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Autore: DDaniele    15/05/2022    1 recensioni
Tim prende in considerazione l’idea di svelare la sua identità segreta di Robin a Bernard e addirittura di arruolarlo come suo aiutante, ufficializzando l’alleanza spontanea che è avvenuta tra loro nel canone in Batman Urban Legends #6. Stuzzicato da questo pensiero, Tim ne esamina i pro e i contro per arrivare a prendere una decisione. La storia si incentra sulla ship TimBer (Tim Drake x Bernard Dowd).
La fanfiction è stata scritta per la challenge MayIWrite 2022 giorno 12 indetta sul gruppo Facebook "Non solo Sherlock" sviluppando i seguenti prompt: Cuore/Cervello + Bonus immagine (persona accasciata con la testa su una scrivania in una posizione esausta/sofferente).
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Tim Drake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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   Robin schivò il pugno dell’avversario scartando a destra. L’uomo, un criminale dal triplo della stazza dell’esile vigilante, spinto dallo slancio che con una breve corsa aveva impresso nel braccio per dare più forza possibile al suo colpo, continuò ad avanzare per qualche passo, nonostante cercasse di fermarsi e imprimere una nuova direzione al suo andamento per seguire l’agilità di Robin, ma senza successo. A Robin fu sufficiente assestargli un calcio in piena schiena per mandarlo a schiantarsi contro il muro dell’edificio di fronte, mettendo così al tappeto il primo dei suoi nemici. Con un sorriso compiaciuto, Robin si voltò di 180 gradi con deliberata lentezza verso la donna che si trovava sul tettino del furgone portavalori, una posizione sopraelevata da cui la donna, presumibilmente il capo della gang, stava sostituendo il caricatore della sua pistola. Sebbene il rumore del caricatore della pistola che veniva richiuso normalmente avrebbe spaventato chiunque, Robin compreso, stavolta il vigilante non si allarmò, sentendosi invincibile nella sua certezza di avere tutto sotto controllo. A riprova che Robin avesse ragione a sentirsi in comando della situazione, questi si arrampicò con pochi balzi sul tetto del furgone e prima che la donna potesse puntargli la pistola contro il vigilante le assestò un calcio che la gettò giù a terra. Robin si sporse dal tettino e chiese al guidatore del mezzo se fosse illeso. Ricevuta una risposta positiva, Robin si calò a terra, si accertò che la criminale fosse effettivamente svenuta e si diresse verso il retro del furgone, dove i due fuorilegge rimanenti erano saliti durante l’assalto al portavalori.
   Raggiunto il portellone spalancato, Robin intimò agli avversari di scendere dal mezzo e arrendersi. Essi saltarono dal furgone con un balzo e si posizionarono uno di fronte uno dietro Robin, stringendolo con una classica tecnica a tenaglia. Registrando la prevedibilità dell’offensiva nemica, Robin sorrise suo malgrado. In altre circostanze avrebbe agito in maniera assai più circospetta nonostante la certezza di avere a che fare con dei dilettanti, convinti che un assalto a un furgone portavalori nel pieno di Gotham City sarebbe andato a segno, come se gli associati di Batman non avrebbero avuto problemi a sopraffarli ad occhi chiusi. Robin evitò una serie di pugni che avrebbe potuto tranquillamente bloccare, ma il vigilante si voleva godere la scarica d’adrenalina che lo faceva fremere mentre giocava al gatto col topo con i suoi avversari. Come intossicato da una droga, si permise il lusso di domandarsi da cosa derivasse la sua euforia. Mentre continuava a schivare i colpi e i calci nemici semplicemente assecondando la sua memoria muscolare, Robin capì. Il suo corpo stava rivivendo la lotta che aveva ingaggiato contro i Mostri del Caos insieme a Bernard. In quell’occasione, il cervello di Robin, di solito ribollente di domande senza risposte, si era acquietato e aveva seguito il flusso degli eventi, rassicurato dalla presenza di Bernard che combatteva al suo fianco. Da allora, Robin si rese conto in quel frangente, aveva raggiunto quella che gli atleti chiamano la zone, uno stato beatifico in cui il corpo agisce come istintivamente con la massima resa sul campo. In effetti, Robin si sentì come un giocatore di basketball che segna un canestro spettacolare sotto gli applausi scroscianti del pubblico, che fuori di metafora provenivano nella realtà dalla folla di passanti che si era accalcata alle transenne della polizia.
