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Autore: FluffyHobbit    19/05/2022    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Simone rimase da solo nella stanza per pochissimo tempo, appena una mezz’oretta dopo che il dottor Bonvegna si era allontanato per parlare con il primario, suo padre e sua nonna fecero  capolino dalla porta e lui si illuminò con un sorriso a vederli.

“Nonna! Papà!”

Esclamò tendendo le braccia verso di loro come quando era piccolo e, in effetti, quando i due  si avvicinarono per abbracciarlo, si sentì immediatamente ritornare bambino. Sua nonna prese subito a riempirgli la guancia di baci e suo padre ad accarezzargli i capelli, entrambi per accertarsi che Simone fosse davvero lì con loro, e Simone si lasciò coccolare, ridendo e piangendo al tempo stesso, troppo felice per controllare le sue emozioni. Non aveva più senso farlo, con la sua famiglia.

“Mi siete mancati tantissimo.”

Sussurrò, cercando di accarezzare entrambi, anche lui alla ricerca di certezze.

“Anche tu ci sei mancato tantissimo, tesoro. Come stai? Ti stanno trattando bene? Il medico che ti sta seguendo è bravo? Volevamo parlargli, ma ci hanno detto che non è disponibile, al momento…non è una cosa che va a suo favore, se proprio devo essere sincera, eh!”

Virginia era al settimo cielo e insieme al sorriso aveva recuperato anche la parlantina. Simone quasi si sentì stordito da tutte quelle domande, ma comunque non smise di sorriderle.

“Mamma, dai, non fargli il terzo grado a questo povero ragazzo!”

La rimproverò scherzosamente Dante, facendo un occhiolino al figlio. Simone ridacchiò, ma subito intervenne in difesa di sua nonna.

“No, papà, sono domande lecite! Non ti ricordi cos’è successo quando si è operata lei?”

Si stava riferendo ad un’operazione allo stomaco a cui sua nonna si era sottoposta quando lui aveva circa dieci anni, ma se la ricordava bene perché la donna aveva trascorso settimane intere a lamentarsene. Dante annuì, facendo una risatina.

“Eh, e chi se lo scorda! Secondo me se la ricordano anche all’ospedale…”

Virginia, alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia, piccata.

“Lo spero bene per loro! Un servizio pessimo, non mi facevano neanche tenere in camera le rose che mi inviavano i miei ammiratori, ma come si può?”

 “Questo perché la stanza rischiava di diventare a tutti gli effetti il negozio di un fioraio, mamma.”

Le fece notare Dante e subito dopo tutti e tre scoppiarono a ridere, riempiendo la camera della loro felicità di stare insieme. Le risate vennero interrotte dalla tosse di Simone, che fece allarmare i due adulti.

“Non è niente, non è niente, ho solo bisogno di bere…”

Indicò con un gesto della mano la bottiglia d’acqua sul comodino e Dante subito gli riempì un bicchiere, porgendoglielo. Simone poteva sentire i loro sguardi preoccupati su di sé mentre beveva e la cosa non gli piaceva.

“Non fate così, però, sto bene. Davvero, sto bene.”

Diede al padre il bicchiere vuoto per farglielo posare e sospirò. Suo padre e sua nonna non potevano immaginare quanta verità ci fosse in quella semplice frase perché non sapevano cosa lui avesse vissuto in quei giorni di angoscia, paura e buio. Avrebbe potuto spiegarglielo, ma da un lato non aveva voglia di parlarne e dall’altro non voleva farli preoccupare per qualcosa che ormai era finito.

“Per rispondere alle tue domande, nonna, vi dico che il dottor Bonvegna è molto bravo e che se non avete potuto incontrarlo è solo perché è andato a parlare con il primario.”

Non poté fare a meno di sorridere, pensando a ciò che Riccardo era andato a chiedere. Sperava davvero che riuscisse ad ottenere quella specie di permesso speciale per Manuel senza troppi problemi, non voleva che quel medico così gentile venisse rimproverato.

“E di cosa è andato a parlare? Ci dobbiamo preoccupare, tesoro?”

Domandò preoccupata Virginia e Simone le prese una mano, per rincuorarla.

“Ma no, nonna, te l’ho detto, è tutto a posto. Non è andato a parlare di questioni mediche, non in senso stretto, almeno.”

Virginia e Dante si scambiarono uno sguardo perplesso, che poi rivolsero al ragazzo. Se due medici non parlavano di questioni mediche, allora di cosa? Simone si passò una mano sul braccio, leggermente imbarazzato.

“Beh…è andato a chiedergli di poter far restare qui Manuel per più tempo, oltre all’orario di visita.”

Dante si accigliò, perdendo l’aria allegra che aveva avuto fino a quel momento e sua madre gli rivolse uno sguardo carico di apprensione. Anche Simone si accigliò leggermente, notando il suo cambio d’umore.

“Scusami se te lo dico, Simone, ma allora non è vero che non dobbiamo preoccuparci.”

Sbottò l’uomo, di getto.

“Che vuoi dire, papà?”

Domandò Simone, sulla difensiva. Capiva che suo padre aveva trascorso dei giorni molto pesanti, che sicuramente non era stato facile per lui vivere con il terrore di perdere suo figlio per la seconda volta, ma non gli avrebbe permesso di incolpare Manuel, come invece sembrava star facendo.

Dante sospirò profondamente, pentendosi di aver detto ciò che pensava.

“Niente, Simone, niente. Fingi che non abbia detto niente.”

Simone sbatté una mano sul letto, nervoso.

“No, tu adesso invece me lo ripeti, se hai le palle! Perché vi dovreste preoccupare? Per via di Manuel? È questo che pensi?”

Ringhiò, come da tempo non faceva con lui. Avevano ricucito il loro rapporto, ma forse quella era stata l’ennesima cazzata di quell'uomo e lui stupido ci aveva anche creduto. Forse suo padre era uno stronzo a prescindere e lo sarebbe stato anche senza la morte di Jacopo.

“Non usare questo linguaggio con me, Simone! Dico solo che, da padre, ho tutto il diritto di preoccuparmi per te!”

Esclamò Dante, scattando in piedi. Simone non poteva credere alle proprie orecchie.

“E invece lo uso, perché è l’unico linguaggio che ti meriti! Non ti sei mai preoccupato di me e inizi proprio adesso che non ce n’è motivo? Bel padre di merda che sei!”

Ogni suo muscolo era in tensione, come quello di un animale braccato pronto ad attaccare. Sotto quell’apparente immobilità, però, c’era un’agitazione che i bip del suo cuore non tardarono a rivelare.

Dante scosse il capo, incredulo, indicando il macchinario.

“Lo vedi come ti fa stare? Dovresti stare tranquillo, dovresti pensare a riposare e invece guarda, ti stai agitando soltanto perché l’ho nominato!”

“Mi sto agitando perché tu mi fai agitare! Possibile che odi così tanto la mia felicità? Scusami tanto se non sono morto al posto di Jacopo, papà!”

Gridò con le lacrime agli occhi, arrabbiato e ferito. Aveva scoperto di Jacopo qualche settimana prima, quando lui e Manuel, alla ricerca di sue foto da bambino –Manuel aveva insistito tanto per vederle, dopo la storia del 'Paperotto'- avevano trovato per caso una scatola nello studio del padre e al suo interno le foto e un cd con i video di due bambini ricci, identici se non per i vestitini di colore diverso.

Simone aveva fatto una certa fatica a realizzare l’ovvio, e cioè che uno di quei due bambini era lui e l’altro non era semplicemente un bimbo molto simile a lui, ma un gemello, perché da un lato non ricordava nulla di lui e dall’altro gli sembrava assurdo che non gliene avessero mai parlato.

Era arrivato addirittura a pensare che l’altro bambino – che ormai doveva avere la sua età, ed essere quindi un ragazzo- fosse un figlio nato da una delle tante relazioni extraconiugali di suo padre (certo, non si spiegava perché avessero delle foto e dei video insieme, ma non sarebbe stata la prima cosa che non riusciva a spiegarsi del comportamento di quell’uomo) e, per la rabbia, aveva rovesciato a terra tutto ciò che aveva trovato sulla sua scrivania, sotto gli occhi attenti e preoccupati di Manuel che prima lo lasciò sfogare quell’impeto di rabbia e poi lo prese tra le braccia per fargli sfogare anche la tristezza e la delusione.

Quando Dante era tornato a casa, Simone lo aveva affrontato, gli aveva urlato contro i peggiori insulti che gli erano venuti in mente, e l’uomo si era trovato costretto a raccontargli tutta la verità su Jacopo e sulla sua morte. Simone aveva pianto di nuovo, per ore e ore, vivendo per la seconda volta quel lutto, anche se gli sembrava la prima, e ancora una volta Manuel gli era stato accanto.

“Tesoro, non fare così…”

Provò a calmarlo Virginia, facendogli anche una carezza, ma il nipote non voleva sentire ragioni.

“Lo pensi anche tu, nonna? Pensi che Manuel sia un problema, un pericolo? Perché se è così, neanche tu hai capito un cazzo!”

"Simone, non parlare così a tua nonna! E non permetterti più di dire certe cose!"

Urlò Dante, con le lacrime agli occhi e la voce spezzata. Prima che potesse aggiungere altro, Simone gli urlò da sopra.

"E tu non permetterti più di parlare male di Manuel! Come se non lo conoscessi, poi!"

"Ma si può sapere che diamine sta succedendo, qui dentro?"

Esclamò il dottor Bonvegna, entrando di corsa nella stanza. Stava tornando dal colloquio con il primario -con buone notizie, tra l'altro- quando gli era arrivata alle orecchie quell'accesa discussione. Ignorando per il momento i due adulti si avvicinò al suo paziente, che era decisamente troppo agitato.

