino ad una sua richiesta. Probabilmente non l'avrebbe aperta mai e Isla sarebbe stata più felice così, ma ovviamente non si potevano ignorare i problemi. Le parve quasi... umano nei suoi riguardi. Non avrebbe saputo trovare altro aggettivo.
Era... dalla sua parte.
"Sì, signore. Sto bene. È tutto a posto" rispose, col sorriso più finto che riuscisse a trovare, e forse troppo velocemente per essere creduta, ma a George non sfuggì affatto il grosso respiro che dovette prendere per calmarsi portandosi una mano al centro del cappotto grigio che indossava.
Perché se c'era una persona che Isla aveva paura di rivedere, non era mica sua sorella Mary, non la spaventava nemmeno il senso di colpa per non essere voluta tornare immediatamente alla sua cittadina natale o per aver sperato che un ostacolo rallentasse il suo viaggio. Non si erano lasciate bene l'ultima volta che si erano viste, perché sua sorella era talmente fragile e sottomessa a sua madre e alla sua famiglia che avrebbe fatto qualunque cosa pur di non deludere nessuno.
Isla camminava pochi passi dietro George, con una tempra che lui non le aveva mai visto addosso, tenendo stretta la mano del piccolo Valentine. In realtà sembrava che si stesse aggrappando a lui per non cadere a terra, e a giudicare dagli sguardi dolci e preoccupati che il bambino le rivolgeva continuamente, anche lui doveva essersene accorto, ma non riuscì a dire niente per confortarla. Tutto ciò che si sentì di fare fu stringerle ancora di più la mano per non farla sentire sola.
Mary stava ancora scendendo dalla carrozza mentre Isla, George e Valentine si avviavano verso di loro. Il padrone di Trenwith cercò di scorgere qualcosa nelle due sorelle che mostrasse una somiglianza, ma a parte la statura minuta e la lunga capigliatura castana, non sembravano somigliarsi in molto altro. C'era uno sguardo perso che aleggiava sul volto di Mary: sembrava fragile, stanca e provata, e non solo per il lungo viaggio dalla Scozia fino alla Cornovaglia. Mary era praticamente un suo riflesso di come si era visto a lungo allo specchio nel periodo dopo la morte di Elizabeth.
La sorella di Isla però sembrava combattere ben altro lutto: vestiva di nero da capo a piede, a partire dal lungo abito col merletto fino al cappotto e al cappello, come se fosse davvero morto qualcuno. Era molto magra e come la sorella, dava l'impressione di avere meno dei suoi anni. Un'altra delle pochissime similitudini che George, nel periodo in cui Mary si fermò a Trenwith, riuscì a scorgere nelle due sorelle.
La sua era una battaglia contro la pressione di due famiglie potenti che non vedevano l'ora che mettesse finalmente al mondo un erede. Probabilmente, già stremata per i suoi "insuccessi", la mente di Mary non aveva retto.
Suo marito doveva essere più grande di lei, sicuramente dell'età di Isla. Era biondo, riccio, e con gli occhi azzurri. Un principe uscito direttamente da una favola: ma vi fu poco del suo sguardo che piacque a George, anche nel sorriso decisamente eccessivo che lo ringraziava dell'ospitalità per quel breve "soggiorno" in Cornovaglia. Un lupo travestito d'agnello, fu quello che gli venne istintivamente da pensare, pure se non lo conosceva.
George non poteva certo definirsi uno stinco di santo, ma almeno lui non si nascondeva. Alec Thomson gli rimandava invece delle cattive sensazioni.
Quando le due sorelle si salutarono, il loro abbraccio fu così forte che George temette che si potessero strozzare l'un l'altra. Mary sembrava provata da quella stretta così sincera, e i suoi occhi si stavano inumidendo di lacrime, ma si contenne e il marito sembrò tirare un sospiro di sollievo, come se fosse abituato a gesti di emozionalità improvvisi da parte della moglie.
Quando però le due si staccarono, e Alec e Isla si guardarono, George si ritrovò ad osservarli più del dovuto, provando qualcosa che non gli piaceva, e fu quasi sicuro che non fosse dovuto soltanto alla cattiva sensazione che aveva di Alan. Lo sguardo di quest'ultimo si incrociava a malapena con quello dell'istitutrice di suo figlio, come se non fossero capaci di guardarsi troppo a lungo: si salutarono molto rigidamente e più pacatamente di quanto avesse immaginato.
