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Autore: Evali    28/05/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sensazioni
 
 
Sentiva l’erba umida sotto le mani, un paio di mani artigliate ai fianchi, un respiro caldo e ansimante, come quello di un toro, dietro di sè.
- Basta... smettila... ti prego – sussurrò Judith, ma Naren non smise, anzi, intensificò le spinte, facendola piangere per il dolore. – Smettila! Allontanati!
- Vedrai, amore.. ti piacerà.. aspetta solo un poco, e inizierà a piacerti.

- No.
- Sei stata tu a chiedermelo.
- Ho cambiato idea.
Quei ricordi non le appartenevano. Li stava vivendo come fossero qualcosa di estraneo, fuori da sè.
Poi, ad un tratto, davanti a sè apparve la sagoma maestosa e bellissima di Imogene, che la guardava a distanza e le sorrideva, mentre lei soffriva.
- Perchè siete qui...? Questo .. è opera vostra??
- Sto cercando di aiutarvi – disse la bionda avvicinandosi di qualche passo alla torbida scena, in tutta serenità.
Naren sembrava non essersi accorto di lei.
- Il vostro inconscio ha partorito queste immagini... immagini che, evidentemente, sono rimaste ben impresse nella vostra memoria, ma che non riescono ad emergere, rimanendo celate se non stimolate – disse la sciamana accovacciandosi davanti a lei, riservando un’occhiata schifata al ragazzo che la stava brutalmente violando. – Tuttavia, sono immagini partorite dalla vostra mente. Sono un misto tra ricordi reali e ricordi che voi credete di avere, in parte inventati.
- Quindi non saprò mai se questo è accaduto veramente...?
- Sono abbastanza certa che il vostro “amato” servo del Creatore vi abbia realmente stuprata su questo prato. Il resto.. potrebbe non essere perfettamente attinente alla realtà.
In questa fase del ripercorrimento della memoria tramite i miei acchiapparicordi, potrebbe anche accadere che i vostri desideri modifichino il ricordo vero e proprio, per renderlo più piacevole e sopportabile.
Voi volevate consumare un tale rapporto col vostro amante proibito, Judith, vero? – le domandò la bionda, alzandole il mento verso di lei.
- Sì.. lo volevo..
- Allora come mai vi state lamentando tanto?
- Perchè non è questo il modo in cui lo volevo.. egli è una bestia.. mi sta trattando come una bestia... – ansimò Judith, tra un urlo di dolore e l’altro.
- Povera bambina. Siete stata voi a voler rivivere i vostri ricordi traumatici e celati per scoprire come siete stata ingravidata.
- Non può essere accaduto in questo modo...
- Perchè no? Perchè vi sta facendo soffrire? Lo sapete che si può rimanere incinta anche se il rapporto non è piacevole, vero? – le disse in tono di scherno.
A ciò, Judith, seppur dolorante, le prese il viso tra le dita e glielo sbattè a terra con violenza.
- Non voglio rivivere questo dolore... – sussurrò la rossa, avvertendo le mani fameliche e smaniose dell’uomo dietro di sè stringerla ancora più forte, fino a perforarle la carne.
- Allora trovate un modo per renderlo più piacevole.. – le rispose Imogene per nulla turbata, rialzando il volto e sputando la terra che le era entrata in bocca.
A ciò, qualcosa nel sogno cambiò prima che Judith fu in grado di realizzarlo: Imogene non era più dinnanzi a lei, bensì dietro di lei, al posto di Naren.
Ora era la donna a stringerle i fianchi e a sovrastarla, violandola con le dita.
La bionda le prese il viso e la rigirò verso di lei, sorridendo trionfante. – Dunque è questo che desiderate, bambina? Che io sia al posto di quel servo del Creatore? Questo è il vostro modo di migliorare il vostro sogno? Non potrei esserne più onorata – le disse la sciamana avventandosi sulle labbra della ragazza smaniosamente famelica e stringendole i fianchi nudi, nivei e morbidi.
Dal canto suo, Judith divaricò le gambe per imprigionarla tra le sue cosce, le strinse i capelli tra le mani e ricambiò vogliosamente il bacio, senza il minimo pudore.
Ora che Naren era sparito dal suo ricordo, si sentiva famelica.
Si lasciò saggiare, toccare e stringere lussuriosamente da quelle mani e da quella lingua che prometteva meraviglie inaudite, gettando la testa all’indietro e gemendo a bocca spalancata, con il volto stravolto dal piacere, fin quando la sua voluminosa chioma scarlatta non toccò l’erba, fondendosi con essa.
Tremò, tremò indecentemente quando raggiunse il culmine grazie alle dita e alla lingua della donna, sentendo tutti i nervi e i muscoli contrarsi, danzando con il ventre come un serpente, mentre la vista le si appannava.
Si sentì libera. Libera, completa e appagata come non lo era mai stata.
La fanciulla riaprì gli occhi ansimante, ritrovandosi tra le confortevoli lenzuola di seta del suo letto.
Nella stanza vi era un forte odore di erbe bruciate.
Judith alzò la testa dal cuscino ed individuò la figura di Imogene, seduta in mezzo alla stanza, circondata da candele accese, intenta a bruciare alcune bellissime piume.
- Com’è andata? – le domandò la donna.
- Per quale motivo lo chiedete, se eravate con me nel mio ricordo, poco fa?
Imogene le rivolse uno sguardo malizioso, fissandola dal punto in cui si trovava. – Dalle vostre guance rosate deduco che vi è piaciuto almeno quanto è piaciuto a me. Vi ricordo che siete stata voi a volerlo. La vostra mente mi ha voluto al posto del servo del Creatore.
- Il servo del Creatore ha un nome.
- Sì, lo so bene che il servo del Creatore che vi ha stuprata ha un nome – affermò senza mezzi termini.
Judith si strofinò il volto frustrata. – Sembra che, per quanto tenti, io non riesca mai a venirne a capo...
- Avete fatto molti passi avanti, in realtà: il vostro amante proibito vi ha stuprata nel bosco. Cos’altro volete sapere? – le domandò la sciamana rialzandosi in piedi e avvicinandosi di qualche passo al letto.
- Ha detto che sono stata io a chiederglielo. Io non avrei mai potuto chiedergli di fare una cosa del genere, la mia razionalità me lo avrebbe impedito. Sono sempre stata io la più responsabile tra i due, la più coscienziosa. Motivo per cui non ha il minimo senso che io gli abbia chiesto di violarmi, soprattutto in mezzo al bosco..!
Inoltre: perchè eravamo nel bosco? Cosa stavamo facendo? Perchè eravamo circondati da persone che fornicavano come noi in mezzo al nulla? – si domandò la ragazza infilandosi le mani tra i capelli e sospirando.
- Tempo al tempo, Judith.
- L’unica cosa che ho scoperto “grazie” alla vostra mania di invadere i miei ricordi stimolati da voi, è che non sono indifferente alle attenzioni di una donna – affermò la rossa pungente, alzando il volto verso di lei.
- Mi date la colpa per le vostre voglie?
- No, Imogene. Al contrario di ciò che pensate, non è così sconvolgente per me scoprire di sentirmi attratta da una donna.
- Vi è già successo in passato? – le domandò sedendosi sul suo letto, curiosa.
- No. Ma non la ritengo una perversione come invece la considerano i monaci. Non mi fa sentire sbagliata con me stessa.
- Avete la mente più aperta di quanto pensassi, bambina.
Ditemi, l’unico uomo di cui siete mai stata attratta è il vostro ripungnate servo del Creatore con cui avevate una relazione proibita?
Perchè se così fosse, avete dei gusti alquanto osceni, lasciatemelo dire.
A ciò, Judith si lasciò andare ad una risata divertita e colma di sarcasmo. – Davvero credete che io non sia mai stata attratta da nessun altro uomo? Ditemi, che concezione avevate di me quando mi avete studiata a distanza, “sapiente” Imogene? Che io fossi votata a Dio come una monaca e non possedessi desideri carnali?
La sciamana si zittì, colta in fallo.
A ciò, Judith continuò: - Volete primo e secondo nome di tutti gli uomini che mi hanno attratta nel corso della mia vita? Ne sono molti, vi avverto. Nessun viso mi lascia indifferente, brutto o bello che sia, specialmente se maschile.
- Bene, buono a sapersi – commentò neutra la bionda. – Ad ogni modo, non avete notato un dettaglio strano nel vostro controverso ricordo?
- Che cosa?
- Il vostro amante vi ha presa da dietro. Non è strano l’atto in sè e per sè, quanto più il fatto che, essendo il primo rapporto intimo tra voi due, come prima cosa voi abbiate scelto di farvi prendere da dietro, invece che optare per la “via più facile” e naturale.
Inoltre, il rapporto anale viene considerato osceno e peccaminoso dai monaci, giusto?
Specialmente agli occhi dei servi del Creatore, se non erro, i quali cercano di evitarlo.
E poi, cosa più importante: non si può ingravidare una donna prendendola da dietro.
- Alcune vostre obiezioni sono giustificabili: potrebbe essere che mi abbia presa da dietro solo in seguito, e che la mia mente ricorda più facilmente solo il rapporto da dietro in quanto è stato più doloroso e sgradito.
- È stato davvero completamente sgradito per voi?
A tale domanda, le guance di Judith divennero nuovamente rosate. – No.. inizialmente non lo era. Inizialmente ricordo un grande piacere. Un piacere enorme, che non avevo mai provato prima. Poi il tutto è degenerato.. non ricordo altro. È tutto così tremendamente confuso...
- La cosa più saggia sarebbe parlarne con lui, non credete?
- No – rispose categorica Judith. – Non metterò da parte il mio orgoglio. Lo scoprirò da sola, non mi serve il suo aiuto – pronunciò alzandosi in piedi, dando sfoggiò del suo bellissimo corpo nudo e infilandosi una lunga vestaglia bianca. 
 - Cosa avete da dire riguardo al fatto che per i servi del Creatore è considerato un atto peccaminoso prendere una donna da dietro? – insistette Imogene, ancora seduta sul letto.
Judith vi riflettè su.
Effettivamente, tutto ciò risultava davvero strano.
Specialmente per un fatto interessante di cui non aveva accennato nulla a Imogene: la costante percezione che il suo corpo, nel sogno, non fosse davvero il suo.
Una sensazione a dir poco sbalorditiva, strana e surreale al contempo.
Quasi come se il modo in cui era formato il suo corpo fosse diverso, molto diverso dal solito, così come i punti di maggior piacere erano situati in zone che ... non riconosceva.
Un dubbio iniziò a tartassarle la mente, ma era un’ipotesi troppo stravagante per venire formulata ad alta voce.
Prendere una donna da dietro era considerato peccaminoso ma... nei rapporti tra uomini è l’unica cosa da fare.
- Dove state andando? – le domandò Imogene, quando la vide iniziare a vestirsi e ad allacciarsi il corpetto.
- Devo vedere una persona – le rispose lapidaria.
Imogene non le face altre domande e la lasciò andare, restando nella sua stanza.
Judith scese la scalinate, percorse il corridoio tra le due navate e uscì dalla cattedrale, incontrando il sole placido del mattino.
Davanti al portone, una ragazza con un mantello color castagna la attendeva.
- Buongiorno – la salutò Judith, attirando la sua attenzione.
- Buongiorno a voi – le rispose Hinedia, sorridendole timidamente.
- È tanto che mi aspettate?
- No, sono arrivata giusto dieci minuti fa – le rispose la fanciulla, prendendo a camminare a fianco a Judith.
Il villaggio pullulava di vita e di vociferare ora che le ore mattutine non erano più così gelide.
- Sta arrivando la primavera – commentò Judith accennando un sorriso, osservando alcuni bambini che giocavano tra i banconi del mercato.
- Già – confermò Hinedia inspirando il profumo delle spezie e dei fiori di una bancarella lì di fianco. – Vi sto portando in un posto.
- Ah sì? Che posto?
- Un posto che, forse, vi farà tornare in mente alcuni ricordi.
- Ora mi avete incuriosit- Judith non riuscì a terminare la frase che qualcuno le andò a sbattere contro, facendola barcollare.
- Oh, mi spiace tanto! State bene?? – le domandò mortificato il ragazzo che l’aveva urtata mentre trasportava una botte, un giovane servo del Diavolo dai capelli ricci e corvini.
- Oh, non fa niente, non preoccupatevi – lo rassicurò Judith accennandogli un sorriso gentile.
