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Autore: Violet Sparks    15/05/2022    17 recensioni
Ushijima Wakatoshi pensa di sapere tutto.
Pensa che la sua vita sia una strada dritta, precisa, incontrovertibile. Un percorso duro, forse, ma perfettamente definito, un segmento geometrico con un punto di partenza e un'unica meta, da tenere sempre a mente.
Ma Ushijima Wakatoshi ha dimenticato che, sopra alla strada, esiste il cielo, con un sole bollente che brucia e illumina e non vuole essere ignorato.
La domanda è: lui sarà pronto ad alzare lo sguardo?
***********************************************************************
Una notte come tante, dopo la sorprendente sconfitta della Shiratorizawa, Wakatoshi incontra Hinata Shoyo in circostante bizzarre ed è costretto a trascorrere con lui la notte più assurda della sua vita.
Wakatoshi prova una ostilità viscerale nei confronti del piccolo corvo e non vede l'ora di dividere nuovamente le loro strade.
Peccato però, che il mocciosetto non sia del suo stesso avviso.
E stia per stravolgere completamente la sua vita.
[USHIHINA - Ushijima Wakatoshi x Hinata Shoyo]
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tendo Satori, Wakatoshi Ushijima
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO XIV
Ardente desiderio
 
 
Nel nostro cervello,
c’è una zona della corteggia celebrale,
localizzata in profondità,
in un’area tra il lobo frontale e quello temporale:
si chiama insula ed è lì che nasce il desiderio.
L’insula è grande quanto un cecio,
eppure, ciò che causa nel nostro corpo
e nelle nostre vite,
può avere conseguenze bibliche.
Grey’s Anatomy  
 
 

