Cap. 5
Il Portale di Bifröst
altro non era che
un'immensa struttura a cupola in vetro smerigliato, in cui nove enormi
arcate e
altrettante porte di pesante metallo brunito e bulinato con raffinata
maestria
conducevano ad altrettanti Regni.
La porta di Vanaheimr, diversamente
dalle altre, era ormai sbarrata da millenni, poiché il reame
dei Vani era
perito a causa della morte della stella che ne aveva consentito la vita
per
milioni di anni.
Quanto alle altre porte, erano
regolarmente utilizzate e tenute sotto controllo ma, nel caso di
Jötunheimr,
Svartalfheimr e Niflheimr, armigeri presenti a ogni ora del giorno e
della
notte garantivo la sicurezza del passatto e la contingentazione delle
entrate.
Non che fosse vietato il passaggio
da
quelle porte, ma era meglio non rischiare, con i popoli abitanti quei
pianeti
così oscuri e minacciosi.
Quando la coppia di cugini si
apprestò a
raggiungere il portale che conduceva su Midghardr, Sthiggar interruppe
i propri
passi per fissare sgomento e sorpreso una figura a lui familiare.
Hildur si accigliò nel
riconoscere il
giovane che li stava attendendo a pochi passi dal portale di Midghardr
ma, ben
sapendo quanto avrebbe potuto essere dura, per il cugino, da
lì in avanti,
lasciò correre e permise al nuovo venuto di avvicinarsi.
A un cenno di Hildur, quindi, Rhad
Kahnn
si approssimò all’amico per stringerlo in un
abbraccio fraterno e Sthiggar, nel
replicare a tale stretta, mormorò: “Come? Come hai
saputo?”
“Ho i miei
metodi” ammiccò l’altro,
sorridendogli speranzoso nello scostarsi da lui. “Thrydann ha
già saputo ogni
cosa, grazie al padre, perciò la notizia si sta spargendo
per tutta Hindarall
con la forza di un incendio, ma i tuoi amici sinceri non credono a una
sola
parola di quello che il bastardo va dicendo in giro, non
temere.”
Sthiggar assentì
leggermente tremante,
percependo senza sforzo le lacrime che, feroci, stavano sorgendo nei
suoi
occhi, pronte a sgorgare al minimo segnale di debolezza.
Aveva sempre visto Rhadd come un
giovane
troppo gentile, troppo gracile e inadatto al ruolo di soldato
dell’esercito e,
per questo, lo aveva preso fin dall’inizio sotto la sua ala.
Lo aveva sempre considerato alla
stregua
di un fratello minore, di qualcuno da proteggere e amare, e a questo si
era
attenuto ma ora, di fronte a quel Portale, i ruoli sembravano essersi
ribaltati.
Ora era Rhadd a proteggerlo dalla
paura
di quel balzo nel vuoto, di quel futuro privo di certezze, e lui ne era
così
felice da sentirsi scoppiare il cuore nel petto.
“Resisti, e vedrai che
risolveremo la
cosa” soggiunse Rhadd, dandogli una stretta sulle spalle per
infondergli
coraggio. “Se potessi, io…”
Hildur intervenne gelida,
asserendo: “Se
potessi, nulla, Fiamma Purpurea.
E’
tempo che andiamo.”
Ciò detto, spinse
Sthiggar verso il
Guardiano di Bifröst perché il cugino espletasse
tutte le pratiche prima della
partenza ma Rhadd, nel passare accanto a Hildur, mormorò al
suo orecchio:
“Indagherò alla mia
maniera e, se
troverò qualcosa, te lo dirò.”
Lei assentì rapida e,
con tono secco, lo
scacciò prima che occhi od orecchie indiscrete si
interessassero troppo al loro
scambio di battute segreto, dopodiché si rivolse a suo
cugino perché non
perdesse altro tempo.