   Alla fine, i criminali rimasti si accasciarono al suolo, esausti dal solo vibrare colpi infiniti all’aria senza che uno solo di essi avesse centrato Robin. Fu con un velo di delusione che Robin osservò i poliziotti staccarsi dalle transenne per andare ad ammanettare i malviventi. Ragionando come un drogato, Robin desiderò che i suoi avversari avessero opposto una maggiore resistenza, prolungando la sua permanenza nella zone. Come un ubriaco si stupisce nel notare che sta tornando gradualmente sobrio, Robin registrò che la quotidianità delle operazioni di routine con cui i poliziotti lo interrogavano per il verbale favorì il riemergere della sua razionalità. Ripresa coscienza di sé e della pericolosità, per sé e gli astanti, di una colluttazione contro dei criminali armati e bellicosi, Robin si sentì sollevato che lo scontro si fosse concluso senza incidenti.
   Terminato il confronto con la polizia, Robin salì sul tetto di un palazzo adiacente da cui osservò dall’alto la scena. Una volta lì sopra, Robin scandagliò il suo animo per scoprire il motivo dell’euforia di poco prima. Ripensò a come il suo corpo si fosse lasciato andare alla spavalderia, adagiandosi sul ricordo della presenza di Bernard. Prima che se ne rendesse pienamente conto, Robin sentì il suo cuore implorarlo di assoldare Bernard come aiutante, come una sorta di secondo Robin, in modo da ricreare perennemente la lotta che aveva avuto luogo nel covo dei Mostri del Caos, durante la quale Robin aveva raggiunto per la prima volta la zone. Non appena il suo cervello ebbe registrato l’impulso che gli dettava il cuore, Robin si sentì sopraffare da un pesante senso di colpa. Sentendosi letteralmente schiacciare come se il suo senso di colpa fosse un reale macigno, Robin si accasciò, mettendosi a sedere sull’orlo del tetto, prendendosi tra le mani la testa che cadeva penzolando tra le sue spalle.
   L’ultimo residuo della gioia che aveva sperimentato poco prima abbandonò Robin e la sua consueta razionalità torno ad opprimerlo. Con voce imperiosa, Robin sentì la sua mente urlargli nella sua scatola cranica come se si trattasse di una persona reale al colmo della collera. Questa accusava il suo cuore come se fosse un avvocato dell’accusa in un’aula di tribunale. Per la precisione, accusava il suo cuore di voler coinvolgere Bernard nella sua identità segreta di vigilante, con tutto quello che ciò comportava: rivelare a Bernard la sua doppia identità e, come se questo gesto da solo non avrebbe messo in pericolo l’incolumità del ragazzo, di convincerlo a diventare anch’egli un vigilante. Robin sentì un ulteriore moto di vergogna quando il cuore, dal suo posto al banco degli imputati, fece notare che ingaggiare Bernard avrebbe fatto la sua felicità: questi non si era forse unito a un culto esoterico? Non aveva egli prestato il suo aiuto a Robin nel momento del bisogno? Dunque Bernard non aveva, di fatto, già creato una sua identità segreta e non aveva già servito Robin, con reciproca soddisfazione di entrambi?
   Imperturbabile, la razionalità, questo implacabile avvocato dell’accusa, rispose che queste affermazioni costituivano nient’altro che razionalizzazioni a posteriori, tese a giustificare un’azione riprovevole. Già, questo perché, proseguì la mente, il desiderio di ingaggiare Bernard come aiutante era per sua natura egoistico, in quanto metteva in serio pericolo la stabilità mentale di Bernard e la sua salute fisica. Robin, giudice di questa contesa, assecondò quanto dettava la sua razionalità e riconobbe l’egoismo che si celava nel suo desiderio di fare di Bernard un aiutante. Mise dunque a tacere il suo cuore, cercò di smorzare il paralizzante senso di colpa che lo aveva invaso quando si era reso conto di quanto un tale disegno fosse egoista e mettesse a repentaglio la vita di Bernard. Robin si riscosse dalla sua posizione acquattata sul tetto del palazzo e si fece forza sulle gambe per alzarsi. Ritornando in piedi, le sue gambe cedettero come se si sentisse frastornato, ma dopo qualche istante Robin poté allontanarsi per tornare alla Batcave.