Hinata stava dormendo davvero poco, in quel periodo, ma non se ne lamentava.
Il fatto era che, la sera non avrebbe rinunciato a vedere le partite sul maxischermo di casa Ushijima - accanto ad uno dei tre migliori assi del Giappone!- per nessuna ragione al mondo, e quando andava a letto, l’adrenalina gli faceva battere il cuore davvero troppo forte per permettergli di addormentarsi seduta stante; per quanto riguardava la mattina, invece, aveva preso l’abitudine di allenarsi nella palestra della Shiratorizawa prima dell’arrivo degli altri giocatori del campo estivo, per questo finiva per dormire forse quattro o cinque ore a notte, nelle giornate migliori.
Alla fine, però, cosa importava?
Se poteva migliorare, se poteva accrescere il proprio livello e aiutare la sua Karasuno a vincere il torneo Nazionale, avrebbe sacrificato volentieri altre mille ore di sonno, senza alcun problema! Si sarebbe riposato dopo, da vecchio magari, come faceva probabilmente il coach Ukai senior nella sua vecchia casetta di campagna, tra un allenamento con i bambini e l’altro.
Lanciò la palla in aria e cominciò a palleggiarla su e giù, colpendola con i polsi congiunti.
Da quanto aveva capito, quella mattina si sarebbe tenuta una riunione amministrativa alla Shiratorizawa e gli allenamenti del campo estivo sarebbero cominciati più tardi del solito, il che significava che avrebbe avuto quella palestra immensa e super-attrezzata a sua completa disposizione per le prossime due ore!
Con un enorme sorrisone sulla faccia, Hinata deviò la palla verso il muro più vicino e prese ad allenarsi nella ricezione, aiutandosi con la superficie intonsa, lucida di vernice.
Era così immerso in ciò che stava facendo, che quando il portellone di ingresso si aprì con uno scatto, annunciando l’arrivo di una figura non meglio identificata, trasalì e per poco non si diede la palla in faccia dallo spavento.
La afferrò più in fretta che poté, cercando di nasconderla dietro la schiena: non aveva il permesso di stare lì - non per allenarsi, almeno! - e se qualcuno della scuola lo avesse beccato, segnalandolo al coach Washijo, era certo che il vecchiaccio lo avrebbe cacciato in uno schiocco di dita, senza diritto di replica!
Strizzò gli occhi, osservando l’ombra che si avvicinava con il cuore in gola.
Poi, il suo volto si aprì in un’espressione di autentico entusiasmo.
Japan!”
Ushijima scrollò la testa, mentre camminava a grosse falcate verso di lui – o meglio, camminava normalmente… solo che con le gambe lunghe e dritte che si ritrovava, messe anche in risalto dai pantaloncini corti che aveva indosso, a Hinata sembrava che ogni suo passo divorasse almeno un paio di metri!
“Ti avevo chiesto di non chiamarmi Japan, Hinata.” fu il saluto del ragazzo, laconico come suo solito.
Adesso che lo aveva vicino, Shoyo poté notare alcuni dettagli: Ushijima indossava un completino bianco e viola, i colori della Shiratorizawa e aveva la gamba destra interamente fasciata da una calza nera compressiva di cui non capiva la provenienza, dato che non ricordava che il giocatore si fosse infortunato di recente, ma che sicuramente gli cementava il polpaccio e i muscoli della coscia in una maniera… beh, alquanto affascinante! Portava le solite Nike nere da running, aveva la pelle leggermente traslucida e la maglietta chiazzata qua e là di sudore fresco, tutti indizi che lasciavano intuire che il giovane asso avesse appena concluso la sua quotidiana sessione di corsa, prima di palesarsi in palestra.
“Che fai da queste parti? Non hai gli allenamenti con la nazionale?” gli chiese comunque Hinata, cercando di essere educato e smetterla di fissare il tessuto elastico della calza che si affusolava intorno alla sua caviglia, poco sopra al malleolo.
Bizzarro… ultimamente gli era capitato di vedere una partita in cui uno dei giocatori della squadra – se non ricordava male il Brasile- portava addosso una cosa del genere…
E sì, Hinata doveva ammettere che in quella occasione, il suo cervello aveva formulato una sfilza di pensieri piuttosto imbarazzanti, tra i quali: a) il giocatore brasiliano sembrava dannatamente sexy con quella fasciatura che gli metteva in risalto le gambe; b) con ogni probabilità anche Ushijima, con il fisico che possedeva, sarebbe stato altrettanto sexy in quella tenuta; c) sperava con tutto se stesso che il capitano della Shiratorizawa, presto o tardi, decidesse di confutare la sua teoria.
A quanto pareva, era il suo giorno fortunato!
“No, non ho impegni oggi. Dato che passavo di qua e non avevo visto nessuno in palestra, ho pensato di venire a provare qualche battuta.” spiegò intanto il protagonista delle elucubrazioni di Hinata – fortunatamente ignaro del loro tenore- giocherellando con la palla che stringeva tra le dita “Perché tu sei qui da solo, invece?”
“Il campo estivo oggi comincerà più tardi, volevo approfittarne per allenarmi un po'.” gli confessò, di rimando “Posso restare o preferisci rimanere da solo?”
“No, va bene. Basta che non ti salti in testa di difendere una mia battuta come l’ultima volta.”
“Me ne starò buono nel mio angolino, lo prometto.”
“D’accordo allora.”
Si separarono nuovamente; Hinata tornò davanti alla parete che stava utilizzando come sostegno per i suoi bagher, mentre Ushijima, dopo aver recuperato la cesta dei palloni dal deposito, si posizionò davanti alla linea di bordocampo, a pochi metri da lui per cominciò a battere.  
A sua discolpa, Hinata provò seriamente a focalizzarsi su ciò che stava facendo, da quel momento in avanti. Si impegnò con ogni fibra del suo organismo a non vanificare né l’alzataccia a cui si era auto-sottoposto né il rischio che stava correndo nell’occupare la palestra dell’accademia così, in maniera abusiva. D’altronde, non era nemmeno sua intenzione farsi beccare dal diretto interessato ad ammirarlo come un pesce lesso quale probabilmente doveva somigliare dall’esterno, tuttavia bisognava ammettere che quando Ushijima Wakatoshi si librava in volo per una schiacciata – il corpo arcuato all’indietro, l’espressione concentrata, i muscoli perfettamente tesi – non guardarlo sembrava quasi un sacrilegio, una omissione da condannare al di là di ogni possibile ragione.