- Ne siete sicura? Vi ho fatto male?
- Affatto, davvero, sto bene.
- Bene, ne sono felice – rispose lui sorridendole impacciatamente, ancora mortificato, raccogliendo la botte da terra. – Allora.. buonagiornata!
- Anche a voi!
Detto ciò, ognuno riprese la sua strada.
Hinedia, di sottecchi, notò che il ragazzo si fosse voltato di nuovo per guardare Judith e non riuscì a trattenere un genuino sorriso nell’accorgersene.
- Si è voltato a guardarvi di nuovo – le sussurrò accostandosi un poco a lei.
- Ah sì? – domandò Judith, per nulla sorpresa.
- Dovrete esserci abituata.
Judith vi riflettè su.
Lo era, fin da bambina, ma per ogni serva del Diavolo era così, era alquanto naturale sentirsi osservate e ammirate.
A situazione inversa, invece? Per lei era naturale guardare i ragazzi, quando passeggiava?
Judith si guardò intorno, provando a concentrarsi su coloro che attiravano di più la sua attenzione nella folla: ve ne erano per tutti i gusti. Biondi, castani, dai capelli scuri, dai capelli rossi, dagli occhi chiari, dalla pelle ambrata o pallida.
Judith si rese conto solo in quel momento di quanto non prestasse attenzione agli uomini, nella quotidianità, o meglio.. a quanto non prestasse attenzione agli uomini in quel senso.
Si rese conto solo in quell’istante che, da quando conosceva Van Naren, non aveva più guardato nessun altro oltre lui.
Certo, c’era da dire che non era mai stata una persona in cerca di qualcosa o di qualcuno che potesse completarla.
La relazione con Naren era semplicemente capitata, ed era stata la cosa più sbagliata che le potesse accadere, ma non aveva potuto fare a meno di rimanerne invischiata.
Se provava ad indagare le motivazioni dietro a ciò, non riusciva ad indentificarle con certezza: una ragazza indipendente come lei, come aveva potuto cadere tra le grinfie dell’amore? Per di più, di un amore impossibile?
A parte tutto ciò, fu felice di sentirsi, per la prima volta dopo tanto tempo, libera.
Libera di guardare anche altri uomini all’infuori di Naren, e non perchè prima non lo fosse, ma semplicemente perchè non se ne accorgeva neanche.
Ora, invece, ora che aveva avuto un assaggio del sesso, del sesso vero, soprattutto grazie ad Imogene, iniziava a chiedersi come fosse, condividerlo con qualcuno che non fosse l’uomo di cui credeva di essere innamorata da quasi un anno.
Si riscosse dai suoi pensieri nel momento in cui Hinedia le disse che erano arrivate.
- Di chi è questa casa? – le domandò la rossa, confusa e incuriosita.
- Qui dentro vi abita una bambina, una bambina con i suoi genitori. Il suo nome è Jydaline Gwen.
- Questa bambina.. ha un significato particolare per me?
Hinedia abbassò lo sguardo e annuì mesta, come se qualcosa la turbasse, quasi come stesse per piangere.
- Hinedia... – provò a richiamarla con tatto, poggiandole una mano sulla spalla. – Che vi succede?
- Vi prego. Vi prego, entrate, Judith. Vi garantisco che ne varrà la pena. I bambini che sono dentro quella casa... vi riempiranno il cuore di gioia, e forse... con il loro immenso affetto e amore nei vostri confronti, riusciranno a farvi tornare un po’ dei vostri preziosi ricordi .. – le disse la serva del Creatore, guardandola con un sorriso doloroso e le lacrime agli occhi.
Judith comprese che vi fosse qualcosa, un ricordo, che addolorava profondamente Hinedia, ma preferì non approfondire, per il momento.
- D’accordo.. voi entrerete con me?
- No, vi aspetterò qui fuori – le disse fermamente, cercando di nascondere la tristezza che la affliggeva.
Judith annuì e si avviò verso la porta, bussando.
Dopo qualche secondo la porticina si aprì e la madre di Gwen la fece entrare, accoglienadola con un grande sorriso.
Hinedia la aspettò lì fuori per tutto il tempo, immaginandosi, ogni secondo che passava, come potesse essere riabbracciare i bambini, uno per uno, senza il fardello della profonda vergogna che portava sulle spalle.
Dopo circa un’ora, Judith uscì dalla casa, andandole incontro con un sorriso ad illuminarle il volto meraviglioso.
- Hinedia, eccovi.
- Com’è andata?? Avete ricordato qualcosa?? I bambini.. cosa vi hanno detto?
- I bambini vogliono vedervi, Hinedia.
Quella frase la fece congelare sul posto, portandola a sgranare gli occhi all’inverosimile.
- C-cosa...?
- I bambini. Vogliono vedere anche voi. Ho detto loro che mi avete accompagnata. Gwen ha chiesto di voi.
No... non poteva essere.
Non poteva crederci.
Doveva star vivendo un sogno... solo un bellissimo sogno...
- Gwen... ha chiesto di me? – ripetè, sull’orlo delle lacrime.
Judith annuì dolcemente, posandole le mani sulle spalle, incoraggiante. – Io.. putroppo non ho ricordato nulla. Ma i bambini mi hanno raccontato tutto... mi hanno raccontato dello spettacolo, del copione, delle settimane di prove e di preparazione, di quanto ci siamo divertiti tutti insieme, di quanto sia stato bello il risultato finale... sono stata davvero, davvero felice. Ora, però, è il vostro turno.
Andate da loro, Hinedia.
Io vi aspetterò qua fuori.
- Io... non so se ne sono degna... ho commesso un gesto davvero orribile, Judith.
- Hinedia, ve lo ripeto: hanno chiesto di voi e vogliono vedervi.
Perciò andate, andate prima che vi trascini io lì dentro – scherzò Judith per smorzare la sua agitazione.
A ciò, Hinedia, ricolma di felicità come non lo era mai stata, si avvicinò alla casa, bussando.
Ciò che non si aspettò, è che fosse proprio uno dei bambini ad aprirle: il bellissimo volto di Kilian si palesò ai suoi occhi, guardandola dal basso mentre sgranava i suoi occhioni.
- C’è Hinedia! – urlò il bambino, senza neanche lasciarle il tempo di entrare, sorprendendola.
A ciò, una mandria di altri cinque bambini accorsero all’entrata e si fiondarono su di lei, stringendola fino a stritolarla.
Tutto si sarebbe aspettata la ragazza, tranne quella commovente e calorosa accoglienza.
Credeva che non volessero mai più vederla, Gwen ed Edith soprattutto.
E invece... invece sembrava che per loro non fosse successo nulla.
Sembrava quasi che per quei piccoli angeli ogni suoi peccato fosse stato assolto.
Non aveva parole per descrivere le emozioni che provò.
Era senza fiato.
Li strinse tutti a sua volta, inglobandoli e benedicendo il Creatore per averle donato tante gioie in una sola giornata, il perdono dei bambini e la compagnia di Judith, tutto insieme.
Per la troppa commozione credette che il suo cuore non avrebbe retto.
Si lasciò andare ad un toccante pianto liberatorio mentre li abbracciava, sentendoli ridere di gioia tra le sue braccia.
- Ci sei mancata tanto! – esclamò Jogger.
- Dov’eri finita?? – le domandò May.
- Basta piangere ora – la esortò dolcemente Sorie, asciugendole le lacrime con le dita, atteggiandosi come la piccola donna che era.
Hinedia si accorse che solo un bambino (a parte Gwen), mancasse all’appello: di Ioan non c’era traccia.
- Sbaglio o manca qualcuno? – pensò a voce alta mentre continuava a stritolarli nel suo abbraccio.
- Hai visto bene! Manca il nostro Superbia! Ultimamente ha avuto dei problemi familiari, perciò non è potuto venire – le rispose Kilian.
Hinedia annuì, immaginando grossomodo quale fosse la ragione della sua assenza, avendo udito le voci che riguardavano il tentato suicidio di Heloisa.
Tuttavia non potè fare a meno di sorridere intenerita, nel notare che i bambini non avevano perso quella buffa abitudine di chiamarsi tra loro usando i nomi dei rispettivi vizi capitali.
Judith doveva averlo trovato molto divertente.
- Gwen ti aspetta dentro – la informò Dionne. – Si è ripresa ma è ancora un po’ debole, perciò è a letto.
- Noi le siamo rimasti vicini quasi ogni giorno, venendo qui a casa sua e portandole molti doni – le disse Edith.
- Accompagnatemi da lei.. – acconsentì Hinedia, ancora con la voce rotta dal pianto.
A ciò, Kilian e May la presero per mano e la condussero nella cameretta della piccola Invidia.
Quando Hinedia fece il suo ingresso nella sua stanza, le lacrime riniziarono a pizzicarle violentemente gli occhi scuri.
- Gwen...? Posso?
Nell’udire la sua voce e nello scorgere la sua figura, la bambina alzò la testa insonnolita dal cuscino e spalancò gli occhi per la sorpresa.
A grande sollievo della serva del Creatore, la piccola le sorrise e le fece segno di avvicinarsi al letto.
Hinedia obbedì e si sedette accanto al suo giaciglio.
- Sei venuta a trovarmi – commentò la bambina, sorridendole incoraggiante.
Aveva la testa ancora fasciata, ma, a parte ciò, sembrava in salute: i suoi capelli erano cresciuti, le sue guance erano rosee, i suoi occhi luminosi e non vi era traccia di stanchezza nel suo splendido visino.
- Sì... scusa. Scusa per averci messo tanto.
Io... – si bloccò, dovendo trovare il coraggio per parlare. – Io credevo che tu mi odiassi. Che non volessi più vedermi.
- Hinedia – la richiamò con fermezza la bambina, spingendola a guardarla in viso. – Lo so che non eri davvero tu quella che ha spinto me ed Edith giù dal palco. I monaci ci hanno detto della tua crisi. Che sei stata male anche tu e che non ti risvegliavi. Ci hanno detto tutto.
Io non sono arrabbiata con te.
Nessuno è arrabbiato con te – le disse posandole la manina sulla sua e stringendogliela.
A ciò, Hinedia, non reggendo più tutta la commozione, si lasciò andare di nuovo ad un pianto liberatorio, baciando più e più volte la mano di Gwen.
- Grazie. Grazie, grazie, grazie, grazie... – ripetè tra un bacio e l’altro, quasi fosse un mantra.
Gwen rise e la lasciò fare.
Restarono a parlare ancora un po’, fino a quando, ricordandosi della presenza di Judith che l’attendeva fuori dalla casa, Hinedia non decise di congedarsi, con la promessa che sarebbe tornata a trovarla con gli altri bambini, e che la prossima volta avrebbero cercato di portarsi anche Ioan: a quanto pareva, lui e Gwen avevano legato molto, sia durante lo spettacolo che durante la guarigione di Gwen, tanto che quest’ultima arrossiva come un bocciolo di rosa ogni volta che parlava di lui.
Ma prima che Hinedia uscisse dalla camera, Gwen le afferrò la mano e le fece segno di avvicinarsi a lei, per sussurrarle un’ultima cosa all’orecchio:
- Riportaci anche Judith. Falle tornare i ricordi. Riportala da noi – le chiese, e Hinedia non potè fare a meno di prometterglielo, di giurarglielo con fermezza.
Salutò anche gli altri bambini e uscì dalla casa.
Il resto della mattinata lo trascorse con Judith, a mangiare fragole e ciliegie, e a parlare di qualsiasi cosa venisse loro in mente, passeggiando beatamente.
Per alcuni istanti, a Hinedia parve di star parlando con la vecchia Judith, con la sua cara amica che possedeva ancora tutti i ricordi preziosi che avevano accumulato insieme. Ma quella sensazione durava solo un attimo, in quanto poi Hinedia accennava involontariamente a qualcosa del passato e puntualmente Judith non sapeva di cosa stesse parlando.
Nonostante ciò, si divertirono molto, e per la prima volta dopo tanto tempo, Hinedia si sentì leggera.
Leggera e felice.
Per Judith fu lo stesso. Ed era raro che accadesse con una sconosciuta. Per questo non faticava affatto a credere che quella ragazza fosse stata davvero sua amica prima della perdita della memoria.
Sembrava conoserla da sempre.
Hinedia stava gustando una fragola seduta su una bancarella vuota, accanto a Judith.