Isla sembrava disprezzarlo, eppure...
Se solo avesse saputo che...
Mary Thomson poteva essere fragile, sottomessa e ubbidiente ai desideri dei suoi genitori. Così ossequente che, quando i Wood si erano trovati nel baratro e Isla era lontana a rimboccarsi le maniche, iniziando a lavorare come istitutrice un po' qua è un po' là, lei aveva preso la scelta più meschina per cui potesse optare, anche se sicuramente l'ultimo dei suoi intenti era quello di ferire la sorella maggiore.
Mary aveva sposato l'uomo che Isla, sin da bambina, aveva sempre amato.
* * *
La storia di Isla cominciò con Dave Wood, secondogenito di un ricco possidente terriero, Oliver Wood. Dave era un uomo dalla tempra tutt'altro che forte, ma con un buon nome e una discreta fortuna. Aveva sposato Christal Brown, la prima di una lunga sfilza di figlie femmine che non aspettavano altro che accasarsi. Un matrimonio basato sul cognome e sul patrimonio: i due sposi avevano ben poco in comune e non si amarono praticamente mai.
Christal rimase incinta quasi subito le nozze, ma la sua fu una gravidanza complessa, che la costrinse a letto quasi per tutta la durata dei nove mesi. Alla fine però venne al mondo una bambina sana e forte a cui madre e padre attribuirono il nome di Isla: probabilmente già quella lunga e difficoltosa attesa avrebbe dovuto avvisare entrambi i genitori della tempra della figlia che avrebbe visto la luce.
In realtà Dave non era molto contento che fosse venuta su una femmina, lui desiderava l'erede: era un uomo che per quanto debole e inetto, era profondamente legato alla sua terra e al nome del suo clan, e desiderava poter tramandare il mestiere di possidente ad un erede maschio. Christal gli promise nuove gravidanze, ma a differenza della prima figlia, queste tardavano ad arrivare, cosa che allontanò ulteriormente i due coniugi più di quanto già non fossero.
Dopo anni di tentativi, quando Christal riuscì a restare incinta per la seconda volta, marito e moglie aspettarono in trepidante attesa l'arrivo del desiderato erede maschio.
Isla, già all'età di sei anni, era una bambina profondamente indipendente che aveva imparato il valore della solitudine e delle proprie forze: era accudita perlopiù da una bambinaia di nome Katherine che difficilmente avrebbe dimenticato, anche dopo tutti quegli anni. Fu l'unica persona che, in quella casa a Thurso, le trasmise una parvenza di famiglia: la ninna nanna scozzese che infatti aveva intonato per Valentine quando aveva avuto la febbre, gliel'aveva insegnata lei.
Ma anche alla seconda gravidanza, Christal non riuscì ad accontentare il marito, e la nuova arrivata prese il nome di Mary Wood. L'ennesimo "fallimento" della moglie, divenne per Dave il pretesto per segnare il definitivo declino di quel matrimonio già insensato in partenza. Da quel momento non tentarono neanche più di avere altri bambini.
Con gli anni divenne però chiara la predilezione dei genitori verso una delle figlie: la minore. Mary divenne il centro delle loro attenzioni non solo per la sua salute cagionevole o per il suo carattere mite, ma anche perché Isla era ritenuta troppo ingestibile, con pensieri troppo liberali, ormai era un caso perso. Christal aveva capito sin dai suoi primi anni di età che non sarebbe mai riuscita a piegare la figlia al suo volere, anche nei piccoli gesti in cui non le ubbidiva.
In entrambe le gravidanze aveva desiderato figli con capelli rossi come i suoi, ma le due bambine avevano invece preso i colori della famiglia del padre. Solo Isla aveva ereditato i suoi occhi azzurri.
Se non poteva essere accontentata da quel punto di vista, quando vide che però poteva modellare Mary a suo piacimento, plasmarla col proprio modo di fare e con le proprie idee come non aveva potuto fare con la figlia maggiore, si rincuorò.
