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Autore: Doppiakappa    16/05/2022    0 recensioni
Roy Steinberg, sedicenne figlio dello scienziato più influente del 2085, si ritrova vittima di un particolare incidente che lo porta al contatto con una misteriosa sostanza extraterrestre. A sua insaputa, si ritroverà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno a dover salvare il mondo da un'enorme minaccia.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Queen City, Liceo Triumph, venerdì, ore 9.
 
Roy guardava imbambolato il cielo cristallino, spoglio perfino delle solite nuvole primaverili, sporcato unicamente dalle macchie sulle finestre della classe. Fisicamente stava assistendo alla lezione di inglese, un noiosissimo ripasso sulla storia americana, ma la sua mente era altrove.
 
- Terra chiama Roy, hai visto la Madonna per caso? – cercò di riportarlo in vita Blaze, invano. – Ohi! È da tre giorni che sembri rincoglionito, che cazzo hai? – ritentò, scuotendo poi l’amico.

- U-uh?! Scusa… mi ero un attimo perso nel vuoto...

- Ma davvero?!

- Non so cosa mi stia prendendo… non riesco a stare concentrato…

- Aha! Ora capisco tutto!

- Eh?

- Sei totalmente rimasto sotto dall’appuntamento con Ethel. Guardati, sei cotto. – chiarì il castano, punzecchiando il biondo.

Roy non sapeva cosa rispondere, era costretto a distogliere lo sguardo dall’amico, colto da un improvviso e imponente imbarazzo. – Io… - fece per dire lui, venendo interrotto immediatamente.

- Cosa cazzo aspetti a dichiararti? Hai idea di quanto ci sia rimasta sotto pure lei? – chiese infastidito Blaze.

- V-Veramente?! – esclamò curioso lui: pendeva dalle labbra del castano.

- A cena da lei, ieri, ha rovesciato due volte la brocca, ha bruciato lo sfornato ed è andata a sbattere quattro volte contro la porta della cucina. Stava in un altro mondo. Ma dimmi te se bisogna diventare due cretini dopo un appuntamento… - rispose esasperato. – Quando uscite di nuovo? – chiese poi, fulmineo.

- D-Domenica… - rispose Roy, balbettando.

- Felter! Mi può gentilmente ripetere quello che stavo dicendo?! – urlò il professore dalla cattedra.

“Ecco, porca puttana!” Pensò il castano senza farsi prendere dal panico. – Il Trattato di Bruxelles nel 2046 ha sancito la nascita della nuova rotta commerciale Euro-USA, abolendo tasse di scambio e agevolando la reciproca importazione. – Zittì poi il professore, rispondendo esattamente alla domanda. L’uomo fece una smorfia, per poi tornare alla spiegazione.

- Come cazzo hai fatto?! – chiese affascinato Roy.

- Ho semplicemente ascoltato la lezione di ieri, invece di far volare la fantasia e il cazzo in qualche universo parallelo. – rispose Blaze, lanciando una frecciatina al biondo.

- Oh, andiamo…

La campanella suonò, lasciando così i due liberi di parlare.

- Hai detto che uscite di nuovo domenica, giusto?

- Sì.

- Bene, allora devi approfittarne per dichiararti.

- Così, al secondo appuntamento?! – chiese imbarazzato.

- Perché aspettare, se entrambi ci stareste?

- Perché…

- Perché un cazzo, perché! Capisci che è una cosa stupida?!

- Ok… ma come cazzo glie lo dico? – Roy aveva le mani intrecciate, strette fra loro in una morsa per alleviare la tensione.

- Crea un’occasione, che cazzo ne so… portala da qualche parte di speciale: hanno aperto un parco in stile giapponese verso Texas Street, deve essere una figata, c’è tipo la fioritura dei ciliegi.

- Va bene… però Texas Street è lontanissima da casa tua… - disse perplesso Roy, tamburellando le dita sul banco.

- Hai la patente no? Portala in macchina, così hai pure il luogo appartato se la cosa dovesse svilupparsi al meglio.

- Ma che cazzo stai dicendo?! – sbraitò il biondo in preda all’imbarazzo, Blaze scoppiò a ridere.