E così, ecco che gli occhi di Hinata si spostavano in continuazione su di lui neanche fossero dotati di vita propria, calamitati dalla presenza di quel campione splendente come un diamante prezioso.
Non possedeva le conoscenze tecniche necessarie ad esprimere un parere sulla correttezza o meno dei suoi movimenti, ma scommetteva che chiunque, anche la persona meno avvezza alla pallavolo di tutto il pianeta, sarebbe rimasta incantata di fronte alla bellezza del corpo di Ushijima sospeso in aria come se non avesse peso, il suo petto ampio tirato in fuori per concedere maggiore slancio alle braccia che, simili a delle frecce, preparavano la traiettoria.
Ogni volta che il palmo della sua mano impattava contro la palla, producendo un rumore violento, il cuore di Hinata si contorceva.
Ne aveva di strada da compiere per raggiungere quel livello, ma nel frattempo, anche solo avere l’opportunità di osservare da vicino un campione del genere, studiarlo nei minimi dettagli, era assolutamente straordinario.
All’improvviso, Ushijima si fermò per riprendere fiato; si passò una mano tra i capelli scuriti dal sudore, portandoli all’indietro, si sgranchì un poco il collo, dopodiché si sfilò la maglietta dalla testa con un unico gesto fluido.
Stavolta Hinata non fu fortunato: colpì male la palla e quella lo prese in pieno sul naso.
“Hinata, stai bene?” chiese Ushijima, dietro di lui.
Maledizione, che figuraccia!
Quanto meno – pensò- l’incidente gli forniva un alibi perfetto per il fuoco che si sentiva sulle guance.
“S-sì, certo! Alla grande!” gli rispose, senza avere il coraggio di guardarlo.
“Ti infastidisce che io sia senza maglietta? Posso rimetterla…”
“N-no! Assolutamente no! Nemmeno per idea! Fai pure con comodo! Non mi infastidisce proprio per niente! Perché dovrebbe, insomma? Siamo soli qui! Va tutto alla grandissima!”
“Stai iper-ventilando.”
“Chi, io? È il caldo! Cavolo, oggi non si respira proprio, non trovi?! Tra poco mi spoglierò anche io, mi sa! Non del tutto, ovvio! Ma…”
“D’accordo, Hinata, se ti aiuta a tornare a respirare correttamente, spogliati anche tu.”
Le budella di Shoyo ebbero una specie di spasmo al suono di quel ‘spogliati anche tu’ così baritonale, scuro come le profondità di una caverna; ad ogni modo, se prima gli era parso difficile concentrarsi sui palleggi, a partire da quell’istante farlo divenne un’impresa praticamente titanica.
In via precauzionale, il ragazzino decise di inchiodare gli occhi alla parete, ben consapevole che se si fosse rimesso a spiare Ushijima, probabilmente avrebbe perso la sanità mentale nel giro di un quarto d’ora, ma anche così, mantenere un contegno era maledettamente complicato, a causa del suo cuore che non riusciva a starsene buono e uno strano formicolio nella zona del bassoventre che non voleva proprio lasciarlo in pace. 
La palla si allontanava e si riavvicinava innanzi ai suoi occhi inermi, scandendo il tempo con uno schiocco ritmato che riecheggiava tra i soffitti altissimi della palestra.
Le sinapsi di Shoyo erano intorpidite, rallentate. Il suo cervello riusciva a registrare il mondo circostante solo passivamente, troppo occupato a scacciare via fantasie a dir poco indecenti, che avevano quale unico epicentro il corpo seminudo di Ushijima Wakatoshi – le sue spalle possenti, le venature degli avambracci, la V che spariva sotto l’elastico dei pantaloncini, in una specie di invito…
“Sbagli completamente la postura.”
Shoyo perse dieci anni di vita.
Lasciò cadere il pallone e si girò di scatto: Ushijima lo stava fissando, torreggiando a pochi, pochissimi centimetri di distanza da lui come un uccello rapace.  
“S-scusa, potresti ripetere?” balbettò, con le orecchie in fiamme.
“La tua postura è del tutto scorretta. Non riuscirai mai a ricevere correttamente una palla così, la tua difesa sarebbe soltanto di intralcio alla squadra.” asserì Ushijima, serissimo.
Shoyo incassò il colpo con un mezzo sorriso: se non avesse imparato, oramai, che quello era il modo canonico con cui il ragazzo soleva esprimere il proprio pensiero, probabilmente si sarebbe offeso.
“Lo so, sono una frana!” ammise dunque Shoyo, grattandosi la nuca “Ho provato a chiedere a Noya di insegnarmi qualcosa sulla ricezione, ma non ci capisco niente! E poi mi annoio subito, attaccare è molto più figo!”
“Con una difesa inadeguata, lo schiacciatore non potrà dare il massimo in fase di attacco.”
“S-sì, hai ragione… per questo sto cercando di migliorare…”
“Non migliorerai se continuo così.”
A quel punto, Ushijima mosse qualche passo, fermandosi poco dietro di lui, tuttavia quando Shoyo tentò di girarsi a sua volta, per non dargli le spalle, la mano grande e calda del capitano gli ruotò bruscamente la testa in avanti, tenendolo fronte al muro.
“Fammi vedere come fai un bagher.” gli ordinò dunque, mentre scostava le dita dalle ciocche dei suoi capelli con una carezza involontaria che gli diede i brividi: era la prima volta che Ushijima mostrava tanto interesse nei suoi confronti e la cosa a tratti lo tramortiva, gli svuotava la pancia e gli dava le vertigini.
Fece un respiro profondo, poi mimò il gesto del bagher come gli era stato intimato.
“È sbagliato.” sentenziò subito la voce aspra di Ushijima, molto più vicina di quanto Shoyo si sarebbe aspettato “Ti faccio vedere io.”
Nella mente di Hinata, quello che sarebbe dovuto accadere prevedeva che Ushijima recuperasse la palla abbandonata ai loro piedi, prendesse posto di fianco a lui e infine gli svelasse la dinamica corretta dell’esercizio, correggendo una volta per tutte la sua tecnica grossolana.