"Succede che mio padre non capisce un cazzo."

Sbottò Simone, guardando in cagnesco il genitore. Riccardo rivolse una rapida occhiata a quell'uomo, ma poi tornò a concentrarsi sul ragazzo.

"Mi gira la testa…"

Aggiunse il ragazzo a voce più bassa, lasciandosi andare contro lo schienale del letto.

"Eh, ti sei agitato troppo e non è una cosa che per il momento puoi permetterti. Respira, dai, segui me."

Il medico cominciò a fare dei respiri profondi, che Simone si impegnò a replicare. Cercò di concentrarsi solo su quello, senza pensare a suo padre e alle sue cazzate, e nel giro di poco si sentì meglio.

Riccardo gli rivolse un sorriso affettuoso e lo fece bere un po'. L'espressione che rivolse all'altro Balestra, invece, fu molto più dura.

"Scusatemi se non mi sono presentato subito, sono il dottor Bonvegna, il medico di Simone. Mi hanno detto che mi stavate cercando, giusto?"

Dante annuì, spostando lo sguardo da suo figlio al giovane medico. Quell'interruzione lo aveva aiutato a calmarsi, ma la preoccupazione era tutta ancora lì.

"Sì dottore, volevamo sapere come stava Simone, tutto qui."

"Simone è stato portato qui con una frattura alla gamba e una seria disidratazione, in stato confusionale. Siamo intervenuti con un'operazione sul muscolo, salvandolo in tempo, e stiamo reintegrando i liquidi. È un ragazzo forte, sta reagendo bene, ma ha bisogno di riposo, come tutti i pazienti di questo ospedale. Riposo."

Riccardo accompagnò quell'ultima parola con uno sguardo eloquente e un gesto della mano, come se la stesse sottolineando davvero, e Dante sospirò.

"Lei ha ragione, mi scusi per la scenata incresciosa di poco prima. Non si ripeterà."

"Vorrei ben dire! Posso sapere almeno a cosa è dovuta?"

"Ma no, niente, questioni famigliari…"

"No, non è niente! Mio padre pensa che Manuel sia un pericoloso criminale, a quanto pare, e non vuole che stia qui."

Intervenne Simone, cercando di non agitarsi eccessivamente, ma con un tono e uno sguardo affilati come una spada.

 Riccardo si accigliò, perplesso. Non conosceva chissà quanto quel ragazzo, era vero, ma gli sembrava assurdo che quel giovane innamorato che aveva insistito così tanto per far star bene il suo fidanzato potesse essere un poco di buono.

"Manuel? Stiamo parlando della stessa persona?"

Dante alzò gli occhi al cielo.

"Mio figlio esagera, dottore, io ho detto un'altra cosa e lui lo sa benissimo."

Replicò, guardando Simone negli occhi. Il ragazzo ricambiò lo sguardo in cagnesco e incrociò le braccia al petto, in segno di chiusura totale.

"È come se lo avessi detto."

"Simone, non fare il bambino, adesso…"

Protestò il professore, interrotto però da sua madre.

"Simone non ha tutti i torti, però, Dado. Il tuo giudizio su Manuel è un po' troppo duro."

"Ecco, vedi? Lo dice anche nonna che non capisci un cazzo!"

Dante spostò gli occhi da sua madre a suo figlio e poi fece un respiro profondo. Era molto stanco e decisamente non si aspettava di discutere con suo figlio e sua madre, quella mattina.

"Non è che io non capisca, Simone, ma cerca di vedere le cose dal mio punto di vista, ti chiedo solo questo piccolo sforzo. Io lo so che Manuel è un bravo ragazzo, che se si è immischiato in brutti giri lo ha fatto con buone intenzioni e so anche che ha compreso i suoi sbagli e che vuole rimediare, questo gli fa molto onore. So anche, però, che se Manuel avesse ascoltato i miei consigli quando era ancora in tempo, ci saremmo risparmiati questa brutta situazione. Non penso che sia un pericoloso criminale, come dici tu, ma mi permetti di essere quantomeno arrabbiato con lui?"

In una situazione diversa Simone avrebbe ridacchiato a quella coincidenza, perché suo padre gli aveva ripetuto lo stesso discorso che gli aveva fatto anche Manuel, e avrebbe scherzato sul fatto che erano entrambi due filosofi pesantoni. In quel momento, però, non ci trovava nulla da ridere in quelle parole: se da un lato riusciva a capire perché Manuel, divorato dai sensi di colpa, pensasse quelle cose di sé e quindi riusciva ad essere comprensivo nei suoi confronti, lo stesso non era capace di fare con suo padre, proprio perché suo padre sapeva che in quel ragazzo non c'era un briciolo di cattiveria. Scosse quindi la testa, risentito.

"Queste cose le pensa anche Manuel, lo sai, papà? Tu non hai idea di quanto si senta in colpa, di quanto ci stia male, non c'è bisogno che ti ci metta anche tu!"

Fece un profondo respiro e sciolse l'intreccio delle sue braccia per distendere la tensione, sia quella del proprio corpo che quella tra lui ed il padre.

"Ti dico la stessa cosa che ho detto a lui, va bene? Guardami papà, sono vivo e sto bene, ed è ciò che dovrebbe contare di più. Epicuro diceva 'panta rei' no? E allora se tutto scorre, non pensare più al passato!"

Dante abbozzò un sorriso, suo figlio non gli aveva mai citato un filosofo prima d'ora, non li aveva mai apprezzati, ad eccezione forse di Cartesio e di qualche altro pensatore matematico.

Lo sguardo di Simone si addolcì, ma i suoi occhi erano velati di malinconia. Davvero non voleva che Manuel si sentisse rotto ancora una volta.

"Non te la prendere con Manuel, ti prego. Ho trascorso dei giorni veramente…"

Chiuse gli occhi e il suo volto si contrasse in una smorfia di dolore per un istante, come se provasse sofferenza fisica a ricordarli.

"...veramente terribili e Manuel ha fatto il possibile per portarmi un po' di sollievo. Mi ha dato speranza e ti giuro, papà, che io non ne avevo più."

Fece spallucce, abbozzando un sorriso.

"Sei stato tu a dirmi che la felicità prima o poi sarebbe arrivata e avevi ragione, è arrivata con Manuel. Lui mi fa stare bene, sempre."

Concluse con semplicità, guardando il padre senza più quella rabbia che gli aveva riversato contro poco prima. C'era tanta stanchezza nei suoi occhi e tanta voglia di tornare alla normalità, il che voleva dire tornare dalla sua famiglia, di cui adesso faceva parte anche Manuel.

"È vero, confermo!"

Esclamò il dottor Bonvegna, deciso ad aiutare Simone in tutto e per tutto, e anche spinto da una certa commozione. Far star bene la persona amata era la più alta forma d'amore, per lui: non era riuscito a salvare Lorenzo -e di questo si incolpava ogni secondo, ad ogni respiro-, ma se c'era una cosa che non poteva rimproverarsi era di non essere riuscito a dargli conforto. Aveva fatto di tutto per fargli trascorrere al meglio -per quanto possibile- i suoi ultimi giorni, e ancora prima, quando la morte era soltanto la stronza che incontravano in ospedale e contro la quale combattevano, da medici, ogni giorno, sapeva di essersi preso cura di lui con tutto il cuore. Lorenzo aveva fatto altrettanto per lui e, lo poteva giurare, lo stava facendo anche adesso. Stava mantenendo la sua promessa.

Gli sguardi perplessi di Dante e Virginia si posarono sul medico, che dovette ammettere a se stesso di essersi messo in mezzo con fin troppo entusiasmo, mentre quello di Simone era molto meno confuso e molto più grato. Riccardo si schiarì la voce, cercando di darsi un contegno.

"Sì, insomma, da medico posso dire che la presenza di Manuel, anche se soltanto per una manciata di ore, ha avuto degli effetti positivi sul paziente, su Simone, che ha trascorso una notte assolutamente tranquilla e serena. Non bisogna trascurare l'aspetto psico-emotivo nel processo di guarigione, sapete? Anzi direi che è fondamentale!"

Parlava gesticolando, pieno di entusiasmo, ma poi si fermò e fece una piccola pausa, rivolgendo a Simone uno sguardo complice.

"Infatti la dottoressa Giordano, la primaria di questo reparto, si è espressa favorevolmente alla richiesta di estendere l'orario di visite di Simone, vista anche la sua situazione particolare."

Il sorriso di Simone si fece più ampio e luminoso, come quello di un bambino a cui era stato promesso un giocattolo nuovo o, più appropriatamente, come quello di un innamorato.

A Dante bastò vedere quel sorriso, unito alle parole che il figlio aveva pronunciato poco prima, per mettere da parte la rabbia.

"Se lo dice anche la Scienza, allora, io non posso fare altro che adeguarmi."

Simone si voltò verso il padre, felice che avesse finalmente capito, che finalmente lo ascoltasse.

"Grazie papà, davvero. Grazie."

Dante gli sorrise a sua volta e gli si avvicinò, dandogli un bacio tra i capelli, un gesto che non faceva da tanti, troppi anni. Aveva commesso una miriade di errori con Simone, anzi aveva fatto più sbagli che cose giuste, era giunto il momento che pensasse alla sua felicità.

"È il minimo che io possa fare per te, Simone. Adesso perché non stai un po' con nonna, mentre io e il dottore andiamo un attimo fuori?"

Simone annuì e lasciò che i due uomini uscissero dalla stanza. Il dottor Bonvegna gli fece strada verso un angolo del corridoio più appartato, dove non avrebbero disturbato nessuno.