- Non lo faresti se ti si presentasse l’occasione? – chiese il castano a bruciapelo, con il suo solito e fastidioso sorriso.

- Io… non… ah! Vaffanculo, Blaze! Ci provi gusto vero?!

- Assolutamente, sei il mio giocattolo! – rispose spudoratamente, irritando ulteriormente il biondo.

- Il tuo giocattolo sta per romperti il muso se non la finisci. – lo minacciò Roy, spintonandolo leggermente.

- Ok, ok… certo che sei piuttosto suscettibile oggi eh? – lo rimproverò, prendendo le giacche dall’appendiabiti. – Vuoi venire da me a mangiare? – chiese poi, passando la giacca all’amico.

- Va bene… almeno quando mangi hai la bocca piena e non dici cazzate… - lanciò una frecciatina lui, infilandosi la giacca arancione fluo.

- Mamma mia… cosa devo fare per addolcirti un po’ oggi? Sei quasi corrosivo…

- Scusa, sono solo molto nervoso.

- Scusami tu, a volte mi diverto un po’ troppo a stuzzicarti. Comunque, stai tranquillo: se ti dichiari lei dice sì, sicuro al cento percento.

- Mi tocca fidarmi di te di nuovo…

- T’ho mai deluso?

Il biondo sbuffò. – No…

- Heh. – sorrise orgoglioso Blaze, tirando una pacca sulla schiena dell’amico
 
I due arrivarono a casa del castano, venendo accolti dalla madre, che subito li invitò a sedersi a tavola.
 due ragazzi mangiarono a sazietà, discutendo ancora dell’appuntamento che Roy avrebbe avuto con Ethel quella domenica. Anche la madre di Blaze si impegnò per dare dei consigli al biondo, vedendolo arrossire di tanto in tanto.
Finito il pasto, Roy e Blaze si diressero in camera del castano, dove al biondo venne mostrata la sua collezione di strumenti musicali: una batteria, un basso, una tastiera, una chitarra elettrica e un mixer audio professionale.

- Sai suonare tutti questi strumenti?! – chiese stupito Roy.

- Certo, anche se la batteria è il mio strumento principale, d’altronde diventare un compositore e produttore è il mio sogno. Vuoi sentire un paio di pezzi? – chiese poi all’amico, imbracciando la chitarra.

- Cazzo sì! – esclamò eccitato lui, sedendosi e roteando sulla sedia girevole.

Roy osservava alienato le mani dell’amico, che rapide scorrevano lungo la tastiera e pizzicavano le corde, producendo un suono metallico, pesante e basso. L’atmosfera nella camera da letto di Blaze si era tinta di una melodia tipica del metal, quasi confusionaria, ma questo al biondo non dispiaceva.

- Sei una cazzo di bestia! E non è nemmeno il tuo strumento principale, da quanto tempo suoni? – esclamo stupito.

- Da quando avevo quattro anni circa, ho sempre amato la musica.

- E si sente!

- Tu invece, hai mai suonato qualcosa? – chiese il castano curioso.

- No… non ho mai avuto interesse in qualcosa di diverso dalla chimica e dalle nanotecnologie… e poi i miei genitori non mi hanno mai dato chissà quale stimolo, non erano molto presenti nella mia vita.

- Serio?! Eppure, sembrate molto legati…

- È da quando mi è capitato tutto questo… la cosa è piuttosto recente… N-Non che mi dispiaccia, cioè… avrei solo voluto che si accorgesse di me un po’ prima…

- Comprensibile, ma sai, i genitori sono strani… a modo loro cercano di esserci anche quando sono lontani. Tipo mio padre…

- Non me ne hai mai parlato, anche lui non è stato presente?

- Sì, cioè… non proprio… In pratica lui lavora come rappresentante di una ditta che produce strumenti musicali e in un modo o nell’altro è sempre in viaggio da qualche parte.

- Posso capirti, mia madre è circa nella stessa situazione…

- La mia salvezza è stata Ethel, sua madre e la mia erano amiche d’infanzia e si sono trovate come vicine di casa, la sua è stata la mia seconda famiglia, ecco perché ci consideriamo fratelli.

- È una cosa fighissima in realtà, hai avuto una persona con cui crescere, avete costruito un rapporto pazzesco.