Era inutile dargli false speranze
quando, al momento, non v’erano certezze su niente. Non
appena furono al
cospetto del Guardiano di Bifrost, questi li scrutò
incuriosito per alcuni
attimi prima di ricevere da Hildur le istruzioni in merito al viaggio
di
Sthiggar.
Quando il Guardiano lesse le
interdizioni a lui legate, assentì brevemente, chiese a
Sthiggar di allungare
un braccio dopodiché, nel poggiarvi sopra il pennino in oro
con cui redigeva i
suoi registri, disse: "Interdizione al passaggio per settantadue
anni."
Dalla punta del pennino
scaturì un
fluido nerastro che, ben presto, si attorcigliò attorno al
polso di Sthiggar
formando un arabesco geometrico che, poco alla volta,
penetrò sottopelle alla
stregua di un tatuaggio.
Quando il processo ebbe termine, il
Guardiano gli spiegò atono: "Se tenterai di passare dal
portale, il
tatuaggio si spezzerà, inondando il tuo sangue di veleno. Al
compimento del
settantaduesimo anno di interdizione, invece, semplicemente
sparirà dalla tua
pelle, e tu sarai libero di tornare. Ti è tutto chiaro?"
"Sì" assentì
rapido Sthiggar,
scrutando dubbioso lo strano marchio che ora adornava il suo
polso.
"Ti accompagnerò fino al
luogo
della tua detenzione, dove troverai altri due muspell che, prima di te,
sono
stati banditi dal regno e che, d'ora innanzi, avranno il compito di
spiegarti
le regole di Midghardr" gli spiegò Hildur, attendendo che il
Guardiano
aprisse per loro il portale. "Grazie a te, otterranno trent'anni di
sconto
sulla loro pena, perciò troverai in loro dei compagni di
prigionia piuttosto
ben disposti."
"Perché sono stati
banditi?"
le chiese Sthiggar, storcendo il naso.
"Ricettazione e furto. Sono stati
beccati a rubare nei forzieri reali e, a quel tempo, il re non era
molto
bendisposto nei confronti dei ladri" si limitò a dire
Hildur,
accigliandosi quando un bagliore immane li investì nel
momento dell'apertura
del portale. "Merda... dimentico ogni volta che il passaggio verso
Midghardr corrisponde al colore giallo. Spacca sempre gli occhi."
Anche Sthiggar si coprì
il volto di
fronte a quella luce così violenta ma, non appena ebbero
oltrepassato il
portale, la luminosità si fece più tenue e, poco
alla volta, il passaggio sul
ponte dell'arcobaleno comparve dinanzi ai loro occhi.
Dabbasso, a molte iarde di
distanza, il
rombo del fiume che era Bifröst riempiva ogni meandro della
grotta in cui ora
si trovavano e, mentre Hildur e Sthiggar attraversavano il ponte di
pietra che
conduceva a Midghardr, quest'ultimo domandò: "Cosa devo
aspettarmi?"
"Qualsiasi cosa la tua fantasia
possa suggerirti... e forse non basterà" lo mise in guardia
lei,
indicandogli di seguirlo lungo una ripida scalinata che volgeva verso
l'alto.
Sthiggar non accolse bene quelle
parole
- lui era un uomo pratico, ben poco propenso a fantasticare a occhi
aperti -
ma, quando finalmente poté scorgere il cielo di quel nuovo
mondo, ogni suo
pensiero perse di interesse.
A bocca aperta e con uno sguardo
pieno
di meraviglia, uscì dal cunicolo che fin lì aveva
percorso assieme alla cugina per
sbucare nel bel mezzo di un campo erboso e circondato da alte pietre
grigie.
Queste, disposte in linea retta per centinaia di iarde e ricoperte da
sottili
strati di licheni giallastri, erano illuminate dagli ultimi residui di
un
tramonto dai colori magnifici, che investirono Sthiggar in tutta la
loro
bellezza.
