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Autore: LondonRiver16    22/05/2022    0 recensioni
“Ho solo cercato di proteggere delle vite innocenti, quel giorno” fremetti, ancora nudo dalla cintola in su, ancora scosso per una punizione che ormai mi era entrata sottopelle e sarebbe sempre stata parte di me. “Un amore.”
La sua esitazione durò solo un battito di ciglia.
“Erano le vite sbagliate. Un amore sbagliato” decretò lapidario. “Tu fai parte di una famiglia privilegiata, Arlen. Questo comporta sacrifici. Comporta non poter scegliere chi amare. Ti rendi conto di quanto sia grave ciò che è successo? Questo tipo di scosse politiche può risolversi in un’onda come in un maremoto. Se vogliamo che l’Accademia e assieme a lei l’intero Continente rimanga stabile, questi errori da principianti non possono e non devono essere commessi. Un abbaglio può costarci ogni cosa.”
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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V. Re e regina



Le stalle della tenuta, che accoglievano i viziati destrieri privati della famiglia del fondatore dell’Accademia e quelli dei maestri d’armi, erano buie e deserte a quell’ora della sera.

Sicuro delle informazioni in suo possesso, Devin entrò dal portone principale senza farsi alcuno scrupolo, ma fu ben attento a chiuderselo alle spalle senza produrre il minimo rumore.

Senza fretta, lasciò che i suoi occhi si abituassero al buio per poi rimanere a osservare per qualche secondo gli alloggiamenti dei cavalli, che si susseguivano lungo le due pareti della struttura, alternati a stretti depositi di fieno da dove gli stallieri erano soliti attingere per nutrire gli animali.

Si avviò lentamente sul sentiero sporco di terra e paglia che divideva una sezione dall’altra, sempre vigile onde evitare qualsiasi movimento che potesse svegliare i cavalli o innervosirli fino a spingerli a nitrire. Tuttavia non seppe resistere ad avvicinarsi al suo baio, alloggiato nello scomparto immediatamente precedente a quello di Kenneth, e, trovandolo sveglio, gli accarezzò il muso.

Bravo, bello. Silenzio, mi raccomando. Non essere tu a rovinarmi la serata.”

Una volta ripreso il prudente cammino, Devin si guardò attorno nel buio alla ricerca della sagoma di Martha, finché non la scorse e provò l’abituale tuffo al cuore.

Vestiva un lungo abito cucito assieme con stoffa di scarto e si era dimenticata di sfilarsi il grembiule usato in cucina prima di raggiungere il luogo dell’appuntamento. Gli dava le spalle e, sorreggendo una candela con la mano sinistra mentre era intenta ad accarezzare il manto di uno splendido puledro nero con l’altra, non si era ancora accorta del ragazzo che la contemplava a pochi passi di distanza.

Ammirare una persona che non sa di essere guardata e perciò si comporta nel modo più spontaneo possibile è molto più piacevole che scoprire di essere osservati, eppure Devin si turbò nel rendersi conto di quanto lo emozionava contemplarla.

Non era solo il suo corpo ad attirarlo. Il modo in cui si spostava le ciocche bionde dalla fronte e sorrideva al puledrino, carezzandone l’addome gonfio con la tenerezza e l’attenzione di una madre, il suo volto dolce illuminato dalla luce della candela…

Devin si scosse, turbato da tali pensieri, poi sorrise con affetto alla schiena di Martha, respirando profondamente.

Pensa solo a farla felice, si disse. Falla felice questa notte e sii felice anche tu, perché domani non è altro che una coltre d’incertezza.

Quindi non resistette ad avvicinarsi di soppiatto per posarle le mani sui fianchi, facendola trasalire mentre qualche goccia di cera calda cadeva sulla paglia, facendola sfrigolare.

“Non ricordavo che soffrissi il solletico” commentò Devin con una punta d’ironia, mentre lei si voltava di scatto.

Mi hai spaventata” si giustificò, corrucciata, per poi abbassare lo sguardo e arrossire.

