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Autore: Mary P_Stark    18/05/2022    1 recensioni
Muspellheimr - Regno di Surtr
Il giovane Gigante di Fuoco Sthiggar, discendente della dea Sòl e figlio del Sommo Sacerdote Snorri, non conosce né paura né tanto meno vergogna e, a causa di ciò, finirà dapprima per essere punito dal re, e in seguito confinato sullo sperduto Regno di Manaheimr (Terra), nell'ancor più sperduto paesino di Lulea, in Svezia. Questo confino - agli occhi di Sthiggar più che ingiusto - porterà a sconvolgenti verità e alla scoperta di un destino a cui non sapeva di essere designato fin dalla sua nascita. L'aiuto della berserkr Ragnhild sarà vitale per comprendere meglio se stesso e il ruolo che gli compete nella complessa rete del Fato che si è stretta attorno a lui, ma saranno antiche divinità e nuovi nemici a mettere definitivamente alla prova il guerriero muspell. (per una totale comprensione, si devono leggere prima le altre storie legate a questa raccolta)
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Cap. 5

 

 

Il Portale di Bifröst altro non era che un'immensa struttura a cupola in vetro smerigliato, in cui nove enormi arcate e altrettante porte di pesante metallo brunito e bulinato con raffinata maestria conducevano ad altrettanti Regni.

La porta di Vanaheimr, diversamente dalle altre, era ormai sbarrata da millenni, poiché il reame dei Vani era perito a causa della morte della stella che ne aveva consentito la vita per milioni di anni.

Quanto alle altre porte, erano regolarmente utilizzate e tenute sotto controllo ma, nel caso di Jötunheimr, Svartalfheimr e Niflheimr, armigeri presenti a ogni ora del giorno e della notte garantivo la sicurezza del passatto e la contingentazione delle entrate.

Non che fosse vietato il passaggio da quelle porte, ma era meglio non rischiare, con i popoli abitanti quei pianeti così oscuri e minacciosi.

Quando la coppia di cugini si apprestò a raggiungere il portale che conduceva su Midghardr, Sthiggar interruppe i propri passi per fissare sgomento e sorpreso una figura a lui familiare.

Hildur si accigliò nel riconoscere il giovane che li stava attendendo a pochi passi dal portale di Midghardr ma, ben sapendo quanto avrebbe potuto essere dura, per il cugino, da lì in avanti, lasciò correre e permise al nuovo venuto di avvicinarsi.

A un cenno di Hildur, quindi, Rhad Kahnn si approssimò all’amico per stringerlo in un abbraccio fraterno e Sthiggar, nel replicare a tale stretta, mormorò: “Come? Come hai saputo?”

“Ho i miei metodi” ammiccò l’altro, sorridendogli speranzoso nello scostarsi da lui. “Thrydann ha già saputo ogni cosa, grazie al padre, perciò la notizia si sta spargendo per tutta Hindarall con la forza di un incendio, ma i tuoi amici sinceri non credono a una sola parola di quello che il bastardo va dicendo in giro, non temere.”

Sthiggar assentì leggermente tremante, percependo senza sforzo le lacrime che, feroci, stavano sorgendo nei suoi occhi, pronte a sgorgare al minimo segnale di debolezza.

Aveva sempre visto Rhadd come un giovane troppo gentile, troppo gracile e inadatto al ruolo di soldato dell’esercito e, per questo, lo aveva preso fin dall’inizio sotto la sua ala.

Lo aveva sempre considerato alla stregua di un fratello minore, di qualcuno da proteggere e amare, e a questo si era attenuto ma ora, di fronte a quel Portale, i ruoli sembravano essersi ribaltati.

Ora era Rhadd a proteggerlo dalla paura di quel balzo nel vuoto, di quel futuro privo di certezze, e lui ne era così felice da sentirsi scoppiare il cuore nel petto.

“Resisti, e vedrai che risolveremo la cosa” soggiunse Rhadd, dandogli una stretta sulle spalle per infondergli coraggio. “Se potessi, io…”

Hildur intervenne gelida, asserendo: “Se potessi, nulla, Fiamma Purpurea. E’ tempo che andiamo.”

Ciò detto, spinse Sthiggar verso il Guardiano di Bifröst perché il cugino espletasse tutte le pratiche prima della partenza ma Rhadd, nel passare accanto a Hildur, mormorò al suo orecchio: “Indagherò alla mia maniera e, se troverò qualcosa, te lo dirò.”