La brezza proveniente da una vasta
distesa di acqua, che lui ipotizzò essere un mare, lo
inondò di profumi a lui
sconosciuti e, quando Hildur lo raggiunse, le sentì dire:
"Quella laggiù è
acqua salata, perciò non farti venire in mente di berla."
"E' un mare come i nostri,
però?" domandò curioso Sthiggar.
"E' simile ma, per poterlo bere,
devono
desalinizzarlo e ripulirlo da scorie artificiali" gli spiegò
sommariamente
la donna.
"Scorie... artificiali?"
domandò dubbioso il giovane.
"Scoprirai
che gli umani hanno idee ancora poco chiare, in merito alla salute del
proprio
pianeta o al grado di civiltà da tenersi con le altrui
persone" ironizzò
la cugina. "Ti dovrai dare alla lettura, se vorrai capire come evitare
problemi."
"A proposito di lettura... come
farò con il vocabolario?" si
domandò Sthiggar, vagamente preoccupato.
Hildur allora sorrise dolcemente e
replicò: "Non ti sei ascoltato
mentre parlavi, vero?"
"In che senso?" borbottò
lui prima di sgranare lentamente gli
occhi e gracchiare: "Ma... in che lingua mi sto esprimendo?!"
"Non ti sei accorto che, mentre
attraversavamo il ponte sul Bifröst,
siamo stati investiti da una sorta di nebbiolina?" gli
ricordò allora la
cugina, tastando con attenzione alcuni dei monoliti del sito
megalitico, come
alla ricerca di qualcosa.
Vagamente ansioso, Sthigg
assentì e disse: "Sì, me lo ricordo. Ho
pensato che fosse semplice umidità."
"Serve ai viandanti dei mondi per
non avere problemi con le lingue dei
vari pianeti. Ora, tu ti esprimi nella lingua del luogo in cui ci
troviamo e
che, per la cronaca, si chiama Svezia. Naturalmente, se vorrai imparare
altre
lingue, dovrai farlo tu stesso ma, per cominciare, sapere lo svedese ti
aiuterà
a non sembrare un completo idiota" dichiarò lei, sorridendo
quando
finalmente trovò quel che cercava.
La mano di Hildur
affondò letteralmente nella roccia, ma questo non
turbò
affatto Sthiggar. Non era nuovo a incantesimi di quel genere e non lo
stupiva
che, anche lì su Midghardr, si fosse ricorsi a simili
trucchetti per nascondere
ciò che era di loro interesse.
Su Muspellheimr, simili alcove
magiche erano utilizzatissime.
Quando Hildur ritrasse la mano,
estrasse alcuni piccoli libercoli colorati
e, quando lei gliene mostrò uno, lui domandò
curioso: "Perché c'è un mio
piccolo ritratto, all'interno?"
"Non è un ritratto, ma
una fotografia. Scoprirai presto che qui la
tecnologia sostituisce la magia e, spesso, la surclassa" gli
spiegò
Hildur, consegnandogli i suoi documenti prima di aggiungere: "Per
raggiungere Luleå, il luogo in cui sconterai la tua pena
detentiva, dovremo
prendere un apparecchio tecnologico chiamato aeroplano e, te lo dico
fin d'ora,
non ti piacerà per nulla. D'altro canto, non possiamo fare
altrimenti, o
impiegheremmo giorni a raggiungere quel luogo a piedi, e io non ho
tutto questo
tempo a disposizione."
L'idea di allontanarsi da Hildur
fece sorgere una smorfia sul viso di
Sthiggar che, con un sospiro, disse: "Giusto. Questa non è
una gita."
"No. Niente affatto. Scoprirai ben
presto perché il sovrano ha scelto
proprio la Svezia come nostro luogo detentivo" sospirò a sua
volta Hildur.
"Ritengo, comunque, che al momento tu sia più al sicuro qui,
rispetto a
Muspellheimr, perciò porta pazienza e lascia fare a me,
cugino. Scoprirò chi ti
ha cacciato in questo guaio."