Devin le posò due dita sotto il mento per incoraggiarla a guardarlo negli occhi. Le fece scivolare una mano sulla nuca e, serrando forte le palpebre per l’emozione di riaverla accanto, le baciò la fronte.

Il sollievo del sorriso di lei lo intenerì a tal punto che si ripromise di farle trascorrere la notte più dolce della sua vita. Dalla fronte scese a baciarle una tempia, una guancia, il collo, poi risalì per percorrere la linea delle sue labbra inumidite.

Accennò un sorriso e continuò a baciarla mentre con le mani le scendeva lungo la schiena, cercando il laccio che le stringeva l’abito in vita. Accortasene, lei lo bloccò, afferrandogli i polsi, e lo guardò ansimando, rossa in viso.

Troppa premura? Perdonami” mormorò Devin, baciandole teneramente un lobo.

No, è solo che… mi sento osservata” spiegò lei, accennando ai cavalli con una mezza risata.

Oh, capisco” sghignazzò Devin, per poi chinarsi e sollevarla fra le braccia senza preavviso. “Allora tenete ben alta la vostra lanterna, mia signora, vi guiderò in un posticino più appartato.”

Sentendolo darle del voi lei s’irrigidì, ma Devin intervenne sussurrandole all’orecchio: “Smettila di vedermi come il figlio del padrone. Smettila. Durante la notte siamo re e regina e dettiamo legge.”

Lei, che non era mai riuscita del tutto a vederlo come un suo pari, a quelle parole si rilassò. Lieto del risultato, Devin la condusse in fondo al lunghissimo percorso interno alle stalle per poi virare a sinistra quando il lume della candela illuminò il primo scalino di una ripida scaletta di legno seminascosta dai vari utensili accatastati. Quindi prese a salire, proteggendo la testa di Martha con la propria in modo da essere il primo a toccare la botola che lo attendeva in cima e che non tardò a sorprenderlo.

Quando ebbe superato il portello e raggiunto il piano superiore, condusse la ragazza lontano dai gradini e lasciò che si acclimatasse. Il soffitto era molto basso e non c’era che qualche minuscola fessura nelle pareti di pietra per far circolare l’aria, ma era un nascondiglio perfetto, provvisto di coperte e cuscini nell’angolo più lontano.

Martha si guardò attorno per abituare gli occhi alla semi oscurità, per poi tornare a fissarlo con un sopracciglio alzato e una smorfia allegra sul viso.

A volte dubito che io sia l’unica ragazza che porti quassù” lo prese in giro.

Devin scosse la testa dinnanzi allo scherzo.

“Sei la sola a cui mostro i miei rifugi. Ormai dovresti saperlo.”

Mentre le baciava e mordicchiava il collo e godeva dell’accelerazione del suo respiro, le prese la candela dalle mani per posarla oltre il letto di paglia e coperte dove la lasciò adagiare, stendendosi a sua volta senza mai lasciare l’eccitazione di quelle iridi verdi.

Cominciò a spogliarla, costringendosi a essere un amante delicato nonostante la frenesia e il bisogno di averla che i suoi primi gemiti gli avevano incollato addosso. Una volta gettati da un lato sia l’abito che una logora sottoveste, si alzò per liberarsi dei vestiti a sua volta, ma Martha lo afferrò per un braccio e lo tirò di nuovo a terra, accanto a sé.

No” sorrise, determinata. “Lascia, faccio io.”

Colto alla sprovvista, Devin assentì.

Lei si sedette sulle sue gambe, gli slacciò la camicia e lo aiutò a disfarsene per poi passare ad armeggiare con le funicelle di pelle che gli tenevano chiusi i pantaloni. Dedicò solo una carezza leggera e un bacio delicato al graffio che spiccava netto sulla guancia del ragazzo, poi riprese a ignorarlo, guadagnandosi altra riconoscenza da parte di Devin.