Lei assentì rapida e, con tono secco, lo scacciò prima che occhi od orecchie indiscrete si interessassero troppo al loro scambio di battute segreto, dopodiché si rivolse a suo cugino perché non perdesse altro tempo.

Era inutile dargli false speranze quando, al momento, non v’erano certezze su niente. Non appena furono al cospetto del Guardiano di Bifrost, questi li scrutò incuriosito per alcuni attimi prima di ricevere da Hildur le istruzioni in merito al viaggio di Sthiggar.

Quando il Guardiano lesse le interdizioni a lui legate, assentì brevemente, chiese a Sthiggar di allungare un braccio dopodiché, nel poggiarvi sopra il pennino in oro con cui redigeva i suoi registri, disse: "Interdizione al passaggio per settantadue anni."

Dalla punta del pennino scaturì un fluido nerastro che, ben presto, si attorcigliò attorno al polso di Sthiggar formando un arabesco geometrico che, poco alla volta, penetrò sottopelle alla stregua di un tatuaggio.

Quando il processo ebbe termine, il Guardiano gli spiegò atono: "Se tenterai di passare dal portale, il tatuaggio si spezzerà, inondando il tuo sangue di veleno. Al compimento del settantaduesimo anno di interdizione, invece, semplicemente sparirà dalla tua pelle, e tu sarai libero di tornare. Ti è tutto chiaro?"

"Sì" assentì rapido Sthiggar, scrutando dubbioso lo strano marchio che ora adornava il suo polso. 

"Ti accompagnerò fino al luogo della tua detenzione, dove troverai altri due muspell che, prima di te, sono stati banditi dal regno e che, d'ora innanzi, avranno il compito di spiegarti le regole di Midghardr" gli spiegò Hildur, attendendo che il Guardiano aprisse per loro il portale. "Grazie a te, otterranno trent'anni di sconto sulla loro pena, perciò troverai in loro dei compagni di prigionia piuttosto ben disposti."

"Perché sono stati banditi?" le chiese Sthiggar, storcendo il naso.

"Ricettazione e furto. Sono stati beccati a rubare nei forzieri reali e, a quel tempo, il re non era molto bendisposto nei confronti dei ladri" si limitò a dire Hildur, accigliandosi quando un bagliore immane li investì nel momento dell'apertura del portale. "Merda... dimentico ogni volta che il passaggio verso Midghardr corrisponde al colore giallo. Spacca sempre gli occhi."

Anche Sthiggar si coprì il volto di fronte a quella luce così violenta ma, non appena ebbero oltrepassato il portale, la luminosità si fece più tenue e, poco alla volta, il passaggio sul ponte dell'arcobaleno comparve dinanzi ai loro occhi.

Dabbasso, a molte iarde di distanza, il rombo del fiume che era Bifröst riempiva ogni meandro della grotta in cui ora si trovavano e, mentre Hildur e Sthiggar attraversavano il ponte di pietra che conduceva a Midghardr, quest'ultimo domandò: "Cosa devo aspettarmi?"

"Qualsiasi cosa la tua fantasia possa suggerirti... e forse non basterà" lo mise in guardia lei, indicandogli di seguirlo lungo una ripida scalinata che volgeva verso l'alto.

Sthiggar non accolse bene quelle parole - lui era un uomo pratico, ben poco propenso a fantasticare a occhi aperti - ma, quando finalmente poté scorgere il cielo di quel nuovo mondo, ogni suo pensiero perse di interesse.

A bocca aperta e con uno sguardo pieno di meraviglia, uscì dal cunicolo che fin lì aveva percorso assieme alla cugina per sbucare nel bel mezzo di un campo erboso e circondato da alte pietre grigie. Queste, disposte in linea retta per centinaia di iarde e ricoperte da sottili strati di licheni giallastri, erano illuminate dagli ultimi residui di un tramonto dai colori magnifici, che investirono Sthiggar in tutta la loro bellezza.

La brezza proveniente da una vasta distesa di acqua, che lui ipotizzò essere un mare, lo inondò di profumi a lui sconosciuti e, quando Hildur lo raggiunse, le sentì dire: "Quella laggiù è acqua salata, perciò non farti venire in mente di berla."

"E' un mare come i nostri, però?" domandò curioso Sthiggar.

"E' simile ma, per poterlo bere, devono desalinizzarlo e ripulirlo da scorie artificiali" gli spiegò sommariamente la donna.