Quello che in realtà accadde fu che Ushijima incollò il proprio petto alla schiena tremolante di Shoyo, allungò le braccia sotto le sue, costringendolo a piegare delicatamente il torso, dopodiché gli manovrò i polsi finché non ottenne la postura desiderata.
Shoyo sentì le ossa liquefarsi, la cute prendere fuoco in tutti i punti in cui combaciava con quella del giovane asso.
“Devi tenerti morbido sulle spalle, hai il collo teso.” mormorò ancora Ushijima, il suo fiato bollente che si infrangeva senza alcuna pietà contro il suo orecchio, il suo solito profumo costoso e virile che gli si infilava nelle narici, gli risvegliava il sangue. All’improvviso, una delle mani che gli teneva i polsi salì a cingergli il collo, racchiudendolo quasi per intero con una lentezza estenuante e “Ruota piano la testa, sciogli i muscoli.” disse, anche se poi fu lui stesso a guidare i suoi movimenti, premendo gentilmente le dita.
Shoyo smise di respirare nell’istante in cui il retro della sua testa si posò all’indietro, sulla spalla del capitano della Shiratorizawa e il suo odore buonissimo gli invase il palato, la ruvidezza della sua guancia gli sfregò una tempia.
Era esterrefatto: Ushijima aveva sempre dimostrato una avversione totale nei confronti del contatto fisico, invece adesso lo stava toccando in maniera diretta, prolungata, cruda, perfino con una certa prepotenza nel modo di imporsi sul suo corpo, decisamente più sottile.
“Wakatoshi…” esalò allora il piccolo, ma era un gemito senza intenzione, le sillabe di quel nome gli si srotolarono sulla lingua quasi prive di suono.
Aveva la testa vana, ma il corpo ebbro di sensazioni, sovraccarico.  
Cosa voleva esattamente?
Allontanarsi? Avvicinarsi?
Non lo sapeva, non era in grado di dare una risposta, ed essere onesto con sé stesso, gli faceva troppa paura. “Piegati un po' di più sulle gambe.” continuò intanto a guidarlo Ushijima, ma quando Shoyo, eseguendo l’ordine, si ritrovò a strusciare la base della propria schiena contro il bacino dell’asso, non poté impedirsi di sussultare, perdendo la posizione.
Furono le mani del campione, per l’ennesima volta, a reggerlo e a riposizionargli le braccia.
“Non fare movimenti inconsulti.” lo rimproverò subito dopo, flettendosi su di lui e parlandogli direttamente nel padiglione auricolare, “Dimentica il resto, sono soltanto due le parti del tuo corpo che devono lavorare: i muscoli adduttori…” in maniera del tutto inaspettata, le sue dita spesse scesero a sfiorargli la coscia nuda appena sotto l’orlo dei pantaloncini, nella parte interna, tesa per lo sforzo di mantenere la postura giusta “E quelli della parete addominale.” allora la mano rovente di Ushijima si spostò, trascinandosi pigra lungo la sua gamba, poi il suo bacino, si tuffò sotto la maglietta larga che aveva indosso e una volta lì, si posò sul suo stomaco - pesante, aperta- come a volerlo raccogliere nel suo solo palmo.
La reazione di Shoyo fu violenta, incontrollata. 
Si svincolò dalla stretta di Ushijima e ricadde sui talloni, a terra, avviluppando sé stesso in un guscio protettivo malfermo, mentre il cuore gli schizzava nel petto come un proiettile e il respiro gli graffiava la gola, incapace di fuoriuscire con la solita regolarità.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Aveva una erezione, una erezione che non sapeva assolutamente nascondere attraverso la stoffa striminzita dei suoi pantaloncini. E il suo corpo, traditore, non accennava a riprendere il controllo, non gli rispondeva, non seguiva la sua volontà. E Ushijima era ancora dietro di lui, imponente e silenzioso, annoiato probabilmente dal suo comportamento ambiguo o, ancor peggio, arrabbiato per aver perso tempo ad elargirgli consigli che lui, all’apparenza, stava bellamente ignorando.
“Hinata, non ti senti bene?” gli chiese quindi l’asso, da qualche parte sopra di lui.
“N-non molto, è meglio se vado a casa.”
“Ti ho fatto male, per caso? Ho stretto troppo?”
“No, tranquillo, davvero!”
La situazione stava degenerando: Shoyo carpì con la coda dell’occhio l’ombra di Ushijima che si spostava, ma prima di poter concepire una strategia di fuga valida, ecco che le sue dita spesse gli si posarono sul ginocchio, mentre l’intensità improvvisa del suo profumo lo informò che il ragazzo doveva essersi accovacciato proprio di fronte a lui.
Preso dal panico, perse l’equilibrio e ruzzolò all’indietro, riuscendo per mero miracolo a tenere unite le gambe.
“Japan, per favore, potresti lasciarmi un attimo da solo?” lo supplicò, infine, non sapendo cosa altro fare per uscire da quella situazione incresciosa.
“Non posso abbandonarti in queste condizioni, sembri davvero turbato.”
“Ti prego, Wakatoshi, ho bisogno di un… di un attimo… io… ti prego…” le parole gli morirono in gola, soffocate dai singhiozzi.
Si sentiva un completo idiota: la vergogna lo annientava, lo annichiliva, desiderava soltanto scappare il più lontano possibile da lì, ma Ushijima non sembrava affatto intenzionato a lasciarlo andare, gravando su di lui come una aquila sulla sua preda.
Provò almeno a mettere un po' di distanza tra di loro, retrocedendo di qualche centimetro, ma la presa inattesa dell’asso intorno ai suoi polpacci gli impedì di muoversi.
Shoyo allora sollevò la testa di scatto: gli occhi di Ushijima erano due stalattiti - fissi, implicabili, intensi al punto da bucare la carne.
“Hinata, dimmi cosa sta succedendo.” ordinò, stringendo le dita “Ti voglio aiutare…”
Semplicemente, Shoyo smise di combattere.
Si morse le labbra, ingoiò l’imbarazzo e la paura, quindi scostò un poco le cosce e abbassò molto lentamente il capo, finché le sue pupille non furono puntate sulla protuberanza spudoratamente evidente al di sotto della stoffa nera dei suoi pantaloncini.
Non avendo il coraggio di constatare da sé la reazione del capitano della Shiratorizawa, per cui si lasciò cadere all’indietro a peso morto - le braccia premute sul viso, il corpo scosso da lievi fremiti di tensione.
