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Autore: Doux_Ange    29/05/2022    1 recensioni
Dolce presente del presente
Freschezza della notte
Calore della mia vita
Anna, Marco, e il loro amore ritrovato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alicante
Une orange sur la table
Ta robe sur le tapis
Et toi dans mon lit
Doux présent du présent
Fraîcheur de la nuit
Chaleur de ma vie.
- Jacques Prévert

 
 
 
Fuori, nevica lento.
Le campane della Chiesa hanno suonato le 4 del mattino poco fa.
Si respira già aria di Natale.
La temperatura è scesa di qualche grado sotto lo zero, quest’anno Spoleto si è tinta di bianco prima del solito.
Ma qui dentro, fra le mura della mia camera, dell’inverno non c’è alcuna traccia.
I nostri vestiti sono a terra, sparsi sul pavimento senza troppa cura, e l’aria è tiepida, come quella che si respira in primavera quando tutto rinasce, più verde e rigoglioso di prima.
Sorrido al sospiro caldo che mi solletica la pelle, leggero come quelle mani che mi hanno accarezzato e che ho stretto forte fino a qualche momento fa.
Il mio cuore deve ancora rallentare il suo battito, ma dubito ci riuscirà tanto presto. Non adesso che Anna è di nuovo con me, tra le mie braccia, accoccolata contro il mio petto, gli occhi chiusi e il respiro affannato.
E non rallenterà, perché ha sperato per molto tempo di poter tornare a battere così. Non vuole tornare indietro, io non voglio tornare indietro. Per nessun motivo al mondo.
Sfioro la schiena nuda della donna che amo con la punta delle dita, mentre lei si sistema meglio nel mio abbraccio.
Fatico quasi a crederci, che finalmente siamo di nuovo insieme. Qui, così. Uniti come fossimo uno solo corpo e una sola anima. Uniti come i nostri cuori che battono ora all’unisono, che seguono di nuovo la stessa melodia.
 
Dopo tutto quello che è successo, mi ero convinto che, per quanto ci amassimo, non saremmo mai potuti tornare ad essere ciò che eravamo. Che l’amore non sarebbe bastato a far funzionare di nuovo le cose. Che io non le sarei bastato, per essere felice.
 