"Scorie... artificiali?" domandò dubbioso il giovane.

"Scoprirai che gli umani hanno idee ancora poco chiare, in merito alla salute del proprio pianeta o al grado di civiltà da tenersi con le altrui persone" ironizzò la cugina. "Ti dovrai dare alla lettura, se vorrai capire come evitare problemi."

"A proposito di lettura... come farò con il vocabolario?" si domandò Sthiggar, vagamente preoccupato.

Hildur allora sorrise dolcemente e replicò: "Non ti sei ascoltato mentre parlavi, vero?"

"In che senso?" borbottò lui prima di sgranare lentamente gli occhi e gracchiare: "Ma... in che lingua mi sto esprimendo?!"

"Non ti sei accorto che, mentre attraversavamo il ponte sul Bifröst, siamo stati investiti da una sorta di nebbiolina?" gli ricordò allora la cugina, tastando con attenzione alcuni dei monoliti del sito megalitico, come alla ricerca di qualcosa.

Vagamente ansioso, Sthigg assentì e disse: "Sì, me lo ricordo. Ho pensato che fosse semplice umidità."

"Serve ai viandanti dei mondi per non avere problemi con le lingue dei vari pianeti. Ora, tu ti esprimi nella lingua del luogo in cui ci troviamo e che, per la cronaca, si chiama Svezia. Naturalmente, se vorrai imparare altre lingue, dovrai farlo tu stesso ma, per cominciare, sapere lo svedese ti aiuterà a non sembrare un completo idiota" dichiarò lei, sorridendo quando finalmente trovò quel che cercava.

La mano di Hildur affondò letteralmente nella roccia, ma questo non turbò affatto Sthiggar. Non era nuovo a incantesimi di quel genere e non lo stupiva che, anche lì su Midghardr, si fosse ricorsi a simili trucchetti per nascondere ciò che era di loro interesse.

Su Muspellheimr, simili alcove magiche erano utilizzatissime.

Quando Hildur ritrasse la mano, estrasse alcuni piccoli libercoli colorati e, quando lei gliene mostrò uno, lui domandò curioso: "Perché c'è un mio piccolo ritratto, all'interno?"

"Non è un ritratto, ma una fotografia. Scoprirai presto che qui la tecnologia sostituisce la magia e, spesso, la surclassa" gli spiegò Hildur, consegnandogli i suoi documenti prima di aggiungere: "Per raggiungere Luleå, il luogo in cui sconterai la tua pena detentiva, dovremo prendere un apparecchio tecnologico chiamato aeroplano e, te lo dico fin d'ora, non ti piacerà per nulla. D'altro canto, non possiamo fare altrimenti, o impiegheremmo giorni a raggiungere quel luogo a piedi, e io non ho tutto questo tempo a disposizione."

L'idea di allontanarsi da Hildur fece sorgere una smorfia sul viso di Sthiggar che, con un sospiro, disse: "Giusto. Questa non è una gita."

"No. Niente affatto. Scoprirai ben presto perché il sovrano ha scelto proprio la Svezia come nostro luogo detentivo" sospirò a sua volta Hildur. "Ritengo, comunque, che al momento tu sia più al sicuro qui, rispetto a Muspellheimr, perciò porta pazienza e lascia fare a me, cugino. Scoprirò chi ti ha cacciato in questo guaio."

Lui assentì, ma disse: "Parla con il comandante Yothan. Digli che non c'entro nulla."

"Dubito che potrebbe credere il contrario. E' entusiasta di te, e il re lo sa" lo rincuorò Hildur prima di guardarlo, scuotere il capo e borbottare: "Non possiamo raggiungere Målmo con te e me conciati a questo modo."

"Cos'hanno che non vanno i nostri abiti?" domandò a quel punto lui, guardando entrambi con espressione confusa.

"Lo scoprirai presto" chiosò lei, afferrando un paio di calzoni dal borsone di Sthiggar, dove aveva infilato anche alcuni suoi indumenti.

Ben presto furono abbiglianti in modo più consono per un viaggetto a piedi fino alla cittadina di Målmo che, comunque, raggiunsero solo tredici ore dopo.

Lì, Sthiggar iniziò a comprendere cosa avesse voluto intendere la cugina con 'usare la fantasia'. Mentre i suoi occhi registravano migliaia di input, l'uno più sconvolgente dell'altro, Hildur si occupò di acquistare per entrambi un biglietto aereo per Luleå.