Sapeva che Ushijima era abbastanza maturo da non mettersi a ridere di lui, ma non lo avrebbe certo biasimato se si fosse sentito a disagio in una circostanza del genere, perfino se si fosse infuriato, additandolo come uno strano, un pervertito, decidendo di cacciarlo via di casa e di non rivolgergli mai più la parola.
Quest’ultima ipotesi, in particolare, gettò Shoyo nello sconforto più profondo.
Dopo tutti i passi avanti che avevano compiuto, l’idea che Ushijima provasse ribrezzo nei suoi confronti, gli risultava assolutamente insopportabile.
C’erano ancora troppe cose da fare, da imparare, non voleva essere odiato, non voleva essere allontanato.
Voleva Ushijima, voleva cenare ancora con lui, voleva guardare le partite al suo fianco, voleva sentire i suoi piedi scalzi che percorrevano il corridoio, voleva… voleva…
Sospirò, sconfortato.
Doveva almeno trovare il coraggio di alzarsi e andarsene subito da lì, tanto più che il silenzio prolungato del giovane asso – indice del suo giudizio negativo- lo stava consumando un grammo alla volta.
Era concentrato, Shoyo.
Concentrato e afflitto.
Per questo, si accorse che Ushijima era sgusciato sopra di lui solo quando le sue labbra ruvide ghermirono le proprie senza gentilezza.
Hinata sussultò così forte da battere la testa sul pavimento.
Ushijima Wakatoshi lo stava baciando.
Stava baciando proprio lui, lì, in quel preciso momento.
E no, non poteva essere un errore o un fraintendimento, non quando il respiro del campione si infrangeva a ondate irregolari sul suo viso bollente, non quando la sua lingua morbida premeva contro la linea dei suoi denti e, non appena riuscì ad espugnarla, catturava la sua con passione, prendendo a lambirla e succhiarla come fosse una caramella.
“Japan…” trovò la forza di gemere Shoyo “Che stai…”
“Te l’ho detto, Hinata, ti voglio aiutare.” gli sussurrò quello sulla bocca, prima di riprendere il proprio attacco e tornare a bere avidamente il suo sapore.
Il comportamento di Ushijima non aveva il minimo senso. Non era da lui discostarsi dai binari della logica, non era da lui mettere se stesso in mostra in quella maniera, non erano da lui l’eccesso, la trasgressione, la lussuria, l’incoscienza. Forse era malato! Forse era impazzito dal giorno alla notte e aveva bisogno di un dottore! La cosa giusta da fare era fermarsi, sì. Fermarsi subito, riprendere il controllo e discuterne da persone mature, cercando di trovare una spiegazione coerente.
Ma la verità era che Shoyo non era mai stato ragazzo coerente.
Era debole – troppo debole, soprattutto quando si trattava di Ushijima Wakatoshi- per questo, alla fine, le sue palpebre cedettero, vinte dalle spire di fuoco che si libravano sotto la sua pelle, le sue dita tremanti corsero ad aggrapparsi alle ciocche ispide del ragazzo sopra di lui, quindi prese a rispondere al bacio con la medesima urgenza, perdendosi nella nebbia simile a zucchero filato che ormai gli stava offuscando la mente.
Si abbandonò all’istinto, adeguandosi al ritmo vertiginoso dettato dal capitano della Shiratorizawa, ma anche alimentando i propri desideri, lasciandoli per la prima volta a briglia sciolta, liberi dai mordenti della vergogna e dell’insicurezza.
Agganciò una gamba intorno alla vita stretta di Ushijima e se lo strinse addosso, gemendo quando quello immerse nuovamente una mano sotto la sua T-shirt ad accarezzargli la morbidezza della pancia, mentre con la bocca scivolava a mordergli la spalla, il collo, l’orecchio, la mascella.
Ora che poteva toccare per davvero quel corpo scultoreo che aveva adorato con gli occhi per settimane, Shoyo ne era intossicato, lo rendeva folle il desiderio di conoscerlo e sondarlo, ne bramava ogni affranto, voleva possederlo e farsi possedere dalla sua potenza.
Neanche gli avesse letto nel pensiero, Ushijima gli afferrò i polsi e lo bloccò sul pavimento piacevolmente fresco, guardandolo dall’alto con uno sguardo affamato che mandò una scarica di piacere dritta fra le cosce del più piccolo.
“Guarda cosa hai fatto, Hinata…” disse, affondando il bacino contro il suo solo per mostrargli, attraverso un’erezione altrettanto evidente e dura, l’oggetto delle sue accuse “Adesso devi rimediare.”
Il singhiozzo eccitato di Shoyo si perse nel rumore dei loro vestiti che venivano strappati, negli sciocchi osceni delle loro labbra che ripresero a divorarsi, ingorde e instancabili.
Se fosse arrivato qualcuno, li avrebbe trovati ansimati, sudati, avvinghiati, ma quale importanza poteva avere uno scandalo di fronte alla gloria di Ushijima Wakatoshi, bello e dorato come un miracolo, che lo prendeva sul pavimento della palestra, mentre lui non sapeva fare altro che sospirare, aprendosi per lui come la corolla di un fiore.
Lo accolse dentro di sé senza provare nemmeno un briciolo di dolore.
Aveva letto da qualche parte che sarebbe stata opportuna una specie di preparazione, qualcosa con lubrificante e dita, forse, per abituarsi all’intrusione di una carne estranea alla propria, invece il suo corpo si era modellato intorno ad Ushijima senza alcun ostacolo, quasi che averlo lì non fosse una forzatura, ma una cosa perfettamente naturale, compiutamente giusta.
Shoyo sondò la curva della schiena dell’asso e incrociò le gambe intorno ai suoi fianchi snelli, godendo di quei muscoli scattanti, intonando lamenti tra le sue labbra sottili, mentre quello lo inchiodava al pavimento sotto le sue spinte calcolate ed energiche, arrossandogli la pelle al passaggio dei suoi grossi palmi su ogni centimetro della sua figura tremante.
Ushijima travolto dal piacere era uno spettacolo selvaggio, capace di farlo inarcare con la sola forza dello sguardo: quando i loro occhi offuscati si incontrarono, Hinata pensò che avrebbe perso il senno.  
“Shoyo… Shoyo… Shoyo…” lo chiamò il ragazzo più grande con la sua voce virile, arrochita dallo sforzo.
Il suo nome, pronunciato in quel modo, gli parve indecente come un peccato.  
“Wakatoshi, io… io ti… ti…”
 

