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Autore: NyxTNeko    23/05/2022    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 135 - Il presentimento, come la premonizione, è la profezia del cuore -

Cosseria, 13 aprile

Nonostante l'intenzione del comandante francese di voler dar inizio alla campagna il 15 di aprile, i nemici, ovvero gli austro-piemontesi, si erano mossi improvvisamente, credendo di poter avere la meglio su quel piccolo esercito e avevano anticipato l'offensiva, dando battaglia già dal 9 aprile. Infatti stavano salendo per la medesima strada che Bonaparte stava facendo scendere ai suoi. L'attimo di smarrimento, tuttavia, era durato pochissimo, Napoleone aveva già sistemato le truppe e i movimenti dei propri sottoposti, come se tale imprevisto non fosse mai esistito.

Era sicuro di come si sarebbe mosso, perché conosceva a fondo il suo avversario, lo aveva studiato in modo quasi maniacale, anche se sapeva che non bisognava sottovalutare affatto il nemico, soprattutto se erano uomini di guerra dalla grande esperienza sulle spalle. La sola differenza di età e di esperienza avrebbe scoraggiato chiunque, ma non Napoleone, non aveva paura di sfidare apertamente Golia, dato che era un Davide. Al gigante filisteo non avevano di certo dedicato statue, destino diverso toccò al futuro re di Gerusalemme, il cui nome era ancora ricordato come simbolo di coraggio del piccolo e apparentemente debole, contro la forza del grande, raffigurato, nel corso dei secoli, da vari artisti, tra questi i celebri Donatello e Michelangelo.

Inoltre conosceva a fondo quei luoghi, era stato lungo quel confine per parecchi anni, quando era ancora un artigliere e aveva perfino combattuto, seppur quelle battaglie non fossero tanto famose. Ma di solito erano le piccole esperienze, fatte in sordina, a fare la differenza e a formare un individuo, specialmente come Bonaparte, che assimilava in continuazione qualsiasi cosa gli fosse davvero utile. Com'era stato per quel breve periodo di tempo trascorso alla Tipografia di Parigi, con cui aveva completato il cerchio della sua formazione e reso un ufficiale completo. Ora doveva soltanto metterle in pratica e capire fin dove potesse spingersi; dopo Tolone aveva cercato di darsi una risposta con la teoria, ma era convinto che soltanto la dimostrazione avrebbe sciolto ogni dubbio.

Aveva deciso di puntare tutto sulla flebile collaborazione che vi era tra gli Austriaci, guidati da Beaulieu e i Piemontesi, al seguito di Colli, per questo non aveva esitato un secondo nel voler mettere in pratica quella tattica della posizione centrale, che era davvero difficile da realizzare, se non si aveva bene in mente i rapporti che intercorrevano tra le forze armate nemiche. Come se non bastasse, se nell'esercito piemontese vi era un minimo di coesione e uno spirito di appartenenza comune, in quello austriaco, al contrario, non vi era né stima reciproca, né patriottismo. Essendo un impero, al suo interno vi era eterogeneità multietnica, non erano pochi gli Italiani che combattevano sotto il vessillo asburgico, poiché il loro territorio si estendeva per gran parte dell'Italia Settentrionale.

Lo scarso interesse nel motivare le truppe, rendendole partecipi e desiderose di sacrificare le loro vite per il sovrano e le crudeli quanto inefficaci punizioni che venivano elargite, non permetteva di agire compatti e uniti; inoltre in pochi conoscevano la lingua francese, idioma che veniva utilizzata dal corpo ufficiali, in quanto lingua internazionale dell'epoca. Ciò rendeva i soldati, in particolare, del tutto estranei alla guerra che si stava combattendo in quelle zone. Erano più che frequenti le diserzioni tra i ranghi.

A tutto questo si aggiungeva l'estrema lentezza del sistema militare austriaco, i generali a cui venivano affidate le armate, non potevano agire in modo autonomo, al contrario, dovevano attendere gli ordini direttamente da Vienna e nel tempo che passava tra ordine e risposta, gli eventi si erano già compiuti e superati. Questo non accadeva con gli eserciti francesi, o per lo meno avevano una maggiore flessibilità; nell'armata d'Italia, tutt'al più, il generale Bonaparte si stava allontanando gradatamente dal Direttorio e stava cominciando a creare una vera e propria gerarchia tra gli ufficiali. Tutti i suoi sottoposti dovevano obbedire a lui soltanto, fin da subito il giovane e delicato comandante, di appena ventisei anni, lo aveva ribadito.