Sthiggar, a quel punto, pensò bene di usare un vecchio trucco insegnatogli in addestramento da Yothan, perciò lasciò perdere qualsiasi cosa lo circondasse, qualsiasi rumore venisse in contatto con il suo udito per concentrarsi su un'unica cosa; raggiungere la sua meta finale.

Trovò comunque difficile venire imbottigliato in un'enorme scatola metallica e imbottita di piccoli scranni ricoperti di tessuto, dove decine di altre persone - umani - sembravano non essere affatto preoccupati all'idea che quel coso alato potesse volare.

Lui sapeva benissimo che anche le loro navi, così come le loro bighe, volavano, ma erano mosse dalla magia. Da quel che gli aveva detto Hildur, invece, su Midghardr non esisteva nulla del genere per cui, non conoscendo il genere di tecnologia che muoveva quei cosi, non poteva certo sentirsi incoraggiato a usarli.

Per tutta la durata del viaggio tenne quindi le mani serrate sui braccioli, contando mentalmente fino a un milione in tutte le lingue di sua conoscenza, utilizzando anche lo svedese, quella strana nuova lingua che gli era stata inculcata in testa dalla magia di Bifröst.

Quando finalmente scesero, comunque, Sthiggar lanciò una silenziosa preghiera di ringraziamento a sua nonna Sól, mentre Hildur recuperava i bagagli e trascinava lontano dall'aeroporto un tramortito cugino.

Cugino che, nel ritrovarsi a dover combattere il peggior freddo patito in vita sua, cominciò a battere i denti, osservò inorridito dei cumuli di robaccia bianca e che emanava il tremendo umidore gelido che lo stava mandando ai matti e borbottò: "Che diavolo è quella roba?!"

"Neve. Siamo ad aprile, qui, e a queste latitudini ancora nevica, in questo periodo" dichiarò comprensiva Hildur, estraendo dalla sacca di Sthiggar un paio di giacche di pelle. Non erano il massimo, quando a protezione, ma erano quanto di più simile a un

capo umano che potessero vantare.

Rabbrividendo da capo a piedi, Sthiggar indossò in tutta fretta la sua blusa di pelle di yrtan dopodiché, fissando disgustato la neve, ringhiò: "Chiunque sia stato a rinchiudermi in questo posto, la pagherà cara!"

"Prima di congelare, sarà meglio se raggiungiamo i tuoi due nuovi coinquilini" dichiarò Hildur, muovendosi a passo spedito.

"Perché tu sai esattamente cosa fare e come farlo, scusa?" domandò a quel punto Sthiggar, sfregandosi con violenza le mani perché si scaldassero almeno un poco. Quel luogo sembrava inibire la sua aura infuocata in un modo che mai, prima di allora, aveva sperimentato. 

Non faticava a comprendere perché Surtr avesse scelto quel posto per esiliare e riportare a più miti consigli gli abitanti di Muspellhemir. Quel posto sembrava essere debilitante come Jötunheimr, per loro.

"Sono le Fiamme Nere a occuparsi dei prigionieri, Sthiggar... e questo comprende qualche capatina qua e là dal confine."

"Dovrò sentirmi sempre così svuotato, freddo e senza forze, qui?" si lagnò a quel punto Sthiggar, squadrando con aria malevola le casette che lo circondavano, gli ordinati giardini che le cingevano e le strade dove, ogni tanto, qualche carro meccanizzato e rumoroso spezzava la quiete del luogo.

"Come muspell saresti risultato troppo potente, in un altro luogo, mentre qui hai più o meno le stesse capacità di un umano. Il freddo annienta la tua aura. A maggior ragione tu, che sei di stirpe divina" gli spiegò Hildur, conducendolo lungo una selva apparentemente infinita di stradine, viottoli e selciati.

Sthiggar si chiuse in un mutismo irritato e, senza darsi pena di apparire simpatico, non degnò neppure di un'occhiata le poche persone che, a quell'ora antelucana, incrociarono al loro passaggio.

La notte stava scendendo rapidamente, in quelle lande a lui del tutto sconosciute e apparentemente inospitali, e la strana luminosità residua del cielo cominciava a dargli qualche problema. Perché mai, invece di diventare semplicemente buio pesto, il cielo stava iniziando a striarsi di verde?