- A te invece non è andata così bene, vero?

- Beh… io ed Emil siamo stati separati dalla distanza, nonostante il nostro rapporto fosse molto forte, quindi diciamo che non ho avuto molta compagnia quando ero piccolo…

- Bella merda… - respirò, strimpellando debolmente la chitarra, facendo uscire un suono stonato. – Sai cosa, Roy? Fanculo il passato, non ha più importanza no?  

- Già… fanculo! – sorrise il biondo, vedendo l’amico posare la chitarra.

- Ti posso chiedere un favore? – disse lui improvvisamente.

- Uh? Certo, dimmi.

- Ecco… puoi aiutarmi a studiare fisica? Ti prego, non ho capito un cazzo delle ultime 5 lezioni… - chiese leggermente imbarazzato.

Roy guardo intontito il castano, tentennando dopo l’improvvisa interruzione dell’atmosfera che si era creata. Si riprese rapidamente posando una mano sulla spalla dell’amico. – Certo che ti do una mano, dopotutto te lo devo, con tutto l’aiuto che mi stai dando con Ethel.

- Grazie Roy, mi salverai il culo… - sospirò Blaze.

I due ragazzi si misero in cucina, tirando fuori un paio di libri e quaderni. Roy iniziò a spiegare le lezioni svolte dal professore la settimana prima, incantando l’amico con il suo metodo di esporre gli argomenti.
 
Queen City, settima base operativa dell’Asset, lo stesso pomeriggio.
 
I soldati della squadra speciale si erano riuniti in una delle tante sale di allenamento del complesso, dopo diverse sessioni di pratica in vista del raid che avrebbero dovuto condurre quella domenica.
Axel era immobile di fronte ai suoi uomini, analizzava i dati delle varie simulazioni, portando lo sguardo di volta in volta sul soldato, soggetto di tali analisi.

- Bene, adesso voglio misurare il vostro livello di combattimento come squadra. Qualora uno dei gruppi dovesse trovare l’hotspot corretto, è dovere degli altri raggiungere immediatamente la posizione e affrontare in team gli avversari. Per questa esercitazione ci divideremo in due gruppi: Hurricane con me, il resto comporrà l’altro gruppo.

- Eh?! – Diego si fece scappare un’esclamazione dal tono ebete.

- S-Signore… è sicuro di questi abbinamenti? Non sarete troppo in svantaggio, dieci contro due? – chiese perplessa il soldato Rees.

- Ho avuto modo di confrontarmi con uno degli uomini dell’Ægis, le misure che sto prendendo sono totalmente ponderate. Altre perplessità? – chiese il generale, guardando negli occhi ogni singolo soldato.

- Beh, veramente sì… - disse Diego, alzando la mano come fosse uno scolaro.

- Sentiamo, Unità Hurricane, qual è il dubbio che ti affligge? – Axel cercò di mascherare un lieve fastidio., invano.

- Non basto io da solo come allenamento per loro? – chiese prepotente, con una nota strafottente nel suo tono. Uno dei soldati si mise a ridere.

- Oh, andiamo! Sei veramente divertente, ragazzino. – esclamò il soldato Collins, guardando il ragazzo dai capelli blu con arroganza.

- Mi trovi davvero così divertente? Non credi che riuscirei a mettervi fuori gioco tutti e dieci da solo?

- Soldato Collins, Unità Hurricane, chiudete quelle cazzo di bocche. – Si impose il generale Klein, portando nuovamente l’ordine e il silenzio nella schiera di soldati. – Non è una dimostrazione di forza, è un allenamento mirato a non fallire l’occasione che abbiamo di eliminare quei bastardi dell’Ægis! Non ho intenzione di assistere a un’altra pagliacciata del genere, intesi?! – il suo tono era freddo, minaccioso e talmente tagliente che era riuscito a far paura al giovane Diego, nonostante la sua solita spavalderia.

- Sissignore… - risposero all’unisono i due, ritornando ai loro posti.

- Voi dieci, posizionatevi dall’altra parte della stanza; Rees sarà il leader del gruppo. Hurricane, tu vieni qua. – i soldati eseguirono. – Quando la spia della porta si accenderà e inizierà a creare il terreno olografico solido, avrà inizio la simulazione; preparatevi. – disse infine, disponendosi in posizione.