Forse Isla divenne il figlio maschio che Dave aveva sempre desiderato. Mary era una bambina intelligente che sfruttava le sue capacità fino a dove le fosse consentito. Isla, lasciata a se stessa in quegli anni, aveva maturato ben altra tempra e ben altre abilità. E intorno ai vent'anni, quando ormai era così lontana dai suoi genitori sotto tanti punti di vista, scoprì dei debiti del padre a causa di alcune speculazioni piuttosto rischiose e ne rimase sconvolta. Di fronte agli sguardi tesi e alle mani nervose della madre, che nonostante sapesse tutto non aveva mai posto ostacoli alle iniziative del marito, Isla gli andò dritto a parlare.
"Non ti riguarda" le aveva risposto Dave per tagliare corto quella conversazione, ma Isla non era pronta a chiuderla lì: lo fissava come se fosse disgustata dalla sua presenza.
"Avete quasi rovinato la nostra famiglia" constatò, mostrandogli i documenti in cui aveva ficcanasato per arrivare fino alla verità. Sua madre le aveva insegnato che non era un bene per una donna intromettersi in questioni più grandi di lei, soprattutto se riguardavano gli affari degli uomini, ma Isla per fortuna non l'aveva mai ascoltata. "Da oggi in poi mi occuperò io delle finanze delle terre."
Dave le rise in faccia, quella ragazza sapeva essere divertente a modo suo. Ma poi la guardò, dall'alto del suo bicchiere di whiskey e si accorse che non stava affatto scherzando, che gli occhi azzurri che sua figlia aveva ereditato dalla donna che aveva sposato, erano più seri di quanto avesse mai creduto.
"Tu?" ripeté, più scioccato che divertito. "Una donna?"
"Sì, una donna, padre" rispose, senza alcun timore. "Sono sicura che gestirei le terre e gli affittuari molto meglio di voi."
Dave era seduto su una poltrona sfondata, ma niente gli impedì di alzarsi di scatto e tentare di sporcare la faccia della figlia maggiore con un ceffone. L'impertinenza di quella ragazza andava messa a posto.
Eppure non vi riuscì. Vuoi per quel bicchiere di troppo, perché non dormiva bene da alcune notti, vuoi perché, si rese conto, stava diventando miserabilmente vecchio e rachitico e pure quella ragazza alta a malapena un metro e cinquantotto riusciva a fermare il suo braccio magro e debole. Isla lo fissò, tenendo ben salda la sua presa su di lui, senza un briciolo di paura negli occhi.
"Da domani gestirò le terre e gli affittuari, padre. Vedrete che riuscirò persino ad accumulare una discreta dote per me e per Mary."
Sua figlia scandì quelle parole con lentezza, come se volesse che suo padre le ascoltasse per bene, una ad una. Per evidenziare quello in cui lui, in quegli anni, non era stato capace.
E così fu.
Dave glielo lasciò fare per davvero. Anche sua madre. Durante l'orario dei pasti Christal si lamentava con lei che una ragazza che si occupava di affari da uomini non si sarebbe mai maritata, e Isla le rispondeva che una ragazza come lei la stava salvando tutta d'un pezzo dalla bancarotta. A quel punto, riusciva sempre a zittirla e sua madre non faceva mai niente di concreto per fermarla, perché evidentemente era consapevole che senza il suo aiuto sarebbero stati spacciati.
Dave invece non fece assolutamente nulla: ormai, dato che Isla gestiva l'economia di famiglia, non gli permetteva più di sperperare i soldi in cose che avrebbero soltanto contribuito ulteriormente all'indebitamento: aveva preso il vizio del whiskey e delle belle donne, e d'un tratto non poté usufruire né dell'uno e né dell'altro. Sicuramente un altro padre di famiglia, di quei tempi, non avrebbe mai permesso che una donna lo tenesse così in pugno: ma Dave era Dave, forse troppo inetto per non lasciarsi trasportare dagli eventi.
Nel frattempo, ovviamente, Isla non era veramente sola. Katherine le era stata accanto nel periodo infantile, ma quando era diventata abbastanza grande, era stata mandata via nonostante i mille pianti e le mille lamentele. E così, in quello stesso periodo, era nata la sua amicizia con Alec Thomson.