   La mattina del giorno successivo, Tim raggiunse il parco centrale di Gotham per un appuntamento con Bernard. Arrivato in anticipo, Tim si sporse dal ponticello di mattoni che passava sopra un ruscello. Osservando brevemente il suo riflesso nell’acqua, Tim notò che la sua bocca si corrucciava in un’espressione di disgusto rivolta a se stesso per il desiderio che aveva espresso il giorno avanti. Tim inspirò ed espirò per cercare di cancellare i pensieri dalla sua mente. Non voleva rovinare l’uscita con Bernard stando con la testa altrove. La vibrazione del cellulare lo riscosse dalla sue riflessioni. Prese il telefono e lesse un messaggio inviato da Bernard: “Arrivo, aspettami lì!” Tim diede la schiena al ruscello e si poggiò sul corrimano del ponticello puntellandosi con i gomiti. Per distrarsi, osservò il panorama davanti a sé: uno scorcio di vegetazione autunnale attraversato dagli uccelli e gli scoiattoli che facevano provviste per l’inverno imminente.
   Pochi minuti dopo, Tim sentì lo scricchiolio di passi familiari: “Eccomi!” gli disse Bernard con un sorriso radioso dipinto sul viso. Nel vedere il suo fidanzato Tim si sentì come un groppo scioglierglisi dalla bocca dello stomaco. Andò incontro a Bernard incontrandolo all’inizio del ponticello e lo abbracciò forte a sé. Bernard ricambiò l’abbraccio con altrettanto calore. “Ti ho fatto aspettare?” “No, è che mi sei mancato tanto.” “Oh, chi avrebbe mai detto che Tim Drake Wayne, all’apparenza così serioso, sotto sotto è un tenerone?” Bernard rispose scherzoso, ma anche mentre diceva la battuta strinse ancora più a sé Tim. Questi lo notò e gliene fu grato. “Oh, sta’ zitto” lo implorò Tim divertito.
   Scioltisi dall’abbraccio, Tim e Bernard si presero per mano e attraversarono il ponte di mattoni. Superato il ruscello, Tim domandò: “Sai già dove vuoi andare a cenare?” “Sì, ho letto delle buone recensioni per il ristorante del parco. Hanno cambiato gestione e ora fanno delle pizze da paura. Voglio provare quella con peperoncini e funghi fritti.” Tim accettò e si diressero verso il ristorante, che si trovava esattamente al centro del parco, sorgendo sul punto in cui il ruscello si gettava in un laghetto popolato da oche e anatre e in cui coppie di innamorati noleggiavano delle barchette per fare gite romantiche sullo specchio d’acqua. Dopo che un cameriere, un ragazzo amichevole, li ebbe accompagnati al tavolo, Tim si portò alle spalle di Bernard e scostò per lui la sedia dal tavolo per farlo sedere più comodamente. “Prego, messere” lo canzonò Tim. “Oh cielo, ma allora la cavalleria non è morta!” lo assecondò ridendo Bernard.
   Una volta seduti, entrambi presero i menù e lessero le proposte della casa. Bernard chiamò subito il cameriere. “Per me doppia porzione di patate fritte country con bacon, una pizza peperoncini e funghi fritti, e infine un tortino al cacao. Da bere, una Coca Cola. Per te, Tim?” “Non ho ancora deciso. Al contrario di qualcuno, non ho studiato il menù da Internet.” Il cameriere prese l’ordine di Bernard dicendo che sarebbe tornato più tardi per prendere anche quello di Tim. Quando il ragazzo si fu allontanato, Tim disse a voce bassa, come parlando tra sé: “Oggi una certa persona ha appetito. Io faccio del mio meglio come gentleman e i miei sforzi di seguire il bon ton vengono vanificati così.” “Caro,” disse Bernard con voce melliflua, “non ho neanche ricevuto il menù senza prezzi, cosa ti aspetti?” Tim scoppiò a ridere. Il cameriere tornò a prendere la comanda di Tim: insalata con scampi, una pizza regina e acqua frizzante. Bernard commentò che qualcuno voleva seguire la dieta.