Le luci della camera si spensero per un istante, riaccendendosi poi e iniziando a simulare un campo di battaglia precedentemente scelto da Axel: un parcheggiò rialzato, tipico spazio chiuso, per prepararsi al meglio alla morfologia degli hotspots. La spia si accese, sancendo l’inizio della prova.

- Formazione d’ingaggio sei-quattro, andiamo! – gridò il soldato Rees, vedendo i suoi compagni prendere posizione.

- Neutralizza il fuoco di copertura, io mi occupo dell’avanguardia! – ordinò Axel a Diego; il ragazzo dai capelli blu annuì, scattando verso i soldati nemici.

Con un movimento repentino Diego si posizionò accanto a un muro, continuando a correre, mantenendosi a poca distanza da esso. I soldati incaricati di eseguire il fuoco di copertura dovettero riposizionarsi, lasciando solamente un uomo a supportare il gruppo da sei, che nel mentre stava attaccando la posizione del comandante Klein.

 - Ci sta tagliando lo spazio, manovra in contrattacco due-uno-uno! – ordinò il soldato Fray, incaricato di coordinare le retrovie. La squadra di supporto posizionò due soldati in avanguardia a correre verso il ragazzo, armati di pistola e coltello, dopo aver abbandonato i fucili pesanti; un soldato li copriva dalla distanza, segnalando gli spostamenti nemici e infine l’ultimo dei quattro forniva duplice supporto, coprendo anche la squadra del soldato Rees.

- Cambio di schema: Kane e Neri, andate a dare supporto alla retroguardia, noi quattro in manovra d’attacco due-uno-uno! – ordinò Rees, modificando lo schema d’attacco, rimanendo assieme ai soldati Sahed, Cold e Klopp ad attaccare la posizione di Axel.

Il generale, dopo aver analizzato attentamente la situazione, iniziò a seguire lo schema di Hurricane, ripercorrendo i suoi stessi passi, dirottando così la direzione dello scontro verso un punto preciso: il lato corto del perimetro.

- Rapporto. – chiese al ragazzo, attraverso l’auricolare.

- Meno dieci alla manovra. – rispose quello, schivando i colpi nemici con una velocità disumana.

Axel annuì, estraendo il fucile ed esplodendo una raffica verso la squadra che lo stava braccando, gettandola nel caos. Nel mentre, Diego raggiunse i soldati Collins e Freeman, scivolando sotto il primo e atterrando il secondo con una mossa impercettibile a quest’ultimo. Senza perdere tempo, accoltellò il soldato a terra, sparando poi due colpi in fronte all’altro. Le tute dei due soldati lampeggiarono di rosso, eliminandoli dalla simulazione.

- Merda! – imprecò Freeman, sbattendo un pugno a terra.

- Uomini a terra, ripiegare! – gridò Fray, tentando di allontanarsi. Improvvisamente però si trovò colpito in fronte da un proiettile del generale Klein, sparato nell’esatto momento in cui la morte dei due soldati d’avanguardia aveva lasciato lui lo spazio per mirare.

Senza lasciare respiro ai soldati, Hurricane si gettò contro i due soldati inviati a supportare l’unità nemica, non dovendosi più preoccupare della prima copertura.Si gettò addosso a Kane, usandolo come rampa per saltare al collo dell’altro, Neri, piantando a entrambi un colpo in testa, eliminandoli così anche loro dalla simulazione.
Axel si gettò in mezzo ai quattro soldati dell’altra unità, combattendo agilmente per non perdere il momento di vantaggio.
Prese per un braccio Klopp, usandolo come scudo verso i proiettili esplosi da Cold, eliminandolo poi con una scarica di colpi. Liberatosi del soldato, neutralizzò l’attacco di Sahed, che nel mentre si era avvicinato nel tentativo di accoltellarlo, girandogli il braccio e uccidendolo col suo stesso coltello.
Rees rimase sola, mentre Diego terminava Gray con una mitragliata.