Alec proveniva da una famiglia di mercanti di tessuti che si erano arricchiti col commercio lungo tutta la Gran Bretagna e poi anche con le trattative con l'Irlanda. Non erano di origini nobili come i Wood, ma intrattenere rapporti con persone così potenti, per Dave era fondamentale, e per questo le due famiglie, sin da quando Isla e Mary erano solo delle bambine, si erano sempre frequentate.
Isla e Alec avevano la stessa età e crebbero insieme.
Fu l'unico ragazzo che poté definire un amico sincero. Lui non la trattava come gli altri coetanei che aveva conosciuto ai pranzi e alle cene o ai ricevimenti: al suo fianco poteva essere libera di sentirsi chiunque, non doveva per forza attenersi ad un canone o ad un comportamento. Con lui non era per forza una "femmina", ma soltanto Isla.
Probabilmente da quella lunga amicizia fu quasi naturale che nascesse qualcosa di più, almeno per lei: Alec era già grazioso da bambino, ma con l'adolescenza la sua bellezza era praticamente esplosa e diverse coetanee avevano iniziato ad adocchiarlo causando immediatamente la gelosia di Isla.
Sicuramente, nonostante mancasse di origini nobiliari, la sua famiglia possedeva un impero commerciale tale che anche i cognomi più restii non avrebbero potuto ignorare una tale evidenza.
Eppure, inaspettatamente, lui voleva proprio Isla, cosa che la lasciava ulteriormente sbigottita. Era sempre stata una ragazza graziosa, ma durante l'adolescenza non si era mai vista bella e non si era mai piaciuta, eppure Alec fu il suo primo bacio e la sua prima storia importante. Si amarono sin da quando avevano sedici anni e anche più di dieci anni dopo, anche seduti al tavolo da pranzo di Trenwith, intenti a fare colazione, forse lui la amava ancora.
Ma quando Isla aveva vent'anni e si era dovuta rimboccare le maniche, lui le aveva proposto immediatamente il matrimonio. Sarebbe stato conveniente per entrambe le famiglie: quella di Isla avrebbe potuto risanare i debiti con l'aiuto di Alec, e al tempo stesso quella dei Thomson ci avrebbe ricavato un ottimo vantaggio con l'associazione al cognome dei Wood.
Ma Isla si rifiutò. Non aveva una dote da offrire ai Thomson. Forse Alec l'avrebbe sposata anche senza, ma era certa che il padre di lui si sarebbe opposto con tutte le sue forze. E forse, in cuor suo, sapeva di non essere ancora pronta per metter su famiglia.
Infine, non poteva nemmeno negare che tutta quella faccenda fosse diventata una questione personale con suo padre e forse con tutta la sua famiglia. Doveva ammetterlo: iniziò a lavorare come una matta e senza tregua, accettando incarichi come istitutrice e amministrando di notte gli affari delle terre e degli affittuari, cercando di venire incontro a quelle famiglie che a causa dei costi troppo alti non riuscivano ad arrivare alla fine del mese.
Isla abbassò gli affitti, causando l'ira del padre, ma niente di fatto da parte sua perché non la ostacolò per davvero. E questo servì, perché, in questo modo, gli affittuari potevano pagare in tempo e ciò permetteva di ricavare abbastanza denaro da mettere da parte per risanare i debiti. Ci volle parecchio tempo e molte delle vecchie proprietà del padre finirono nelle mani dei creditori per forza di cose (avrebbero fatto la stessa fine anche prima) ma finalmente, dopo qualche mese, la sua famiglia poté ricominciare a respirare.
E poi passarono gli anni. Da quella proposta di matrimonio, lei ed Alec continuarono a scriversi e ad amarsi ogni volta che potevano o quando lei per i suoi lavori non si allontanava troppo da Thurso. Ogni volta che si rivedevano, trascorrevano la maggior parte del tempo assieme, ovviamente non lontani dagli occhi indiscreti di entrambe le loro famiglie che volevano assicurarsi che non commettessero niente di sconveniente.
Tuttavia, ogni volta che Alec provava a toccare l'argomento delle nozze, Isla sviava: non perché non lo volesse (almeno, in un giorno lontano), ma per ora non si sentiva più pronta a sposarsi. Se Isla avesse potuto, si sarebbe fatta bastare quello che avevano, ma sapeva anche che Alec avrebbe desiderato di più per entrambi.