Si voltò a guardare quest’ultima e la trovò intenta a sporcarsi le labbra con il succo della succulenta ciliegia che stava mangiando con gusto.
La serva del Creatore sorrise, sentendo un ulteriore peso levarsi dal suo cuore sempre più leggero.
- Sapete.. è bello vedervi gustare del cibo così spensieratamente – commentò, vedendo Judith voltarsi verso di lei a sua volta e guardarla con un sorriso confuso, in cerca di delucidazioni.
- C’è stato un periodo.. un periodo non troppo lontano, in cui avevate smesso di mangiare.
- Cosa...? Parlate sul serio?
- Sì... è stato orribile guardarvi deperire. Eravamo tutti molto preoccupati per voi – la informò Hinedia.
- Sapete... perchè lo avessi fatto? – le domandò Judith, faticando a metabolizzare appieno quella notizia.
- Perchè, inconsciamente, volevate sbarazzarvi del vostro bambino, suppongo – rispose sinceramente Hinedia, sperando di non destabilizzarla e intristirla troppo.
- E credevo che con questo metodo a dir poco brutale e... barbaro, sarei riuscita ad.. uccidere il bambino che porto in grembo? – domandò con voce addolorata, stupita e delusa da se stessa.
- Judith, ora è passato. Poi vi siete ripresa ed ora state bene – la rassicurò Hinedia sorridendole. – Questo è l’importante.
La rossa le accennò un sorriso, asciugandosi il succo di ciliegia dal mento con un fazzoletto di seta. – Vorrei farvi una domanda.
- Tutto quello che volete – le rispose Hinedia prendendo in bocca un’altra piccola fragola rossissima.
- Voi siete innamorata?
Quella domanda improvvisa fece strozzare la serva del Creatore col suo proprio boccone, facendo preoccupare e al contempo ridere Judith, la quale si tranquillizzò quando vide l’amica inghiottire con affanno la fragola e cercare di regolarizzare il respiro, con la faccia palesemente affaticata e imbarazzata insieme.
- Deduco di sì... dalla vostra bizzarra reazione. Oppure è decisamente un tasto dolente – commentò Judith continuando a sorriderle di sottecchi. – Mi rendo conto solo ora che è una domanda che non pongo mai a nessuno. Forse un po’ troppo intima e un po’ strana da porre alla nostra prima uscita. Perdonatemi.
- Oh, no, no, non è quello... non siete stata inopportuna! – si scusò Hinedia, cercando di trovare le parole giuste e di non prendere a balbettare per l’imbarazzo, come sempre le accadeva quando parlava di argomenti simili. – È che.. sono promessa. Ben presto mi sposerò – rispose, cercando di giustificare in tal modo la sua impacciatezza.
A tal notizia Judith sgranò gli occhi. – Oh, non ne avevo idea! E com’è lui?
- A dir la verità lo conoscevate.
- Ah sì? Non conosco molti servi del Creatore.
- Era.. un vostro amico. Il suo nome è Van Naren.
Nell’apprendere tal notizia Judith pietrificò.
Hinedia tentò di comprendere dove avesse sbagliato, notando una reazione tanto contrariata, ma non riusciva davvero a capire come mai quella nuova Judith avesse reagito così. – Ho detto... qualcosa di sbagliato? – tentò.
- Cosa..? No, no, affatto – cercò di riprendersi dalla sorpresa e dall’evidente stato di confusione e di delusione Judith.
Tuttavia, la tremenda sensazione di tradimento che le era piombata sullo stomaco non se ne andava.
“- Arley, io sto per sposare un’altra donna.
- Chi è?
- Una serva del Creatore, ovviamente.
- La conosco?
- Non ti ricordi più di lei, suppongo.”
Ora i pezzi iniziavano a combaciare.
Eppure... non poteva, non riusciva a provare rancore nei confronti di Hinedia.
Lei non aveva alcuna colpa.
La colpa era la loro, di lei stessa e di Naren, per aver violato le leggi di Bliaint. Di nessun altro.
Hinedia era una sconosciuta per lei al momento, eppure vedeva chiaramente quanto fosse puro il suo cuore.
- Perdonate il mio spaesamento. È che non credevo che vi steste per sposare, tutto qui – cercò di giustificarsi Judith, riprendendo il suo sorriso sereno, cercando di non far trasparire nuovamente il suo stato confusionale.
- Se posso confessarvi qualcosa, tuttavia.. – cercò di destare la sua attenzione la serva del Creatore, indecisa se rivelarle tale informazione su cui aveva meditato negli ultimi tempi. – Non lo amo.
Tale notizia sorprese Judith, ma meno di quanto si aspettasse.
Era quasi come se lo immaginasse.
- Allora perchè lo state sposando? – la domanda nacque spontaneamente, così come la risposta, che Judith era certa di conoscere già, e ne ebbe conferma quando Hinedia gliela diede:
- Ho l’età giusta per sistemarmi. Se superassi i diciott’anni sarei considerata “troppo vecchia” per sposarmi. Non che non potrei comunque farlo, ma sarebbe più difficile per me trovare un marito – disse rigirandosi il cesto di vimini con le fragole all’interno tra le dita.
- E a voi sta bene?
- Cosa?
- Sposare un uomo che non amate?
- In molti dicono che l’amore non è immediato. Mia madre spesso dice che l’amore nasce col tempo, man mano che si trascorre molto tempo con una persona.
Spesso l’amore tra due coniugi sorge solo dopo il matrimonio.
Non so se per me sarà così.
- È vero – rispose Judith puntando gli occhi verso l’orizzonte. – Ma non vale per tutti. Se credete che lui sia una persona meritevole e avete fiducia in lui.. dovreste tentare e sperare che sia così. In ogni caso, anche se non nascesse l’amore tra voi, vi sarebbe comunque il rispetto reciproco.
Hinedia vi riflettè su. – Mi trovo bene con lui. È un giovane che si adopera, a cui piace provvedere ai bisogni della famiglia, che si interessa a me – disse. – Posso farvi io una domanda? – aggiunse all’improvviso, mordendosi il labbro.
- Sì, certo.
- Cosa si prova a ... giacere con qualcuno?
Stavolta fu Judith a sussultare per la sorpresa. Alzò un sopracciglio e si voltò a guardarla.
La risposta a quella domanda non era poi così semplice...
Si poteva dire che avesse giaciuto con Imogene?
Non sapeva dirlo con certezza, ma sicuramente erano diventate molto intime.
Si poteva dire che avesse giaciuto con Naren?
Certo, lui l’aveva persino ingravidata, ma lei non ricordava niente dell’accaduto, se non frammenti di ricordi sfocati e distorti.
Dunque, cosa si provava...?
D’altra parte, Hinedia temette di aver azzardato troppo.
Il pensiero di Blake la colpì come una cascata in un deserto.
Aveva dato per scontato che, nonostante Judith non si ricordasse di Blake, sicuramente avesse avuto altri uomini prima di lui.
Lo aveva dato per scontato... come una sciocca.
Forse, per un istante, aveva addirittura creduto che, per qualche ragione, Judith ricordasse come fosse assaporare i piaceri e le gioie della lussuria con Blake.
- Judith, mi dispiace. Se non volete rispondere lo capisco – si affrettò a dire.
- No, non è così. 
Sapete, avete toccato un argomento che, a dir la verità, mi sta turbando da questa mattina presto.
- Davvero?
Judith annuì. – La sciamana che sto ospitando alla cattedrale mi sta aiutando a riacquisire un po’ di ricordi - le rivelò. – C’è stata una notte in particolare – Judith si stava addentrando in un terreno pericoloso nel rivelarle tali informazioni.
Per quanto provasse ancora dei sentimenti per Naren, non avrebbe mai rovinato il rapporto che vi era tra lui e Hinedia, per l’affetto che nutriva per Hinedia.
Tuttavia, la ragazza meritava anche di sapere con che tipo di uomo si stava per sposare.
Un uomo capace di stuprare una serva del Diavolo, un uomo con un istinto animalesco talmente prevalente su quello razionale, da essere incapace di fermarsi nel momento in cui lo si supplica di fermarsi.
Un uomo incapace di vedere il dolore nel volto della donna che sta possedendo, e che afferma di amare.
Hinedia meritava di meglio.
Judith stessa meritava di meglio.
- Judith, sento che mi volete dire qualcosa ma che vi state trattenendo – la incoraggiò Hinedia, con un pizzico di impazienza. – Narratemi.
- Ricordo vagamente una notte in cui era presente anche il vostro promesso, Van Naren.
Lui ha... – non riuscì a pronunciarlo e si bloccò.
- Lui ha..? – la incalzò Hinedia.
- Ha violentato una serva del Diavolo – evitò accuratamente di dire che si trattasse di lei stessa. – L’ho visto distintamente, ma i miei ricordi sono comunque molto vacui al momento.
Il volto della serva del Creatore era sconvolto, ma in esso non vi era pizzico di delusione, di rancore o di risentimento.
Solo del profondo sconcerto.
- Lo avete visto.. mentre violava una serva del Diavolo? – ripetè Hinedia, ricordando dettagliatamente e con disgusto, la volta in cui Naren aveva provato a convincerla a giacere con lui, famelico e impaziente, con le sue dita frementi e smaniose, quando ancora non erano promessi.
Quella tremenda informazione non le risultò così strana come credeva, alla fin fine.
Eppure, quello era l’uomo che stava per sposare, consensualmente.
Judith, preoccupata della sua reazione, si voltò verso di lei. – Hinedia, non era mia intenzione sconvolgervi. Voglio solo che parliate con lui, per chiarire la cosa. Desidero che siate consapevole a chi state andando in sposa. Null’altro.
- Ditemi cosa avete visto – la spronò Hinedia, curiosa di sapere. – In modo che io possa avere una visione più chiara dell’accaduto.
- Non ricordo con esattezza. Tuttavia ho una vaga e conturbante sensazione che mi vortica nella mente da questa mattina.
- Che sensazione?
- Non chiedetemi come mai sento sia così, in quanto i ricordi che riesce a riportarmi alla luce Imogene sono soffusi e strani da interpretare.
Eppure, sento che Naren abbia commesso anche un altro ignobile peccato.
- Che peccato?
- Credo abbia violentato anche un ragazzo.
Hinedia schiuse la bocca per la sorpresa, i suoi occhi erano due biglie spalancate ed esterrefatte.
Al solo udire tutte quelle probabili nefandezze compiute da Naren, percepiva già Layla scalpitare dentro di sè, per uscire fuori.
Non era affatto un buon segno.
Nè Layla nè Agnes sarebbero dovute emergere in quel momento.
Per nulla al mondo.
- Vorrei chiedervi qualcosa in più, Judith. Ma immagino di dovermi basare solamente sul vostro istinto..
- Purtroppo sì. Si tratta solo di una sensazione, una sensazione molto vivida e reale. Magari lui vi negherà tutto e avrete la conferma che non ha fatto ciò che vi ho detto. Magari è la mia mente che gioca brutti scherzi...
- O magari avete ragione – affermò Hinedia con dura serietà. – Forse, sto andando in sposa ad un ignobile della peggior specie e dovrei fermarmi ora che sono ancora in tempo.
Judith, voi avete idea di dove si trovasse Naren nel vostro ricordo?
- Eravamo nel bosco, era buio.. era pieno di servi e serve del Diavolo intorno a noi, con la mente annebbiata, forse dal vino, forse da qualche sorta di incantesimo. Naren era l’unico servo del Creatore presente. Per lo meno questo è quello che sono riuscita a carpire dal mio soffuso ricordo.
Hinedia vi pensò su, concentrandosi.
In quale tipo di circostanza i servi del Diavolo si riunivano tutti insieme, bevevano e si sottoponevano ad incantesimi di varia natura?
- Potrebbe essere stata... una celebrazione? Una celebrazione, un festeggiamento per qualcosa – ipotizzò la serva del Creatore, sempre più confusa.
- Può essere.
- Tuttavia.. com’è possibile che Naren si sia infiltrato ad una celebrazione dei servi del Diavolo? Non ha alcun senso.
Judith tacque, pensando al fatto che l’unico motivo che poteva aver spinto il suo amante proibito ad imbucarsi ad una tale celebrazione, fosse la presenza di lei stessa.
- Dobbiamo scoprire chi altro ha partecipato a quella celebrazione – disse improvvisamente, facendo annuire Hinedia. – Se riuscissimo a parlare con tutti i presenti o con la maggior parte... capiremmo qualcosa in più.