Lui assentì, ma disse:
"Parla con il comandante Yothan. Digli che non
c'entro nulla."
"Dubito che potrebbe credere il
contrario. E' entusiasta di te, e il
re lo sa" lo rincuorò Hildur prima di guardarlo, scuotere il
capo e
borbottare: "Non possiamo raggiungere Målmo con te e me
conciati a questo
modo."
"Cos'hanno che non vanno i nostri
abiti?" domandò a quel punto
lui, guardando entrambi con espressione confusa.
"Lo scoprirai presto"
chiosò lei, afferrando un paio di calzoni
dal borsone di Sthiggar, dove aveva infilato anche alcuni suoi
indumenti.
Ben presto furono abbiglianti in
modo più consono per un viaggetto a piedi
fino alla cittadina di Målmo che, comunque, raggiunsero solo
tredici ore dopo.
Lì, Sthiggar
iniziò a comprendere cosa avesse voluto intendere la cugina
con 'usare la fantasia'. Mentre i
suoi occhi registravano
migliaia di input, l'uno più sconvolgente dell'altro, Hildur
si occupò di
acquistare per entrambi un biglietto aereo per Luleå.
Sthiggar, a quel punto,
pensò bene di usare un vecchio trucco insegnatogli
in addestramento da Yothan, perciò lasciò perdere
qualsiasi cosa lo
circondasse, qualsiasi rumore venisse in contatto con il suo udito per
concentrarsi su un'unica cosa; raggiungere la sua meta finale.
Trovò comunque difficile
venire imbottigliato in un'enorme scatola
metallica e imbottita di piccoli scranni ricoperti di tessuto, dove
decine di
altre persone - umani - sembravano non essere affatto preoccupati
all'idea che
quel coso alato potesse volare.
Lui sapeva benissimo che anche le
loro navi, così come le loro bighe,
volavano, ma erano mosse dalla magia.
Da quel che gli aveva detto Hildur, invece, su Midghardr non esisteva
nulla del
genere per cui, non conoscendo il genere di tecnologia che muoveva quei
cosi,
non poteva certo sentirsi incoraggiato a usarli.
Per tutta la durata del viaggio
tenne quindi le mani serrate sui braccioli,
contando mentalmente fino a un milione in tutte le lingue di sua
conoscenza,
utilizzando anche lo svedese, quella strana nuova lingua che gli era
stata
inculcata in testa dalla magia di Bifröst.
Quando finalmente scesero,
comunque, Sthiggar lanciò una silenziosa
preghiera di ringraziamento a sua nonna Sól, mentre Hildur
recuperava i bagagli
e trascinava lontano dall'aeroporto un tramortito cugino.
Cugino che, nel ritrovarsi a dover
combattere il peggior freddo patito in
vita sua, cominciò a battere i denti, osservò
inorridito dei cumuli di robaccia
bianca e che emanava il tremendo umidore gelido che lo stava mandando
ai matti
e borbottò: "Che diavolo è quella roba?!"
"Neve. Siamo ad aprile, qui, e a
queste latitudini ancora nevica, in
questo periodo" dichiarò comprensiva Hildur, estraendo dalla
sacca di
Sthiggar un paio di giacche di pelle. Non erano il massimo, quando a
protezione, ma erano quanto di più simile a un
capo umano che potessero vantare.
Rabbrividendo da capo a piedi,
Sthiggar indossò in tutta fretta la sua
blusa di pelle di yrtan dopodiché,
fissando disgustato la
neve, ringhiò: "Chiunque sia stato a rinchiudermi in questo
posto, la
pagherà cara!"
"Prima di congelare,
sarà meglio se raggiungiamo i tuoi due nuovi
coinquilini" dichiarò Hildur, muovendosi a passo spedito.
"Perché tu sai
esattamente cosa fare e come farlo, scusa?"
domandò a quel punto Sthiggar, sfregandosi con violenza le
mani perché si
scaldassero almeno un poco. Quel luogo sembrava inibire la sua aura
infuocata
in un modo che mai, prima di allora, aveva sperimentato.