In fondo, lo doveva ammettere, il matrimonio non le era mai andato a genio, sin da bambina. Quello dei suoi genitori era stato l'esempio lampante di cosa non volesse, anche se sapeva che fra lei e Alec le cose sarebbero state diverse. Provò a convincersi per tanto tempo di fronte ad una tale evidenza, ma più viaggiava lavorando come istitutrice e più l'indipendenza e il riconoscimento da parte degli affittuari e di altri uomini d'affari scozzesi e non, le piaceva.
Ormai aveva messo da parte abbastanza denaro per la sua dote e anche quella della sorella, ma non lo rivelò mai ad Alec, anche se sapeva che avrebbe dovuto: andarsene in giro per la Scozia e poi per l'Inghilterra, anche soltanto per lavorare, le aveva aperto un mondo. Era certa che, in un qualche modo, alla fine sarebbe comunque finita con lui. Qualche volta si infatuava di gentiluomini di passaggio, ma mai abbastanza per dimenticare il suo primo grande amore. Aveva accettato qualche complimento, ma non lo avrebbe mai tradito. Prima di essere l'uomo che amava, Alec era sempre stato il suo più grande amico.
Tuttavia, al compimento dei suoi ventisei anni, qualcosa nel loro rapporto si ruppe. Probabilmente, dopo tante notti insonni, pianti isterici e momenti affollati di pensieri, Isla arrivò semplicemente alla conclusione che si fosse stufato di aspettare e che in fondo lo aveva sempre dato per scontato. Aveva forse amato la sua idea di libertà più di quanto avesse amato lui?
Alec comunque non mutò da un giorno all'altro, ma il suo cambiamento fu graduale. Iniziò a scriverle di meno, limitandosi a lettere molto più concise, più rade, e meno affettuose. Isla, di fronte a quella evidenza, chiese immediatamente un permesso alla famiglia in cui lavorava come istitutrice a Londra e si precipitò in Scozia, fingendo un problema a casa. Avrebbe dovuto affrontare direttamente Alec e mettere le cose a posto, non voleva perderlo.
Solo che non poteva immaginare quanto la scusa che aveva rifilato ai suoi datori di lavoro non fosse troppo lontana dalla realtà.
Il suo ultimo incarico l'aveva portata lontana dalla Scozia, quindi non aveva avuto modo di verificare di persona come le cose procedessero nella sua cittadina natale. A distanza non poteva occuparsi attivamente della gestione delle terre come aveva fatto in precedenza e per questo si era totalmente affidata ad Alec e alla sua esperienza, cosa che la portò immediatamente a pentirsi al suo ritorno. E non per un'eventuale pessima gestione delle finanze di famiglia, ma anche per un'altra serie di cose.
Non poteva immaginare quanto la dignità della sua famiglia fosse sprofondata nel baratro, mentre, assonnata e nell'oscurità della notte, varcava, dopo una settimana di viaggio, la porta cigolante dell'ingresso della vecchia villa in cui aveva vissuto assieme ai genitori sin da bambina. Era ancora una fortuna che si tenesse in piedi: necessitava urgentemente di lavori, soprattutto al piano superiore, ma dopo gli ultimi eventi dubitava che la sua famiglia potesse permetterseli.
Probabilmente la sorpresa del suo arrivo, dato che non si era annunciata in alcuna lettera precedente, se non con una che aveva spedito ad Alec informandolo del suo ritorno, aveva stupito anche il gruppo di domestici che era venuto a darle il bentornato in casa visto che la famiglia, a quell'ora della notte, era già avvolta dal calore delle coperte.
Le cameriere si studiavano fra loro, nervose e assonnate, come se non sapessero come muoversi di fronte a quell'imprevisto, ma quella sera, forse complice la stanchezza, Isla non poté comprendere fino in fondo i loro sguardi o le loro espressioni agitate.
Fu chiaro soltanto al mattino successivo.
Suo padre si era di nuovo giocato tutto e, alle spalle di Alec, era ricaduto nei vecchi vizi del passato. L'alcool, le carte e le prostitute.