Certe volte ripenso a quella mattina in piazza, quando mi ero rassegnato all’idea che per lei sarei stato al massimo un amico, se fossi stato abbastanza forte da accettarlo.
Nel mio “magari le cose andranno meglio dopo il tuo funerale”, c’era la speranza di riuscire ad essere ancora parte della sua vita, in qualche modo. In qualunque modo. Perché avevo capito vedendola in quel letto d’ospedale, che senza di lei, il mio faro, la luce che mi ha sempre guidato a fare la cosa giusta, io viaggiavo - e viaggio - come Ulisse senza meta, in balia del vento e delle onde, incapace di guidare la mia nave in porto.
E ci avevo provato, a farlo. A sforzarmi di essere solo un amico. Avevo messo tutto me stesso in quel tentativo di celarle, in ogni istante, quello che continuavo a provare per lei, perché era l’unico modo che avevo per poter ancora far parte della sua vita.
I due anni che ci stiamo lasciando ora alle spalle sono stati un’agonia, perché il fatto che pian piano tra noi le cose fossero tornate esattamente come prima che ci lasciassimo mi lacerava dentro. Perché eravamo di nuovo noi due, ma non era più lo stesso. Perché lei non era più mia e io non ero più suo. Perché eravamo ancora l’uno il posto nel mondo dell’altra e lei la parte migliore di me, ma il passato non si poteva cancellare. E si sa, le macchie finiscono per riaffiorare sempre. Anche se usi la vernice giusta.
E in tutto quello, non passava giorno che non mi chiedessi come fosse possibile, che se tutto era di nuovo al suo posto, allora come poteva mancare l’amore? Non riuscivo a capire cosa non quadrasse nel meccanismo, perché eravamo io e lei insieme, ma non eravamo più un noi, nonostante Anna, con me, avesse lentamente ricominciato a comportarsi come quando stavamo insieme.
Da quando poi avevo preso in affitto l’appartamento al piano di sopra nello stesso palazzo in cui abita anche lei, avevamo anche ripreso, sempre più spesso, a passare gran parte delle giornate insieme anche fuori dal lavoro.
Tutti i pezzi del puzzle nel corso del tempo avevano ripreso a incastrarsi al loro posto, eppure, come spesso accade, ne mancava uno a completare il quadro. E a un certo punto pensavo che fosse veramente andato perso, che il puzzle alla fine sarebbe rimasto senza quell’unico tassello al centro a rovinare per sempre l’immagine, anche nel suo essere solo uno spazio pressoché invisibile nel grande quadro colorato.
E non ho mai comunque perso di vista il fatto che sì, c’era Sergio da aspettare in mezzo a tutto quello, però... c’erano momenti in cui lui sembrava sparire. Momenti in cui Anna sembrava non ricordarsi della scelta che aveva coraggiosamente fatto.
La sera, ad esempio, quando preparavamo la cena assieme. O quando mi ha aiutato a sistemare l’appartamento.
Quando mi fregava l’ultimo cucchiaino di gelato - che io le ho sempre casualmente lasciato.
Quando pur di passare del tempo insieme, nonostante fosse stanca, si fermava persino a guardare le partite di calcio con me alla televisione, seppure odiasse – e odi – questo sport.  
Abbiamo trascorso due anni insieme, ma divisi. Due anni in cui siamo stati così vicini e al contempo lontani migliaia di chilometri. Come se veramente lei fosse partita per il Pakistan. Eppure eravamo una accanto all’altra, separati da qualcosa che ai nostri occhi risultava indefinito e incomprensibile, ma che gli altri sembravano invece riuscire a decifrare benissimo.

Solo ora ho capito che in realtà era tutto già chiaro anche a noi, che fingevamo di non comprendere cosa ci stesse tenendo separati, mentre invece lo sapevamo benissimo. Perché lo sapevamo che l’ostacolo era uno solamente: la paura.
Paura di farci male di nuovo, di soffrire, di rovinare quello che avevamo ritrovato e ricostruito con fatica immensa. Paura che l’amore non bastasse a far funzionare le cose. Paura che per essere felici non ci bastassimo.
Non era bastata neanche la fuga di Sergio né la realizzazione che forse Anna non lo aveva mai amato davvero a cambiare le cose. Serviva tempo per capire, comprendere che quella possibilità di ritrovarci c’era di nuovo.
Non era bastata la gelosia, non era bastato il suo voler restare.
Ho capito che a Spoleto in fondo non si sta così male.
Lei aveva capito, io no.
È per questo che ha esitato nel rispondere, davanti alla proposta di Valente per un incarico in Siria.
Non perché volesse andare, ma perché io continuavo a spingerla in quella direzione, senza nemmeno rendermene conto.
La volevo con me, eppure ero il primo a mettere sempre la sua carriera al primo posto, anche quando lei non sembrava volerlo più fare.
Non era bastata Ines, che con la sua innocenza di bambina ci aveva fatti diventare, anche se per pochi giorni, una famiglia. Quella che non sapevo di volere così tanto.