"Se è per l'intervento di prima le chiedo scusa, ma sono un medico e il benessere dei miei pazienti viene prima di tutto e…"

Cominciò a dire Riccardo, ma Dante lo fermò subito con un gesto della mano.

"No, no, non è per questo, anzi io ti ringrazio di averlo fatto. Perdona la domanda indiscreta, si vede che sei ancora giovane, ma per caso hai figli?"

Bonvegna sgranò gli occhi, preso decisamente in contropiede. Scosse il capo, abbozzando un sorrisetto.

"No, io...ho una gatta che tratto come fosse una figlia, ma dubito sia la stessa cosa."

"No, ecco, decisamente no. Però se e quando sarai padre, capirai che spesso i padri hanno bisogno di più ramanzine dei figli, quindi tu ti sei comportato egregiamente!"

Esclamò Dante con enfasi, quasi come se si stesse complimentando con un suo alunno per un'ottima risposta ad un'interrogazione.

Riccardo si schiarì la gola, decidendo di accettare il complimento e di non pensare a futuri figli, che non erano nei suoi programmi. Non lo erano più, almeno.

"Io, ehm...grazie, sì. Voleva dirmi solo questo?"

"No, no, io veramente volevo chiederti se per caso Simone ti avesse detto qualcosa su questi giorni. Sai, essendo tu il suo medico...ah e dammi pure del tu, naturalmente."

Rispose il professore, preoccupato. Certo, l'avvocato Vinci telefonava ogni giorno per tenerli aggiornati, ma c'erano cose che nemmeno lui poteva sapere, cose che sapeva soltanto Simone. Aveva notato negli occhi del figlio una profonda sofferenza, di cui certamente non c'era da sorprendersi, ma avrebbe voluto saperne di più.
Il medico scrollò le spalle, infilandosi le mani in tasca.

"Lui non mi ha detto niente, ma l'ispettore che lo ha portato qui, che lo ha salvato, ci ha detto di averlo trovato in una stanzetta buia, afosa, e che era molto spaventato. Non so dirle molto altro, solo che…"

Esitò, pur sapendo che il padre di Simone meritava di conoscere ogni minimo dettaglio.

"Che cosa? Non farti pregare!"

Lo incalzò l'altro, con voce piena d'ansia. Riccardo sospirò.

"Ho notato che ha i polsi scorticati, sono abbastanza sicuro lo tenessero ammanettato a qualcosa. Devono anche preso a calci, ha il torso pieno di ematomi. Mi dispiace, davvero, nessuno meriterebbe di vivere un'esperienza di questo tipo, soprattutto un ragazzo giovane come Simone."

Dante si portò una mano al volto, indietreggiando verso il muro in cerca di un appoggio. Si sentì privo di forze, ma se avesse avuto davanti quello stronzo che aveva fatto questo a suo figlio non avrebbe esitato a restituirgli il favore.

"È per questo che ho insistito tanto per far restare qui Manuel, Simone ha bisogno di tutto il conforto che gli si può dare."

Dante annuì debolmente, dandosi mentalmente dell'idiota per essersi opposto a quella richiesta. Anche lui, dopotutto, era perfettamente consapevole di quanto Manuel fosse benefico per Simone: da quando lo conosceva era tornato a sorridere.

"A questo proposito, ho notato che Simone è molto sudato. Gli abbiamo portato dei vestiti puliti, non è che sarebbe possibile lavarlo in qualche modo?"

Riccardo annuì, accennando un sorriso.

"Sì, ci avevo pensato anch'io. Di solito se ne occupano gli infermieri, ma se preferisci puoi farlo tu."

"No, no, meglio gli infermieri, io potrei fargli male, non è il caso. Vado a dirlo a Simone, allora. Grazie mille."

                                                                      *****

"Mi dispiace di essere stato sgarbato con te, nonna, ti chiedo scusa. Ti prego, perdonami."

Mormorò Simone, guardando la nonna con occhi tristi. Si era fatto prendere dalla rabbia e lei certamente non se lo meritava.

Virginia gli sorrise, facendogli una carezza affettuosa sulla guancia.

"Non ti preoccupare, tesoro, scuse accettate. Dopo quello che hai passato, è comprensibile che tu sia nervoso…"

E con gli occhi gli chiese qualcosa in più, qualche dettaglio su quei brutti momenti, ma Simone distolse lo sguardo. Capiva che sua nonna cercasse di aiutarlo, che voleva che si sfogasse, ma lui non voleva infliggere ulteriori dolori alla sua famiglia.

"...e poi so quanto Manuel sia importante per te."

Aggiunse lei e Simone sorrise timidamente, gli occhi ancora fissi sulle lenzuola. E pensare che, inizialmente, aveva temuto che sua nonna avrebbe potuto trovare difficoltà ad accettare la sua relazione con Manuel e non perché non fosse di mente aperta, anzi, ma perché aveva praticamente adottato Laura come sua seconda nipote, nonostante l'avesse vista giusto un paio di volte.

"È così evidente?"

Domandò, pur conoscendo perfettamente la risposta. L'amore non si può nascondere ed in fondo è una cosa così bella che non vale neanche la pena tentare di farlo: che senso avrebbe desiderare di coprire il cielo stellato?

"Tesoro, vorrei dirti che me ne sono accorta soltanto perché sono tua nonna, ma ti direi una bugia. Anche ad un osservatore meno attento di me non sfuggirebbero i tuoi occhi luminosi ogni volta che si posano su quel ragazzo oppure tutti quei piccoli gesti affettuosi che fai magari senza nemmeno accorgertene."

Simone allora tornò a guardare sua nonna, incuriosito. Lui non faceva niente per dissimulare il suo amore per Manuel -erano finiti i tempi in cui doveva pesare e ripesare le parole e mettere un freno ai gesti-, ma non si era mai chiesto di come ciò potesse apparire ad occhi esterni.

"Per esempio, quali?"

Domandò come un bimbo curioso e Virginia ridacchiò, con fare complice.

"Beh, per esempio gli riempi sempre il bicchiere prima di mangiare e quando sta per svuotarsi, è una delle prime cose che ho notato e devo dire che è un gesto molto galante, sai? Anche Attilio lo fa sempre.”

Ora che glielo faceva notare, in effetti, Simone si rese conto che sua nonna aveva ragione e ridacchiò, sentendo le proprie guance farsi un po' più calde. Virginia, però, non aveva certo finito.

"E poi gli metti in carica il cellulare quando lui se ne dimentica e quando andavate ancora a scuola gli controllavi lo zaino per essere sicuro che avesse preso tutto. È un po' sbadato quel ragazzo, fammelo dire!"

Simone stavolta rise, annuendo con decisione.

"Lo puoi dire forte, sì. È che lui è un po' un poeta, un po' un filosofo, e la sua testa è presa da altro, non ci pensa a queste cose. Ci penso io per lui, però, e non mi pesa."
Sorrise, innamorato, e Virginia gli diede un buffetto sulla guancia decorata da una tenera fossetta. L'Amore aveva il volto giovane e felice di suo nipote e quell'immagine la fece commuovere.

"Ma che fai, nonna, piangi? Non ho detto niente di brutto…"

Simone posò la mano su quella di sua nonna, facendole una morbida carezza. Lei sorrise, affettuosa.

"Ma lo so che non hai detto niente di brutto, è che mi fa tanto piacere vederti così, sai? Per troppi anni ho visto solo tanta rabbia, tanto dolore nel tuo sguardo, anche quando stavi con quella cara ragazza, Laura, non eri felice."

Fece un profondo sospiro, per farsi forza.

"Poi in questi giorni non ho fatto altro che pensare a te, a quanta paura avessi, alle cose orribili che avrebbe potuto farti quel criminale che ti giuro, strozzerei con le mie mani se lo avessi qui davanti!"

Per rimarcare quella volontà agitò il pugno in aria e per un istante i suoi occhi smisero di essere quelli dolci di una nonna che rivedeva suo nipote dopo tanto tempo e divennero quelli di una leonessa che voleva difendere il proprio cucciolo.

"E adesso vedere che stai bene, vedere il tuo sorriso, mi fa tornare serena. So che senza Manuel tutto ciò non sarebbe possibile e quindi, per rispondere alla tua domanda, no, non penso che quel ragazzo sia un pericolo, anzi penso l'esatto opposto. Non ti affiderei a nessun altro, so che nessuno sarebbe in grado di prendersi cura di te come fa lui. Tuo padre è soltanto molto scosso, ma lo sa benissimo anche lui, credimi."

Furono gli occhi di Simone, di fronte a quel meraviglioso discorso, a riempirsi di lacrime. Virginia si sporse ad abbracciarlo e subito Simone ricambiò l'abbraccio, rimanendo in silenzio per un po'. Non c'era altro da aggiungere, sua nonna aveva capito tutto e aveva detto tutto.

"Grazie, nonna."

Mormorò, ancora stretto in quell'abbraccio.

"Grazie perché hai capito me e hai capito Manuel e scusami ancora per prima. Hai ragione, questi sono stati giorni spaventosi e senza Manuel non li avrei superati. Adesso però è tutto a posto, non devi più essere preoccupata."

Virginia gli diede un bacio sulla guancia, facendogli una carezza sulla schiena. Il suo anziano cuore tremava all'idea di aver rischiato di perdere il suo Simone e non era facile farlo smettere.

"Ti dispiace se restiamo un po' così, tesoro mio?"

Simone scosse il capo e chiuse gli occhi, sorridente.

"A me no, però ti avviso che ti sto rovinando la piega."

Virginia liberò una risata e strinse un po' di più il nipote a sé: i capelli erano l'ultima cosa a cui pensare, in quel momento.

