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Autore: Gaia Bessie    18/05/2022    1 recensioni
Incollate sul soffitto, le istantanee dei loro sguardi.
Qualche volta che potrebbe scollarle via di lì – per ricordarsi di dimenticarla.
Draco ha fatto la conta dei giorni persi, meno uno.
(Il giorno in cui ha smesso di pensare).
[Partecipa alla challenge "May the Inspiration be with you" indetta da VigilanzaCostante sul forum Ferisce più la penna]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Oggi è difficile: chi mi segue su altri siti di fanfiction più i miei social sa quanto io abbia detto a me stessa che non avrei scritto più di questa coppia e, per due mesi, non mi è passato per l'anticamera del cervello. Però continuavate a chiedermi di loro e, alla fine, ho ceduto (non so se sparirò di nuovo, nel dubbio mi trovate su Wattpad e AO3 con lo stesso nick), spero ne valga la pena almeno un po'. Titolo preso dall'omonimo album di Irama.
Niente da dire: Dramione, Draco Animagus e tonnellate dell'angst per cui credo mi si legga.
Vi lascio i miei social, se voleste rimanere in contatto con me.

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Incollate sul soffitto, le istantanee dei loro sguardi.
Qualche volta che potrebbe scollarle via di lì – per ricordarsi di dimenticarla.
Draco ha fatto la conta dei giorni persi, meno uno.
(Il giorno in cui ha smesso di pensare).
 
Il giorno in cui ho smesso di pensare


 
Se ci va male resteremo soli
E sarà tutto quanto da rifare
Che se ci pensi siamo solo nomi
Piccole rondini nel temporale
Se ci va bene inseguiremo i sogni
E lo faremo per dimenticare
e volavamo come gli aquiloni
Ma questa vita ci ha fatto cadere
(Michele Merlo, Aquiloni)
 
Il giorno in cui Draco ha smesso di pensare è un giovedì sbiancato dalla luce delle Svalbard, all’orizzonte: come un gabbiano che fende l’aria con le proprie ali, becca il silenzio gelido di febbraio come se bastasse a fargli passare i brividi – c’è un residuo di neve che è parte integrante del terreno e non si scioglie mai, attaccata alle rocce e ai sassi come se bastasse la forza di volontà per quei legami sottilissimi, quasi invisibili, che si dipanano tra i suoi passi. Zoppica leggermente con la gamba sinistra, per quella volta che volando s’è schiantato al suolo, come quando perdi l’equilibrio che hai appena camminato a camminare e allora pensi che non lo farai mai più. Ma lo fai.
Draco si è abituato all’idea di aver le ali solamente il giorno in cui le ha usate per fuggire da lei – che avrebbe potuto staccargli le piume una alla volta, a manciate, fino a lasciarlo nudo e infreddolito nelle cicatrici stampate sulla volta celeste. Eppure, nonostante avesse teso la mano come per fermarlo, Hermione Granger gli ha concesso una fuga capricciosa e innecessaria, a volare nell’aria gravida di gelo e tra i bubboni cotonosi di quelle nuvole pronte a scrosciare lungo l’orizzonte: Draco ha deciso di smettere di pensare, perché se dovesse arrendersi alle proprie fantasie allora non si stancherebbe mai di volare e dovrebbe raggiungere la fine del mondo per potersi fermare. Invece plana, si gode l’aria tra le piume nere, gracchia al vento suoni senza significato.
Quando torna, la trova seduta fuori dalla porta, sugli scalini bagnati di neve, con i piedi che scavano segni sul suolo – la Granger si mangia le unghie compulsivamente, come se tormentare le pellicine sul pollice le servisse per accordare i pensieri: persa nei suoi sbalzi d’umore, mordersi le dita è l’unica cosa che le permette di tenerselo dentro, che se lo buttasse fuori e basta causerebbe un’onda d’urto capace di devastare il mare del nord. È inquieta, insoddisfatta.