- Merda… - imprecò la donna, gettandosi contro il suo superiore, riuscendo però a resistere pochi secondi allo scontro, venendo eliminata da un colpo alle spalle, esploso da Hurricane. Fece una smorfia, prima di cadere a terra, seduta, stremata dal combattimento. – Uff… - sbuffò.

- In una situazione in cui si è uno contro due non ha senso lasciare che sia uno solo dei due a terminare il lavoro, bisogna agire immediatamente e terminare lo scontro.

- Ma come cazzo hanno fatto…? – si rassegnò Klopp, sdraiandosi a pancia in su.

- È solo un ragazzino… che cosa cazzo gli hanno fatto per farlo diventare così? – disse infastidito Collins, guardando il ragazzo dai capelli blu mentre si levava la parte superiore della tuta, mostrando la sua schiena nuda ai soldati.
Agli uomini dell’Asset si presentò così un’aberrazione, la quale solamente guardandola generava sgomento e ribrezzo: la schiena del ragazzino era costellata da unità tecnologiche, che seguivano l’intero percorso della sua spina dorsale, disperdendo ai suoi lati delle specie di circuiti come scolpiti nella pelle.
Ai soldati mancò il respiro.

- Ehi… che cosa cazzo gli è successo?! – chiese scioccato Kane, indietreggiando involontariamente.

- Mi hanno trasformato in un’arma, impiantandomi una serie di moduli nel corpo. Se non lo avessero fatto sarei morto, diciamo che mi hanno salvato la vita…

Axel guardò il giovane con uno sguardo che poche volte i soldati erano riusciti a cogliere nei suoi occhi: puro dolore. – Tutto questo a che prezzo? – bisbigliò. Solamente Diego sentì quelle parole.

- Mi hanno condannato, in pratica, ma almeno sono ancora vivo…

- Quindi sei una macchina? – chiese perplesso Collins.

- No, non esattamente. Le unità impiantate nel mio corpo sono composte da tessuti simil-biologici; hanno la funzione di centrale di controllo per tutte le mie funzioni vitali, regolano le attività del mio corpo e sono in grado di espanderle. – chiarì il ragazzo.

- Cosa succede se si bloccano? – chiese Rees.

- Sono state progettate originariamente dal Professor Steinberg, la loro struttura gli permette di non condurre elettricità e di essere sostituite in tempo brevissimo da nuove cellule sintetizzate dal mio organismo. Diciamo quindi che sono fatte apposta per non bloccarsi.

- È una cosa assurda… come fai a vivere sapendo di avere quella roba nel corpo? – chiese Sahed inquieto.

- Non sento più la loro presenza, ormai mi ci sono abituato. Conviverci all’inizio non è stato facile.

- Dev’essere stato terribile… - disse Rees con tono carico di compassione.

- Per oggi può bastare così. Prendetevi il giorno libero, domani termineremo l’addestramento. – Interruppe la discussione il generale, congedando tutti gli agenti. Hurricane rimase solo con lui nella stanza.

Ci fu un lungo silenzio fra i due, finché il ragazzo dai capelli blu non prese parola. - Grazie… - disse, voltandosi verso Axel.

- So quanto ti fa male doverne parlare, ma loro non potevano saperlo.

- Lo so, non è colpa loro, tranquillo. Solo che pensare a questo aspetto di me mi ferisce dall’interno, è inevitabile…

- Stai bene? – chiese preoccupato il generale, vedendo Diego ammutolirsi e sedersi per terra.

- Sì… s-sto bene… non ti preoccupare… sono solo esausto.

- Mi dispiace, non volevo spingerti così tanto oggi, ma è una misura necessaria: non avete la minima idea di cosa sono capaci quelli dell’Ægis.

- Te la sei vista brutta contro quel tipo… non ti ho mai visto così preoccupato. – disse il ragazzo, incuriosito.

- Mi teneva testa in uno scontro corpo a corpo, con il coltello…

- La tua specialità, cazzo…

- Esattamente, non c’è da scherzare con un soggetto del genere.

- Gli altri elementi li conosciamo?

- Solamente due: la donna che ha attaccato il giovane Steinberg e l’uomo che stiamo cercando, Niklas Gunnarson. Le informazioni sono poche, per questo sto cercando di posizionare le nostre pedine nel modo più accurato possibile.