Fu così che Dante li trovò quando, dopo qualche minuto, rientrò in stanza e istintivamente sorrise.

"Tutto a posto, papà? Che ha detto il dottore?"

Chiese Simone, ancora tra le braccia di sua nonna. L'uomo annuì, andando a sedersi accanto al letto. Virginia si voltò verso di lui, apprensiva, e il figlio ricambiò il suo sguardo per pochi istanti prima di tornare a guardare Simone con un certo dolore negli occhi.

"Mi ha spiegato un po' la tua situazione, mi ha detto della gamba rotta, dei lividi…di quelle ferite ai polsi. Insomma, sicuramente non mi ha detto nulla che tu non sappia già."

Simone strinse le labbra, annuendo appena. Il dottor Bonvegna, Riccardo, aveva semplicemente fatto il suo dovere di medico, doveva aspettarsi avrebbe informato la sua famiglia. Questo, però, voleva dire dover parlare di quei giorni bui, prima o poi.

"Però ci sono cose che nemmeno lui sa, cose che non si possono diagnosticare, vero?"

Chiese Dante con voce incrinata, dolce, ma anche carica di sofferenza. Simone annuì di nuovo, distogliendo lo sguardo. Se fosse servito a qualcosa, si sarebbe nascosto sotto il lenzuolo pur di non affrontare quel discorso.

"E tu lo sai che puoi parlarcene, sì?"

Simone fece un profondo respiro e annuì per la terza volta. Lo sapeva, sì, non era quello il problema.

"Io veramente sono un po' stanco, adesso…"

Dante e Virginia gli sorrisero comprensivi e il primo allungò una mano a fargli una carezza, come avrebbe dovuto fare molto più spesso.

"Allora ti lasciamo riposare un po', ok? Poi, se e quando ti sentirai pronto, noi saremo qui ad ascoltarti."

E così dicendo si alzò, seguito subito da sua madre che posò un bacio sulla guancia del nipote.

"Ah, prima che me ne dimentichi, il dottor Bonvegna ha anche detto che è il caso di lavarti un po', per quanto possibile. Magari gli chiedo di mandare adesso gli infermieri, così poi puoi dormire?"

Simone sgranò gli occhi, con il respiro che si bloccò a metà strada tra i polmoni e il naso. Gli bastò quella semplice frase per ritrovarsi a camminare di nuovo in quel labirinto di rottami, con le gambe che non reggevano i suoi stessi passi. Deglutì, cercando di scacciare quell'immagine dalla sua testa.

"Io veramente preferirei di no, ad essere sincero. È proprio necessario?"

Dante sbatté le palpebre, allibito, e anche Virginia mise su la stessa espressione perplessa.

"Beh Simone, questo dovresti dircelo tu, insomma. A me sembri parecchio sudato e sporco di polvere…non ti dà fastidio stare così?"

"Con questo caldo, tesoro, ci vuole un po' di refrigerio."

Virginia gli sorrise comprensiva.

"Non è che per caso hai vergogna?"

Simone annuì, lentamente. Ciò che provava era il naturale imbarazzo che chiunque proverebbe all'idea di doversi spogliare davanti a uno o più sconosciuti a cui però si univa il riflesso di quella paura che aveva provato quando Sbarra e Zucca avevano iniziato a parlare di lui come se fosse stato un pezzo di carne da mettere in vendita, perciò non si fece sfuggire la scusa che sua nonna gli aveva inconsapevolmente offerto.

"Sì, a dire il vero sì."

Mormorò con il capo chino e gli occhi rivolti verso i due membri della sua famiglia. Sperava bastasse a convincerli.

"Dai, Simone, non c'è nulla di cui vergognarsi! Questi infermieri aiutano decine di persone a lavarsi ogni giorno, non ti guarderanno neanche! Senti, se vuoi io e nonna restiamo qua, ma tu non puoi restare in queste condizioni, non ti fa bene."

Esclamò suo padre, cercando di rincuorarlo. Simone, se proprio doveva, preferiva restare da solo, perché non voleva che loro due vedessero tutti i lividi che aveva sul corpo.

"No, voi…voi andate, facciamo così."

"Ma ti vergogni anche di noi? Guarda che sia io che nonna ti abbiamo cambiato migliaia di pannolini, sappiamo benissimo come sei fatto…"

Cominciò a dire Dante, ma Virginia, notando che il nipote era visibilmente in imbarazzo, lo fermò con uno schiaffetto sul braccio.

"Dado, basta così! Facciamo come dice Simone, lasciamolo stare. Andiamo, su!"

Gli diede una leggera spinta per invitarlo a muoversi, cosa che in un altro momento avrebbe fatto ridere Simone, ma che adesso era troppo preso dall'ansia per farlo. Razionalmente sapeva di non avere nulla da temere, che nessuno in quell'ospedale gli avrebbe fatto del male, ma quando, dopo qualche minuto, vide due infermieri -non sembravano molto più grandi di lui, forse erano studenti universitari- entrare in stanza con tutto l'occorrente per lavarlo, si sentì soffocare. Cercò comunque di mostrarsi cordiale, si sforzò di ricambiare il loro sorriso e mormorò anche un saluto, con un filo di voce.

"Ciao anche a te Simone, io sono Pietro e lui è  Francesco. So che in questo momento stai provando un po' di imbarazzo, è normale, ma cerca di rilassarti, vedrai che non ci metteremo molto, ok? Quando sei pronto, appoggiati a me che ti sfiliamo il camice."

Simone sapeva che non sarebbe riuscito a rilassarsi nemmeno tra un'ora o due, quindi tanto valeva muoversi. Fece un profondo respiro e annuì, poggiandosi a Pietro mentre Francesco gli scioglieva i fiocchi che tenevano chiuso il camice dell'ospedale dietro la schiena. Nonostante il caldo, si sentì percorso da un brivido.

"Tutto bene?"

Domandò uno dei due e Simone si affrettò ad annuire, anche se non c'era nulla che andasse bene.

"Sì, sì, tutto a posto, era solo…era solo un brivido di freddo."

"Va bene, allora adesso ti scopriamo anche le gambe, ok?"

"Sì, ok."

Rispose Simone, anche se avrebbe soltanto voluto mandar via quei due e restare da solo fino al ritorno di Manuel, che sicuramente lo avrebbe fatto stare meglio. E invece era lì, nudo di fronte a due ragazzi sconosciuti, con il terrore che gli correva sotto la pelle costringendolo a trattenere i suoi brividi.

Sentiva di nuovo l'asfalto bollente bruciargli sotto le piante dei piedi, l'acqua gelida che lo prendeva a schiaffi e a pugni come se non ne avesse già ricevuti abbastanza e soprattutto sentiva gli occhi viscidi di Sbarra e Zucca sul proprio corpo nudo e ferito.

Perciò, quando Pietro e Francesco cominciarono a coprirgli quelle stesse ferite prima di lavarlo e Simone sentì le loro mani su di sé, non riuscì più a contenere la sua angoscia.

"Potreste fermarvi, per favore?"

Chiese con voce tremante, cercando al tempo stesso di sottrarsi al loro tocco.

"Certo, tranquillo. Che c'è?"

Simone afferrò il lenzuolo, riportandoselo sulle gambe per coprirsi, e poi vi si aggrappò come se ne dipendesse la sua vita. Anche i suoi occhi erano fissi sulla stoffa bianca, anche loro si stavano aggrappando.

"Niente, vorrei solamente essere lasciato solo. Sono...sono stanco e vorrei riposare. Scusatemi."

Percepiva la propria voce incrinarsi sempre di più, ormai era sull'orlo delle lacrime. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo.

"Ma sei sicuro? Guarda che tra dieci minuti abbiamo finito e ti lasciamo in pace, davvero."

Replicò uno dei due, ma Simone non voleva sentire ragioni. Era divorato dalla paura, anche se cercava di non darlo troppo a vedere, e scosse ostinatamente il capo.
"Sì, sono sicuro! Vi prego, lasciatemi stare."

Alzò per un istante gli occhi lucidi verso i due infermieri e subito li riportò giù. Loro sospirarono.

"D'accordo, ce ne andiamo. Fatti almeno rivestire, prima…"

Simone strinse ulteriormente il lenzuolo, così tanto che le sue nocche divennero bianche. Voleva che restasse esattamente dov'era.

"No, grazie, faccio da solo."

Eppure, quando i due infermieri lasciarono la stanza, Simone non trovò la forza di indossare di nuovo quel camice. Si limitò a lasciarsi andare sul letto e a coprirsi fin sopra la testa, e avvolto in quel bozzolo sicuro prese a respirare a pieni polmoni, lasciando man mano scivolare via la sensazione di soffocamento che aveva avuto fino a poco prima. Si liberò anche delle lacrime che non aveva potuto versare quando lo avevano costretto a lavarsi allo sfascio, lacrime che adesso nessuno avrebbe potuto usare contro di lui.

                                                                  *****

Quando Manuel uscì dal commissariato, dopo più di un'ora trascorsa nell'ufficio dell’ispettore Liguori, prese un profondo respiro e gli sembrò che l'aria avesse un profumo nuovo, forse semplicemente perché puzzava di meno senza quel pezzo di merda di Sbarra in giro.

Sapeva di aver fatto la cosa giusta e si sentiva più leggero, come quando si era deciso ad aprire il proprio cuore a Simone nel salotto di Claudio, più di un mese prima. Doveva tornare da lui, da Simone, ma prima aveva bisogno di darsi una sistemata, ora che aveva la tranquillità giusta per farlo.