   Il pranzo si svolse senza intoppi. Quando ebbero finito di mangiare, Tim e Bernard lasciarono il ristorante e fecero una passeggiata per il parco. Mentre camminava tenendosi per mano con Bernard, Tim notò quanto la semplice presenza del suo fidanzato fosse sufficiente a farlo stare bene con se stesso e con il mondo. In un certo senso, l’amore di Bernard lo calmava dal suo complesso di perfezionismo, facendogli notare che lui stesso, pur con i suoi mille difetti, fosse abbastanza e meritevole di affetto, che non avesse bisogno di divenire una versione migliore di se stesso per redimersi dai problemi che lo attanagliavano da tutta una vita.
   Lo stato di pace che Bernard gli comunicava spinse Tim a rivedere il conflitto interiore che aveva avuto il giorno precedente. Dopo aver sconfitto i criminali, Tim aveva pensato di coinvolgere Bernard nella sua doppia vita per traslare questa sensazione di appagamento nella sua esistenza come Robin, il suo alter ego il quale, quando ne vestiva i panni, gli creava la maggior parte dei suoi dilemmi. Tuttavia, passata l’adrenalina dello scontro aveva rinnegato il suo desiderio perché lo aveva ritenuto egoistico.
   Adesso, la stessa presenza di Bernard lo spingeva a rivedere la questione sotto un altro punto di vista. Aveva ragione a non voler coinvolgere Bernard nella sua doppia vita perché questo lo avrebbe messo in pericolo. Ma c’era dell’altro. Oltre a mettere a repentaglio la sua sicurezza, Tim avrebbe sconvolto del tutto la vita di Bernard. Dopo tutto, era stata proprio l’esistenza di una doppia identità a rovinare il rapporto che c’era tra Tim e Stephanie, distruggendo a poco a poco l’amore che pure, all’inizio della loro storia, c’era innegabilmente stato. Eppure, nonostante l’affetto genuino che provavano l’uno per l’altro, le menzogne, le verità non dette e gli innumerevoli rischi del mestiere avevano piano piano corroso la loro relazione come piccole termiti che distruggono un tavolo di legno all’apparenza massiccio. Tim si rese conto che non poteva permettersi che lo stesso avvenisse anche con Bernard, ma non, come aveva pensato prima, perché questo desiderio fosse peccaminoso di sua propria natura, ma piuttosto perché, senza inutili sofismi, Tim non voleva stravolgere la vita di Bernard, il suo carattere e il rapporto che Tim aveva stabilito con lui.
   Inoltre, Tim si rese conto che non aveva bisogno di ‘trasportare’ Bernard nella sua doppia vita come Robin per ottenere da lui un senso di rassicurazione, ma poteva ottenerlo nella sua vita di tutti i giorni come Tim. Questi realizzò che grazie a Bernard si sentiva in pace con se stesso in quel posto e in quel momento. Stava a Tim conservare questo senso di pace e ‘trasferirlo’ anche al suo alter ego, Robin. Il tutto senza che Tim dovesse sconvolgere la vita di Bernard.
   Tim chiuse la questione confermando con assoluta certezza che non poteva e non doveva mettere Bernard a conoscenza della sua identità segreta, per salvaguardare Bernard stesso e la loro storia d’amore. Eccezionalmente per Tim, diversamente dall’altra volta la sua razionalità non andò ad indagare la natura del suo desiderio per scovarne un risvolto egoistico e provarne senso di colpa. Stavolta, Tim accettò di considerarsi meritevole di fiducia e felicità così come faceva per Bernard.
   “Ti vedo pensieroso. Qualcosa non va?” gli chiese Bernard dopo aver notato che il silenzio tra loro si era protratto un po’ troppo a lungo. “Va tutto bene. Volevo solo godermi le sensazioni che la tua compagnia suscita in me.” Bernard avvampò in volto, in preda all’imbarazzo. “Da dove tiri fuori certe frasi da conquistatore di cuori?? Se non fossi anch’io un fascinoso giovane uomo, perderei la testa per te, Drake.” “Meno male allora che sei un uomo di mondo e sai resistere alle mie tecniche di seduzione.” Ridacchiando, Bernard prese il viso di Tim fra le mani e lo tempestò con una pioggia di baci
 
   
 
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