E ora la sua famiglia rischiava nuovamente il baratro. La cosa non avrebbe dovuto sconvolgerla forse più di tanto, nemmeno che suo padre fosse capace di farla sotto al naso ad Alec, perché se c'era un'unica persona che non poteva ingannare, era la figlia maggiore che aveva sempre mal sopportato, e forse, di nascosto, anche invidiato per la tenacia che lui non aveva mai posseduto in tutta la sua vita. In quella famiglia, Isla era sempre stata un'estranea per il suo carattere e per la sua grinta: lui, sua moglie e la figlia minore erano invece un ammasso di vigliaccheria.
Quando le luci del sole rischiararono le stanze al pian terreno, per Isla fu chiaro e lampante quello che stava accadendo.
La sua famiglia non rischiava più il baratro se non per merito di Alec.
Aveva chiesto la mano di Mary per aiutare la sua famiglia, come se questo potesse sdebitarlo di non aver adempiuto correttamente al proprio dovere durante l'assenza della sua migliore amica. Probabilmente questo doveva essere bastato al padre per convincerlo a sposare una donna senza una dote consistente.
Isla ebbe l'impressione di star per avere un mancamento. Agli occhi e sulla bocca della gente, lei e Alec apparivano soltanto come amici di lunga data, ma le famiglie sapevano che da tempo tra i due esisteva un legame profondo e che, quando sarebbe arrivato il momento adeguato, sarebbero convolati a nozze.
Ma quel giorno non avrebbe mai visto il suo sorgere, e ora, purtroppo, era costretta a realizzarlo. Avrebbe dovuto urlare, spaccare qualcosa, ma non riuscì a fare niente di tutto ciò. Soltanto osservare attonita quello che accadeva attorno a sé.
I preparativi per il matrimonio tra Alec e Mary erano esageratamente a buon punto perché la proposta potesse definirsi recente e ci volle poco, soltanto studiando gli sguardi della madre o le mezze parole della sorella più piccola, che non aveva nemmeno il coraggio di guardarla in faccia, che probabilmente progettavano di farle sapere tutto soltanto a cose fatte.
Ma Alec... come aveva potuto...
Quando al tavolo della colazione Isla guardò i fiori in un angolo della stanza, gli inviti ammucchiati su un mobiletto o la lista di cose da preparare per cui Alec si era convinto a non badare a spese, non poté fare a meno di mettersi nei panni di sua sorella. Quello... tutta quella organizzazione, dannazione, era una cosa sua, che apparteneva a lei!
Doveva esserci lei al fianco di Alec in chiesa!
Si alzò frettolosamente dal tavolo della colazione dopo aver ricevuto tutte quelle informazioni assieme, senza dare troppe spiegazioni. Si sentiva un'intrusa per quel suo arrivo che sembrava aver destato lo scalpore della famiglia, a quella tavola dove c'era la faccia magra e smunta del padre che avrebbe voluto soltanto prendere a ceffoni. La colpa era sempre sua, dopotutto.
E perché no, avrebbe volentieri tirato uno schiaffo anche alla guancia pallida e paffuta di sua sorella Mary che se ne stava stretta sulla sua sedia come un cucciolo bastonato, come se questo la giustificasse di quello che aveva fatto.
Era certa che la sua mente fosse stata plasmata dal senso del dovere e dalle pressioni della madre e forse, le costava ammetterlo, anche da quelle dello stesso Alec, ma per la miseria... possibile che non avesse mai il coraggio di parlare ad alta voce? Possibile che non tenesse un po' a lei da opporsi a quelle nozze?
Lei e Mary avevano sempre avuto un buon rapporto, nonostante le preferenze in famiglia o i caratteri differenti.
Isla corse nel giardino sul retro e a quel punto, vicino ad un cespuglio di rose, vomitò, disgustata, quel poco che era riuscita a mandare giù a colazione e pure la bile. Alzò lo sguardo, intontita dal vomito e dalla testa che girava e osservò, in lontananza, un punto preciso. Quello della quercia dove, quando lei e Alec avevano sedici anni, si erano scambiati il primo bacio.
E poi pianse.
Pianse come non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
In quell'esatto momento, Isla si accorse di essere sola come non lo era mai stata prima.
E che probabilmente, lo sarebbe stata per tutta la vita.
* * *
"Isla."
Due tocchi alla porta.
"Isla, so che sei lì dentro."