Presto, molto presto, il ragazzo non seppe più trattenere l’impazienza e ribaltò le posizioni, gettò i calzoni da un lato e con uno scatto si ritrovò sopra Martha. Presto, molto presto, tutto ciò che accadde dopo divenne troppo trascinante perché i due amanti ricordassero che dovevano essere prudenti e non fare rumore.

Alla fine, l’orgasmo li colse entrambi impreparati. Il grido di piacere di Martha risuonò nell’aria, echeggiando nelle stalle vuote e spaventando i cavalli al piano inferiore.


Solo nei campi che abbracciavano l’Accademia, mi fermai di colpo quando udii quell’urlo e subito mi voltai verso le stalle, da dove mi pareva che il rumore fosse arrivato.

Avevo cercato Devin in lungo e in largo per più di un’ora, perlustrando ogni edificio della cittadella diffusa dove mi fosse permesso entrare e arrivando persino a entrare all’interno dei confini della città per chiedere a ogni cavaliere o apprendista che conosceva mio fratello anche solo di vista se lo avessero visto passare di lì, ma non avevo ottenuto il benché minimo risultato.

Ora vagavo per i campi, lontano un miglio da casa, deluso dall’inutilità delle ricerche nonostante mi fossi aspettato un esito così sconfortante. Dopotutto mio fratello sapeva dimostrarsi più orgoglioso di nostro padre quando sapeva di essere stato trattato ingiustamente. Non sarebbe stata la prima volta che decideva di trascorrere qualche giorno ad allenarsi in montagna in solitudine per sbollire la rabbia e, se davvero si era arrampicato lungo quei sentieri impervi e conosciuti solo a pochi, non aveva senso seguirlo se non per rincorrere la morte in uno dei numerosi dirupi che si nascondevano fra gli alberi.

Più scoraggiato che mai, avevo appena deciso di tornare a casa quando quel grido era risuonato, attirandomi di corsa fino alla porta di servizio sul retro delle stalle.

A quest’ora dovrebbero essere vuote, riflettei, spingendo la porta. Speriamo che nessuno si sia fatto male.

Entrai senza indugio, per poi percorrere le stalle per tutta la loro lunghezza, controllando che i cavalli stessero bene e che nessuno si trovasse nei loro alloggi. Notandoli irrequieti mi convinsi definitivamente che non ero stato l’unico a sentir urlare. Dopodiché proseguii fino a raggiungere l’unico, sgangherato assembramento di scalini che permetteva di raggiungere il piano superiore della costruzione, che sapevo essere inutilizzato.

Aguzzai l’udito e rimasi in attesa per parecchi secondi, lasciando che il silenzio s’insinuasse in me al punto da gelarmi le ossa. Fu allora che mi parve di udire delle voci, dei bisbiglii che non avrebbero mai potuto confondersi con lo sbuffare spazientito dei cavalli.

Percorsi la gradinata di corsa per poi spingere con decisione la botola che il mio braccio teso incontrò in cima, deciso a dare una buona tirata d’orecchi ai ragazzini che, come molti altri loro coetanei in precedenza, si dovevano essere nascosti lassù per organizzare chissà quale burla. Una volta posati i piedi sul pavimento della mansarda, mi affrettai a cercare con lo sguardo i clandestini.

Giacevano in un angolo su un mucchio di coperte lacere e da quel che potevo scorgere da quella distanza non indossavano nulla, sdraiati l’uno accanto all’altro a scambiarsi effusioni.

Stavo per redarguirli e intimare loro che cambiassero luogo, ma improvvisamente il ragazzo si accorse della mia presenza e saltò in piedi per proteggere il corpo della ragazza dalla mia vista, imprecando ad alta voce.

Il misero lume di un mozzicone di candela posato a terra gli rischiarò il volto e il corpo mentre mi avvicinavo di qualche passo, fino ad averlo ad appena cinque o sei metri da me. Fu allora che mi bloccai.