- Sono d’accordo.
Mi siete stata molto d’aiuto oggi, Judith – disse Hinedia, alzandosi, con l’intenzione di congedarsi: per quanto il tempo trascorso con la sua amica la stesse rigenerando, la smania di parlare il prima possibile con Naren era troppa. – Sono stata davvero bene con voi. Come sempre – le disse, sorridendole felice, vedendola ricambiare con gentilezza.
- Anche io, Hinedia. Venite da me quando volete.
Io vi accoglierò sempre.
- Senza dubbio.
Ora riposate e fate riposare anche il vostro bambino.
Io parlerò con Naren e vi darò notizie.
- Anche io cercherò di carpire quanti più ricordi possibili di quella notte e, eventualmente, anche di scoprire chi fosse presente.
Le due annuirono, e con quella tacita promessa tra sorelle, ognuna proseguì per la sua strada.
Giunta dinnanzi alla porta della bottega del suo promesso sposo, Hinedia bussò, attendendo.
Dopo qualche minuto, Naren aprì la porta, rivolgendole uno dei suoi sorrisi gioiosi.
Il ragazzo si pulì la fronte imperlata di sudore e la accolse. – Vieni, mia cara. Entra.
- C’è una cosa di cui ti devo parlare.
- Di cosa si tratta?
- Di una celebrazione dei servi del Diavolo alla quale hai partecipato.
Cosa è accaduto quella notte?
 
 
Heloisa venne svegliata dal suo sonno da un leggero bacio sulla fronte.
La donna aprì gli occhi e venne invasa dalla luce del giorno, mentre una mano calda le carezzava il ventre e i fianchi da sopra le coperte.
Si voltò verso quell’odore familiare, trovando suo marito intento a guardarla e a carezzarle la guancia, come non faceva da mesi.
Rolland le sorrise, illuminandola con i suoi bellissimi occhi e con il suo sguardo dolce.
Heloisa sorrise di rimando, sentendosi bene, non potendo fare a meno di sentirsi bene.
Lo amava. Lo amava ancora e lo avrebbe sempre amato.
Quella era la sua condanna, e ne era ben consapevole, quanto era incapace di contrastarla.
Si beò di quel contatto chiudendo gli occhi e sospirando, trattenendosi dallo sbadigliare.
- Come ti senti? – le domandò lui con voce vellutata.
- Bene. Molto meglio oggi – gli rispose sinceramente, giocando con le dita della mano affusolata di suo marito.
Nonostante il duro lavoro alla galleria fin da bambino, le sue dita rimanevano sempre belle, lunghe, immensamente gradevoli da toccare e da guardare.
- Bene. Di là c’è la colazione. Ci ha pensato padre Craig stamani: uova sode, formaggio fresco e marmellata di more.
- Una colazione da regina – commentò scherzosamente, avvertendo già l’acquolina in bocca e un lieve sentore di fame alla bocca dello stomaco. – Ioan?
- Con Quaglia a farsi il bagno al fiume. Non si staccava dalla porta della fucina. Ha dovuto trascinarlo via .. - le comunicò mestamente.
Heloisa rimase in silenzio.
Non avrebbe accennato all’argomento.
Non era il modo, nè il momento.
Rolland si stava finalmente prendendo le sue responsabilità e, dopo la sfuriata con Blake di cui le avevano parlato, sembrava star cercando di recuperare almeno un po’ del tempo perso.
Nulla sarebbe bastato a farsi perdonare gli errori che aveva commesso.
Ma almeno ci stava provando.
Heloisa era sempre stata abituata ad apprezzare ogni singolo sforzo, ogni minimo tentativo di ogni persona accanto a sè, riconoscendolo come un passo avanti, in qualsiasi circostanza: era stata costretta a farlo con la malattia di Ioan, la quale non lasciava intravedere alcuno spiraglio di miglioramento se non impercettibili sprazzi; era stata costretta a farlo con un figlio per lo più apatico e incapace di amarla come Blake, il quale le dimostrava affetto a modo suo, disprezzando i suoi baci e le sue carezze come veleno gettato sul viso.
Dunque ora apprezzava anche gli sforzi di Rolland, di rimediare all’irrimediabile.
Non era il momento di parlare di Blake ora.
Non era il momento di parlare della preoccupazione che li stava divorando vivi, non proprio ora che le ferite sui polsi di Heloisa erano ancora fresce di medicazione.
L’uomo le sfiorò i polsi, con sguardo greve. – Dovremmo cambiare la fasciatura.
- Ci penserà padre Craig. Va’ se devi andare alla galleria, caro. Starò bene – lo rassicurò lei, lasciandosi baciare il palmo della mano, ammirandolo mentre si alzava in piedi, abbandonando il letto.
- Ne sei sicura?
- Certo.
Ma prima che Rolland potesse fare un passo lontando da lei, Heloisa lo richiamò:
- Aspetta.
L’uomo si bloccò, voltandosi nuovamente verso la moglie, in attesa.
A ciò, Heloisa gli prese il polso e lo trascinò giù con delicatezza, portandolo ad abbassarsi verso di lei.
Gli lasciò un bacio sulle labbra, assaporando quella sensazione che le mancava tanto, beandosene.
Quando si distaccarono, Rolland sorrise, e sembrava soddisfatto anche lui di quel bacio rubato e inaspettato, un contatto intimo che non si concedevano più da molto, troppo tempo.
Dopo ciò, Rolland uscì dalla camera e di casa, pronto ad intraprendere la giornata di lavoro.
Padre Craig, intanto, era sin troppo impegnato a non addormentarsi in piedi: per tenersi attivo aveva preparato la colazione per tutti, per Heloisa soprattutto, la quale doveva ancora riprendere completamente le forze dopo ciò che le era accaduto sei giorni prima.
Stava gradualmente riacquistando vitalità: stava uscendo dalla camera, passava del tempo con Ioan, si intratteneva con loro, e usciva addirittura a fare delle passeggiate, talvolta.
In confronto a prima, per quanto fosse tremendo ammetterlo, il tentato suicidio sembrava averle fatto molto bene.
In compenso, lui, invece, sentiva di star deperendo.
Non riusciva più a dormire, nè a mangiare adeguatamente da quando Blake era chiuso là sotto, e da quando Rolland lo aveva velatamente minacciato di stargli lontano.
Non indossava più la sua tunica monacale, non pregava più, si stava addirittura proibendo di andare a trovare Judith.
A tanto lo aveva spinto, quell’estenuante amore?
Sentiva la presenza di Dio sempre più lontana da lui.
Ciò non era affatto un bene.
Almeno, dopo la seconda volta che aveva ceduto alla tentazione di consolarsi tra le braccia e le cosce di Beitris, non vi era stata una terza volta: aveva preferito restare a crogiolarsi nel suo dolore e nella sua angoscia, piuttosto.
Ora, come ogni mattina da quasi una settimana, combatteva contro l’impulso di non cadere addormentato per terra a causa della notte insonne, e di non bruciare quella casa dalle fondamente, solo per costringere Blake ad uscire fuori di lì.
Aggiunse un po’ di burro e spezie al suo stufato, mentre udiva distrattamente dei passi entrare in cucina.
Escluse la possibilità che fossero Quaglia o Ioan: i due erano al fiume, e Quaglia lo aveva informato che, non appena avrebbe terminato di fare il bagno a Ioan, lo avrebbe riportato a casa e poi avrebbe raggiunto Judith alla cattedrale, per passare un po’ di tempo con lei.
Padre Craig non aveva potuto fare nulla a riguardo, se non annuire a quell’assurda speranza e pretesa che quell’infatuazione a tratti morbosa trovasse il suo epilogo nel consenso di Judith.
Escluse anche la possibilità che si trattasse di Rolland, dato che era uscito di casa un attimo prima.
- Buongiorno.
Quella voce carezzevole e per metà insonnolita lo fece voltare verso la fonte: adocchiò un’Heloisa in vestaglia, con i voluminosi ricci rialzati in alto da una spilla, e i sottili polsi fasciati, intenta a stiracchiarsi con raffinatezza.
Oramai persino il voluttuoso e bellissimo corpo di Heloisa non gli provocava più alcun effetto.
Le accennò un sorriso stanco e ricambiò:  - Buongiorno. Prego, sedetevi – la incoraggiò, avvicinandole il piatto colmo di uova, di formaggio fuso e di focaccia.
La donna gli sorrise caldamente, quasi dolcemente, poi prese le posate e iniziò a mangiare con calma, gustandosi ogni boccone: sembrava davvero un’altra persona.
Dopo una quantità di tempo infinita di placido silenzio, in cui Heloisa mangiò guardando fuori dalla finestra e padre Craig si impegnò ad insaporire lo stufato, la donna parlò di nuovo:
- Padre.
- Sì?
- Cosa sapete dirmi di Myriam?
Tale domanda sorprese non poco padre Craig, il quale ormai aveva compreso quanto la donna dinnanzi a sè dovesse odiare la strega nominata.
- Ho sentito dire che i monaci stanno istruendo una strega, avendole fatto intraprendere il percorso per diventare monaca.
La prima strega a diventare monaca.
Ho sentito dire si chiami Myriam – spiegò Heloisa con una calma che spaventò quasi il prete.
- Sì.. è così.
Heloisa poggiò la schiena allo schienale della sedia e posò nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra, osservando un passerotto poggiarsi sul davanzale.
- Me lo sentivo. Sentivo fosse tornata – commentò, non aggiungendo altro.
- Cosa pensate, Heloisa? – le domandò padre Craig, incuriosito da quel comportamento.
- Nulla. Semplicemente che trovo strano il fatto che non abbia ancora tentato di uccidermi.
O che non si sia già messa in contatto con mio figlio – sospirò con calma.
- Sapete.. – riprese dopo qualche attimo di silenzio. – Sto iniziando a credere che la mia “pazzia” sia stata provocata volutamente, e che io non sia la causa del mio male. Credete pure che io abbia delle strane manie di persecuzione, ma sento che è così.
- Non è una percezione strana, la vostra – le rispose con calma il prete.
- Trovate?
Padre Craig alzò le spalle. – Ricordate qualcosa, un evento in particolare, accaduto nel periodo appena prima la vostra crisi?
- In realtà sì. Riesco ad associare l’insorgere della mia violenta crisi ad un episodio specifico.
- Che episodio?
- Ero andata a confessarmi.
Data l’assenza di monaci del Diavolo, sono stata confessata da un monaco del Creatore. Credo che il suo nome sia Cliamon. Padre Cliamon.
- Lo conosco. Continuate.
- Egli.. mi ha detto delle cose orribili, che hanno provocato in me un grave e profondo senso di colpa, legato ad un ricordo lontano – ricordò lucidamente Heloisa. – Non lo trovate strano? Non trovate strano che un monaco dica delle parole tanto pesanti ad una fedele che sta cercando di redimersi, sapendo che il senso di colpa la divorerà irreversibilmente? Per questo credo sia stato voluto.
- Ma... per quale motivo padre Cliamon dovrebbe volervi far del male? – ragionò padre Craig, confuso.
- Me lo sto chiedendo anche io. C’è qualcosa che non mi quadra in tutto questo.
Ho come una strana sensazione...
Sapete se padre Cliamon ha mai avuto contatti con Myriam?
- Non saprei dirlo con certezza. Perchè me lo chiedete? Cosa sospettate?
- Sospetto che c’entri Myriam in questa storia.
Ella avrebbe tutte le ragioni per volermi far impazzire, per volermi morta.
Padre Cliamon invece non ne ha nessuna, a malapena mi conosce.
- Supponete che i due, in qualche modo, siano alleati?
In quel momento, i due vennero interrotti dal bussare alla porta.
Incerto su chi potesse essere, padre Craig andò ad aprire, senza far scomodare Heloisa.
Aprì la porta e sgranò gli occhi nel trovarsi davanti il ragazzone dalle spalle larghe che aveva preso sotto la sua ala ultimamente:
- Ehi, Ambrose.
- Buongiorno, padre.
- Buongiorno a voi. Cosa ci fate qui?
- Sono venuto a portarvi un po’ di latte di capra e della carne fresca da casa mia. Avevate detto di averne bisogno – disse il ragazzo mostrandogli il sacco che aveva sulle spalle.
- Oh, giusto. Quanto vi devo?