Non faticava a comprendere
perché Surtr avesse scelto quel posto per esiliare
e riportare a più miti consigli gli abitanti di
Muspellhemir. Quel posto
sembrava essere debilitante come Jötunheimr, per loro.
"Sono le Fiamme Nere a occuparsi
dei prigionieri, Sthiggar... e questo
comprende qualche capatina qua e là dal confine."
"Dovrò sentirmi sempre
così svuotato, freddo e senza forze, qui?"
si lagnò a quel punto Sthiggar, squadrando con aria malevola
le casette che lo
circondavano, gli ordinati giardini che le cingevano e le strade dove,
ogni
tanto, qualche carro meccanizzato e rumoroso spezzava la quiete del
luogo.
"Come muspell saresti risultato
troppo potente, in un altro luogo,
mentre qui hai più o meno le stesse capacità di
un umano. Il freddo annienta la
tua aura. A maggior ragione tu, che sei di stirpe divina" gli
spiegò Hildur,
conducendolo lungo una selva apparentemente infinita di stradine,
viottoli e
selciati.
Sthiggar si chiuse in un mutismo
irritato e, senza darsi pena di apparire
simpatico, non degnò neppure di un'occhiata le poche persone
che, a quell'ora
antelucana, incrociarono al loro passaggio.
La notte stava scendendo
rapidamente, in quelle lande a lui del tutto
sconosciute e apparentemente inospitali, e la strana
luminosità residua del
cielo cominciava a dargli qualche problema. Perché mai,
invece di diventare
semplicemente buio pesto, il cielo stava iniziando a striarsi di verde?
Nel notare il suo sguardo, Hildur
sorrise appena e disse: "Si chiama
aurora boreale. La vedrai spesso, qui, la notte. E' un fenomeno
magnetico che
ha a che fare con la stella che illumina Midghardr, che è
chiamata Sol."
"Come mia nonna?"
gracchiò Sthiggar, confuso.
Hildur rise comprensiva e
replicò: "Sì, il nome in suo onore è
rimasto, nonostante siano secoli che i terrestri non la adorano
più."
"Quello
lassù, invece, è il satellite di Midghardr?"
indicò Sthigg, puntando il
dito verso il disco argentato che brillava nel cielo.
Hildur assentì e
mormorò: "Non è bellissima? La chiamano, indovina
un
po'... måne."
"Come
Mani. Allora, i terrestri non si sono del tutto dimenticati degli
antichi
dèi" mormorò pensieroso Sthiggar, sinceramente
strabiliato.
"Forse,
sono più romantici e malinconici di quanto essi stessi non
pensino" chiosò
Hildur, indirizzandolo verso un viottolo laterale rispetto alla strada
che
stavano percorrendo.
Sthiggar non replicò al
commento della cugina, si limitò a seguirla lungo
le strade di Luleå e la cugina, suo malgrado, non
poté che avere pietà di lui.
Non faticava a comprendere la sua
confusione e la sua paura. Si trovava in
un luogo a lui del tutto sconosciuto, non aveva la minima idea di
quando
sarebbe tornato a casa, né se avrebbero mai trovato colui o
coloro che lo
avevano voluto allontanare da Muspellheimr e, non da ultimo, ora era
del tutto
inerme.
Deprivato dei suoi poteri del
fuoco, Sthiggar doveva davvero sentirsi
denudato, del tutto fuori luogo e per nulla a suo agio.
Si era spesso arrabbiata con lui
per i suoi colpi di testa e le sue smanie
di protagonismo, ma in quel momento desiderò solo
proteggerlo, pur non potendo
fare molto, per il cugino.
"Ti prometto che
risolverò tutto" mormorò Hildur dopo alcuni
istanti di silenzio.