Un corpo atletico, sudato e sussultante. Capelli castani che gli scendevano poco oltre i lobi delle orecchie, scompigliati dalle carezze dell’amante. Segni di baci vogliosi tra il collo e le clavicole, un viso affilato e arrossato. Occhi cobalto.

“Devin! Cosa diavolo stai…?”

Tentai di avvicinarmi, ma mio fratello mi bloccò alzando una mano a mezz’aria. Lo sguardo che mi rivolse fu astioso e ci vidi riflesso l’odio e il disagio che doveva aver provato quella stessa mattina, quando nostro padre lo aveva accusato e colpito ingiustamente, spingendolo a scappare.

Credetti di comprendere all’istante. Un atto di ribellione, ecco che cos’era quello a cui stavo assistendo. Nient’altro che un divieto infranto per ripicca, lo sberleffo di un bambino a cui viene negato l’affetto, il silenzio di un adolescente che non vuole più ascoltare, la collera di un uomo che non riesce a comprendere perché.

Non ti avvicinare” mi sibilò contro. “Abbi almeno la decenza di voltarti, si deve rivestire.”

Dopo aver esitato un attimo, obbedii, rincuorato dal fatto che il buio coprisse il rossore del mio viso accaldato. Ma non potei fare a meno di continuare ad ascoltare i loro mormorii, la voce di Devin che suonava così diversa rispetto al solito, così calda e confortante mentre tentava di consolare la ragazza, di soffocare i suoi singhiozzi con un bacio.

Come facciamo adesso?” la udii piangere fra i fruscii delle vesti infilate in fretta.

Non ti preoccupare… Martha, non ti preoccupare. È mio fratello, stai tranquilla.”

Martha. Non avevo avuto l’ardire di osservarla abbastanza a lungo da riconoscerla, dato lo stato in cui era.

Lo dirà a vostro padre… ti puniranno, mi cacceranno! Devin, non dovevamo… non avremmo mai dovuto…”

Il suo tono acuto, disperato, mi tose il respiro fino a farmi sentire il vero colpevole della situazione. Non potevo che rimanere in silenzio, odioso terzo incomodo qual ero sempre stato. Immaginai Devin mentre le prendeva il viso tra le mani e la baciava a lungo, mentre il silenzio dietro di me diveniva assordante e i singulti venivano messi a tacere con un’urgenza angosciante.

Ancora un bisbiglio, le parole ben scandite di Devin.

“Non succederà niente di tutto questo. Devi fidarti di me quando ti giuro che non ti accadrà nulla di male. Non lascerò che ti si avvicinino. Abbi fede in me, ti prego.”

Tuo padre…” La voce rotta dal pianto della ragazza mi fece salire un nodo in gola. “Se lo viene a sapere… che cosa succederà, Devin? Tu sei un signore…”

Forse a quel punto Devin le accarezzò le labbra con un dito per farla quietare: “Siamo re e regina, ti ho detto. Credi in me, credi nel tuo re?”

S-sì…”

Allora tranquillizzati e ascoltami: andrà tutto bene. Ritorna alle cucine senza farti vedere, mia regina. Non cercarmi, ma sappi che non tarderò. Mi sei indispensabile, ora più che mai. Andrà tutto bene.”

Con gli occhi chiusi, perché all’improvviso mi sentivo un estraneo con nessun diritto di essere lì ad ascoltare quei discorsi, sentii i passi leggeri della fanciulla sorpassarmi, raggiungere la botola, percorrere la scalinata, sbattere la porta di servizio delle stalle e abbandonarmi a mio fratello.

Mi voltai e lo osservai mentre si rivestiva, sentendomi a disagio al posto suo.

Coraggio, Arlen” mi incitò lui, stringendosi i pantaloni attorno ai fianchi senza degnarmi di un’occhiata. “Non vorrai perderti una così succulenta occasione per rimproverarmi, vero? Sarebbe deludente per entrambi.”

Deglutii, colpito dalla sua calma, sorprendente anche se solo apparente, prima di lanciarmi.

Perché hai fatto una cosa del genere?”