***
 

Hinata aprì gli occhi di scatto, le fiamme nei polmoni, le orecchie che ronzavano in maniera dolorosa.
Le sue pupille si spostarono, impazzite, da una parte all’altra dell’ambiente circostante, esigendo un lasso di tempo miseramente lungo per riconoscere la lussuosa stanza di casa Ushijima, allora si sollevò a sedere con un balzo e si portò entrambi le mani al petto, nel tentativo di placare il proprio cuore che galoppava sfrenato.
Cazzo!
Cazzo-cazzo-cazzo-cazzo-cazzo!
Aveva appena avuto un sogno erotico su Ushijima Wakatoshi!
Aveva appena immaginato di fare sesso col suo attuale coinquilino, sul pavimento di una palestra!
Esitante, si arrischiò a dare una sbirciatina sotto le coperte, nel punto in cui il tessuto dei pantaloncini sembrava decisamente troppo bagnato, tuttavia gli bastò smuovere le gambe di appena un millimetro per appurare che sì – cazzo! - quella all’altezza del suo inguine non era affatto una semplice chiazza di sudore!
Afferrò il primo cuscino disponibile, se lo mise sopra la testa, dopodiché si infossò tra le lenzuola, desiderando di sparire dalla faccia della Terra.
Era appena venuto nei suoi stessi boxer solo con la forza della sua fervida immaginazione!
Non gli era mai capitata una cosa del genere! Non pensava nemmeno che fosse possibile! Forse aveva mangiato qualcosa di marcio a cena e non se ne era accorto! La lattuga era stata drogata, per caso? Oppure chissà, erano state le carote a dargli le allucinazioni! I concimi chimici potevano essere molto pericolosi per l’uomo e negli ultimi anni, le industrie non facevano altro che sfruttarli per elevare il proprio guadagno, Yamaguchi glielo diceva sempre quando andavano al supermercato per acquistare la verdura!
Piagnucolò sommessamente e si premette il cuscino sulla nuca, giusto per essere sicuro che nemmeno un capello fuoriuscisse dal suo nascondiglio.
Faceva un caldo bestiale lì sotto e poi era tutto alquanto appiccicoso, ma a Hinata non importava un fico secco, anzi! Era meglio morire soffocato che affrontare la terribile realtà dei fatti!
“Te l’ho detto, Hinata, ti voglio aiutare…” l’eco della voce di Ushijima, proveniente dal suo subconscio, gli rivoltò lo stomaco come un calzino.
Da dove diavolo erano saltati fuori quei pensieri indecenti?
Ok, aveva accettato già da qualche anno di preferire i ragazzi alle ragazze.
E ok, sì, aveva già formulato qualche scenetta sconcia nella propria testa in compagnia di attori, cantanti o personaggi degli shonen che leggeva, ma si era sempre trattato di un paio di bacetti spinti, una toccatina qua e là di nascosto, non certo… quella specie di film porno!
Prese a pugni il materasso, tentato di fare lo stesso anche con la sua faccia; ad un certo punto, comunque, sbucò dalle profondità delle lenzuola, avvilito dal calore asfissiante che faceva lì sotto, le scalciò con stizza in fondo al letto e si rimise supino, allargando le braccia e le gambe.
Respirò piano, osservando il soffitto intonso.
Forse stava esagerando…
Insomma, era un adolescente dopotutto, no? Un adolescente gay che viveva sotto lo stesso tetto con un ragazzo che era una statua greca ambulante e girava senza maglietta spesso e volentieri! Poteva appellarsi agli ormoni impazziti, giusto? Sì che poteva! Quante volte, durante i ritiri, aveva sentito gli altri ragazzi fare apprezzamenti su quella o quell’altra persona, parlando senza problemi delle cose oscene che avrebbero desiderato fare insieme a lei? Yamamoto della Nekoma, una volta, aveva raccontato a tutti un sogno erotico che aveva avuto su una bella attrice coreana, scendendo nei minimi particolari, e nessuno dei presenti si era scandalizzato! Ushijima non era un attore, certo, ma era bello quanto un attore, no? Quindi era perfettamente normale pensare a lui in una certa maniera! E Oikawa e Iwaizumi, allora? Se si baciavano con quella passione, era molto probabile che avessero anche rapporti sessuali!  
“Shoyo…. Shoyo… Shoyo…”
Hinata sussultò.
La voce roca di Ushijima era peggio di un chiodo nel suo cervello e minacciava di farlo ammattire.  
Tra quarantotto ore esatte, la loro convivenza sarebbe giunta al termine: lui sarebbe tornato a casa propria, alla sua ruotine quotidiana fatta di scuola ed allenamenti con il Karasuno, e con ogni probabilità, non avrebbe mai più rivisto il capitano della Shiratorizawa…
Spostò le mani all’altezza della pancia, dove uno strano senso di vuoto aveva cominciato a stringergli le membra.
Aveva bisogno di cambiare il letto.
E di una doccia fredda.
 