Sthiggar ancora non rispose alle
sue affermazioni, ma sorprese la cugina
nell'abbracciarla e stringerla a sé, tremante come una
foglia, e quasi
sicuramente non per il freddo.
Hildur fermò i suoi
passi, poggiò il capo contro il torace del cugino e le
mani su quelle del cugino, strette a pugno attorno a lei
dopodiché, dolcemente,
sussurrò: "Mio krishar, vedrai
che ci ritroveremo
presto."
Lui gorgogliò una
risata, si scostò da lei dopo averle dato un bacetto sui
capelli e mormorò: "Non mi chiamavi 'cucciolotto' da
quando avevo dieci anni."
Hildur si limitò a
scrollare le spalle e, indicandogli una via, disse:
"Vieni. Siamo quasi arrivati."
Sthiggar assentì,
rabbrividì nuovamente - stavolta per il freddo - e,
nell'osservare le casupole colorate attorno a lui e i bei giardinetti
circondati da bassi steccati, disse: "Non hanno bisogno di mura di
cinta
per difendere le loro case, a quanto pare."
"Qui la delinquenza è
bassa. Come ben presto noterai, la gente è
cordiale ed educata, da queste parti, anche se potrà
sembrarti un po'...
controllata?"
"Non vanno a bisbocciare ogni santa
ora, vuoi dire?" cercò di
ironizzare Sthiggar.
"Magari lo fanno, ma con contegno"
buttò lì Hildur prima di fermarsi
dinanzi a una casetta da un piano, a cui era annessa una dependance di
poco più
piccola.
Re Surtr aveva fatto in modo che la
prigionia su Midghardr non fosse
disagevole - avendo già il demerito di togliere ogni potere
ai muspell - e, in
quel luogo di pace, i detenuti solitamente riuscivano a venire a patti
con i
propri misfatti e a redimersi.
Certo, si conoscevano anche delle
eccezioni, eccezioni a cui da anni
mancava la testa dal corpo, ma si potevano davvero contare sulla punta
delle
dita di una mano.
"Qui abitano Flyka e Trym, e
saranno i tuoi compagni" disse
Hildur prima di suonare il campanello accanto al cancelletto d'ingresso.
Mentre Sthiggar annuiva
meccanicamente, una bionda statuaria aprì la porta
della casetta color pervinca e, nel vederli, aprì subito il
cancelletto per poi
dire: "Vi è andata bene. Ieri nevicava di brutto."
Sthigg rabbrividì al
solo sentir parlare della neve e, mentre la coppia
entrava in casa - riscaldata da una enorme stufa a legna -
domandò dubbioso:
"Ma qui nevica sempre?"
La bionda, di nome Flyka, rise
sguaiata e replicò: "No, ragazzo, ma
diversi mesi l'anno dovrai pregare tutti gli dèi di Muspell
per scaldarti un
po'."
"Lo rincuori di sicuro, dicendogli
così, Flyka" intervenne una
nuova voce, stavolta maschile.
Pochi istanti dopo, da una porta
socchiusa fece il suo ingresso un uomo
imponente e alto all'incirca due metri, dai cortissimi capelli rosso
scuro e
occhi di un profondo nero ossidiana.
Sul collo, portava il tatuaggio
inequivocabile delle Fiamme Purpuree, bannato
però da un singolo colpo di colore, che ne denunciava a
chiare lettere il
tradimento.
Istintivamente, Sthiggar se ne
risentì - lui era una novella Fiamma
Purpurea, e l'idea di trovarsi assieme a un traditore del Corpo non gli
piaceva
per nulla - ma, sapendo bene di trovarsi forzatamente in quel luogo,
preferì
soprassedere.
"Ebbene... lui sarà il
nostro nuovo coinquilino?" domandò Trym,
fissando pieno di curiosità il nuovo arrivato.
"Lui è Sthiggar, figlio
di Snorri, e rimarrà con voi per un po'. E' accusato
di furto come voi, perciò avete almeno questo, in comune"
chiosò Hildur,
chiedendo quindi loro di allungare i rispettivi avambracci.