Altri due tocchi.
"Apri, per favore."
Isla sospirò. L'unica stanza che avesse mai apprezzato della vecchia villa dei genitori era il salottino in biblioteca. Da ragazza si era chiusa spesso al suo interno per studiare, o per informarsi tramite i giornali sulle innovazioni degli ultimi anni, oppure ricordava quando negli ultimi anni aveva passato al setaccio i bilanci delle terre e gli ultimi conti degli affitti ritirati.
Sospirò. Fu la prima e ultima volta che pensò che non avrebbe mai dovuto lasciare la Scozia.
Ora era chiusa in quella stanza soltanto a fare niente, accanto al camino acceso e seduta su una delle poltrone a scaldarsi. Sul tavolino di fronte al fuoco, c'era un giornale di Londra vecchio di alcuni giorni su cui aveva trovato un'interessante inserzione che però ancora non aveva esaminato a dovere.
Ormai, non c'era più niente per lei in Scozia. Amava con tutta se stessa quel paese e si sentiva fiera della sua nazione e delle sue origini, anche del suo accento marcato, ma francamente non sarebbe rimasta un minuto di più in quella casa e aveva già dato ordine ai domestici di preparare le sue valigie, che sarebbe immediatamente tornata nella capitale inglese il mattino seguente. In realtà non erano neanche mai state disfatte.
"È aperto" mugolò in risposta, sapendo che non avrebbe schiodato nessuno dall'altra parte della porta se non si fosse decisa a rispondere.
Non era da lei non affrontare i suoi problemi. Probabilmente Mary doveva essere corsa ai ripari quando aveva saputo che si stava preparando a lasciare la casa il prima possibile. Forse, ingenuamente, aveva pensato che, chiamando Alec per spiegarle la situazione (che a differenza della sua famiglia era già stato avvisato del suo arrivo), che se magari avrebbe saputo usare le parole giuste, lei avrebbe compreso perché aveva compiuto quel gesto.
Alec entrò in biblioteca e Isla dovette sforzarsi di non piangere come aveva fatto in giardino. Era anche più bello di come lo ricordasse, con la barba curata e i capelli invece in disordine, uno straordinario e pregiato completo verde scuro che risaltava il suo incarnato chiaro. Il suo cuore fece un salto mortale mentre, col suo sguardo preoccupato, varcava la porta, seguito, come se fosse un cagnolino, da sua sorella Mary.
Isla dovette fare uno sforzo immane anche per non alzare gli occhi al cielo quando la vide.
Alec fu colpito da Isla, anche se non glielo raccontò mai. Non aveva smesso di provare gli stessi sentimenti, anche se la sua vecchia fidanzata gli appariva diversa da come se la ricordasse. Era più magra e più pallida, forse per effetto di quanto le era stato raccontato in un solo giorno. E poi aveva qualcosa di insolito: tante volte l'aveva vista triste, ma mai, come quel mattino, gli parve stanca e distrutta. Ingoiò il rospo: aveva preso la sua decisione e doveva portarla avanti.
"Ho saputo che stai già facendo le valigie" iniziò Mary, rompendo il silenzio di quella stanza.
Isla fissò intensamente le fiamme nel caminetto. Le veniva più facile fare così che guardare negli occhi Alec.
"Ho trovato un'inserzione interessante sul giornale, qualche giorno fa. Potrei dover partire per la Cornovaglia molto presto e mi conviene essere a Londra il prima possibile."
In realtà non era vero niente. Isla aveva soltanto dato un'occhiata quasi distratta a quell'inserzione, ma dato che col sopraggiungere dell'estate la famiglia presso cui lavorava si sarebbe trasferita oltreoceano il mese successivo e non le avevano chiesto di seguirla, la cosa più ovvia che le era parsa di fare era stata quella di trovarsi un nuovo impiego. Tuttavia, non aveva neanche scritto all'inserzionista della Cornovaglia per mostrarsi interessata a quell'annuncio di lavoro e non sapeva se nel frattempo il suo posto non fosse già stato rimpiazzato.
"Credo che dovremmo parlare, prima che tu parta di nuovo."
Alec rimarcò volutamente quelle ultime due parole.
Isla scosse la testa, ma ancora non lo guardava. I suoi occhi restavano fermi sul fuoco.