Nel notare il suo sguardo, Hildur sorrise appena e disse: "Si chiama aurora boreale. La vedrai spesso, qui, la notte. E' un fenomeno magnetico che ha a che fare con la stella che illumina Midghardr, che è chiamata Sol."

"Come mia nonna?" gracchiò Sthiggar, confuso.

Hildur rise comprensiva e replicò: "Sì, il nome in suo onore è rimasto, nonostante siano secoli che i terrestri non la adorano più."

"Quello lassù, invece, è il satellite di Midghardr?" indicò Sthigg, puntando il dito verso il disco argentato che brillava nel cielo.

Hildur assentì e mormorò: "Non è bellissima? La chiamano, indovina un po'... måne."

"Come Mani. Allora, i terrestri non si sono del tutto dimenticati degli antichi dèi" mormorò pensieroso Sthiggar, sinceramente strabiliato. 

"Forse, sono più romantici e malinconici di quanto essi stessi non pensino" chiosò Hildur, indirizzandolo verso un viottolo laterale rispetto alla strada che stavano percorrendo.

Sthiggar non replicò al commento della cugina, si limitò a seguirla lungo le strade di Luleå e la cugina, suo malgrado, non poté che avere pietà di lui.

Non faticava a comprendere la sua confusione e la sua paura. Si trovava in un luogo a lui del tutto sconosciuto, non aveva la minima idea di quando sarebbe tornato a casa, né se avrebbero mai trovato colui o coloro che lo avevano voluto allontanare da Muspellheimr e, non da ultimo, ora era del tutto inerme.

Deprivato dei suoi poteri del fuoco, Sthiggar doveva davvero sentirsi denudato, del tutto fuori luogo e per nulla a suo agio.

Si era spesso arrabbiata con lui per i suoi colpi di testa e le sue smanie di protagonismo, ma in quel momento desiderò solo proteggerlo, pur non potendo fare molto, per il cugino.

"Ti prometto che risolverò tutto" mormorò Hildur dopo alcuni istanti di silenzio.

Sthiggar ancora non rispose alle sue affermazioni, ma sorprese la cugina nell'abbracciarla e stringerla a sé, tremante come una foglia, e quasi sicuramente non per il freddo.

Hildur fermò i suoi passi, poggiò il capo contro il torace del cugino e le mani su quelle del cugino, strette a pugno attorno a lei dopodiché, dolcemente, sussurrò: "Mio krishar, vedrai che ci ritroveremo presto."

Lui gorgogliò una risata, si scostò da lei dopo averle dato un bacetto sui capelli e mormorò: "Non mi chiamavi 'cucciolotto' da quando avevo dieci anni."

Hildur si limitò a scrollare le spalle e, indicandogli una via, disse: "Vieni. Siamo quasi arrivati."

Sthiggar assentì, rabbrividì nuovamente - stavolta per il freddo - e, nell'osservare le casupole colorate attorno a lui e i bei giardinetti circondati da bassi steccati, disse: "Non hanno bisogno di mura di cinta per difendere le loro case, a quanto pare."

"Qui la delinquenza è bassa. Come ben presto noterai, la gente è cordiale ed educata, da queste parti, anche se potrà sembrarti un po'... controllata?"

"Non vanno a bisbocciare ogni santa ora, vuoi dire?" cercò di ironizzare Sthiggar.

"Magari lo fanno, ma con contegno" buttò lì Hildur prima di fermarsi dinanzi a una casetta da un piano, a cui era annessa una dependance di poco più piccola.

Re Surtr aveva fatto in modo che la prigionia su Midghardr non fosse disagevole - avendo già il demerito di togliere ogni potere ai muspell - e, in quel luogo di pace, i detenuti solitamente riuscivano a venire a patti con i propri misfatti e a redimersi.

Certo, si conoscevano anche delle eccezioni, eccezioni a cui da anni mancava la testa dal corpo, ma si potevano davvero contare sulla punta delle dita di una mano.

"Qui abitano Flyka e Trym, e saranno i tuoi compagni" disse Hildur prima di suonare il campanello accanto al cancelletto d'ingresso.

Mentre Sthiggar annuiva meccanicamente, una bionda statuaria aprì la porta della casetta color pervinca e, nel vederli, aprì subito il cancelletto per poi dire: "Vi è andata bene. Ieri nevicava di brutto."

Sthigg rabbrividì al solo sentir parlare della neve e, mentre la coppia entrava in casa - riscaldata da una enorme stufa a legna - domandò dubbioso: "Ma qui nevica sempre?"