Come il Guardiano di
Bifröst aveva fatto con Sthiggar, così Hildur
toccò i
loro tatuaggi al polso con un pennino dorato e, subito, questi
mutarono,
facendosi più sottili e ambrati.
"Ora vi sono stati scontati gli
anni pattuiti per essere i suoi
guardiani, perciò comportatevi bene. Passerò di
qui ogni sei mesi, come al
solito, perciò fatemi contenta e non combinate guai,
altrimenti lo sconto di
pena verrà tolto" ciò detto, si volse verso
Sthiggar e si limitò a dire:
"Lo stesso vale per te, ragazzo."
Sthiggar sapeva bene che Hildur non
poteva rendere nota la loro parentela,
o questo avrebbe messo in pericolo lui e sminuito lei. Avrebbero dovuto
salutarsi come due perfetti estranei che si sopportavano a malapena.
"Cercherò di non
peggiorare la mia situazione" dichiarò quindi
Sthiggar facendo spallucce.
"Tanto volevo sentire"
motteggiò a quel punto Hildur, andandosene
dopo un ultimo saluto al trio appena formatosi.
Fu un attimo, e Hildur era
già scomparsa, lasciandolo lì in un mondo
alieno, tra persone che non conosceva e di cui non sapeva se poteva
fidarsi o
meno.
Se fosse stato un bambino, avrebbe
iniziato a piangere a dirotto ma ormai
era un uomo fatto e finito, e doveva sopravvivere abbastanza a lungo
per vedere
riabilitato il proprio nome.
Sperava soltanto che, per farlo,
sua cugina non rischiasse la vita, o
peggio, non perisse nel tentativo.
Una pacca sulla spalla lo
strappò ai suoi tristi pensieri e l'uomo che
Hildur gli aveva presentato come Trym gli disse: "Immagino avrai fame,
oltre a mille domande. Vieni di là. Ho preparato qualcosa
che dovrebbe
piacerti."
Annuendo, Sthiggar lo
seguì in una stanza adiacente, dove un gradevole
tepore - unito a un profumo accattivante - lo accolsero come un
abbraccio un
po' rude ma rinvigorente, sciogliendo definitivamente il freddo che
aveva fin
lì patito.
Accomodandosi a un loro cenno,
Sthiggar notò la loro confidenza, il loro
modo di muoversi all'unisono e, dopo aver sorseggiato un abbondante
bicchiere
d’acqua colorata che loro chiamarono ‘tè’,
domandò: "Siete una coppia?"
"Da almeno sei anni"
assentì Flyka. "La prigionia ha avuto
anche i suoi vantaggi, dopotutto. Quando avremo finito di scontare la
nostra
pena, torneremo su Muspellheimr e ci trasferiremo al nord, dove
costruiremo la
nostra fattoria e alleveremo krontos."
Sorridendo nel sentir nominare le
loro bestie da soma più comuni, Sthiggar
esalò: "Sarà davvero un cambiamento radicale."
"Scoprirai ben presto che qui la
vita è tranquilla e, per persone
nevrotiche come noi eravamo, è stato un bel cambiamento.
Subito ci siamo
trovati spaesati, persino disgustati da una simile quiete, ma ora non
la
cambieremmo per nulla al mondo" soggiunse Trym, consegnandogli un
piatto
fumante di carne e verdure. “Per questo ci
è venuto in mente di diventare
allevatori. Sarà un bel cambiamento, ma sarà
positivo per entrambi.”
Le parole calma e tranquillità non
facevano parte del suo vocabolario, quindi Sthiggar le trovò
fastidiose quanto
un cazzotto in faccia ma, memore della sua situazione, soprassedette e
accettò
di buon grado di ascoltare le loro storie.
La presenza rilassante di Flyka
che, nonostante l’aspetto da guerriera,
aveva modi di fare molto materni, lo aiutò a rilassarsi
gradatamente e, a notte
inoltrata, la coppia gli mostrò il luogo in cui avrebbe
dimorato da lì in poi.