- Staneremo quei figli di puttana, Axel, la squadra è composta da persone capaci, ho potuto provarlo oggi. E poi… io e te formiamo l’unità più forte dell’Asset, un po’ mi mancavano le missioni con te…

- Dopo il mio trasferimento ho solto missioni molto diverse da quelle che facevamo assieme, quando eri solo un bambino… un po’ di nostalgia non ci farà male. Solo, non lasciamoci trascinare da sentimenti del passato, non dobbiamo compromettere la missione.

- Non lo abbiamo mai fatto…

- …E mai lo faremo. – concluse il generale, aiutando il ragazzo ad alzarsi, seguendolo poi fuori dalla stanza. - Vai a riposarti adesso, domani non vi darò un secondo di tregua. – disse poi, posandogli una mano sulla spalla.

- Ah, giusto… mi hanno messo nella tua stessa camera…

Axel sbuffò. – Non importa… verrò a prenderti per l’ora di cena, riposati.

- Va bene… a dopo allora. – lo salutò il ragazzo, dirigendosi verso i dormitori della struttura.

Klein guardò Diego allontanarsi, venendo investito da un’improvvisa nostalgia e preoccupazione. Erano passati due anni dall’ultima volta che lo aveva visto alla sede di Berlino, dall’ultima volta che aveva passato del tempo con lui. Lo aveva incontrato per la prima volta durante una missione, trovandolo con la vita appesa a un filo, in quel ghetto marcio di Berlino.
Lo salvò quel giorno, anche se dal suo punto di vista fu proprio lui la causa della condanna di quell’innocente ragazzo. Si sentiva colpevole di averlo fatto trasformare in un’arma. Diego non lo aveva mai incolpato, al contrario, lo considerava come un fratello, sosteneva sempre di dovergli la vita. Senza rendersene contro, quel ragazzo era diventato la persona a cui teneva di più nella sua vita.
 
Queen City, casa di Ethel, domenica, ore 16:00.
 
Ethel aveva svuotato l’armadio, indecisa cercava la combinazione definitiva da indossare per l’appuntamento, tutto ciò mentre Blaze la guardava confuso, mentre accordava il basso, seduto sul letto di lei.

- Cosa mettoooooooo?! – si lamentò lei, fingendo un capriccio.

- Roy non è un tipo particolarmente attento alla moda, non credo gli interessi più di tanto.

- Eddai, voi maschi avete sempre qualcosa che vi piace di più su noi ragazze. Come ti sembra questo? – chiese, mostrando un’elegante maglia verde e indaco, abbinata a un paio di jeans dal gusto sportivo.

- Boh, sì, ti sta bene… come ogni altro fottuto vestito che hai! Mettiti quello che vuoi, Roy ti starà aspettando! – rispose il castano, lievemente seccato.

- Utile come sempre… - sbuffò lei.

- Quello indaco e verde va bene… - disse rassegnato, provando a suonare un accordo.

- Grazie. Ora se non ti dispiace esci da camera mia, devo cambiarmi. – lo cacciò fuori dalla porta la rossa, sorridendo.

- Questo è ingiusto, quando sono in mutande in camera mia, tu entri senza bussare… - sbuffò lui, sedendo a terra.

- Io sono una ragazza! – urlò lei dall’altra parte della porta.

- Io sono una ragazza… fanculo. – le fece il verso Blaze.

Ethel uscì dalla porta, indossando la combinazione scelta dal fratello. Era stupenda.
“HAH! Roy, fratello mio… oggi ci rimani secco…” pensò Blaze, guardando la bellissima sorella mentre questa ultimava i preparativi.

- Come sto? – chiese lei.

- Molto figa devo dire…

- Dai scemo! Come mi sta?

- Bene cazzo, ti sta bene! – sbraitò lui.

- Merda, sono in ritardo! – esclamò lei, agitandosi guardando l’ora.

- Meglio se ti sbrighi allora, Roy è tedesco, sai che i tedeschi non ammettono ritardi.

- Quanto puoi essere imbecille?