Non era bastato neanche urlarci quell’amore che avevamo represso a lungo qualche sera fa, non era bastata quella notte insieme dopo troppo tempo.
Quel messaggio - ancora una volta - mi aveva costretto a un passo indietro che mai avrei voluto compiere, e a spezzare il suo cuore, oltre che il mio.
Perché lo stesso rumore sordo l’ho sentito provenire anche dal mio petto, quando la mattina dopo sono scappato via senza dire nulla, se non che avessimo commesso un errore – ‘sbagliato’ come il nostro primo bacio -, ed era meglio andare avanti come se non fosse accaduto nulla. Come se questo fosse possibile.
Come se avessi mai potuto dimenticare cos’era accaduto, cosa avevo provato quando si era gettata tra le mie braccia e avevo risentito la dolcezza delle sue labbra sulle mie. Com’era stato amarla di nuovo, dopo troppo tempo passato a poterla soltanto sognare.
Ero tornato a casa, finalmente.
Pensavo che niente avrebbe potuto strapparmi via da lì. Invece, al risveglio, non avevo trovato lei accanto a me, ma quel messaggio che mi aveva riportato in un attimo nel mio inferno personale.
Così me ne sono andato senza rendermi conto che il primo e vero errore lo stavo facendo io.
Perché seppure non fossi arrabbiato come invece lo ero la prima volta per il Pakistan, non le avevo dato modo di spiegarsi, non avevo dato modo a me stesso di ascoltare quel grillo nella mia testa che mi suggeriva di chiedere, di non lasciarmi andare a conclusioni affrettate un’altra volta. Perché ero convinto che davvero non le sarei mai bastato. Che ancora una volta ero un ostacolo alla sua carriera, a tutto quello che aveva sempre sognato.
Che non avrei mai potuto renderla felice come speravo.

La verità è che non avevo capito niente.
Nonostante fossi convinto di conoscere tutto di lei, avevo fallito nel compito più semplice: leggere nel suo cuore, affondare in quello sguardo verde che mi avrebbe spiegato ogni cosa, ogni scelta, ogni esitazione. O forse semplicemente avrei dovuto ascoltarla, parlare con lei. Perché se tra noi le parole sono sempre sembrate superflue in molti casi, in altri invece avrebbero potuto risolvere molte cose, se non tutte. Avrebbero potuto spiegare gli irrisolti. Perché spesso ho bisogno che le cose mi vengano dette in faccia affinché io le capisca veramente. Non perché non le noti, ma perché spesso è più facile non vederle. Dare per scontato che le cose siano in quel modo, punto e basta. In apparenza fa meno male, e fuggire sembra sempre la soluzione da prendere.
Da quando mio padre è morto, ho dovuto trovare un modo per difendermi, lo capisci?
No, l’ho capito davvero solo quando me lo ha fatto notare, arrivando di corsa in Piazza Duomo per spiegarmi una volta per tutte come stavano le cose.
Lo aveva detto anche Valentina molto tempo fa, inconsapevolmente, e non era servito lo stesso: nessuno può sapere come si reagisce ad un dolore.
Anna si era sentita sola, abbandonata perfino da chi avrebbe dovuto starle più vicino, e per evitare di farsi ferire ancora, aveva deciso che non avrebbe accettato che altri scegliessero per lei.
Perché in fondo non ne era mai valsa la pena. Ma le cose possono cambiare.
E ora non vuole più giocare da sola. Non più.
Io e te insieme siamo un’unica cosa... Perché con te, io sono più di me stessa. Voglio giocare con te per tutta la vita.
Eccolo dov’era quell’ultimo tassello del puzzle.
Era nascosto nella consapevolezza che amare non è mai sbagliato. Che rincorrere l’amore non porta sempre a una fregatura. Che anche se si corre il rischio di non ricevere in cambio lo stesso amore che si dona, vale sempre la pena di amare, anche dopo essersi fatti involontariamente male a vicenda. Che si può avere paura, ma insieme la si può combattere e superare, come la luce di un faro può ricondurre il marinaio e la sua nave in porto dopo la più terribile delle tempeste.
 
Dopo che l’ultimo tassello del puzzle ha ritrovato il suo incastro, finalmente il quadro è stato completo.
Tutto ha ripreso il suo posto, ma c’è ancora spazio sulla parete per altri quadri. Perché questo è solo il primo di una collezione infinita.
 