La bionda, di nome Flyka, rise sguaiata e replicò: "No, ragazzo, ma diversi mesi l'anno dovrai pregare tutti gli dèi di Muspell per scaldarti un po'."

"Lo rincuori di sicuro, dicendogli così, Flyka" intervenne una nuova voce, stavolta maschile.

Pochi istanti dopo, da una porta socchiusa fece il suo ingresso un uomo imponente e alto all'incirca due metri, dai cortissimi capelli rosso scuro e occhi di un profondo nero ossidiana.

Sul collo, portava il tatuaggio inequivocabile delle Fiamme Purpuree, bannato però da un singolo colpo di colore, che ne denunciava a chiare lettere il tradimento.

Istintivamente, Sthiggar se ne risentì - lui era una novella Fiamma Purpurea, e l'idea di trovarsi assieme a un traditore del Corpo non gli piaceva per nulla - ma, sapendo bene di trovarsi forzatamente in quel luogo, preferì soprassedere.

"Ebbene... lui sarà il nostro nuovo coinquilino?" domandò Trym, fissando pieno di curiosità il nuovo arrivato.

"Lui è Sthiggar, figlio di Snorri, e rimarrà con voi per un po'. E' accusato di furto come voi, perciò avete almeno questo, in comune" chiosò Hildur, chiedendo quindi loro di allungare i rispettivi avambracci.

Come il Guardiano di Bifröst aveva fatto con Sthiggar, così Hildur toccò i loro tatuaggi al polso con un pennino dorato e, subito, questi mutarono, facendosi più sottili e ambrati.

"Ora vi sono stati scontati gli anni pattuiti per essere i suoi guardiani, perciò comportatevi bene. Passerò di qui ogni sei mesi, come al solito, perciò fatemi contenta e non combinate guai, altrimenti lo sconto di pena verrà tolto" ciò detto, si volse verso Sthiggar e si limitò a dire: "Lo stesso vale per te, ragazzo."

Sthiggar sapeva bene che Hildur non poteva rendere nota la loro parentela, o questo avrebbe messo in pericolo lui e sminuito lei. Avrebbero dovuto salutarsi come due perfetti estranei che si sopportavano a malapena.

"Cercherò di non peggiorare la mia situazione" dichiarò quindi Sthiggar facendo spallucce.

"Tanto volevo sentire" motteggiò a quel punto Hildur, andandosene dopo un ultimo saluto al trio appena formatosi.

Fu un attimo, e Hildur era già scomparsa, lasciandolo lì in un mondo alieno, tra persone che non conosceva e di cui non sapeva se poteva fidarsi o meno.

Se fosse stato un bambino, avrebbe iniziato a piangere a dirotto ma ormai era un uomo fatto e finito, e doveva sopravvivere abbastanza a lungo per vedere riabilitato il proprio nome.

Sperava soltanto che, per farlo, sua cugina non rischiasse la vita, o peggio, non perisse nel tentativo.

Una pacca sulla spalla lo strappò ai suoi tristi pensieri e l'uomo che Hildur gli aveva presentato come Trym gli disse: "Immagino avrai fame, oltre a mille domande. Vieni di là. Ho preparato qualcosa che dovrebbe piacerti."

Annuendo, Sthiggar lo seguì in una stanza adiacente, dove un gradevole tepore - unito a un profumo accattivante - lo accolsero come un abbraccio un po' rude ma rinvigorente, sciogliendo definitivamente il freddo che aveva fin lì patito.

Accomodandosi a un loro cenno, Sthiggar notò la loro confidenza, il loro modo di muoversi all'unisono e, dopo aver sorseggiato un abbondante bicchiere d’acqua colorata che loro chiamarono ‘tè’, domandò: "Siete una coppia?"

"Da almeno sei anni" assentì Flyka. "La prigionia ha avuto anche i suoi vantaggi, dopotutto. Quando avremo finito di scontare la nostra pena, torneremo su Muspellheimr e ci trasferiremo al nord, dove costruiremo la nostra fattoria e alleveremo krontos."

Sorridendo nel sentir nominare le loro bestie da soma più comuni, Sthiggar esalò: "Sarà davvero un cambiamento radicale."