- Non hai la minima idea, credimi. Ci vediamo stasera allora, mi raccomando: guai a te se torni ancora single. – la salutò lui, uscendo da casa della ragazza e vedendola arrossire mentre gli mostrava il dito medio.

Ethel corse fuori casa, trovando il biondo ad aspettarla fuori dal cancello.

- Scusa il ritardo… colpa di Blaze… - si scusò lei, avvicinandosi a Roy e dandogli un bacio sulla guancia. – È tanto che aspetti? – chiese preoccupata.

- No, tranquilla, sono appena arrivato. – la rassicurò, ricambiando il bacio. – Vieni, ho la macchina parcheggiata qua vicino. – disse poi, invitandola a seguirlo.

- Woah, hai la macchina?! Che figata… magari i miei me la lasciassero ogni tanto… - esclamò la ragazza.

- Mio padre mi ha lasciato la seconda macchina, la sua Audi è sacra… - borbottò, mostrando alla ragazza il suo bolide: una stupenda Jeep nera, di uno degli ultimi modelli.

- Questa sarebbe tua?! Cioè… la seconda macchina?! – chiese stupita Ethel.

- Sì…  diciamo che essere il figlio del Professor Steinberg ha dei vantaggi… - ridacchiò lui, aprendo la portiera alla ragazza. – Prego, mettiti comoda. – la invitò a salire.

- Grazie Roy, avevo letto di questo giardino su di una rivista, non vedevo l’ora di poterci andare!

- Ha incuriosito un sacco anche me, sono sempre stato un appassionato di giardinaggio. – disse il biondo, accendendo la macchina e mettendola in moto.

- Tu? Veramente?! – chiese la ragazza stupita, facendosi scappare un sorriso.

- Che c’è? Non ti sembro un tipo da giardinaggio? – rise lui, fingendosi deluso.

- Haha, no, solo che è curioso saperti interessato a un hobby così particolare.

- Beh, vedi, le mie ricerche le svolgo principalmente sulle piante. Il progetto a cui stavo lavorando prima che mi succedesse quell’incidente era basato proprio sui tessuti vegetali. Diciamo che ho unito due passioni…

- È una cosa fighissima, Roy! Io ad esempio avrei sempre voluto un secondo hobby oltre al basket… ma giocando nella squadra di serie A giovanile non ho proprio tempo da dedicare ad altro…

- Però hai una gran carriera di fronte a te, non è una cosa da poco.

- Sì, è vero… però mi piacerebbe avere più tempo per me stessa… ho sedici anni, non vorrei occupare tutto il mio tempo con il basket… penso che fra un po’ mi prenderò una pausa dall’agonismo.

- Ogni tanto prendersi una pausa serve, feci lo stesso con le arti marziali, volevo dedicare più tempo alle mie ricerche.

- Dovremmo prenderci del tempo per noi… che ne so… magari potremmo passarne anche un po’ assieme, che dici? – le parole della ragazza furono repentine; Roy arrossì pesantemente, rimanendo però concentrato sulla guida. Dopo un lungo silenzio riuscì finalmente a rispondere.

- Beh… n-non sarebbe affatto male… - rispose imbarazzato… notando lo stesso imbarazzo nella ragazza.

I due immaginarono contemporaneamente la stessa cosa: Blaze che li guardava schifato, urlandoli dietro e insultandoli per essere così rigidi e timidi l’uno con l’altra.
Ci fu un lungo silenzio, che lasciò i due ragazzi a cuocere nel loro brodo, mentre una leggera tensione iniziava a pervadere i due. Fu Roy a rompere tale silenzio, mentre con una manovra pulita e rapida parcheggiava l’auto.

- S-Siamo arrivati… - disse timidamente.

- Guidi benissimo… magari fossi brava come te… - sorrise lei, per alleviare la tensione.

- Diciamo che non ho preso da mio padre, lui è un folle al volante. Aspetta, ti apro la portiera. – disse, aiutandola poi a scendere dalla Jeep.

- Grazie. Woah! Già da fuori sembra una favola! – esclamò la rossa, guardando ipnotizzata l’ingresso dei giardini: una piccola oasi decorata con ciottoli tondi e canne di bambù, arricchita da qualche acero cinese rosso-fiammeggiante, che coi suoi colori accesi risaltava in contrasto col verde acceso delle canne.