Appena tornò a Villa Balestra, quindi, corse nella loro stanza e notò con piacere che il letto a due piazze che avevano ordinato quando lui e sua madre si erano trasferiti lì era arrivato, mentre lui stava da Claudio: Simone, così, avrebbe avuto tutto lo spazio necessario per stare comodo anche con la gamba ingessata, era decisamente un'ottima notizia. Per resistere alla tentazione di collaudare quel letto in quell'istante -non voleva perdere ore preziose che avrebbe potuto trascorrere in compagnia di Simone- si infilò immediatamente sotto la doccia, lasciando che l'acqua lavasse via anche la stanchezza, insieme al sudore.

Una volta fuori, si asciugò accuratamente i capelli, cercando di dar loro una forma sensata per una volta, anche se con scarsi risultati, e si prese ancora qualche minuto per dare una rifinitina alla barba, regolandola nei punti in cui era cresciuta un po' troppo. Soddisfatto, si spostò canticchiando in camera e aprì l'armadio, alla ricerca di qualcosa da indossare.

Solitamente non impiegava più di cinque secondi per quella scelta, ma voleva che Simone per una volta lo vedesse più sistemato, un po' meno selvatico, insomma. Non aveva potuto farsi vedere così la sera del loro mesiversario e la notte precedente, quando era andato a trovarlo in ospedale, non aveva avuto il tempo né la voglia di cambiarsi, ma adesso non c'era niente e nessuno ad ostacolarlo.

Preferì non indossare la camicia, quella era meglio conservarla per il festeggiamento della loro giornata speciale -che ci sarebbe comunque stato dopo le dimissioni di Simone- e optò invece per una polo azzurra che nemmeno ricordava di avere, ma che gli sembrò un po' più elegante delle t-shirt o canotte che era solito indossare. Per lo stesso motivo si infilò dei jeans e non i pantaloni della tuta, spostandosi poi davanti allo specchio del bagno per darsi un'occhiata.

"Mazza però, so' figo!"

Esclamò a se stesso, sorridendo compiaciuto alla propria immagine riflessa. Era abbastanza sicuro che Simone sarebbe stato d'accordo, ma ciò non lo rendeva meno emozionato, anzi il suo cuore sembrava deciso a correre dal cuore suo compagno, per quanto batteva forte nel petto.

Manuel non attese ulteriormente e nel giro di due minuti fu di nuovo in sella alla sua moto, diretto verso l'ospedale dopo una piccola sosta in gelateria, un modo per rendere un po' più piacevole il pranzo di Simone, considerando che probabilmente sarebbe stato allo stesso livello di quella colazione da ospizio che aveva visto quella mattina.

"Manuel, proprio te cercavo!"

Esclamò il dottor Bonvegna non appena lo vide, trovandoselo praticamente davanti in corridoio.

Ma ancora qua sta questo? Nun ce l'ha una casa dove torna'?’, pensò il ragazzo, che voleva soltanto correre in camera di Simone. A guardarlo bene, però, il dottor Spaventapasseri sembrava preoccupato e di conseguenza anche lui si rabbuiò.

"Oh, che è 'sta faccia? È successo qualcosa a Simone?"

"No, non gli è successo niente, però prima ho mandato due infermieri a lavarlo e lui li ha cacciati, dicendo di voler essere lasciato in pace perché era stanco. Mi hanno detto che sembrava piuttosto scosso, tu hai idea del perché abbia reagito così?"

Manuel chiuse gli occhi per un istante, perché sì, un'idea ce l'aveva eccome. Simone gli aveva accennato che Sbarra gli aveva fatto fare una doccia, non aveva voluto dirgli di più, ma era sicuro che quell'episodio c’entrasse qualcosa. Sospirò.

"Ho una mezza idea, sì."

Si limitò a dire, dal momento che erano affari di Simone.

Riccardo lo fissò per qualche secondo, in attesa di una qualche aggiunta, ma quando capì che non sarebbe arrivata annuì pazientemente.

"Pensi di riuscire a convincerlo tu?"

Manuel scrollò le spalle, di certo non l'avrebbe costretto.

"Non lo so, ma vedrò che posso fare. A te ha detto qualcosa?"

Riccardo scosse il capo.

"No, prima sono entrato nella sua stanza, ma stava dormendo e ho preferito non svegliarlo. Deve anche pranzare, a dire il vero…"

"Eh, a proposito…"

Manuel sollevò la busta che aveva in mano, era meglio non fare cazzate e avvisare il medico.

"Gli ho preso una vaschetta di gelato, così, per fargli mangiare qualcosa di fresco. È artigianale, eh, senza quelle schifezze chimiche che mettono in quelli dei supermercati, e poi l' ho preso solo alla frutta, così è più sano. Se ne può magnare un po'?"


 
"E questo profumo buonissimo da dove viene?"

Domandò Lorenzo, annusando l'aria come un cane da tartufo. Era un giorno buono, si sentiva meglio del solito.

Riccardo ridacchiò furbescamente e gli mostrò la confezione che teneva nascosta dietro la schiena.

"Tu dici sempre che per capire se un pasticcere è bravo o meno bisogna provare la sua torta di mele, giusto? Ecco, questa viene dalla pasticceria che ci hanno consigliato. A parole son bravi tutti, ma voglio proprio vedere se sarà all'altezza del giudizio del massimo esperto di torte di mele al mondo. Che dici, ne taglio due fette?"

Lorenzo si illuminò di un sorriso che per Riccardo poteva far concorrenza al Sole, velato soltanto da qualche lacrima che si affacciava dagli occhi scuri. Annuì entusiasta, comunque, sforzandosi di ricacciarle indietro. Non valeva la pena dar spazio alla Morte, di fronte a tutto quell'Amore.

"Il mio medico che ne pensa?"

Domandò scherzosamente, facendogli segno di avvicinarsi. Riccardo obbedì immediatamente, lasciando la torta sul comodino, e gli sorrise sornione a poca distanza dalle sue labbra.

"Il tuo medico pensa che puoi mangiare tutta la torta che vuoi, se ti fa sorridere così."

 
Riccardo sorrise dolcemente alla premura di quel ragazzo, il cui unico crimine -per tornare alla discussione di quella mattina- gli sembrava essere soltanto l'Amore, e allungò una mano per farsi dare la busta.

"Può mangiarlo senza problemi dopo pranzo, intanto dammelo così lo faccio mettere in frigo."

Manuel gli porse la busta con un po' di titubanza, senza lasciarla definitivamente.

"Non è che se lo magna qualcun altro? Io c'ho speso dei soldi, eh!"

Riccardo ridacchiò e si portò la mano libera sul cuore.

"Ti giuro che non lo toccherà nessuno, mi basterà dire che è per Simone. Lo adorano tutti, in reparto."

"Com'è giusto che sia!"

Replicò Manuel, più tranquillo, lasciando andare il gelato. Prima che potesse allontanarsi, però, venne fermato di nuovo dal dottore.

"Giusto un'ultima cosa, poi ti lascio andare. Ho una buonissima notizia per te: ho parlato con la primaria e, vista la situazione delicata di Simone, si è convinta ad estendere il suo orario di visite. Diciamo che potrai restare con lui quanto vorrai e lo stesso vale per il resto della sua famiglia, a patto che non lo facciate stressare. Intesi?"

"Che? Sul serio? Grazie, sei…sei un grande!"

Esclamò Manuel, con gli occhi felici spalancati per la sorpresa.

Riccardo scrollò le spalle.

"Non mi devi ringraziare, come ti ho detto tutti quanti, in reparto, adorano Simone. Adesso va' da lui, dai, e per qualsiasi cosa fammi chiamare."

Manuel annuì rapidamente e senza farselo ripetere una seconda volta si diresse a passo svelto verso la stanza numero quindici. Entrò piano, quasi in punta di piedi, perché se Simone dormiva non voleva certo svegliarlo.

Si avvicinò al letto con la stessa accortezza, ma gli bastò uno sguardo per capire che Simone era sveglio, anche se aveva le palpebre abbassate.

"Hey, Cerbiattino…"

Sussurrò, facendogli una carezza sulla guancia. Istintivamente Simone sorrise e aprì gli occhi, portando subito una mano su quella di Manuel. Si sentiva già più calmo, così.

"Ciao, Paperotto. Mi sei mancato."

Mormorò con voce impastata, perché aveva dormito fino a qualche minuto prima. Manuel si accorse subito che doveva aver pianto, aveva gli occhi e le guance ancora leggermente arrossati, ma non disse nulla, facendogli invece un bel sorriso.

"Mi permetti di rimediare?"

Simone annuì piano, già pregustando il sapore delle labbra di Manuel sulle proprie. Il bacio non si fece attendere e fu morbido, lento, si prese tutto il tempo necessario a far sentire i loro cuori meno soli, di nuovo insieme.

"Anche tu mi sei mancato. Come ti senti?"

Simone accennò un sorriso e intanto prese ad accarezzare la mano di Manuel ancora poggiata sulla sua guancia. Si sentiva benissimo, dopo quel bacio.

"Mi fa un po' male la gamba, ma per il resto sto bene. Te?"

Rispose, preferendo evitare di menzionare sia la discussione che aveva avuto con suo padre -che del resto avevano risolto- sia soprattutto ciò che era successo con gli infermieri.

Queste sue accortezze non impedirono comunque a Manuel di ignorare la sua domanda e di guardarlo preoccupato.

"Vuoi che chiami qualcuno, così magari te danno qualche antidolorifico? Dai, ce metto un attimo…"

Ma Simone lo trattenne, afferrandolo per la maglietta con la mano libera. Notò in quel momento che non era una delle sue solite magliette e sorrise di nuovo pensando a Manuel che, probabilmente per la prima volta in vita sua, sceglieva con criterio qualcosa da indossare. Era l'ennesimo gesto che gli provava il suo amore per lui.