- Nulla. Offre la casa. Mia madre vorrebbe incontrarvi da quando sa’ che ho stretto amicizia con voi, padre. Per questo, a maggior ragione, ha voluto farvi questo dono.
- Oh, che premurosa! – commentò il giovane prete lievemente in imbarazzo. – Ma prego, entrate e sedetevi – lo invitò, facendosi da parte per fargli spazio.
- Non vorrei disturbare – rispose il ragazzo, grattandosi la nuca, a disagio nel trovarsi in una casa in cui non era mai stato.
Ma non appena Heloisa scorse la sua reticenza a distanza, si affacciò lievemente dalla sedia su cui era seduta e gli sorrise gentilmente rassicurante: non conosceva quel giovane servo del Creatore, ma l’ospitalità era sempre un requisito d’obbligo in casa sua. Inoltre, era anche un conoscente di padre Craig, perciò era felice di farlo entrare in casa. – Non fate complimenti, giovanotto.
Ambrose, con le guance velate di imbarazzo come ogni volta che si trovava per la prima volta di fronte ad una serva del Diavolo più grande di lui, annuì mestamente ed entrò, senza farselo ripetere, osservando la casa in silenzio.
- Avete una bella casa – commentò.
- Vi ringrazio – gli rispose Heloisa, vedendolo accomodarsi nella sedia che padre Craig aveva lasciato libera per lui.
- Come state? – gli domandò il giovane prete, sedendosi accanto a lui.
- Bene – rispose sommariamente il ragazzo, sforzandosi di sorridere.
Ma Craig capì subito che qualcosa non andasse. – Non siete molto bravo a mentire, Ambrose – lo smascherò bonariamente, mostrando a sua volta la sua debolezza. – Anche io sto soffrendo in questo momento, Ambrose. Non abbiate paura di aprirvi con me.
Tale ammissione colpì in particolar modo Heloisa, la quale lo guardò comprensiva e amorevole.
A ciò, incoraggiato dall’empatia che il prete gli stava mostrando, il ragazzo abbassò il volto, iniziando a torturarsi le dita, e parlò: - Ho.. avuto una discussione con un amico.
- È Folker questo amico?
Ambrose alzò il volto, guardandolo in quegli occhi che sembravano sapere più di quanto pensasse. Annuì, cercando di mantenere un tono quanto più neutro possibile, a fatica. – Non ci parliamo da giorni. Era diventato l’unico. L’unico amico che avevo.
Heloisa si intristì a sua volta, nonostante non conoscesse i trascorsi.
- Ed ora vi sentite perso senza di lui? È così?
- Non è questo. Posso anche farmi nuovi amici, senza problemi – si vantò, non credendoci neanche lui.
- Beh, non si crea un’amicizia solida come la vostra così, da un giorno all’altro. È normale che vi dispiaccia. Non sentitevi strano per questo.
- Ma non credo che anche lui si senta così.
- È quello che credete?
- Credo che lui non mi voglia più vedere.
Ho sbagliato, padre.
Ho sbagliato su tutto.
Non avrei dovuto avvicinarmi a lui, fin dal principio.
- Non dovete dire questo.
Sono certo che anche lui tiene a voi. L’ho notato – lo rassicurò.
- Davvero?
- Ma certo che è così, Ambrose.
Folker è un ragazzo che non ha mai voluto appoggi da nessuno.
Invece, si è affidato completamente a voi.
Questa non è una dimostrazione già abbastanza grande?
Ambrose vi riflettè su. – Il fatto è che ho tradito la sua fiducia. L’ho fatto fuggire via.
- Avete provato ad affrontarlo?
- Ho paura della sua reazione. Ho paura di perderlo.
Padre Craig venne toccato profondamente da quelle ultime parole.
Per qualche assurdo motivo, si immedesimò in quel ragazzo.
Lui viveva nella costante paura di perderli.
Di perdere Blake. Di perdere Judith. Di perdere Blake soprattutto.
Perchè Blake era scostante, era irriconoscente, era cieco di fronte al suo amore.
Valeva davvero la pena vivere in quella costante paura?
Paura di perderlo, paura che si facesse del male, paura che non lo volesse più al suo fianco?
Valeva la pena?
Improvvisamente, non seppe più la risposta a quella domanda.
Prima di quella settimana infernale, credeva di sì.
Credeva che Blake ne valesse la pena, che valesse ogni pena e tortura del mondo.
Ora non ne era più così sicuro.
La sua stima nei suoi confronti non sarebbe mai mutata, mai diminuita.
Tuttavia, forse un’anima come la sua era destinata a rimanere sola, isolata, a volare via, senza essere visto o sfiorato da occhi o pensieri.
Forse era meglio così.
- Non dovete avere paura.
Non vale la vostra preoccupazione, se vi fa vivere perennemente nella paura – rispose ad Ambrose.
- No, mi avete frainteso.
Non vivo costantemente nella paura con lui.. anzi – rispose Ambrose, sorridendo di sottecchi, senza accorgersene. – Con lui mi sento me stesso, mi sento bene. È una sensazione completamente nuova per me.
- Allora che aspettate?
Andate da lui. Parlate con lui.
- Come posso farlo?
- Pretendete la sua attenzione – lo incoraggiò vivamente, con una forza che lui non avrebbe mai avuto.
- E se... e se scappasse di nuovo?
- Non fatelo scappare.
Non intendo con la forza, ovviamente.
Fate in modo che lui vi ascolti.
Ditegli ciò che è nel vostro cuore.
- Ho timore di deluderlo ancora.
- Non lo farete.
Lui vi ascolterà, e se davvero è una persona speciale come credete, rimarrà accanto a voi – terminò il prete, come se, improvvisamente, una strada limpida e vuota si fosse aperta dinnanzi ai suoi occhi, per la prima volta, in tutta la sua vita: la strada del libero arbitrio.
Non sarebbe rimasto accanto a Blake come voleva.
Non avrebbe percorso la via dell’autodistruzione insieme a lui.
Avrebbe reciso quel legame.
Solamente legami e rapporti sani sarebbero stati ammissibili: Judith era certamente uno di questi.
Non era un fardello soffocante amarla in silenzio, come lo era amare Blake.
Le sue pene sarebbero giunte al termine ed ora, già ora si sentì così leggero, che avrebbe potuto mettersi ad urlare e a saltare, gridando di essere libero e ringraziando a non finire l’inconsapevole Ambrose.
Ambrose lo ringraziò, rinvigorito da quella conversazione, la quale lo aveva reso più determinato e speranzoso. – Vi ringrazio, padre. In merito a Folker, in verità, volevo anche parlarvi di qualcos’altro.
- Certo, ditemi pure.
- Voi, per caso, conoscete qualcuno che possa voler utilizzare la magia nera per... assumere le sembianze di qualcun altro?
Tale domandò lasciò alquanto basito il prete, ed Heloisa con lui.
La prima cosa che venne in mente a padre Craig, era il fantomatico e maledetto gioco dello specchio. – Per “assumere le sembianze” intendete...?
- Uno scambio di corpi, sì – confermò Ambrose, deglutendo.
- Beh, in verità... Come mai mi fate questa domanda? È successo qualcosa a Folker che ha a che fare con...?
- Sono abbastanza certo sia vittima di magia nera. Qualcuno si sta impossessando del suo corpo un giorno alla settimana, cancellandogli i ricordi di quella giornata, e usando il suo corpo come più gli aggrada - confessò senza filtri, trattenendo la rabbia, lasciandoli entrambi esterrefatti. – Voglio scoprire chi gli sta facendo questo...
- Non è possibile... si tratta di una grave infamia...! – commentò Heloisa, allibita.
- Sono abbastanza certo sia così, signora.
- Ambrose, io... non so cosa dirvi. Se siete davvero convinto di ciò che dite.. si tratta di un’accusa molto grave. Sapete, per caso, se qualcuno che è stato vicino a Folker potrebbe voler.. possedere il suo corpo e ricorrere addirittura alla magia per farlo?
Ambrose sembrò spremere le meningi per ricordarsi di qualcuno o di qualcosa che potesse essere loro d’aiuto. – I miei vecchi amici che lo perseguitano li escludo. Certo, sono servi del Creatore, ma non hanno mai desiderato con tanto ardore possedere un bel corpo. Almeno credo.
- Deve essere per forza un servo del Creatore – commentò Heloisa, sempre più interessata a quel discorso.
- Già. Deve esserlo. Le motivazioni non potrebbero essere altre.. giusto? – ipotizzò il prete.
- Folker è odiato da tutto il villaggio a causa dell’accusa di essere una strige.
Nessuno vorrebbe essere nei suoi panni.
L’unico motivo per cui qualcuno potrebbe desiderare di avere le sue sembianze, è per l’avvenenza del suo corpo.
Dunque sì. Credo anch’io sia un servo del Creatore.
- O una serva del Creatore.
Non sono rari i casi di donne che bramano trovarsi nel corpo di uomini e viceversa – sottolineò Heloisa.
Ambrose ci riflettè su ancora un po’.
- Non mi vengono in mente altri servi o serve del Creatore che gli si sono avvicinati/e.
L’unico che mi viene in mente è.. un certo monaco.
Un monaco che Folker mi ha nominato qualche volta, che si è interessato a lui già qualche tempo fa.
- Un monaco...? Qual è il suo nome?
- Non ricordo di preciso. Ma ha partecipato allo spettacolo di Judith, se non sbaglio.
Si è avvicinato a Folker alla fine dello spettacolo.
Interpretava l’Ammirazione.
Un guizzo di consapevolezza agghiacciante colpì in pieno padre Craig. – Cliamon?? Padre Cliamon??
- Sì, sì, esatto.
- Un monaco del Creatore che usa la magia per prendere le sembianze di un giovanissimo servo del Diavolo...? – spirò Heloisa, guardando padre Craig sconvolta, il quale la stava fissando con la stessa intensità:
era la seconda volta quella mattina, che a quel tavolo saltava fuori il nome di quel monaco.
La prima volta accostato a Myriam.
La seconda volta accostato a Folker.
A Folker stava accadendo qualcosa che aveva a che fare con la magia nera.
In quello strano triangolo, solo Myriam avrebbe potuto effetturare un incantesimo di magia nera.
Tutto tornava e, al contempo, tutto era tremendamente strano e confuso.
Padre Craig ed Heloisa sentirono di starsi addentrando in una situazione più grande di loro, in un puzzle dai pezzi così intricati e complessi, da apparire grottesco e tremendamente insidioso.
- Cosa c’è? – domandò loro Ambrose. – Cosa state pensando?
 
 
Lo stregone si ritrovò dentro quell’ambiente asfissiante, pregno di zolfo e di carbone, tanto da portarlo a tossire ripetutamente, cercando di non farsi soffocare da quel terribile odore debilitante.
Era avvezzo agli odori forti, grazie al grande uso di incenso che faceva alla sua dimora, ma quello che regnava lì dentro era un’altra storia: sembrava di trovarsi direttamente nel cuore dell’Inferno.
- Ho sigillato appositamente la porta, saldando il ferro dall’interno, dunque la domanda mi sorge spontanea: come hai fatto ad entrare? Probabilmente non dovrei neanche chiedertelo, considerando che sei tu, ma stavolta farò uno strappo alla regola, dato che mi sono isolato in questa fucina per essere lasciato in pace da qualsivoglia anima viva, e che stai violando deliberatamente i miei spazi – la voce di Blake, calma e infastidita, attirò la sua attenzione sulla sua figura, quella che stava cercando e che non aveva ancora individuato a causa dei fumi che impregnavano la fucina, animata dalla fornace ardente.
Fece qualche passo verso di lui e lo individuò seduto a terra, a gambe incrociate, con la schiena e la testa appoggiate al muro, le mani abbandonate in grembo e gli occhi chiusi. Doveva aver tirato ad indovinare, per capire fosse lui.
Gli abiti che il ragazzo indossava erano anneriti a più non posso, e così anche la sua pelle e la selvaggia chioma di capelli castani, coperti a chiazze di sostanze nere dall’evidente tossicità.
Ephram si avvicinò ancora, affilando lo sguardo per osservarlo meglio.
- Credevo che questo posto puzzasse di morto, dato che, da come ho sentito, sono sei giorni che sei qui dentro senza mai uscire, neanche per dormire o per altri bisogni corporei.
Dovresti essere morto asfissiato, se così fosse.
Invece non lo sei, e inoltre l’unico odore che sento è quello tossico dei tuoi amati metalli.