Indelicato, Draco, quando le plana davanti ai piedi con aria di sfida (di spine) e nel becco un ramoscello secco, in una simbolica offerta di pace: lei odia fargli da babysitter, lui odia ancora di più doversi spiegare e ripiegare come un origami di piume nei limiti che il Ministero gli ha imposto.
«Ti sei sfogato?» commenta la Granger, senza fare una piega. «Guarda che mi manderanno via, se continui a fare di testa tua. E, te lo prometto, se dovessero togliermi l’incarico farei tutto ciò che è in mio potere per mandarti Ron».
Draco ride, in un suono gracchiante, mentre si alza dalla neve dopo aver abbandonato le piume: si passa una mano tra i capelli, stiracchiandosi leggermente – è stato via per mezza giornata e, probabilmente, la Granger ha smangiucchiato quelle ore nell’ansia finché non ha deciso di mandare tutto a fanculo e aspettarlo al freddo e al gelo.
«Se ci va male resteremo soli» commenta, tendendole la mano (il rametto d’ulivo). «Non molto diverso da ora, alla fine».
Lei alza gli occhi al cielo, ma si aggrappa comunque a lui per alzarsi da terra, scuotendo tracce di nevischio dalla gonna lunga che indossa: c’è una cosa che ha imparato, di Hermione Granger, nei giorni che hanno trascorso insieme da quando il Wizengamot gli ha cordialmente preparato le valige e detto che doveva sparire dalla circolazione.
Ha paura.
Non ha ben chiaro di chi o di cosa, ma la Granger vive nel terrore primordiale di perdere qualcosa – qualcuno o sé stessa. E la notte non dorme mai, perché ogni volta che si sveglia e magari sono le quattro, la trova seduta sulla sponda del letto a guardare la neve che si schianta contro il vetro della finestra. C’è una crepa e, da lì, entra uno spiffero che finisce dritto sulla sua parte di letto, eppure quel vetro non lo ripara mai. Basterebbe un secondo e un colpo di bacchetta, ma la Granger vi passa il dito e si dice che non lo può fare.
Che è anche quello che ha detto a lui, il giorno in cui Draco ha cercato di uscire in mezzo alla neve e mettersi a gridare, la gamba con le ossa rotte che l’Ossofast cercava di ricomporre a fatica, a caro prezzo (la sua sanità mentale): non te lo posso fare fare, aveva mormorato, calma. Scusami, ma non posso proprio.
«Se ci va male, io perdo l’incarico e devo tornare a Londra a portare documenti in giro per il Ministero» commenta la Granger, quietamente. «E tu ti trovi bloccato qui con qualcuno meno paziente di me».
Che poi Draco lo sa anche – che chiunque altro meno paziente di lei gli avrebbe spezzato le ossa a giorni alterni pur di costringerlo a letto e col cazzo che lo lasciavano svolazzare sotto quel cielo pieno di stelle un po’ precoci. Dice sempre che lo farà, prima o poi, di spezzargli le ali per farlo restare con lei, ma poi scuote il capo e non ci riesce mai: è tutto da rifare, mormora quando Draco le dice che ormai gliel’ha permesso una volta e che quindi vale sempre, tutto quanto.
«Soli, quindi» commenta Draco, tirandola leggermente per il braccio. «Non lo farò più».
Lei sorride, un po’ malinconica – ha perso peso, da quando l’hanno mandata a fargli da governante, e i capelli sono crespi e sciupati al pari di quel viso scavato dalla tensione: gli lascia andare la mano, portando le proprie a stropicciare il tessuto della gonna.
«Lo dici sempre» commenta, senza guardarlo. «Solo che poi non lo fai mai».
«No, infatti».
«Vorrei capire a che pensi, prima di far così» commenta Hermione, dandogli le spalle e avviandosi verso la porta di casa. «Se pensi a qualcosa».
Draco scuote il capo, biondo come quella neve che s’ostina a cadere.
Il giorno in cui Draco ha smesso di pensare è giovedì – ed è quello in cui la raggiunge con una manciata di passi, tirandola verso di sé e annegando nel suo abbraccio: Hermione non capisce, ma nemmeno riesce a chiedergli perché.
 