Senza perdersi d'animo e con la consueta energia che lo caratterizzavano, non appena il nemico, il generale austriaco d'Argenteau, si era profilato all'orizzonte e aveva ingaggiato l'attacco frontale, il comandante era riuscito a far ritirare momentaneamente le truppe rimaste illese da Savona e preparare il contrattacco; la sera dell'11 aprile si era svolta la prima battaglia di Bonaparte, come comandante dell'Armata d'Italia. Sfruttando l'estesa linea austriaca, riuscì a far bloccare il nemico a Montenotte, poco distante dalla stessa Savona, mandando Masséna ad eseguire la manovra che aveva in mente.

- Aggirare il fianco destro e circondarli, comandante?! - aveva esordito stupito il nizzardo, dopo aver udito la strategia del suo superiore - Ma è quasi impossibile! Soprattutto con un tempaccio del genere!

"Avete qualche altra idea, generale Masséna? Sono pronto ad ascoltarla, avanti" si era immaginato il comandante, a braccia conserte, scrutarlo dritto nei suoi piccoli e furbi occhietti castani, con quello sguardo così particolare che non ammetteva repliche, ma soltanto obbedienza assoluta - Eh sì è davvero un figlio di un cane quel corso - Il nizzardo sogghignò divertito, aveva compreso che quando Bonaparte era sicuro di come agire, allora significava che la vittoria era assicurata. Lo conosceva anche di più rispetto ad altri, quella sua sicurezza arrogante non lo aveva mai abbandonato.

Tuttavia Masséna non aveva esagerato con la sua perplessità: era un brutto accerchiato quello in cui avrebbe combattuto, dalla piccola cittadina si estendeva una catena montuosa con picchi tra i 700 e i 1000 metri e una fitta vegetazione si inerpicava, rendendo particolarmente difficile gli spostamenti "Che voglia testare le mie abilità?" Si era chiesto "E vedere se sono adatto per questa campagna?" Aveva sorriso beffardo "Gli dimostrerò che non sono ancora vecchio per la guerra!". In suo aiuto, come deciso dal comandante, era giunto la divisione guidata da Augereau.

E la prima vittoria era arrivata, grazie al coraggio di tutti quegli uomini che si erano battuti al pari di leoni "Ho fatto bene a puntare su di loro per la gestione di una tattica del genere" aveva detto non appena aveva saputo del risultato: avevano perduto soltanto 800 uomini, mentre gli austriaci 2500 "Eh sì, saranno pure uomini dalla condotta non proprio esemplare, ma di sicuro il mestiere lo sanno ancora fare, sono davvero ufficiali preziosi, assieme agli altri, sono fortunati anche, ed è un fattore fondamentale in guerra" inoltre fu contento delle poche perdite subite, non doveva esserci troppo squilibrio tra le parti. Non poteva permettere che il suo esercito, già in inferiorità numerica, venisse dimezzato. "Devo attendere i rinforzi e soprattutto gli aiuti di Saliceti, come sostituto di Chauvet, si sta dando da fare per riacquistare la mia completa fiducia e a darmi una mano con le truppe" .

Quella vittoria, nonostante fosse insignificante a livello strategico, il nemico aveva creduto che fosse soltanto la solita fortuna del principiante, fu benefica per il morale delle truppe e Napoleone sapeva bene che non doveva allentare la tensione, lasciarsi andare, occorreva, al contrario, sfruttare a proprio vantaggio quella grinta rinnovata, perciò aveva deciso che avrebbero dovuto muoversi persino di notte "So che vi chiedo molto soldati, so che siete stanchi, ma questa è l'occasione migliore per rendere la prima vittoria definitiva" faceva comunicare frasi del genere per incoraggiare i soldati, conosceva a fondo i comportamenti e le reazioni umane.


Bonaparte già aveva previsto gli spostamenti che avrebbero eseguito nei giorni successivi, aveva fatto riunire i suoi, attorno al grande tavolo su cui vi era la cartina, la quale mostrava in dettaglio la zona che stavano attraversando e il percorso, traggiato e le città interessate cerchiate; si sarebbero mossi tra Millesimo e la fortezza di Cosseria e anche verso Dego. Quel nome fece sorridere sia Bonaparte sia Masséna, il comandante sollevò gli occhi grigi sul nizzardo e questi li posò divertito, ricambiando - Sarà un ritorno, non è vero comandante? - emise a braccia conserte. Infatti avevano combattuto quasi due prima in quella cittadina, quando Napoleone era solamente comandante dell'artiglieria, subordinato a Dumerbion, al pari di Masséna.