"Resta qua, ti ho detto che sto bene. E poi quei cosi mi fanno sentire tutto rincoglionito, voglio restare lucido."

Manuel sospirò, dandogli poi un bacio a fior di labbra.

"Sei sicuro, Simo'? Guarda che non devi dimostrare niente a nessuno…"

Simone annuì, deciso.

"Facciamo così, se dovesse peggiorare chiamiamo qualcuno, ok? Adesso basta parlare di medicine, fatti guardare un po'. Ti sei messo in ghingheri per me?"

Manuel si portò le mani sui fianchi e alzò gli occhi al cielo, incredulo. Praticamente tutto ciò che faceva lo faceva per Simone e lui ancora ne dubitava?

"E certo che l'ho fatto per te, Simo'! Per chi altri, sennò? Il Dottor Spaventapasseri? Dai, guarda."

Gli sorrise furbetto, poi indietreggiò di un paio di passi in modo da farsi guardare bene e Simone non si fece problemi a mangiarselo con gli occhi, quel suo bellissimo fidanzato. A dire il vero era un po' strano vederlo con i capelli in ordine, la barbetta sistemata e con addosso qualcosa che non fosse una tuta, quasi non sembrava lui...ma l'amore che vedeva nei suoi occhi e nel suo sorriso, quello era soltanto ed innegabilmente di Manuel.

"Allora? Come sto? So' un figurino, eh?"

Chiese divertito, ma con un tremolio nella voce che tradiva tutta la sua emozione. Ci teneva a fare bella figura con Simone, in quel momento, e dal modo in cui il suo fidanzato lo guardava poteva dire di aver colto nel segno. Simone ridacchiò, con gli occhi grandi che brillavano spensierati.

"Più che un figurino, sembri un modello!"

Esclamò con entusiasmo, continuando a catturare con gli occhi ogni singolo dettaglio del ragazzo di fronte a lui, come se gli stesse scattando infinite fotografie. Manuel mise una mano avanti, per fermarlo.

"E 'sto modello sfila solo per te, chiaro? Mo te faccio vede'..."

Sollevò un angolo delle labbra, guardando Simone quasi con sfida, e poi si mise a camminare avanti e indietro per la stanza. Non che fosse particolarmente capace di fare una camminata elegante, ma il suo obiettivo non era quello: ciò che voleva era cancellare il velo di tristezza che aveva visto negli occhi arrossati di Simone e doveva essere sulla buona strada, visto che riuscì a farlo ridere.

Simone era tenerissimo con le guance arrossate, non dal pianto stavolta, gli occhi strizzati con delle morbide rughette ai lati e i denti bianchi che quasi subito si coprì con una mano, scosso dalle risate.

"E vabbè, ho capito che faccio ride, però addirittura così…"

Commentò Manuel ironico, con un sorriso a trentadue denti che contrastava totalmente con le sue parole. Simone gli fece cenno di avvicinarsi.

"Sfila un po' qua, modello!"

Esclamò tra una risata e l'altra e Manuel non se lo fece certo ripetere. In un attimo gli fu accanto e gli portò una mano tra i capelli per accarezzarlo. Era ancora più bello, così da vicino.

"Certo che sei proprio uno scemo, come devo fare con te?"

Mormorò Simone, una volta ripresosi dalle risate, con gli effetti della felicità ben visibili sul suo viso. Manuel scrollò le spalle.

"Se 'sto modello nun te piace, lo puoi sempre sostitui' con uno più serio, più intelligente. Ce dovrebbe sta' ancora la garanzia…"

Simone sapeva che Manuel stava solo facendo una battuta, ma lui neanche per scherzo avrebbe potuto dire di sì ad una proposta del genere. Sollevò una mano per attirare il viso di Manuel a sé, facendolo fermare a poca distanza dal proprio.

"Quante cazzate che dici, non ti cambierei con nessuno al mondo."

Manuel accennò un sorriso, fissandolo incantato negli occhi.

"Nessuno nessuno?"

Simone scosse appena il capo, senza sciogliere il contatto visivo.

"Nessuno nessuno."

Fu Manuel ad annullare la distanza tra i loro volti, ma ebbe il tempo soltanto di iniziare un bacio prima che lo stomaco di Simone interrompesse il momento con un sonoro gorgoglio.

"Mh, in effetti è ora di pranzo."

Commentò Manuel sulle labbra dell'altro, che tuttavia non sembrava interessato a lasciarlo andare e riprese quel bacio che era stato così bruscamente interrotto. Aveva un altro tipo di fame, più urgente, da soddisfare.

"Lo so che il cibo de 'sto posto non deve essere granché, però manco te poi magna' me, Simo'."

Gli fece notare, dopo aver assecondato il bacio per qualche decina di secondi.

Simone sbuffò, ma sapeva che Manuel aveva ragione.

"Dopo riprendiamo da dove abbiamo lasciato, però."

Manuel annuì con decisione, gli posò un bacio sulla punta del naso e si separò da lui.

"Non fare 'sta faccia, però, che c'ho una sorpresa per te."

Annunciò sogghignando e Simone lo guardò incuriosito, con gli occhi che sembravano quelli di un bambino.

"Una sorpresa? Che cosa?"

"Eh, famme anda' a recuperarte il pranzo e poi vedi. Torno subito."

Non appena Manuel uscì, Simone fece sollevare lo schienale del letto e il lenzuolo con cui si era accuratamente coperto fino a quel momento scivolò in basso, scoprendogli il busto nudo. Sospirò guardando i lividi che ancora lo deturpavano, quei lividi che Manuel ancora non aveva visto e che era meglio non vedesse, e che ancora gli facevano un po' male, se provava a toccarseli.

Recuperò in fretta il camice dell'ospedale, finito appallottolato sotto il lenzuolo, e se lo infilò, sistemandolo per bene. Si portò poi una mano tra i capelli arruffati, cercando un po' alla cieca di dar loro un qualche tipo di ordine, ma erano troppo sporchi, sudati, e non era proprio possibile dar loro un aspetto migliore.

A questo, poi, si aggiungeva l'odore decisamente poco gradevole del suo corpo sudato e della sua bocca che da troppo tempo non vedeva del dentifricio -'Come ha fatto Manuel a baciarmi in queste condizioni?', si chiese, pieno di vergogna-, tutte cose che gli ricordavano quanto avesse bisogno di lavarsi e quanto desiderasse sentirsi pulito, soprattutto di fronte all'impegno che Manuel ci aveva messo a farsi bello -più bello- per lui.

Eppure, tutto ciò passava in secondo piano di fronte al ricordo di quella doccia in mezzo allo sfascio, così vivo da sembrargli il presente.

"Eccoci qua, oggi te tocca pasta al sugo, petto de pollo e insalata. Beh, poteva andarte peggio…"

Esclamò Manuel, allegro, mentre entrava in camera con il pranzo di Simone su un vassoio. Il suo sorriso però si spense quando vide che il suo ragazzo aveva un'espressione corrucciata. Si affrettò ad avvicinarsi a lui, a posare il vassoio sul tavolino e a fargli una carezza sulla guancia.

"Hey, Simo, tutto bene?"

Chiese con dolcezza, guardandolo apprensivo. Simone sollevò lo sguardo verso il suo e annuì, per non farlo preoccupare ulteriormente.

"Sì, scusami, stavo solo pensando…"

"Eh, pensi sempre, te…"

Mormorò Manuel, dandogli un bacio sulla fronte sperando che quel piccolo gesto potesse aiutarlo ad alleggerirgli la testa.

"A che pensi, mh?"

Aggiunse con la stessa dolcezza, passandogli una mano tra i capelli, sulla nuca.

Una vocina nella testa di Simone gli impose di scostarsi, che era troppo sporco per lasciarsi accarezzare, ma lui aveva bisogno di quelle attenzioni, di quelle carezze leggere che lo facevano sentire amato e protetto, per cui non si mosse.

"Pensavo al fatto che non mi hai ancora risposto. Non mi hai detto come stai."

Mentì, ma in fondo non era una vera e propria bugia, gli interessava davvero sapere come stesse il suo ragazzo.

Manuel intuì che c'era qualcosa di più dietro quegli occhi pensierosi, ma per il momento si limitò a sorridere e a sistemare il pranzo sul tavolino pieghevole, in modo che Simone potesse mangiare.

"Sto bene, Simo, sto davvero bene. Raccontare tutte quelle cose su Sbarra a Domenico, cioè all'ispettore Liguori, quello che ti ha portato via dallo sfascio, è stato liberatorio. Quello stronzo de Sbarra avrà ciò che si merita."

Simone sorrise, sentendosi più libero anche lui, e con un gesto della mano chiese a Manuel di sedersi accanto a lui.

"Quindi è…tutto finito? Possiamo stare tranquilli?"

Domandò forse con troppa ingenuità, mentre Manuel si sistemava sul letto e gli cingeva il busto con un braccio, dandogli subito un bacio tra i capelli.

"No, non è ancora tutto finito, ma Sbarra è in custodia da ieri. Dopo che ti hanno portato via da lì, con la scusa dell'incendio, è arrivata la polizia. Avrei voluto vede' la faccia de quel pezzo de fango…"

Rispose Manuel sogghignando e Simone annuì in accordo con lui, mentre cominciava a mangiare.

"A proposito, mi è stato detto che l'idea dell'incendio è stata tua, complimenti."

"Eh sì, lo so, sono un genio."

Disse sarcastico, facendo ridacchiare Simone. Anche lui si lasciò andare ad una risatina, ma più trattenuta.