I due ragazzi percorsero il piccolo sentiero d’ingresso, venendo poi accolti da una giovane ragazza dello staff, che invitò loro a togliersi le scarpe e a passeggiare a piedi nudi nel giardino, seguendo un percorso zen, creato da un esperto giardiniere giapponese.

- Che forza, non mi era ancora mai capitato di fare un percorso Zen; poi è del Maestro Ryunosuke Oshido, un giardiniere famosissimo. Seguo un paio di sue riviste. – disse entusiasta Roy.
- Sono curiosa adesso! – esclamò Ethel, togliendosi le scarpe.

I due iniziarono a seguire il percorso, composto da ciottoli tondi e piatti di un particolare tipo di granito, una macchia rossa che via via veniva inghiottita dal verde di quel prato. Ai lati del percorso, una serie di statue di giada e marmo rosa decorava il giardino, alternati ad altri aceri cinesi, questa volta più bassi, che riprendevano il colore rosso di inizio percorso. Qua e là erano disposti dei massi rotondi, coperti da un lieve strato di muschio, che col suo verde particolare donava alla magnifica vista un’atmosfera quasi mistica. Verso metà percorso appariva un piccolo stagno, sul quale vegliava un’enorme quercia. Al centro di esso due ninfee galleggiavano, immobili sulla superficie, una delle due con l’inizio di una gemma che sporgeva dalla foglia. La quiete di quel luogo era disarmante, i due ragazzi potevano sentire ogni singolo ciuffo d’erba che sfiorava loro i piedi, ogni singola foglia mossa dal vento, ogni onda che turbava la liscia superficie dello stagno.

- Che posto magnifico… - sussurrò Roy.

- Da togliere il fiato… - confermò Ethel.

Camminarono ancora per diversi minuti, prima di sedersi su alcune sedie create con rami intrecciati. Il paesaggio era così intenso da lasciare i due senza parole, in un silenzio piacevole, quasi rinfrescante.

- Roy… - disse Ethel all’improvviso, con voce bassa.

- S-Sì? – rispose lui, leggermente in soggezione.

L’atmosfera tra i due si era tuttavia calmata, la tensione di prima era scomparsa.

- Grazie per avermi portato qua, è davvero stupendo…

Roy fece un grande respiro, ripensando alle parole del suo amico. Era il momento giusto per dichiararsi, ma la decisione era dura da prendere. “Oh, fanculo Roy, vai!” pensò, sentendo una forza interiore spingergli la mano su quella della ragazza. Ethel arrossì, lasciando fare però al ragazzo.

- Non sarebbe stupendo se non ci fossi tu con me adesso… - era più complicato di quanto pensasse, arrossì imbarazzato. – Vedi… lo so che ci conosciamo da poco… però…

- Anche tu mi piaci Roy. – disse lei, senza lasciarlo finire.

- E-Eh…? – balbettò tentennante.

- Mi piaci, e anche un sacco, Roy. – ripeté lei, stringendogli la mano. – Non mi interessa se ci conosciamo da poco, mi piaci, ed è il pretesto perfetto per conoscerti meglio! – la ragazza era imbarazzatissima, ma al contempo sicura di sé.

- M-Mi sono innamorato di te, Ethel… quindi… vorrei chiederti… se ti va di metterti con me… ecco…

- Sì! Sì che mi va, sì! – esclamò lei, avvicinandosi al ragazzo. – Non vorrei sembrare troppo egoista ma…

- Ma…? – Roy divenne rosso in volto, vedendo il viso della ragazza avvicinarsi al suo.

Ethel si mosse un paio di ricci rossi dalla faccia, per poi rubare un bacio al biondo, che rimase rigido e tentennante. Le labbra dei due si staccarono per qualche secondo, fu il ragazzo questa volta a baciare lei, sciogliendo la tensione e godendosi quell’atmosfera quasi paradossale.
Le loro mani s’intrecciarono, mentre lei appoggiava il corpo a quello di lui, senza smettere di baciarlo.
All’improvviso, però, una violenta esplosione interruppe quel magico momento, rompendo quella stupenda quiete con un assordante boato.
   
 
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