L'appartamento dove avrebbe
risieduto
per i prossimi tempi - almeno finché Hildur non avesse
provato la sua innocenza
- era molto più piccolo rispetto all'enorme villa signorile
del padre, ma
decisamente più ampio rispetto alle minuscole stamberghe
dove aveva soggiornato
come soldato.
Con Trym e Flyka si era astenuto
dall'ammettere tutta la verità, non sapendo ancora se
fidarsi o meno di loro,
perciò si era limitato a dire di aver tentato di trafugare
una reliquia, e di
essere stato preso con le mani nel sacco.
Era una mezza verità ma,
d'altra parte,
non ricordava un accidenti di quel che era successo la notte che lo
aveva
condannato all’esilio. Dubitava, comunque, di essere ricaduto
nei vecchi schemi
comportamentali dopo aver rimesso piede nella Capitale da solo un
giorno.
Sapeva di non essere perfetto, ma
da lì
a comportarsi da emerito idiota, ce ne correva. Il punto era
capire perché lo
avessero incastrato, e perché si fossero spinti a uccidere
due soldati pur di
spedirlo lontano da Muspellheimr.
Se avessero voluto eliminarlo,
avrebbero
potuto benissimo ucciderlo, invece avevano fatto in modo di creare una
situazione
abbastanza grave perché venisse esiliato, ma senza prove
certe che lo
condannassero a morte. Avevano sicuramente contato sul suo stretto
rapporto con
il re, che avrebbe spinto il sovrano a cercare di salvarlo dalla forca
a ogni
costo.
Lo volevano fuori dai piedi, ma non
morto, pur se i motivi gli sfuggivano completamente.
Rigirandosi nel letto, a suo modo
di
vedere fin troppo morbido, Sthiggar ripensò alle parole di
Trym, al racconto
del suo tradimento - causato dal suo bisogno di denaro per salvare la
famiglia
dal tracollo - e al momento in cui aveva deciso di commettere quel
furto
clamoroso.
Introdursi nel Palazzo d'Estate del
sovrano era stato complesso e articolato, degno di una mente davvero
brillante,
ma il furto era sfociato in un autentico disastro quando, a causa del
suo buon
cuore, si era fatto distrarre da una fanciulla in difficoltà.
Flyka, per l'appunto. Rimasta
bloccata
in una delle trappole costruite all'interno del palazzo per proteggere
il
tesoro reale, la donna era stata aiutata da Trym a salvarsi da una
morte per
soffocamento, ma questo era costato a entrambi la libertà.
Scoperti dai soldati presenti nel
Palazzo d'Estate, erano stati messi ai ceppi e condotti al cospetto del
sovrano
che, reso da poco padre dall'amata moglie, aveva mal accettato che
qualcuno
avesse tentato di rovinare quei lieti giorni.
Per questo motivo, i due muspell
erano
stati condannati a ottant'anni di esilio su Midghardr, di cui la coppia
aveva
già scontato una trentina d’anni, spostandosi da
una prigione all’altra per non
destare sospetti nei terrestri. Grazie al guaio in cui si era cacciato
Sthiggar, però, il loro tempo su Midghardr si sarebbe
drasticamente ridotto,
riconducendoli su Muspellheimr ben prima del previsto.
Con un sospiro, Sthigg
mormorò tra sé:
"Speriamo per lo meno che non se la prendano con mio padre."
Il fatto di non poterlo proteggere
in
alcun modo gli pesava sul cuore più di un macigno, ma
l'unica cosa che poteva
fare in quel momento era tenere i piedi ben piantati per terra e
fidarsi di Hildur.
Dubitava che la cugina non avesse pensato anche a
quell'eventualità, per cui
doveva dare per scontato che suo padre fosse degnamente protetto.
Non poteva fare altro, per sé e per gli altri.