"Scoprirai ben presto che qui la vita è tranquilla e, per persone nevrotiche come noi eravamo, è stato un bel cambiamento. Subito ci siamo trovati spaesati, persino disgustati da una simile quiete, ma ora non la cambieremmo per nulla al mondo" soggiunse Trym, consegnandogli un piatto fumante di carne e verdure. “Per questo ci è venuto in mente di diventare allevatori. Sarà un bel cambiamento, ma sarà positivo per entrambi.”

Le parole calma tranquillità non facevano parte del suo vocabolario, quindi Sthiggar le trovò fastidiose quanto un cazzotto in faccia ma, memore della sua situazione, soprassedette e accettò di buon grado di ascoltare le loro storie.

La presenza rilassante di Flyka che, nonostante l’aspetto da guerriera, aveva modi di fare molto materni, lo aiutò a rilassarsi gradatamente e, a notte inoltrata, la coppia gli mostrò il luogo in cui avrebbe dimorato da lì in poi.

L'appartamento dove avrebbe risieduto per i prossimi tempi - almeno finché Hildur non avesse provato la sua innocenza - era molto più piccolo rispetto all'enorme villa signorile del padre, ma decisamente più ampio rispetto alle minuscole stamberghe dove aveva soggiornato come soldato.

Con Trym e Flyka si era astenuto dall'ammettere tutta la verità, non sapendo ancora se fidarsi o meno di loro, perciò si era limitato a dire di aver tentato di trafugare una reliquia, e di essere stato preso con le mani nel sacco.

Era una mezza verità ma, d'altra parte, non ricordava un accidenti di quel che era successo la notte che lo aveva condannato all’esilio. Dubitava, comunque, di essere ricaduto nei vecchi schemi comportamentali dopo aver rimesso piede nella Capitale da solo un giorno.

Sapeva di non essere perfetto, ma da lì a comportarsi da emerito idiota, ce ne correva. Il punto era capire perché lo avessero incastrato, e perché si fossero spinti a uccidere due soldati pur di spedirlo lontano da Muspellheimr.

Se avessero voluto eliminarlo, avrebbero potuto benissimo ucciderlo, invece avevano fatto in modo di creare una situazione abbastanza grave perché venisse esiliato, ma senza prove certe che lo condannassero a morte. Avevano sicuramente contato sul suo stretto rapporto con il re, che avrebbe spinto il sovrano a cercare di salvarlo dalla forca a ogni costo.

Lo volevano fuori dai piedi, ma non morto, pur se i motivi gli sfuggivano completamente.

Rigirandosi nel letto, a suo modo di vedere fin troppo morbido, Sthiggar ripensò alle parole di Trym, al racconto del suo tradimento - causato dal suo bisogno di denaro per salvare la famiglia dal tracollo - e al momento in cui aveva deciso di commettere quel furto clamoroso.

Introdursi nel Palazzo d'Estate del sovrano era stato complesso e articolato, degno di una mente davvero brillante, ma il furto era sfociato in un autentico disastro quando, a causa del suo buon cuore, si era fatto distrarre da una fanciulla in difficoltà.

Flyka, per l'appunto. Rimasta bloccata in una delle trappole costruite all'interno del palazzo per proteggere il tesoro reale, la donna era stata aiutata da Trym a salvarsi da una morte per soffocamento, ma questo era costato a entrambi la libertà.

Scoperti dai soldati presenti nel Palazzo d'Estate, erano stati messi ai ceppi e condotti al cospetto del sovrano che, reso da poco padre dall'amata moglie, aveva mal accettato che qualcuno avesse tentato di rovinare quei lieti giorni.

Per questo motivo, i due muspell erano stati condannati a ottant'anni di esilio su Midghardr, di cui la coppia aveva già scontato una trentina d’anni, spostandosi da una prigione all’altra per non destare sospetti nei terrestri. Grazie al guaio in cui si era cacciato Sthiggar, però, il loro tempo su Midghardr si sarebbe drasticamente ridotto, riconducendoli su Muspellheimr ben prima del previsto.

Con un sospiro, Sthigg mormorò tra sé: "Speriamo per lo meno che non se la prendano con mio padre."

Il fatto di non poterlo proteggere in alcun modo gli pesava sul cuore più di un macigno, ma l'unica cosa che poteva fare in quel momento era tenere i piedi ben piantati per terra e fidarsi di Hildur. Dubitava che la cugina non avesse pensato anche a quell'eventualità, per cui doveva dare per scontato che suo padre fosse degnamente protetto.

Non poteva fare altro, per sé e per gli altri.

  
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