- C’è la finestra – rispose sommariamente Blake, senza disturbarsi ad aprire gli occhi, cercando di farlo fesso a quel modo.
Ephram, dal canto suo, accennò un impercettibile ghigno nell’osservare la piccola finestra dietro di sè, situata verso il soffitto della fucina, da cui usciva del fumo nero per nulla rassicurante che, grazie al Signore, dava sul retro deserto della casa, altrimenti avrebbe intossicato qualche passante. Lo stregone si avvicinò ancora a Blake, guardandolo dall’alto. – Oltre che essere morto asfissiato, dovresti anche essere notevolmente dimagrito – aggiunse osservando il suo viso disteso per quanto potè da quella distanza. – Ma a parte quelle occhiaie da morto vivente e le labbra screpolate, non mi sembri esattamente uno scheletro. Dunque la domanda sorge spontanea anche a me: come fai tu, piuttosto, ad uscire da qui senza farti vedere, con la porta sigillata?
Blake continuava a non aprire gli occhi, restando immobile. – Sei una proiezione astrale o una cosa simile? Hai usato uno dei tuoi trucchetti per farmi credere che sei qui, ma il tuo corpo non è davvero qui. Se ti toccassi probabilmente la mia mano ti trapasserebbe – concluse Blake.
A tal punto, Ephram si accovacciò di fronte a lui, allungò una mano e gli accarezzò una guancia.
Solo in quel momento Blake aprì gli occhi.
Erano stanchi, liquidi, ma non troppo sorpresi.
Ephram resse il suo sguardo e gli accennò un lieve sorriso, impiegando qualche secondo di troppo a spostare la mano dalla sua guancia. – Teoria confutata. Sono qui. In carne ed ossa, Blake.
A ciò, il ragazzo schiuse le labbra e gli rispose, con una lentezza che fece presupporre allo stregone che stesse facendo fatica a parlare. – Basta con queste moine. Rispondi alla domanda e dimmi come hai fatto ad entrare.
- Uno dei miei trucchetti. Uno di quelli difficili, che non posso replicare. Dimentichi che ora abbiamo anche una sciamana al villaggio, il che amplia lo spettro di usi e applicazioni della magia da cui possiamo attingere.
- Oh, giusto. Ho sentito dire che la nuova arrivata ha aperto una nuova attività alla Taverna. Felice che andiate d’accordo – commentò con disinteresse. – Ma dato che non puoi replicarlo... come hai intenzione di uscire di qui, dunque?
- Speravo di farlo con te, dalla porta principale. Magari fondendo il ferro che hai usato per sigillarla, o smantellandola direttamente.
Blake sorrise di scherno a tali parole. – Hai davvero una tale fiducia in te stesso, stregone?
- Tu, invece, non hai ancora risposto alla mia, di domanda: come fai ad uscire di qui?
Blake fece incrociare nuovamente i suoi freddi e distanti occhi blu con le iridi di sabbia del suo amico. Senza dire nulla, si alzò le maniche della maglia larga che indossava, scoprendosi interamente le braccia, le quali erano ricoperte di graffi di sangue secco su tutta la loro lunghezza. – Non mentivo, prima: c’è la finestra - spiegò il ragazzo.
- Quella finestra è strettissima, Blake.
- Come credi me le sia provocate queste ferite? E non ti ho fatto vedere come sono ridotti i fianchi e il bacino. Mi sono arrampicato su quella finestrella ogni notte, incastrandomici dentro ogni santa volta, per uscire di qui e respirare un po’ di aria pulita. Di notte, le strade sono deserte. Vado fino alla galleria e talvolta mi addormento sopra il terreno morbido e sconfinato, al chiaro di luna, giusto qualche ora. Se ho dei bisogni, li soddisfo di notte, che possa essere sete, fame o qualsiasi altra cosa. Poi torno qui prima che il sole sorga.
- Ho sentito dei lievi nitriti prima. La cavalla che ci siamo portati dietro dal viaggio te la sei tenuta tu ed è legata qua fuori, non è vero? Ci vai con lei a fare le tue “passeggiate” notturne alla galleria?
- No, amo camminare. E poi Aliya non ama passeggiare di notte – rispose Blake accennando un lieve sorriso.
- Oh, quindi le hai dato persino un nome? Devi tenerci a lei. Eppure, la tieni qua fuori, nel retro della casa, proprio dove sbuca quella maledetta finestrella da cui escono fumi neri che intossicherebbero un branco di elefanti. Sei un po’ contraddittorio, Even Blake.
E lo stesso schifo lo stai respirando anche tu, ogni giorno. Non importa che di notte esci di qui e respiri aria pulita. Se continuerai così, finirai per... – lo stregone si bloccò, iniziando a tossire, coprendosi naso e bocca con la manica della maglia.
- Passerà, vedrai – gli disse il ragazzo in quella calma surreale. – Il mio organismo si sta abituando allo schifo che respiro. Forse perchè lo respiro fin da piccolo.
- E tutto questo... – disse Ephram non appena si fu ripreso dal violento colpo di tosse. – ..tutto questo perchè non vuoi vedere nè incontrare nessuno?
Hai una vaga idea di quanto stai facendo preoccupare tutti gli stolti che tengono a te?
Quella zavvorra sui piedi del prete straniero che ospiti, ad esempio.
Sono sicuro che quel padre Craig si starà disperando come un dannato per te.
Pover’uomo.
- Devono imparare a rispettare le mie decisioni.
Anche padre Craig. Per lui sarà più difficile.
Ha un attaccamento viscerale nei miei confronti, talvolta. Come quello di un bambino che si è perso e non riesce a ritrovare la strada di casa – disse Blake, guardando nel vuoto.
Quel paragone fece storcere il naso allo stregone.
Lui non l’avrebbe proprio definito così il morboso attaccamento che quel prete mostrava nei confronti di Blake.
Piuttosto, qualcosa di molto più intenso e venerante.
Riconosceva la frustrazione sessuale e quello sguardo idolatrante da chilometri di distanza ormai.
Anche lui stesso era stato oggetto di quegli sguardi da parte di alcuni, in passato.
Tuttavia, riflettendoci, quello che doveva provare padre Craig era diverso rispetto al tipo di ossessione che era stata riservata a lui. O che aveva provato lui stesso.
Era talmente diverso, da farlo sentire invidioso.
Ephram sapeva di non aver mai provato qualcosa di differente da del banale interessamento sessuale, mascherato da qualcos’altro, ma pur sempre finalizzato a quello.
Il sesso era il suo modo di sfogarsi, e il modo degli altri di sfogarsi con lui.
Se il giovane stregone si avvicinava a qualcuno, era sempre per servirsi del suo corpo per provare piacere, oppure perchè voleva ottenere qualcosa, un beneficio per se stesso.
Era sempre stato così.
Invece, padre Craig non sembrava provare solo attrazione sessuale nei confronti del ragazzo dinnanzi a lui.
Il suo era un sentimento che lo faceva “vegliare” su Blake da lontano, che gli permetteva di lasciarlo andare, di lasciarlo libero, che si accontentava delle minuscole briciole che quel ragazzo era in grado di dargli, facendosele bastare, era un tipo di sentimento che, lo stregone ne era quasi certo, lo avrebbe spinto ad attendere in eterno, forse per secoli, solamente per ricevere uno sguardo da Blake.
Era un sentimento ammaliante, quanto spaventoso.
Si riscosse dai suoi pensieri, decidendo di porgli quella domanda, per capire se fosse davvero ignaro del tipo di attenzioni che stava ricevendo da quel prete straniero: - Non ti dà fastidio il suo atteggiamento nei tuoi confronti?
Blake attese qualche secondo prima di rispondere. – No, non mi dà fastidio.
- Credevo di sì, dato che non ami che qualcuno ti dedichi attenzioni.
- Lo so, è strano. Ma si tratta pur sempre di un amico.
Finchè capisce quando è il momento di lasciarmi solo, quando allontanarsi da me, va bene.
- Lo compatisci?
- Perchè dovrei?
Dunque, non ne aveva idea, Ephram ne ebbe la conferma.
E dato che la cosa non andava a proprio favore, chi era lui per fargli aprire gli occhi su quel prete?
Avrebbe continuato a far credere a Blake ciò che voleva.
- Sono certo darebbe fuoco a quella porta pur di venire qui da te, per essere al mio posto, se solo ne avesse il coraggio. Sei sicuro che sappia qual è il suo posto? Forse sì che dovresti compatirlo, se si strugge credendoti morto qui sotto.
- Se credi che riuscirai a convincermi a farmi uscire di qui con te facendo leva sui miei sensi di colpa nei confronti di padre Craig e gli altri, mi spiace deluderti, ma hai sbagliato strategia, Ephram – gli rispose secco, troncando il discorso.
- D’accordo, ricevuto il messaggio. Ad ogni modo, sono venuto qui per darti questo – disse lo stregone infilandosi una mano dentro la tasca dei pantaloni e tirando fuori una piccola sacca.
Blake osservò ogni suo movimento e prese la sacca quando gliela porse.
Prima di aprirla la annusò, aprendo appena di più gli occhi, per la sorpresa gradita.
Dopo di che, un sorrisino sereno e furbo si delineò sul suo viso. – Oppiacei.
- Come hai fatto a riconoscerlo solo dall’odore? – domandò lo stregone piacevolmente stupito, alzando un sopracciglio.
- Mi credevi un santo? Ho già goduto degli effetti dell’oppio.
- Credo che tu possa essere qualsiasi cosa, tranne che un santo, Blake.
- Ho dovuto fare i salti mortali per ottenerlo in passato – spiegò il ragazzo. – I monaci ne proibiscono l’utilizzo, ma alcune erbolaie ne avevano un po’, tenendoselo gelosamente per loro. Qui a Bliaint è raro trovare papaveri, perciò è altrettanto raro ottenerlo. Lo usavo su mio fratello, per farlo calmare quando la malattia lo faceva stare troppo male e piangeva a dirotto per nottate intere. Solo gli oppiacei riuscivano a calmarlo un po’, alle giuste quantità. Quello che avanzava, lo assumevo io.
- Come convincevi le erbolaie a dartelo? – domandò Ephram spinto dalla curiosità.
Blake non rispose, ma posò lo sguardo su di lui. – E tu chi hai dovuto convincere per averlo oggi?
Ephram fece il gesto di cucirsi la bocca con la mano, un chiaro segnale che non gli avrebbe rivelato nulla.
- Ho pensato che avrebbe potuto farti bene perdere il senno con qualcosa di più “sano”, piuttosto che inspirando mercurio e zolfo qui dentro.
- Pensi che io stia subendo un avvelenamento da mercurio?
- A giudicare dal tuo sguardo rilassato, dall’odore che c’è qui dentro e dal colpo di tosse mortifero che mi ha colpito poco fa, mi sto decisamente chiedendo come tu faccia ad essere ancora cosciente. Inoltre, qui dentro si sta diffondendo anche qualcosa che... mi sta chiudendo le vie respiratorie e mi sta dando prurito al naso e in fondo alla gola... che diavolo è?
- Acido – rispose Blake.
- Di quelli corrosivi..? Lo hai composto tu?
- Abbiamo un sacco di tipologie diverse di acidi per lavorare con i metalli.
Alcuni servono anche per riconoscere se l’oro è davvero oro.
- Per questo hai anche iniziato a creare acidi come se niente fosse?
Per questo riempi tutti quei fogli che hai sparsi su quel tavolino e a terra di formule e segni assurdi?
- Non solo – rispose il ragazzo, rimanendo ancora perfettamente calmo. – Ad ogni modo grazie, ma per ora non ne ho bisogno. L’oppio mi fa perdere la lucidità e io voglio rimanere lucido.
- Come preferisci – disse lo stregone coprendosi nuovamente la bocca con la manica della maglia e accomodandosi di fianco a lui.
Trascorsero alcuni minuti senza dirsi nulla, poi Ephram ruppe il silenzio. – Cosa pensi che ti farà quel conte se dovesse riuscire a catturarti, ma tu non fossi in grado di fare la trasmutazione?
A ciò, gli occhi di Blake saettarono di nuovo su di lui. – Dunque lo sai. Non perderò neanche tempo a chiederti chi te lo abbia detto, dato che le opzioni sono solo due, e credo di sapere chi è stato – sbuffò senza reale fastidio.
- Come hai potuto pensare di tenerti tutto per te? Quel maledetto nobile non è un pericolo solo per te, ma per l’intero villaggio. Dobbiamo cercare di fermarlo, ed è quello che mi sto adoperando a fare.