"Scherzi a parte, Simo', sono solo felice che abbia funzionato. Anzi, avrei dovuto pensarce prima…"

Aggiunse con rammarico e Simone, che non voleva vederlo intristirsi, gli diede una leggera spallata.

"Non incominciare, è andato tutto per il meglio e va bene così. Senza la tua idea geniale, probabilmente a quest'ora non sarei stato qui, pensa a questo."

Manuel sospirò e lo strinse un po' di più a sé, dandogli un altro bacio tra i capelli. Doveva pensare al presente, Simone aveva ragione.

"Per fortuna che ce sei, Simo', per fortuna che ce sei…"

Sussurrò tra i suoi ricci, poi si voltò a guardare il suo pranzo.

"Allora? Com'è? Mangiabile?"

Simone annuì a bocca piena, mentre masticava. Era buono per essere cibo da ospedale, o forse era semplicemente lui che moriva di fame e avrebbe mangiato anche i sassi.

"Non è male, sai? A proposito, tu non mangi? Ne vuoi un po'?"

Manuel scosse il capo, accennando un sorriso.

"No, tranquillo, io c'ho questo."

E così dicendo prese una busta di carta che aveva poggiato sul vassoio insieme al pranzo di Simone e l'aprì, rivelando al suo interno un bel panino con la mortadella. Simone fece un fischio, ammirato.

"Ah però, ci credo che non vuoi la pasta. Da dove esce questa meraviglia?"

Chiese divertito e Manuel ridacchiò.

"Esce direttamente dalla mensa dei medici, me l'ha dato il dottor Spaventapasseri insieme al tuo pranzo. Purtroppo m'ha detto espressamente de non pote' fa' a cambio con te, altrimenti figurati, te lo facevo mangiare…"

Sbuffò, dando subito dopo il primo morso al panino.

"Che guastafeste."

Aggiunse e Simone, che già stava ridendo per il soprannome che ormai Manuel aveva scelto ufficialmente per il povero Riccardo, rise ancora di più per l'espressione da bambino contrariato che il suo ragazzo aveva assunto. Anche lui ridacchiò, contagiato dall'allegria dell'altro.

"Povero Riccardo, fa solo il suo lavoro. Guarda che ci sono medici molto più stronzi, eh…"

Manuel annuì, perché in fin dei conti Simone aveva ragione e lui ne era consapevole. Era soltanto un po' geloso, però.

"Sì, in fondo in fondo non è tanto male. M'ha pure detto che posso restare qui quanto me pare, te lo sapevi?"

Simone annuì, smettendo di masticare per un istante. Si chiese se Riccardo gli avesse detto anche di ciò che gli infermieri gli avevano senz'altro riferito.

"Me l'ha detto stamattina, sì. Quindi ci hai parlato?"

Manuel annuì, iniziando ad accarezzargli un fianco. Non gli era sfuggita quella sua esitazione.

"Sì, prima, appena so' arrivato. Sinceramente non mi aspettavo nemmeno de trovarlo qua, pensavo fosse andato a casa dopo er turno de notte."

"Mh…e ti ha detto altro, per caso?"

Chiese Simone, con gli occhi fissi nel proprio piatto. Manuel accennò un sorriso, comprensivo.

"Perché, secondo te me doveva di' qualcos'altro?"

Simone fece spallucce, riprendendo a mangiare.

"Non lo so, dicevo così per dire…"

Manuel annuì piano, preferendo lasciar correre per il momento. Non era il caso di mettergli pressione, specie adesso che stava mangiando. Meglio spostare la conversazione su altro e ricordare a Simone cose più leggere, più piacevoli.

"Beh, a dire il vero mi ha detto anche che posso darti la mia sorpresa, appena finisci qui la vado a prende."

Simone accennò un sorriso, apprezzando con tutto il cuore la delicatezza di Manuel. Era chiaro che sapesse tutto, ma gli era grato di non aver insistito, di rispettare i suoi spazi, i suoi tempi, come faceva sempre.

"Non mi puoi dire cos'è, prima? Guarda che piattone che c'ho!"

Manuel scosse il capo in risposta, ridacchiando.

"Oh, certo che te c'hai un'avversione per le sorprese! E prima la nostra serata speciale e mo’ questa…ma lasciati sorprendere, pe' 'na volta, Simo'!"

"Quella potresti rivelarmela, però, tanto ormai è andata, no?"

Replicò con una punta di malinconia nella voce, solo una minima parte di quella che realmente sentiva nel cuore.

Manuel roteò gli occhi, poi lo guardò furbescamente. La loro serata speciale non era andata manco per il cazzo.

"E 'sta cazzata chi te l'ha detta? Anzi, mo’ c'è anche una cosa in più da festeggia', te pare er caso de lascia' perdere?"

Simone si voltò a guardarlo, sinceramente stupito dalla cosa. Dopo tutto quel casino, e con il loro mesiversario che ormai era ampiamente passato, credeva che anche i festeggiamenti fossero stati messi da parte. Stupido lui, che non seguiva i suoi stessi consigli e non guardava al presente.

"Davvero, Manuel? Sei serio?"

"Eh, te pare che vengo a dirti palle proprio su questo? Devo cambia' qualcosa, ma ce sto già pensando. Te l'ho detto, sono un genio."

Rispose Manuel con sicurezza, mettendo su quel sorriso spavaldo che faceva girare la testa a mezza scuola, ma che adesso era solo per Simone e così sarebbe sempre stato. Dietro quel sorriso, nei suoi occhi, c'era un'infinità d'amore, lo stesso amore che spinse Simone a lasciar perdere il cibo e ad avvolgere Manuel tra le braccia, ridendo di pura gioia.

"Sì, lo sei davvero. Grazie, grazie, grazie."

Mormorò, lasciandogli più di un bacio sulla spalla, dove riusciva ad arrivare. Manuel portò una mano tra i suoi capelli, affettuoso.

“La smetti de ringraziarme? C’è sempre la possibilità che la mia sorpresa te faccia schifo, ti ricordo…”

Prima che Simone potesse obiettare, però, gli indicò il pranzo che aveva lasciato sul tavolino.

“Su, mo’ finisci lì, altrimenti se fredda e non se lo magnano manco i cani.”

Spostò l’indice verso di lui, come a volergli dare un avvertimento.

“Oh, guarda che se non mangi tutto, non ti porto la sorpresa! La lascio al Dottor Bonvegna…”

Simone scosse il capo, senza smettere di sorridere, e si voltò per riprendere a mangiare.

“Agli ordini!”

Manuel si allontanò quando a Simone mancavano soltanto pochi bocconi di pollo e andò a recuperare il gelato nella saletta degli specializzandi, come gli era stato indicato da Riccardo. Aprì la confezione per accertarsi che nessuno lo avesse toccato e, piacevolmente stupito della cosa, la richiuse e tornò nella stanza numero quindici trasportando quella vaschetta come se fosse stata un tesoro, già immaginando l’espressione felice e sorpresa di Simone. Poco prima di entrare, però, cambiò idea e nascose la vaschetta dietro la schiena.

“Eccoci qua! Chiudi gli occhi, Simo’!”

“No, dai, fammi vedere!”

Protestò l’altro, sporgendosi per cercare di capire cosa Manuel gli stesse tenendo nascosto.

“Eddai, fidate! Prima de vede’, devi assaggia’!”

Simone sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia, incuriosito. Era qualcosa da mangiare, quindi.

“Non è che mi stai facendo uno scherzo ed è una roba disgustosa? Tipo non so, broccoli bolliti?”

Manuel alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo.

“Simo’, te forse i broccoli bolliti ce li hai al posto del cervello. Facciamo così, se è una cosa che non ti piace, me la rovesci in testa, mh? Mo’ però lasciame fa’, testone.”
Simone lo fissò per qualche altro secondo, poi fece una risatina e si decise a chiudere gli occhi, più rilassato. Se Manuel era tanto sicuro di sé, non poteva che essere una bella sorpresa…non che avesse mai avuto un reale dubbio su questo, in fin dei conti.

“Oh, bravo! Mo’ aspetta n’attimo, eh.”

Esclamò soddisfatto Manuel, avvicinandosi a fargli una carezza. Poggiò la vaschetta sul tavolino, la aprì e recuperò dallo zaino i cucchiaini e i bicchieri che aveva portato da casa.

“Tieni ancora gli occhi chiusi e apri la bocca, per favore.”

“Mi sto fidando, eh.”

Mormorò Simone prima di dischiudere le labbra, in attesa della mossa di Manuel.

Quelle labbra leggermente dischiuse, per Manuel, erano un invito fin troppo allettante a posarvi un bacio, ma preferì resistere alla tentazione –almeno per il momento- e far assaggiare il gelato a Simone.

Non appena il sapore freddo e dolce della fragola si posò sulla sua lingua, Simone si sciolse in un meraviglioso sorriso, degno di un bambino goloso.

“Ma è gelato!”

Esclamò, sgranando gli occhi pieni di stupore. Manuel ridacchiò, trovandolo a dir poco tenerissimo.

“Eh sì, è gelato. Te piace o me lo vuoi rovescia’ in testa?”

Domandò retoricamente, mentre Simone posava lo sguardo sulla vaschetta e si leccava istintivamente le labbra.

“Mi piace e voglio che lo mangi insieme a me!”

Rispose tornando a guardarlo, poi si sporse a dargli un bacio sulla guancia.

“È una sorpresa bellissima e non ti dico altro soltanto perché poi fai storie.”

Nei suoi occhi, però, c’era tutta la gratitudine che Manuel meritava di ricevere per il modo in cui non smetteva mai di prendersi cura di lui, quindi non c’era bisogno di parole superflue per ringraziarlo.