Ha parecchi effetti positivi sull’umore, pare. Sai, mi ci voleva una boccata d’aria.”

Lo hai fatto a causa di nostro padre, non è vero? Sei stato arrabbiato tutto il giorno e poi hai pensato che forse stare con una ragazza avrebbe risolto parte dei tuoi problemi. Che ti avrebbe alleggerito la mente. Devin, è stato un passo avventato, visto chi sei e cosa rappresenti. Per non parlare dei tuoi precedenti con Martha.”

Finalmente incrociò il mio sguardo per rivolgermi un sorriso amaro, senza fondamento.

“Non hai capito, Arlen. Io e Martha non abbiamo mai smesso di frequentarci.”

Il mio cuore mancò un battito.

Come?”

“Mi hai sentito. Per quanto possa stupire i tuoi nobili sentimenti e il tuo ferreo attaccamento alle regole, non ci siamo mai separati. Per quanto riguarda questo,” precisò, indicando con le braccia l’ammasso di coltri sul quale avevano appena finito di fare l’amore, “abbiamo scoperto un paio di anni fa quanto possa essere piacevole. Ora, sappi che non ti giudicherò se andrai a dire a nostro padre ciò che ho fatto. So quanto sia forte il tuo senso del dovere, non ti chiedo di soffocarlo per me. Ma se solo oserai accennare a Martha, ti uccido” decretò, gelido, mentre i suoi occhi mi trapassavano da parte a parte. “Se proprio devi, inventati qualcosa su una prostituta senza nome. Usa la fantasia, d’accordo? E dai il meglio di te, dato che sarà il motivo per cui nostro padre mi metterà in isolamento per settimane.”

“Non ce ne sarà bisogno” replicai, sicuro che ne sarebbe stato in grado. “Non dirò nulla. Non sono la carogna che credi.”

Se ne fu sorpreso, non lo diede a vedere. A ripensarci ora, doveva sapere che avrei reagito in quel modo. Doveva avere qualche indizio sulla bontà della mia natura, oppure, strafottenza congenita o meno, a quell’ora avrebbe mostrato almeno un briciolo di angoscia in più all’idea di affrontare nostro padre a fronte della scoperta di un segreto così grande.

Allora grazie” si limitò infatti a ribattere, riservandosi la possibilità di rimangiarsi la gratitudine se avessi finito per tradirlo. Finì di abbottonarsi la camicia e mi lanciò un’occhiata curiosa, come se la faccenda di cui stavamo parlando un attimo prima fosse evaporata. “Si può sapere che cosa stavi facendo tu in giro per le stalle a quest’ora?”

Fu il mio turno di concedere la mia attenzione al pavimento.

Ti stavo cercando per parlarti. Io… io credo che ciò che nostro padre ha fatto oggi non sia…”

Ma Devin mi bloccò immediatamente, alzando la voce con tono di stizza per sovrastarmi.

Ascolta, Arlen. Parlarne non mi fa stare meglio né può cambiare i fatti. Nostro padre mi ha sempre trattato in quel modo e sempre lo farà, quindi tutto quello che ti chiedo di fare per me è non rivangare l’argomento anche quando lui non c’è, intesi?”

Per un attimo fui tentato di ribattere a testa alta al fine di difendere l’importanza dell’argomento, in quanto le basi e le motivazioni non mi mancavano di certo.

Devin era figlio di nostro padre quanto me e Kenneth. Era nato il nostro stesso giorno, il secondogenito più sano e combattivo che un comandante del livello di nostro padre avrebbe mai potuto desiderare. Certamente aveva i suoi difetti, ma né io né Kenneth ne eravamo privi. E allora perché – questa è la domanda che avrei voluto porre sia a mio fratello, per istigarlo a indagare, sia a mio padre, per sentire cosa avrebbe risposto –, perché un simile trattamento?

Ma capitolai come sempre di fronte alla preghiera implicita nelle parole di Devin, che piangevano le lacrime nascoste negli anni.

 

   
 
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