***

 
Shoyo non sarebbe voluto entrare in cucina.
La strategia che aveva minuziosamente formulato sotto il getto della doccia prevedeva quale punto primo esattamente il fatto di evitare Ushijima Wakatoshi per le prossime ore – ma anche per tutto il resto della loro vita, se necessario!
Peccato che, non appena riconobbe la voce festosa di Tendou, una volta uscito dal bagno, la sua curiosità ebbe la meglio sull’istinto di autoconservazione e prima di poter anche soltanto pensare di fermarsi, Hinata si era ritrovato impalato accanto al frigorifero, con gli occhi curiosi di due aquile puntati su di sé.
Ovviamente, non appena incrociò – per sbaglio! – il cipiglio severo di Ushijima, le guance di Shoyo assunsero una tonalità tendente al viola.
“Ehilà, gamberetto!” lo salutò festoso il ragazzo dai capelli rossi, scrollando le braccia ossute e pallide nella sua direzione “Stai bene? Hai la faccia paonazza!”
“Che?! No, tutto benissimo! Alla grande! È che sono appena uscito dalla doccia!” si affrettò a spiegare Hinata, intrecciando anche le braccia al petto e appoggiandosi allo stipite della porta per assumere una posa di fintissima nonchalance.
Se la sua farsa sembrò convincere Ushijima, che – grazie al cielo! – tornò a dargli le spalle e a concentrarsi sul caffè nero che stava preparando, lo stesso non accadde con Tendou, il quale invece lo squadrò da capo a piedi, con sguardo sospettoso. “Se lo dici tu…” gli concesse, alla fine, stirando un sorriso un po' inquietante “Capiti proprio a fagiolo, lo sai piccolino?”
“P-perché?”
“Beh, perché magari puoi aiutarmi a convincere il ragazzo dei miracoli a concedere ai suoi compagni di squadra del terzo anno una giornata al mare!”
Hinata dimenticò imbarazzo e soggezione e si aprì in un sorriso raggiante.
“Volete andare al mare?! Ma è un’idea bellissima!” esclamò, battendo persino le mani.
“Sentito, Wakatoshi? È un’idea bellissima!” gli fece eco l’altro.
A quel punto, Ushijima scrollò le spalle e sospirò sonoramente, “Te l’ho già detto, non posso perdere una giornata, Tendou. E poi ho un allenamento con la nazionale alle sette, stasera.” affermò, mentre versava il caffè nella tazza e poi si incamminava verso l’isola della cucina, per prendere posto su uno degli sgabelli liberi.
“Non perderesti la giornata! E Shirahama Beach è a poco più di un’ora di treno da qui, ce la faresti abbondantemente a tornare per il tuo allenamento, te lo posso garantire! Andiamo, Wakatoshi! Sarebbe davvero importante per noi averti oggi! Sei il nostro capitano e non siamo mai riusciti a coinvolgerti in niente, nemmeno una gita al centro commerciale!”
“Ho delle visite di controllo da fare. Devo vedere il mio fisioterapista, il cardiologo e il dietologo.”
“Fai queste visite una volta al mese! Che cambia se le rimandi a domani o dopodomani? Tra due giorni le nostre vacanze estive saranno finite e la nostra occasione di andare al mare sarà sfumata per sempre!”
“Tendou, non insis…”
“Secondo me, dovresti andare!” si intromise dal nulla Hinata, accorgendosi di aver aperto bocca ed essersi lasciato andare a quel commento, solo quando ormai fu troppo tardi.
I due ragazzi, infatti, si voltarono verso di lui di scatto, visibilmente incuriositi, per cui - nonostante la mezza sincope che dovette affrontare nell’incrociare di nuovo lo sguardo di Ushijima- a Shoyo non rimase altro che accennare un mezzo sorriso e argomentare la sua opinione. “Non dico che le visite non siano importanti, è soltanto che, sai… questo è l’ultimo anno insieme per voi! Per te, soprattutto, come capitano della Shiratorizawa! L’anno prossimo potreste essere in università diverse, in città diverse, persino in paesi diversi… questa giornata al mare è un’opportunità unica, che non ricapiterà tanto facilmente, mentre di visite mediche ce ne saranno mille altre! Per la tua squadra è importante, dovresti accontentarli, per una volta, Wakatoshi.”
Senza un motivo apparente, Tendou si raddrizzò sullo sgabello, dove se ne stava spalmato, neanche avesse appena udito un colpo di pistola, e “Ma guarda un po'…” mormorò tra le labbra, assottigliando all’inverosimile i suoi occhi grandi e rotondi.
Seduto al suo fianco, Ushijima non diede segno di aver fatto caso alla reazione stravagante dell’amico, piuttosto bevve un sorso di caffè - la mascella serrata, la fronte crucciata in un’espressione pensosa- tintinnò un paio di volte coi polpastrelli sulla superficie ricurva della ceramica, infine posò la tazza, ruotando al contempo il capo in direzione del suo compagna di squadra.
“Va bene, vengo con voi.” acconsentì, solenne.
Ci fu un momento, un lasso di tempo breve quanto un battito di ciglia, in cui Hinata ebbe la netta impressione che Tendou Satori fissasse Ushijima con un guizzo indecifrabile, come se lo stesse sviscerando con la meticolosità di un chirurgo.
Poi la cucina tremò sotto il suo ululato di gioia.
“Evviva! Ci siamo riusciti, non ci posso credere! Hai visto, numero 10? Lo sapevo che la tua comparsa sarebbe stata provvidenziale!” gridò il ragazzo, indicando Hinata con le dita posizionate a formare una pistola.
“Il discorso di Hinata aveva senso, non è opportuno affibbiare alla sua comparsa qualcosa di religioso.”
“Sì, sì, come preferisci! Avete entrambi un costume da bagno, vero?”
“ENTRAMBI?” risposero lui e Ushijima all’unisono, prima di scambiarsi un’occhiata stranita - seppur velocissima a causa della vergogna ancora latente nel più piccolo.
“Ma sì, vieni con noi, gamberetto! Shirahama Beach è bellissima e in questo periodo dell’anno non è nemmeno troppo affollata!”
“Io… non saprei… insomma…” tergiversò Shoyo, in seria difficoltà.
L’idea di una giornata di mare lo entusiasmava parecchio, ovviamente, soprattutto se in compagnia dei formidabili giocatori della Shiratorizawa, ma era pur vero che quella gita sembrava un evento esclusivo tra compagni di squadra, inoltre, cosa più importante, sospettava che quei ragazzi non avessero alcuna voglia di avere a che fare con lui, che li aveva eliminati dal torneo inter-liceali per la prima volta nella storia.
Quando illustrò le sue perplessità a Tendou, tuttavia, il ragazzo esplose in una risata sguaiata.
“Ma per chi diavolo ci hai preso, uccellino? Non abbiamo mica cinque anni!” affermò, scuotendo la mano “E poi, l’importante era che ci fossimo tutti noi del terzo anno, compreso il capitano! Chiunque altro volesse venire, è ben accetto! Tu che ne pensi, Wakatoshi-kun?”
“Non mi importa, in realtà.” fu la risposta monocorde di Ushijima.  
“D’accordo, allora, grazie! Vado a preparare la borsa!”
Hinata si congedò dai due ragazzi, dando loro le spalle.
Nutriva ancora seri dubbi sulla sua scelta di aggregarsi alla comitiva, ma l’alternativa, dopotutto, era restarsene da solo in quella grande casa vuota, sprecando un giorno con l’asso del Giappone e tutta la sua talentuosissima squadra…
Affrettò il passo.
Chissà perché, si sentiva lo sguardo invadente di Tendou Satori fin dentro le ossa.
 