- E come?
- Con l’aiuto di quante più influenze occulte possibile.
Blake accennò un sorriso disilluso a tali parole, facendo ripiombare poi quel placido silenzio occupato solo dai rumori del fuoco della fornace.
- Mi hai chiesto cosa mi farebbe se io non riuscissi a fare quello che desidera da me? – riprese Blake, riattirando l’attenzione di Ephram. – Non ci ho mai pensato. Probabilmente mi venderebbe come schiavo. Immagino sarei un enorme fonte di reddito per lui, considerando che sono un servo del Diavolo di Bliaint. Mi venderebbe ad una cifra spropositata al miglior offerente, e si arricchirebbe ancora di più, proprio come desidera.
- E dare via come niente fosse un “inestimabile servo del Diavolo di Bliaint”? Non credo proprio – commentò lo stregone. – Ti terrebbe per sè. Vantandosi con chiunque di averti, in quanto saresti unico, un insostituibile pezzo da collezione.
- E poi mi farebbe sempre ritentare, ancora e ancora, fin quando non avrò trasformato il piombo in oro.
- Per questo stai tentando così strenuamente di riuscirci, chiuso qui dentro?
- Non lo sto facendo per lui – rispose con fermezza il ragazzo.
- Per quale motivo lo stai facendo, allora?
Il loro discorso venne troncato da un evento che fu in grado di riscuoterli e “risvegliarli” immediatamente.
Da un recipiante in acciaio, poco più lontano e vicino ai fumi della fornace, iniziarono a fuoriuscire delle minuscole scintille. Inizialmente piccole, rade e apperentemente innocue, poi sempre più frequenti, grosse e per nulla rassicuranti..
Blake scattò immediatamente in piedi ed Ephram poco dopo di lui.
Il ragazzo si avvicinò al recepiente con gli occhi totalmente spalancati, allibiti, e lo stregone non era da meno, nonostante, al contrario di Blake, si manteneva a debita distanza dal diabolico recipiente.
- Blake... se è quello che penso io, ti prego, non avvicinarti troppo... – la voce di Ephram era esterrefatta, niente a che fare con il solito tono spavaldo e arrogante. La sua voce era un soffio spaventato e orripilato.
- Non ci posso credere... non ci posso credere! Ci sono riuscito... Ephram, l’ho creata... questa è la stessa reazione che ha avuto la polvere nera a casa di Philippus!! Ephram, è la polvere nera!!
- Proprio per questo dovremmo andarcene immediatamente di qui!! Mi hai sentito, Blake?! Dobbiamo uscire di qui prima di saltare in aria!
- Non salteremo in aria, non è ancora completa, è ancora una versione grezza!
A ciò, Ephram fece violenza a se stesso e al proprio egoistico spirito di sopravvivenza, piombando verso l’amico, prendendolo per le spalle e iniziando a scuoterlo con vigore.
- Blake. Dobbiamo andare immediatamente via di qui. Ora – disse severo, autorevole, senza ammettere repliche, perforandogli lo sguardo con i suoi occhi determinati e terrorizzati al contempo, mentre, intanto, le scintille scoppiettavano sempre di più, espandendosi dentro la fucina.
In quell’attimo in cui Blake incontrò le iridi dello stregone e la sua presa artigliante sulle braccia, nell’unico momento in cui tutta l’eccitazione e l’entusiasmo abbandonarono la sua mente, la realizzazione della circostanza prese il loro posto e il sopravvento, facendolo annuire, mentre Ephram aveva già iniziato a  spingerlo verso la finestrella con urgenza.
Come era avvezzo a fare ogni notte, Blake si arrampicò su quel buco quadrato che svettava tra i mattoni anneriti, fece forza sulle braccia e si issò sù, entrando in quella via d’uscita troppo stretta per qualsiasi corpo che non fosse quello di un bambino, ferendosi le braccia e i fianchi come ogni volta nel tentare di strisciare fuori di lì, mentre i mattoni lo graffiavano e lo trattenevano.
Intanto, Ephram, ancora nella fucina, trascorse i momenti peggiori della sua vita mentre non riusciva a fare a meno di osservare le scintille iniziare già a scoppiettare intorno a lui, e il calore della stanza arrivare a livelli inumanamente insopportabili.
Blake gli porse la mano appena fu fuori e lo aiutò a salire, prendendolo poi per i polsi e tirandolo verso di sè, per aiutarlo a far passare il corpo attraverso la stretta finestrella, facendolo urlare per il dolore necessario.
Fortunatamente, erano del tutto certi che il danno non si sarebbe esteso a tutta la casa, ma solo alla fucina: trovandosi in una zona sotterranea, rivestita di mattoni dal doppio strato, ed essendo l’esplosione non ai livelli di quella che vi era stata a casa di Philippus, sicuramente avrebbe distrutto completamente la fucina nella peggiore delle ipotesi, ma si sarebbe limitata solo a quella.
Una volta usciti entrambi dalla finestrella si trovarono davanti la puledra che brucava le poche erbette rimaste sul retro della casa, bellamente ignara di tutto.
Era ancora giorno. Ciò significava che se qualcuno fosse passato di lì e li avesse visti in quello stato, trafelati e con i vestiti impregnati di zolfo e carbone, sicuramente avrebbe fatto delle domande.
Senza pensare, Blake sciolse la corda che legava il muso di Aliya alla staccionata e salì su di lei, attese che Ephram montasse dietro di lui e partì al galoppo, diretto in nessun luogo, con i sensi troppo annebbiati per riuscire a guidare la puledra. Difatti, dopo neanche un minuto di galoppo, Blake perse i sensi.
Si risvegliò qualche ora dopo, ritrovandosi nella stessa posizione in cui era svenuto: seduto in groppa al cavallo, con l’addome che aderiva completamente all’animale, spalmato su tutta la lunghezza della criniera scura, le braccia a penzoloni e il viso poggiato sulla nuca. Ogni tanto Aliya abbassava il muso per brucare l’erba, facendolo distendere involontariamente verso davanti.
Erano stati proprio i leggeri movimenti della puledra, il suo sbuffare, il suo respirare piano e il solletico che gli provocava la criniera sulla guancia che lo fecero risvegliare.
Schiuse gli occhi lentamente, percependo già le membra intorpidite per essere rimasto nella stessa posizione per troppe ore, specialmente il fastidio delle gambe costantemente divaricate, e intanto iniziò a mettere a fuoco l’ambiente intorno a sè: buio, alberi alti, erba, il rumore di una cascata nelle vicinanze. Bosco. Erano nel bosco.
Si voltò dall’altra parte, da cui proveniva una bella sensazione di caldo e una luce arancione che riusciva a illuminare chiaramente un bel perimetro, trovandovi un focolare acceso, animato con cura da Ephram, il quale era seduto a terra, con la schiena appoggiata ad un piccolo tronco caduto.
- Ben svegliato – gli disse lo stregone, annunciandogli di essersi già accorto del suo risveglio. La sua voce era calma, distesa.
- Per quanto tempo sono stato privo di sensi? – fu la prima cosa che disse, staccando il busto dal cavallo e stirandosi, mentre un tremendo mal di testa gli piombava addosso.
- Tre ore. Il sole è già tramontato da un po’ come vedi.
- Tre ore? Siamo qui da tre ore..? – gli domandò palesemente confuso, scendendo dal cavallo.
- “Grazie mille, Ephram, per aver guidato il cavallo al posto mio dietro di me, mentre io ero praticamente un corpo senza vita” – mimò la sua voce Ephram, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui.
- Perchè mi hai portato qui in mezzo al nulla?
- Perchè ultimamente il villaggio brulica sin troppo di vita e di gente, e io avevo bisogno di parlare con te. Da solo – specificò, affrontandolo mentre lo guardava negli occhi, annullando la distanza. – Che cosa è successo dentro quella fucina, Blake?
- Lo hai visto anche tu. Invece di creare la trasmutazione ho creato la polvere nera – rispose, ghignando con una soddisfazione che non fu in grado di trattenere.
- Era voluto?
- Ho sempre letto e riletto gli appunti che ho rubato dalla casa di Philippus quel giorno, ma non sono mai riuscito a cavare un ragno dal buco.. fino ad oggi – rispose Blake riflettendo attentamente tra sè e sè, sorpassando lo stregone e avvicinandosi al fuoco. – Ora so come fare. Ora ho capito. È stato l’acido N2. È l’acido N2 il tassello mancante... non so come ho fatto a non sperimentarlo prima! Zolfo, carbone e acido N2. Intanto è una base. Certo, è pur sempre una versione grezza, incompleta, ma posso lavorarci su, ora so come fare, so come fare! – parlava a rafficava e camminava avanti e indietro, con il sorriso delineato in volto, un sorriso che Ephram non gli aveva mai visto: il sorriso del potere e del trionfo.
- Sembri soddisfatto ora – commentò continuando a guardarlo, ponendo le braccia conserte.
- Certo che lo sono, è quello che sto strenuamente cercando da più di due mesi.
- Lo so bene. Ti faccio presente, tuttavia, che stavamo per morirci là dentro. Se non ci fossi stato io con te-
- Se non ci fossi stato tu sarei scappato comunque in tempo – lo interruppe il ragazzo.
- Tu sei un folle.
- Beh, sono felice di esserlo se ciò mi porta a questo – gli rispose sorridendo soddisfatto.
- Blake, stai giocando con la tua vita in una maniera che non ho mai visto fare a nessuno – replicò Ephram avvicinandoglisi. – Perchè non mi coinvolgi? Perchè mi tagli fuori quasi come fossi un elemento di disturbo?
- Cosa intendi?
- Lo hai fatto persino con Sybil: perchè nessuno di voi due mi ha detto che lei fosse incinta di me?
A tale domanda, Blake distolse lo sguardo, senza rispondere.
- Blake.. sono dovuto venirlo a sapere da Quaglia.
- Lei non voleva dirtelo. È stata una sua decisione, non mia.
Ad ogni modo perchè ci tieni tanto ad aiutarmi, Ephram? – gli domandò tornando a guardarlo.
- Come “perchè”?? Perchè noi due siamo una squadra. Lo siamo da quel viaggio. Da cosa deriva la tua diffidenza?
- Non è diffidenza, nè cattiveria. Semplicemente ho sempre agito da solo, non ho mai fatto diversamente. Inoltre, tu ti occupi di qualcosa di diverso.
A ciò, Ephram scoppiò in una risata frustrata. – Oh, ci siamo! Ci siamo di nuovo! Il tuo rigetto nei confronti della magia. Perchè la matematica non è magia, l’alchimia non è magia! Beh, lascia che, per una volta, sia io a illuminarti su qualcosa, Even Blake: anche io ne so qualcosa, della tua alchimia.
Anch’io so qualcosa di quella che chiamano la “Grande Opera” e delle quattro fasi che la compongono:
La prima, la Melanosi, l’annerimento, l'elemento Terra, nonchè piombo che conduce alla putrefazione, alla decomposizione della materia, al caos primordiale della notte, di Saturno che, incarnato in un corvo, porta l'inverno e la vecchiaia con sè.
La seconda, Leucosi, l'elemento Acqua che si rispecchia nell’argento, distillazione e calcinazione, la purificazione dell'alba tramite l’influsso della Luna, l’energia femminile che trova la sua massima espressione nella libido adolescenziale e nella primavera.
La terza, la Xanthosis, l’Aria, l'oro, l’entità maschile del Sole si sublima nella combustione della venuta del giorno, nella potenza dell’estate matura.
Infine Iosis, il fuoco, il tuo amato mercurio filosofale, il tramonto, l'incontro tra Sole e Luna, l'Androgino, la coagulazione tra anima e spirito, la fenice che rinasce come pietra filosofale, messaggera degli dèi – terminò tutto d’un fiato, rendendosi conto di essersi avvicinato talmente tanto a lui, da far sfiorare i loro nasi e mischiare il respiro con il suo.
Gli sarebbe bastato meno di un istante, un soffio di vento, un battito di ciglia, per annullare quella irrisoria distanza che lo divideva dalle sue labbra.
Ma non lo fece. Saggiamente, non lo fece.