"No, non credo."
"Io e Mary vorremmo che fossi presente al nostro matrimonio. Si tratta di aspettare un'altra settimana e poi potrai tornare alla tua vita di sempre."
Isla a quel punto ridacchiò. Ci tenevano che fosse presente al matrimonio, come no. Quando stavano progettando di farle sapere tutto a cose fatte.
Stavolta, anche se con occhi lucidi, trovò il coraggio di voltarsi verso sua sorella e quello che fino al giorno precedente era sempre stato il suo più grande amore.
"Cos'è questo Alec? Un dispetto?"
Lui sembrò colto sul vivo.
"Di che diavolo parli?"
"Non sposi Mary per senso del dovere, e certamente non perché la ami." Isla guardò a fondo sua sorella minore mentre pronunciava quelle parole. Lei evitò volutamente il suo sguardo. "Forse lo fai perché vuoi sdebitarti di non aver tenuto sotto controllo mio padre, ma francamente penso tu lo faccia soprattutto per farmi un bel dispetto."
La stanza si riempì di silenzio.
Alec sospirò.
"Sei stata lontana tanto tempo, Isla, troppo. Io e Mary in questi ultimi mesi ci siamo avvicinati molto."
"Ultimi mesi?" ripeté Isla, con una certa incredulità, e dovette sforzarsi di non correre a vomitare di nuovo in giardino com'era accaduto dopo la colazione. "Glielo hai detto che all'inizio dell'anno mi scrivevi ancora lettere d'amore?"
Mary trasalì, ma mantenne la sua compostezza e non fiato, continuando ad osservare Alec in attesa della prossima mossa. Lui sembrò aver raccolto la frecciatina.
"Ci vogliamo bene" la ignorò sua sorella.
"Certo." Isla annuì sarcastica. "Continuate pure a raccontarvi le vostre storielle, io però non ho intenzione di assistere a questa pantomima. Se permettete, torno a Londra il prima possibile."
"Isla ma cosa ti aspettavi, esattamente?" sbottò Alec, stufo marcio. Probabilmente si era portato quel peso per tutto il tempo senza avere mai avuto il coraggio di liberarsene. "Che stessi in un angolo ad aspettarti per tutta la vita? Hai già rifiutato tante volte il matrimonio perché volevi viaggiare, esplorare, lavorare e io te l'ho lasciato fare. Ma se permetti, ad un certo punto, inizio a guardarmi attorno."
Isla strinse le dita attorno al bracciolo della sua poltrona. Doveva mantenere la calma, ma le prudevano le mani. Fece un grosso respiro, ricacciando indietro lacrime rabbiose che preannunciavano oceani e si voltò verso Alec e Mary con l'espressione più indifferente che riuscì a trovare.
"E ce l'hai fatta, Alec. Tu non cercavi una moglie che condividesse tutto con te, ma un soprammobile che ti seguisse ovunque." Fece un applauso ironico. "Ti faccio le mie congratulazioni. Lo hai trovato. Mary sarà una moglie perfetta."
Isla si alzò dalla poltrona con una calma indicibile. Fece un piccolo saluto col capo alle facce sbigottite di sua sorella e di Alec e si avviò fuori la porta, percependo l'impellente voglia di Alec di correrle dietro e abbracciarla. Anche lei lo avrebbe fatto, ma non poteva permetterselo, ormai doveva lasciarsi per sempre alle spalle quel capitolo della propria vita. Era sola e nessuno la obbligava più a sentirsi parte di quella famiglia.
Si sarebbe limitata ad un contatto minimo, a distanza.
Non sarebbe più tornata, neanche per le feste. Avrebbe inventato le scuse più improbabili pur di non farlo.
Mentre al mattino successivo rientrava in carrozza, le capitò il giornale che aveva portato con sé sotto le mani. Rilesse l'inserzione con più attenzione, mentre la carrozza riprendeva la sua marcia e fece ciò che trovò sensato in quel momento.
Aveva da parte sia la sua dote che quella della sorella. Quei soldi ora erano suoi e non li avrebbe più usati per nessuno, se non per sé stessa.
Così iniziò a buttare giù la lettera che avrebbe poi spedito a George Warleggan.
   
 
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