- Più o meno generale - aveva detto Napoleone, curvo sulla carta, mentre faceva scorrere il dito su quel nome - Perché dopo la nostra battaglia in quell'anno, i piemontesi hanno aumentato le difese della zona, in particolare le fortezze, a quanto pare dovremo sudare per riprenderla di nuovo - si era rimesso dritto e con le braccia dietro la schiena, lo guardava intensamente.

- Almeno ci divertiremo di più, li abbiamo battuti una volta e lo faremo ancora, comandante - aveva sbattuto la grossa mano sul tavolo, facendo sobbalzare i colleghi che sonnecchiavano, stanchi per la battaglia appena conclusa - Non ci sarebbe soddisfazione nell'ottenere una facile vittoria contro quei bastardi dei piemontesi e degli austriaci! Daremo il tutto per tutto e dimostreremo che siamo noi i migliori! - si era indicato orgoglioso - Anche quelli del Direttorio si pentiranno amaramente di averci confinato qui, sperando di venir dimenticati senza nessuna risorsa!

- Ma non siete anche voi piemontese Masséna? - aveva ricordato sbadigliando Augereau, dondolando sulla sedia - Siete nato a Nizza no? Ed anche se occupata da noi, è ancora sotto il Regno dei Savoia...

- E allora? - si era rivolto l'altro fulminandolo, la voce ferina che si era alzata e rassomigliava ad un ringhio bestiale - Una persona non può decidere di essere chi vuole? Non può cambiare nazione se quella di appartenenza non lo soddisfa? Ora sono francese, un nizzardo francese per la precisione - ribadì furioso, prendendolo per il colletto - E sono pronto ad usare le armi contro il mio stesso popolo se dovesse mettersi contro di noi, come già stanno facendo alcuni, istigati dal nemico! Avete capito? Non mi faccio alcuno scrupolo, soltanto perché è il mio popolo d'appartenenza!

- Calmatevi voi due! - aveva gridato il comandante, i due si erano fermati all'istante - Ricordate che siete ufficiali e in guerra, non in un osteria a fare baldoria! Non voglio risse, né duelli! - si era frapposto ai due, sembrava minuscolo in confronto a loro due, massicci e alti, eppure mostrava la sua superiore e innata autorità senza particolare sforzo - Dobbiamo rimanere concentrati sull'obiettivo, senza perdere la calma, altrimenti è la fine - li aveva fissati e questi avevano abbandonato l'intento di picchiarsi.

Eppure quel discorso fatto da Masséna lo aveva fatto riflettere, vi erano similitudini fra loro, anche il corso era stato in bilico tra due nature e per alcuni anni aveva cercato di essere entrambi, illudendosi di non dover perdere o rinunciare ad una delle due. Poi, però, aveva dovuto guardare in faccia la realtà e scegliere definitivamente cosa essere, a quale nazione appartenere e aveva abbracciato completamente la Rivoluzione e la Francia, pagando a caro prezzo questo gesto. Ormai la sua isola era soltanto uno sbiadito ricordo, una piccola parentesi di felicità e di dolore che lo aveva formato, assieme all'accademia e che non lo riguardava più "Adesso sono un generale della Repubblica Francese, niente e nessuno al mondo mi farà cambiare idea o schieramento, sento che è ciò che il Destino vuole da me".


Presso il quartier generale austriaco, una staffetta, proveniente dal campo di battaglia, si era appena fermata, ansiosa e ansimante - D-devo... riferire una-una terribile notizia al...generale B-beaulieu!

L'anziano generale austriaco aveva dormito pochissimo, sia per via dell'età considerevole, sia per la battaglia che avevano ingaggiato contro il nemico, il quale si stava dimostrando un osso duro, nonostante le previsioni; ma era convinto di essere comunque in vantaggio, le truppe erano migliori e meglio equipaggiate, rispetto a quella che veniva definita, in modo dispregiativo, l'armata dei cenciosi "Una volta sconfitti questi francesi, potrò finalmente tornare in patria, manco da un bel po' di tempo, a ricevere gli onori di Sua Maestà". D'un tratto piombò nella sua tenda la staffetta e gli riferì l'esito della battaglia. I capelli già canuti di Beaulieu, divennero ancora più bianchi - Cosa? Abbiamo perso? E per di più molti dei nostri uomini sono stati catturati? - dovette poggiarsi al tavolo per non cadere, le gambe non lo ressero per un attimo.

- Comandante! - si allarmò uno dei suoi aiutanti più giovani e si precipitò per farlo rimettere dritto - Non dovete esporvi così! Potrebbe farvi male!

- Fa più male questa notizia - il volto già rugoso si riempì di ancora più rughe - Perché ciò prolunga la nostra permanenza qui e soprattutto... - sospirò profondamente per ritrovare la calma e allontanò l'uomo - Dovremmo muoverci su strade decisamente più impervie di quelle che avevamo previsto...