- Il fatto che io non ottenga gli stessi risultati che ottieni tu, il fatto che io non sia un prodigio nella materia, il fatto che non la pratichi, non significa che io non ne sappia nulla, Blake – concluse fissandolo nei suoi occhi blu, trovandoli per la prima volta velatamente smarriti e sinceramente meravigliati, ma pur sempre orgogliosi. – Per tale motivo sono autorizzato ad avere paura. Sono autorizzato ad avere paura perchè so che ti stai avventurando in qualcosa di pericoloso, so che la tua ossessione ha portato altri prima di te a bruciarsi con le loro stesse mani, in cerca di gloria, di fama, o di una via di fuga.
Ma per te non si tratta di nessuna di queste, giusto?
Blake distolse lo sguardo e gli sfuggì di nuovo da sotto il naso, sorpassandolo e spostandosi dall’altra parte del focolare.
A ciò, Ephram sospirò, cercando di rianimare il fuoco come poco prima, beandosi di qualche istante di silenzio.
Ora Blake era tornato silenzioso e imperscrutabile, esattamente come poco prima nella fucina.
Era impossibile sondare quel ragazzo e scoprire come funzionasse la sua testa, cosa gli passasse per la mente.
- Ho sentito che tu e tuo padre avete dato spettacolo qualche giorno fa, in mezzo alla gente – spezzò il silenzio lo stregone.
Blake lo guardò, attendendo che terminasse.
- Mi è stato detto che ti ha messo le mani addosso.
La cosa ti ha innervosito parecchio, immagino.
Lo aveva mai fatto prima?
Blake non rispose, ma affilò lo sguardo, continuando a guardarlo dall’altra parte del fuoco.
- Dove vuoi arrivare, Ephram? – disse poi.
Già. Dove voleva arrivare?
Ephram era ben consapevole di aver avuto la vita che avevano avuto tanti orfani prima di lui: violenza fin dalla tenera età, essere disposti a fare letteralmente di tutto per accontentare qualcuno in grado di darti un pezzo di pane o un posto dove dormire, essere costretti ad imparare a leggere e ad usare la magia abilmente, per essere almeno uno o due passi davanti a tutti gli altri, davanti a tutti quelli che avevano tutto , e che, in quanto tali, avevano un immenso potere su di lui. Essere costretti a cavarsela da soli, sempre e comunque, a fare di più, ad essere di più, a cercare di più, per scappare via dalla propria realtà becera.
Questa era stata la sua vita, e quella di tutti coloro che, come lui, non erano nati in una buona famiglia, con dei genitori che li amavano e che riversavano le loro ambizioni su di loro.
Invece, Blake era il suo esatto opposto.
- Sarai l’erede della galleria.
Il luogo più caratteristico, più ricco e importante di Bliaint.
Tuo padre confida in te, sei il suo primogenito maschio, il suo diretto erede e lui ti ha insegnato tutto quello che sa, perchè vuole che tu prenda il suo posto. In quanto suo prediletto, ti ha sempre portato sotto la sua ala e protetto, non permettendo a nessuno di toccarti neanche con un dito.
Lui ha fiducia in te, ti ha ricoperto di attenzioni, ti ha dato uno scopo, ti ha donato una vita agiata, ti ha donato amore e serenità, ti ha offerto una vita che chiunque desidererebbe, da cui nessuno vorrebbe mai scappare. Tu, invece... – sputò il rospo, lasciando la frase in sospeso. - .. tu cerchi altro. Sei sempre in cerca d’altro.
Nonostante tu abbia tutto, cerchi sempre qualcosa che non hai. Non ti adagi nelle tue agiatezze e certezze come farebbero tutti al tuo posto, ma ti ribelli e fai tutto ciò che desideri e che potrebbe metterti in cattiva luce davanti agli occhi di tutti.
E la cosa buffa è che... dovrei odiarti per questo, dovrei odiarti per avere tutto e per sputare sopra a tutto ciò che hai senza ritegno, senza alcun rispetto e considerazione, ma... a dir la verità, Blake, questa è la parte che più mi piace di te – ammise infine, quasi più a se stesso che al ragazzo, fissando le fiamme dinnanzi a sè.
Alzò gli occhi su Blake per vedere la sua reazione e trovò gli angoli della sua bocca alzati in sù, in un lievissimo sorriso indefinibile. – Se vuoi farmi sentire in colpa per questo, sappi che non servirà a nulla. Non dovrò mai giustificare a nessuno le mie scelte. Non dovrò mai chiedere scusa a nessuno per la mia vita agiata, o per non rispettarla. Non spiegherò a nessuno per quale motivo ho scelto la mia strada. Non sono la persona adatta con cui fare una gara su chi ha vissuto la vita peggiore, e non sono la persona giusta per compatire - disse, rivelando una sicurezza e una tale determinazione da farlo apparire più grande di quanto non fosse, come sempre accadeva. – Io sono una persona egoista – ammise poi, sorprendendo Ephram. – Lo sono sempre stato, e lo riconosco. Lo sono stato persino con Judith: il motivo per cui ho voluto sparire dalla sua vita dopo che ha perso la memoria sta nel fatto che non avrei mai sopportato di stare accanto ad una persona a me estranea, completamente diversa da quella che ho amato e amo. Avrebbe fatto troppo male. Non l’ho fatto per lei. L’ho fatto per me – la sua voce esprimeva una nota di rammarico che Ephram non aveva mai sentito su di lui, e che fu in grado di stupirlo maggiormente.
Dopo qualche minuto, lo stregone gli rispose, guardandolo dritto negli occhi oltre le fiamme: - Non credo tu sia egoista. L’egoismo presuppone l’amor proprio. Qualcosa che a te manca, dato che non stai facendo altro che cercare di ucciderti e autodistruggerti pur di raggiungere un obiettivo nella tua testa. L’egoismo presuppone anche la ricerca di gloria, ma, nuovamente, non è il tuo caso, dato che non ti curi minimamente di cosa pensano gli altri di te. E allora perchè, Blake? Perchè non ti accontenti mai? Perchè continui a cercare, a cercare, a cercare sempre, senza fermarti mai, senza guardare in faccia nessuno? Da dove viene questa tua impazienza di sapere e di scoprire il proibito che farebbe impallidire la Prima Donna, e che ha tanto ammaliato Sybil? Questa tua smania di andare oltre che sta facendo impazzire anche me? Questa incapacità di fermarti, di smettere? – lo stregone si bloccò improvvisamente, avvertendo una fitta di dolore al costato, laddove la ferita più sanguinolenta che si era fatto nel tentitativo di passare da quella dannata finestrella era stata fasciata alla bell’e meglio tre ore prima, con delle erbe curative che aveva raccattato nel bosco.
Blake non rispose, rimanendo immobile, sommerso da tutte quelle domande che ebbero il potere di debilitarlo e disarmarlo, forse per la prima volta dinnanzi all’altro.
- Maledizione... – mormorò Ephram premendosi il palmo della mano sulla ferita coperta dai vestiti, allontanandosi di qualche passo da Blake.
- Sei ferito? – gli domandò quest’ultimo, sorprendendo lo stregone.
- Non sei stato proprio delicato nel trascinarmi fuori da quella finestra, sai? – gli rispose Ephram, fintamente piccato.
- Se fossi stato più delicato non ti avrei tirato fuori di lì in tempo. Avresti preferito saltare in aria lì dentro piuttosto che sopportare un graffietto? Bene, lo terrò a mente per la prossima volta – commentò pungente Blake, lasciandosi cadere a terra, con la schiena poggiata al tronco contro cui poco prima era poggiato Ephram. Quest’ultimo sorrise di sottecchi, arrendendosi.
- D’accordo, lo ammetto: non mi dispicerebbe essere un po’ compatito da te, ogni tanto. Soprattutto dato che sei stato tu a farci quasi uccidere entrambi.
- La decisione di invadere abusivamente i miei spazi ed entrare nella fucina è stata tua, a quanto pare tendi a dimenticarlo se non te lo ricordo – controbattè Blake.
- Hai ragione.
- È tanto grave la ferita?
- Vuoi venire a dare un’occhiata? – gli domandò Ephram, beccandosi un’occhiataccia e una leggera sassata sul petto, sapendo di essersela un po’ meritata. – Tu stai bene? – gli chiese poi, palesando un dubbio che aveva da quando Blake era svenuto davanti a lui sul cavallo, ma che aveva aspettato per porgli fino a quel momento.
A ciò, Blake inclinò la testa e gli rivolse uno sguardo penetrante e pregno di scherno. – Quanta premura – fu la sua sarcastica risposta.
- Parlo sul serio.
- Sano come un pesce – affermò con convinzione, per poi alzare il volto stravolto verso il cielo scuro, verso le stelle, ascoltando distrattamente lo stregone trafficare con un padellino messo a riscaldare sul fuoco.
- Mi sono fatto un bagno prima che ti svegliassi – ruppe il silenzio Ephram, portandolo a riaprire gli occhi. - Qui vicino c’è un lago. Dovresti fartene uno anche tu. Con quella roba impregnata addosso spaventeresti anche le belve selvagge, che fiuterebbero l’odore di zolfo da chilometri di distanza.
Blake accennò un sorriso in risposta, osservando i movimenti dello stregone. – Che stai facendo?
- Secondo te? – gli rispose l’altro, iniziando a mescolare ciò che si trovava dentro il pentolino, il quale oramai stava emettendo fumi dall’odore ben familiare al ragazzo, il quale comprese:
- Hai intenzione di assumerlo adesso? Qui, in mezzo al nulla? – gli domandò Blake alzando un sopracciglio.
- C’è un momento giusto per godersi i rigeneranti effetti dell’oppio? Ne ho decisamente bisogno, dopo quello che mi hai fatto vivere in quella maledetta fucina – rispose lo stregone togliendo il pentolino dal fuoco. - Dovresti prenderlo anche tu. Ti aiuterebbe a rilassarti un po’, e sembri averne bisogno molto più di me - tentò Ephram, porgendogli il pentolino.
- Hai intenzione di rimanere qui tutta la notte? – gli domandò Blake contrariato. – In balìa degli animali, davanti ad un focolare, come i bruti delle foreste?
- Che c’è di male? Non dirmi che vuoi tornare indietro a quest’ora e incontrare i tuoi genitori, dato che la tua preziosa fucina è inutilizzabile e non puoi tornarci.
- Non resterò qui tutta la notte.
- Fai come vuoi. Allora? Lo vuoi o no? – insistette Ephram, con la mano che reggeva il pentolino ancora a mezz’aria, rivolta verso il ragazzo seduto.
Blake distolse lo sguardo e lo fissò sul fuoco. – No, non lo voglio. Preferisco rimanere lucido.
- Come vuoi – disse l’altro, accomodandosi poco distante da lui, e iniziando ad inspirare quei fumi intensi e pregni, beandosene e sospirando di piacere e di rilassatezza.
Trascorsero altri minuti in totale silenzio, poco prima che Blake parlasse di nuovo:
- Credi che qualcuno giudicherà i nostri peccati? – domandò improvvisamente, con voce soffusa e neutra.
- Il Diavolo non giudica i nostri peccati come fa il Creatore.
- Non sto parlando di un dio.
Intendo un giudice. Qualcuno incaricato di capire per quale motivo abbiamo agito come abbiamo agito.
Come un confessore onnisciente, che decide se siamo meritevoli o no di essere perdonati.
Ephram, con la testa mollemente abbandonata sul tronco dietro di sè, voltò il viso per guardare Blake.
Nonostante i sensi annebbiati dall’oppio, lo stregone scorse distintamente il suo profilo etereo, con gli occhi liquidi e lo sguardo perso e vuoto fisso nel fuoco scoppiettante. I suoi capelli folti erano lasciati liberi di appoggiarsi sulle spalle ed erano tanto ribelli da ricadergli sul viso, nascondendolo lievemente dallo sguardo indagatore dello stregone.
- Hai bisogno che qualcuno ti giudichi? – gli domandò Ephram continuando a guardare quel viso imperscrutabile che, forse, mai avrebbe compreso.
A ciò, Blake, senza dire nient’altro, allungò la mano verso di lui, in attesa. – Dammelo.
Ephram capì immediatamente a cosa si riferisse e, con un sorriso soddisfatto a delineargli i lineamenti, celebrò in silenzio la sua prima vittoria, porgendogli il pentolino con dentro l’oppio senza aggiungere altro.
Blake lo prese e inspirò quei fumi, abbandonandosi a sua volta a quella pace interiore che mai avrebbe potuto ottenere in altro modo.
 
 
 
 
 
 
   
 
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