Manuel arrossì teneramente, travolto da quella gratitudine, che ricambiò con un dolce sorriso.

“I tuoi occhi parlano per te, però, lo sai?”

Intanto si mise a riempire i due bicchieri dei tre gusti di gelato che aveva comprato, fragola, cocco e limone: erano sapori che gli ricordavano l’estate che ormai li circondava e che voleva entrasse anche in quella stanza d’ospedale. Voleva che Simone sentisse l’estate.

“Ti do una notizia, Manuel, anche i tuoi occhi chiacchierano un sacco.”

Replicò l’altro, prendendo un bicchiere che il fidanzato gli porgeva e cominciando ad ispezionarne incuriosito il contenuto. Il gelato rosso era sicuramente quello alla fragola, che già aveva assaggiato, quello giallo era senza dubbio al limone, ne sentiva distintamente l’odore, mentre il terzo, bianco, aveva il profumo del cocco.

“Chiacchierano solo con i tuoi, per gli altri parlano una lingua incomprensibile.”

Manuel non pronunciò quella frase con malinconia o con tristezza, per lui era semplicemente un dato di fatto e gli andava più che bene così. Erano in pochi quelli che avevano provato a guardarlo negli occhi e quei pochi, ad eccezione di Simone, non erano riusciti a capirlo. In fondo, comunque, neanche a lui interessava chissà quanto parlare con gli occhi degli altri, non da quando aveva incrociato quelli di Simone.

Gli stessi occhi che, adesso, avevano smesso di guardare il gelato e guardavano lui, preoccupati.

“Dai Manuel, non dire così, non sono mica l’unico che ti capisce. C’è tua madre, c’è Chicca, c’è perfino mio padre! Forse anche Alice, no?”

Simone pronunciò quell’ultimo nome quasi con disgusto, ma da quanto ne sapeva era stata una storia importante per Manuel e si augurava che, almeno, quella donna lo avesse trattato come meritava.

Manuel scosse il capo, ridacchiando.

“No Simo’, te dico che sei l’unico.”
Così dicendo si mise seduto accanto a lui, su quel letto che sembrava troppo piccolo per ospitare due persone ma che magicamente diventava grande abbastanza per entrambi. Forse perché, in fin dei conti, loro erano un’unica cosa.

“Tanto per cominciare, mia madre me vuole un bene dell’anima, su questo nun ce piove, e su certe cose me capisce pure troppo, ma sono io che ogni volta devo aprirmi con lei, che le devo parlare. Non mi capisce solo con gli occhi, come fai tu.”

Fece spallucce e mandò giù un po’ di gelato, trovandolo veramente buono. Valeva decisamente i soldi che aveva speso.

“La stessa cosa vale per tuo padre, che però, a differenza de altri, almeno c’ha provato a capire cosa mi passasse per la testa, di questo lo devo ringraziare. Con Chicca, poi, ce vedevamo, ma nun ce guardavamo. Capisci la differenza?”

Simone annuì lentamente, mandando giù un cucchiaio di gelato al limone. Era la stessa differenza che c’era tra lui e Laura e tra lui e Manuel.

“Vedere è superficiale, guardare è profondo. Si vede con gli occhi e si guarda con il cuore…”

Rispose con timidezza, temendo di risultare un po’ troppo smielato, ma non sapeva come altro spiegare a parole quel complesso meccanismo di emozioni e sensazioni, che eppure diventava semplice quando lo si viveva.

Manuel allungò una mano ad arruffargli i capelli, sorridente, e Simone ricambiò il sorriso.

“Io te l’ho detto che me stai a diventa’ filosofo! Però sì, è come dici tu, niente de più e niente de meno.”

Fece un profondo respiro.

“E così arriviamo ad Alice. Lei non ha nemmeno mai fatto lo sforzo de guardamme, guardamme per davvero dico, come se dovrebbe fa’ con una persona non dico che ami, ma a cui almeno vuoi un minimo de bene. E dire che io le morivo dietro come un cagnolino…che coglione!”

“Beh dai…eri innamorato di lei, è comprensibile.”

Provò a rincuorarlo Simone, anche se il suo stomaco si contrasse in una fitta di gelosia e di disgusto ad associare quel sentimento a Manuel ed Alice, perché lei decisamente non se lo meritava.

Manuel però scosse il capo e con quel gesto scacciò via anche la gelosia.

“No Simo’, macché innamorato, al massimo ero arrapato!”

Ridacchiò di se stesso, sbattendo un paio di volte il cucchiaino nel bicchiere, prendendosela con il gelato per la propria stupidità.

“Me piaceva l’idea de ave’ conquistato una più grande, me faceva senti’ adulto, ma era tutta una cazzata. Claudio mi ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere in questi giorni, sai?”

“Che cosa?”

Domandò Simone, incuriosito, e ancora una volta fu grato a Claudio per essersi preso cura di Manuel mentre lui non poteva.

“Mi ha detto che non c’è niente di male a vivere la propria età, ad essere un ragazzino, e c’ha ragione da vendere. Ho capito che cento giorni da grande…”

Sottolineò la parola facendo le virgolette con le dita.

“…con Alice non valgono un solo giorno, da pischello, con te. Ed è questo che voglio, Simo’, voglio fare il ragazzino con te e poi voglio crescere, sì, ma piano piano e…sempre con te.”

Gli occhi di Manuel, fissi in quelli di Simone, tremavano appassionati, mentre la sua voce era ferma e sicura, decisa.

“Tu che dici?”

Simone si sporse verso di lui, ruotando leggermente il busto, con la stessa passione negli occhi.

“Dico che vengo con te. Sempre.”

Sussurrò a poca distanza dalle sue labbra, prima di attirarlo in un bacio fresco, al sapore d’estate.

"Proprio sempre sempre? Sicuro?"

Sussurrò Manuel sulla bocca dell'altro, con un sorriso appena accennato.

Simone sorrise a sua volta e annuì, facendo accarezzare i loro nasi.

"Sono sicuro, Manuel. Anche tu sei l'unico che mi capisce veramente e io non voglio attraversare questa vita con nessun altro. Voglio crescere con te, piano piano come hai detto tu, mano nella mano. Me lo puoi chiedere altre mille volte e io ti risponderò allo stesso modo, sempre."

Gli diede un bacio sulla punta del naso.

"Sempre."

Ripeté, poggiando la fronte sulla sua, per sentire meglio i pensieri che gli vorticavano in testa: li sentiva sussurrare a Manuel di non essere degno d'amore, di essere rotto, sbagliato, e che non meritava altro che restare da solo. Simone aveva vissuto sulla propria pelle quelle voci che sembravano non voler smettere mai di parlare, finché non era arrivato Manuel a metterle a tacere. Ora avrebbe fatto la stessa cosa per lui ed era davvero disposto a ripetergli centinaia e migliaia di volte che non l'avrebbe lasciato come avevano fatto Alice e Chicca, se era questo ciò di cui aveva bisogno.

"Quanta pazienza che hai con me, Simo'. Te faranno Santo, un giorno."

Manuel sapeva di esagerare con quel suo continuo bisogno di rassicurazioni, di conferme e sapeva che chiunque altro si sarebbe già stancato di quella sua insicurezza da bambino, ma non Simone. Lui quelle debolezze le capiva, erano crepe che riempiva con il suo amore, infinitamente paziente.

"Non è pazienza, è amore. Io mi prendo cura di te e tu ti prendi cura di me, funziona così."

Replicò allegro Simone, dandogli un bacio sull'arco di Cupido prima di tornare a mangiare il gelato. Manuel sorrise dolcemente, imitandolo.

"Quindi se io adesso volessi ringraziarti per la pazienza, non potrei farlo, giusto?"

Chiese con una punta di malizia, guardandolo di sottecchi. Simone ricambiò lo sguardo, facendo una risatina.

"No, infatti, non c'è bisogno che mi ringrazi. Però una cosa che puoi fare per me, c'è."

Manuel fece un cenno di assenso, avrebbe fatto qualsiasi cosa. I baci che aveva in programma di dargli, per ringraziarlo, li avrebbe conservati per un altro momento.

"Stamattina, prima che te ne andassi, ti ho chiesto di riposarti un po' e sono sicuro che tu non l'abbia fatto. Mi sbaglio?"

"Mi dichiaro colpevole, però a casa mo’ nun ce torno!"

Era deciso, Manuel, a restare lì con Simone ora che poteva. Simone, dal canto suo, non aveva certo intenzione di cacciarlo.

"Non ti stavo mica mandando a casa! Però potresti usare quel letto lì…"

Indicò con il cucchiaino l'altro letto presente nella stanza, che era vuoto, prima di tornare a riempirlo di gelato e portarselo alla bocca.

"Se ti ci appoggi per un'oretta o due, non credo ti diranno qualcosa. Al massimo chiediamo il permesso…"

Manuel si sporse ad osservare il letto per qualche secondo, poi scosse il capo e tornò a guardare Simone.

"No, là non ci dormo. È scomodo."

Sentenziò, accompagnando la sua affermazione con un boccone di gelato. Simone sospirò.

"Ma no, è uguale al mio e ti assicuro che è comodissimo!"

Manuel scosse il capo, accennando un sorriso.

"Il tuo è comodo, quello no."

Gli rivolse uno sguardo eloquente, che Simone non fece fatica ad interpretare.

Bastò giusto il tempo di finire il gelato e di andare a posare quello restante per far farli accoccolare uno accanto all'altro: Manuel, disteso su un fianco, avvolgeva Simone con un braccio senza lasciare spazio tra i loro corpi e Simone ricambiava l'abbraccio come poteva, poggiando la propria mano sul braccio dell'altro ragazzo.

Così, uniti, stavano bene.
 
   
 
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