- Non dovete temere, troveremo un modo per sconfiggerli, ora riposatevi comandante, vado a chiamare i generali a disposizione nel frattempo... - emise mettendo in posizione.


Intanto il giovane aiutante del comandante francese, il colonnello Muiron, dopo una lunga giornata di marcia e di spostamenti repentini per consegnare importanti messaggi al suo superiore, spossato e stanco, decise di riposare un po', per recuperare le energie e poter tornare a 'servire' il suo caro amico con efficenza - Farò giusto qualche oretta di sonno, me lo merito in fondo, il comandante non potrà di certo rimproverarmi per una breve pausa - ridacchiò, si stiracchiò e si sdraiò sul suo tanto desiderato letto da campo. In quel momento non gli importava dove fosse o su cosa fosse appoggiato, sbadigliò e crollò immediatamente, era esausto.

Ma non fu un sonno profondo e senza sogni come sperava, al contrario, mutò e diventò immediatamente agitato. L'odore di sangue, grida, spari lo travolsero e infine un silenzio di tomba lo atterrì. Si guardò attorno, gli sembrava il campo di battaglia dove aveva combattuto sino a poche ore prima, però decisamente più inquietante: ovunque si girasse trovava soltanto cadaveri, per la maggior parte francesi, deturpati, maleodoranti, insanguinati e ammassati uno sopra l'altro; in loro vi era soltanto il residuo di quella disperazione che aveva preceduto la loro morte e che teneva aggrappati qualsiasi individuo prima di spirare.

Sparsi qua e là c'erano anche i corpi dei nemici, in numero minore rispetto ai suoi ex compagni, il respiro divenne pesante, quell'odore ferrigno, misto a quello pungente e nauseabondo di decomposizione, era talmente penetrante da fargli perdere i sensi e, con lo sguardo, cercava di scorgere il comandante e i suoi generali, augurandosi e pregando che non fossero morti - Ma dove sono finiti tutti? - si chiedeva terrorizzato - Non posso essere rimasto... - un cavaliere gigantesco, con indosso una pesante armatura, similmente a quelle che si portavano nel Medioevo apparve e gli si parò davanti, armato di una falce altrettanto gigantesca.

Un dolore lancinante alla tempia gli mozzò il fiato, del calore proveniente da quella zona della testa lo intorpidì. Istintivamente portò la mano in quel punto e un liquido scuro gliela bagnò, spaventato, controllò: era sangue. Il suo sangue. Un moto di terrore e rabbia lo colse e gli diede la forza necessaria per aggredire il misterioso e sinistro cavaliere; mandò in pezzi la sua armatura, con una furia che non riusciva neppure lui a controllare, non pensava a nulla, se non a distruggerlo. Era stato lui ad uccidere tutti quei soldati, ma non avrebbe fatto lo stesso con lui. Non glielo avrebbe permesso.

Si fermò quando si accorse che il corpo del suo nemico era composto da ossa, spalancò gli occhi e lo fissò, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla carcassa che sembrava reggersi per magia; una magia oscura e pericolosa. Lo scheletro allora parlò, in tono profetico, parimenti ad un tuono e un rimbombo - Non ho potuto averti oggi, ma prenderò i tuoi amici e tu mi rivedrai tra otto mesi...

Muiron si destò dal sonno, grondante di sudore, affannato e impallidito, non aveva idea di quanto avesse dormito, delle ore, forse, dei minuti, non era importante - Era la Morte - tremava dalla testa ai piedi, mai gli era capitato di provare simile paura - Devo...devo avvertire gli altri... - balzò in piedi - Sono in pericolo...ha detto - ingoiò rumorosamente la saliva - La Morte ha detto che avrebbe preso i miei amici...devo avvertirli - balzò in piedi e senza neppure controllare cosa avesse con sé, per potersi difendere, corse dai suoi amici più cari, ovvero Junot e Marmont.

Quando i due seppero del sogno/incubo premitore dalla bocca dello stesso Muiron, scoppiarono a ridere fragorosamente e lo canzonarono - Probabilmente la battaglia di ieri vi ha fatto male alla testa, forse questo spiega il colpo alla tempia - fece Marmont, cercando di non essere troppo offensivo.

- Ma davvero credete a queste cavolate, amico? - Junot si teneva la pancia dalle risate, tratteneva le lacrime - Forse avete preso la febbre e state delirando, oppure come afferma il mio carissimo e logico collega, la battaglia vi ha impressionato, ora preparatevi, anzi no, forse è meglio se andate dal medico, avvertiremo noi il comandante, non preoccupatevi...
















 

 

   
 
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