***
 
Il giorno in cui Draco ha smesso di pensare, ha cercato di convincere Hermione a seguirlo in quella crociata contro le proprie stesse riflessioni: lei gli dice che non se ne parla, chi è lei per rinunciare alla quiete confortante dei propri stessi pensieri – è giovedì e scende la neve a goccioloni, sa quasi di pianto quando lei apre la finestra e lo supplica con uno sguardo di non trasformarsi in corvo e volare via: che prima o poi la vita lo farà cadere e, anche se lui dice (mentendo) di non avere paura, Hermione sa che ricorda il dolore dello schianto al suolo. Che non si dimentica, la prima volta in cui ti rompi un’ala, non si dimentica il fruscio odioso dei pensieri mentre il mondo cade e tu scivoli via – dolorosamente.
E doloroso è l’eterno cadere di Draco, che la terra sotto i piedi non l’ha più dal giorno in cui suo padre, prima di dirgli addio per una vita di prigionia, l’ha salutato così: guarda che non esistono pentiti, solamente sopravvissuti a tempo determinato. Lucius gioca a nascondino con sé stesso tra le pareti di Azkaban, a poker con i Dissennatori e all’impiccato da solo il giorno in cui lo trovano a penzolare dal soffitto come se pesasse niente: oscilla scandendo i secondi e, quando qualcuno lo tira giù con la lingua a penzoloni e gli occhi sbarrati, il tempo si ferma. Aveva ragione.
Non esistono Mangiamorte pentiti, al massimo qualcuno che è riuscito a sopravvivere (lui no): lui si è perso per l’aria trafitta dai cirri e, quando ha sorvolato la Torre di Londra per la prima volta, lo ha fatto con una consapevolezza – che la sua vita aveva una data di scadenza e solamente il gelo poteva prolungarla: il suo primo giro in volo è durato quindici minuti, poi è tornato a terra per scoprire che era anche l’ultimo.
«Ci pensi mai, Granger, che stiamo scommettendo?» domanda Draco, giocherellando con una mela ancora da lavare. «Su quanto andrà male».
«Pensavo avessi smesso di pensare» commenta lei, porgendogli un coltello per sbucciarla. «No?».
«Infatti».
Astoria Greengrass è stata la sua scommessa più grande e lì dove Draco ha perso tutto quanto – Astoria Greengrass è stata possibilità, erbaccia strappata e sogno appeso al soffitto: il giorno in cui si è reso conto che doveva smettere di pensare si era inginocchiato ai suoi piedi anche se, al buio, a stento riusciva a sentirne i contorni sfumati. Le aveva chiesto perdono per quell’amore sprecato e le aveva detto che l’eternità è solamente una previsione imperfetta: ti va se scommettiamo insieme?
«E allora vedi di abbassare il volume» mormora Hermione, rubandogli dalle dita uno spicchio di mela. «Che ti sento urlare anche quando non dici una parola».
«Non sto pensando».
«Dici?» chiede lei, in un sospiro. «Lo sai, è normale: anche io ci penserei, al tuo posto, anche io mi sentirei in colpa e…».
«E niente, Granger» la interrompe Draco. «Ti ho detto che non ci penso più».
La fa sorridere, con quell’espressione un po’ malinconica che le rovina il viso quasi quanto la cicatrice di Potter.
«Malfoy».
«Non lo dire».
«Sei qui da un anno» sussurra, a dispetto di ogni divieto. «Lo capirei, se mi dicessi che ti manca».
Astoria Greengrass è morta oggi – due giorni prima, Draco si era inginocchiato ai suoi piedi ed avevano scommesso sulla loro vita insieme, durata quanto un battito del cuore di un colibrì un po’ ansioso: le aveva detto che sposarsi non voleva dire niente, che lui le sarebbe rimasto accanto anche se lei avesse deciso di dargli le spalle e innamorarsi dell’amore di un altro e, allora, quella donna ragazzina troppo piccola per aver davvero diciassette anni appena compiuti aveva detto sì. Che era sì, lo voglio, sì, rimango, sì e basta.
Punto a capo, fine della loro storia insieme, paragrafo successivo: Astoria Greengrass non ha mai camminato, al braccio di suo padre, per vedersi consegnare la fede nuziale. A malapena ha indossato una volta lo smeraldo di fidanzamento, autografato Narcissa Black, che l’hanno cancellata via dall’esistenza con un colpetto di bacchetta.
Dicono che la guerra sia finita con la caduta dell’Oscuro – in realtà, a malapena era cominciata e Lucius Malfoy lo sapeva: niente sopravvissuti, nessun perdono, nessuna dimenticanza. Astoria Greeengrass, la  minuscola Ria con le ginocchia sbucciate e le lentiggini sul volto un po’ sbiadito, ha pagato il prezzo.
Daphne ha cambiato nome, casa, vita (spera che non la trovino mai), i suoi genitori morti di paura e dolore, Draco sa e lo ha sempre saputo che un giorno toccherà a lui. Che non basta fuggire, farsi rinchiudere tra il gelo delle Svalbard e divenir corvo per non farsi riconoscere più.
«Ormai nemmeno ci penso» sussurra, lui, rassegnato. «Fa schifo, sì?».
«No, Malfoy, fa schifo il fatto che tu sia costretto a non pensarci mai».
Il Wizengamot lo ha affidato all’Auror Granger e a nessun altro – non sanno più di chi potersi fidare: di certo, non di lui.
(E Astoria Greengrass germoglia sotto la neve come un ricordo un po’ scomodo che lo costringe a smettere di pensare).
«Tu sei la prossima, non è vero?» è un sussurro che squarcia il silenzio. «La prossima a cui dovrò smettere di pensare».
Il sorriso di Hermione è plastica fusa, vetro, cristallo e poi diamante frantumato – potrebbe allungare la mano e toccarla, si scoprirebbe ferito a morte.
«Temo di sì».
 
***
 
Il giorno in cui Draco ha smesso di pensare, Hermione gli ha sussurrato che aveva ricevuto una lettera dal Ministro della Magia che le revocava l’incarico e doveva rientrare a Londra per farsi dare il cambio da un collega (non ha detto chi).
«Adesso che farai?» è una domanda retorica. «Andrai via?».
Draco non risponde, la guarda e basta mentre Hermione sorride, lasciandogli una carezza in eredità e un bacio a fior di labbra: non possono avere molto altro – sa che ha lasciato la finestra della camera da letto aperta, che adesso non passa più uno spiffero ma il gelo del nord direttamente: il giorno in cui Hermione smette di pensare, Draco ricomincia.
«Cosa può andare storto?» domanda, calmo. «Più soli di così si muore».
Lei sorride: chiudi gli occhi, è il momento di andare.
 
***
 
Incollate sul soffitto, le istantanee dei loro sguardi.
Avrebbe potuto scollarle di lì – per ricordarsi di dimenticarla.
Draco è volato via nella conta dei suoi giorni sprecati meno uno.
Il giorno in cui ha ricominciato a pensare.
   
 
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