 
 
 

NOTE AUTORE
Ok… ok… con calma! No! Posate quel coltello! Comportiamoci da persone civili, suvvia! Sì, anche gli ortaggi possono definirsi armi contundenti, mettete giù i pomodori!
 
Amici e amiche, buonasera!
Lo so, sono stata un po' cattivella in questo capitolo, ma chi mi conosce sa bene quanto io ami il p0rn (anche se mi sono tenuta super soft, andiamo! E con mister Ushijima non è affatto un’impresa banale!) così, tra racconti del passato difficili e tante elucubrazioni importanti, sentivo la necessità di un pizzico di sano hard per ravvivare l’ambiente! :P
 
Scherzi a parte, il sogno di Hinata non è messo davvero così a caso: esso fa parte della graduale presa di coscienza che il ragazzo sta affrontando circa i suoi sentimenti verso Wakatoshi, nonché di quel risveglio sessuale che è cominciato quando ha visto Oikawa e Iwaizumi baciarsi nel corridoio dello stadio.
Non dimentichiamo che Hinata è un adolescente e, sebbene rispetto a Wakatoshi sia sicuramente facilitato nel riconoscere e assimilare sentimenti/emozioni/reazioni, è pur vero che si trova di fronte alla sua prima cotta seria, da adulto, lontano dall’innocenza e dal platonismo infantile.
 
ATTENZIONE! Avrete notato che Ushijima, nel sogno, ha un atteggiamento piuttosto sensuale e flirtante – un po' più da macho, per dirlo alla spiccia!- cadendo nell’OOC almeno rispetto a come lo avete conosciuto finora: sappiate che è tutto voluto! Quello che avete visto non è il vero Ushijima, ma una sua versione romanzata, frutto della fantasia di un ragazzino in preda agli ormoni! Voi quando sognate Tom Hiddleston lo immaginate come un agnellino o come Rocco Siffredi? Ci siamo capiti, non scendiamo nei dettagli ;)
 
Una gita al mare con i ragazzi della Shiratorizawa… perché nessuno ha ancora fatto a Tendou Satori una statua di oro zecchino?
 
A presto,
Violet Sparks
 
 
  
   
 
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