Dopo la sua dichiarazione in piazza è venuto il tempo per quello che è sempre stato, quasi paradossalmente, il nostro più grande problema: dialogare. Parlare. Dirci le cose in faccia, nel bene e nel male. Senza avere paura della reazione dell’altro o della propria.
E allora sì che abbiamo parlato, a lungo. Ci siamo raccontati tutto ciò che in questi due anni avevamo dovuto tralasciare, perché eravamo insieme ma non stavamo insieme, perché ci comportavamo come una coppia ma non eravamo una coppia.
Perché c’era l’amore, ma c’era anche la paura.
Ma adesso non più. Certo, magari tornerà, ma stavolta sapremo come affrontarla. Stavolta, quello che c’è, che c’è sempre stato, basterà.
Ci saranno parole, e poi altre ancora...
E poi succederà ancora come ieri sera.
Quando le parole non sono servite più.
Quando io e lei siamo ritornati a essere un’unica cosa.
Quando sul tavolino in soggiorno, è rimasta la ciotola vuota del gelato, con due cucchiaini appoggiati accanto perché non servivano più, perché ho assaggiato di nuovo le sue labbra, e non ho avuto bisogno di altro.
Quando le mie mani intrepide hanno trovato l’orlo del suo vestito di lana leggera, e il calore della sua pelle sotto le dita.
Il vestito è ancora lì, sul tappeto dove l’ho lasciato cadere quando gliel’ho tolto.
I miei sono gettati a terra da qualche parte lungo il tragitto che ci ha portati in camera da letto. Mentre cadevano uno ad uno non mi interessava vedere dove li stavo lasciando, perché alla fine di quel percorso c’era di nuovo lei finalmente nel mio letto, e il resto non aveva importanza.
Nel buio della notte e della casa, abbiamo fatto l’amore con solo la fiamma del camino ancora acceso in soggiorno a rischiarare la stanza col lieve riverbero aranciato che riesce a insinuarsi fino a qui.
 
E se fuori l’inverno rinfresca l’aria e il lento cadere della neve risuona per le strade vuote della città, qui in questa stanza io ho sentito di nuovo il calore che solo Anna sa darmi, e il suono del mio nome sussurrato da lei a fior di labbra mentre ci amavamo. E so già che non sarà mai abbastanza.
 
Perché anche io voglio giocare con lei per tutta la vita.
 
Perché anche per me è bellissimo cambiare, insieme.
 
Perché anche io ho capito che è lei che mi rende felice.
 
Le accarezzo una guancia, i suoi occhi incontrano i miei. Un sorriso si fa largo sui nostri volti. Il presente acquisisce nuovamente importanza, come un dono agognato da troppo tempo e finalmente ricevuto. Sentirsi completi, finalmente. 
 
Anche io con lei, sono più di me stesso.
 
Un nuovo bacio sulle sue labbra, e poi un altro, e un altro ancora.
 
Io amo te.
 
No, io amo te.
 
Ora non sono più urla disperate e di speranza. Ora sono certezza. Sono voglia di giocare insieme. Di essere un’unica cosa per tutta la vita.
 
So che il sorgere del sole ci troverà ancora così: innamorati, abbracciati, a riprenderci quegli attimi infiniti che la paura ci aveva rubato.
Ad amarci, ancora, perché è l’unica cosa che non basterà mai.
 
 
Ciao a tutti!
Stiamo tornando, come promesso. Altro bolle in pentola e arriverà presto, ma per il momento io e la mia Socia abbiamo voluto regalarvi questa storia un po’ diversa, che segue il filo di Absence. Naturalmente la nostra voce narrante è Marco, qualche giorno dopo gli eventi del finale di stagione (sì, era dicembre).
Visto che questi momenti li abbiamo sdoganati una volta per tutte, era giusto partire proprio da qui, stavolta senza passi indietro e incomprensioni. Una storia un po’ diversa dal solito - sorry per il rating più alto, ma era inevitabile - che però credo fosse importante. Dopotutto, l’amore passa anche da questo.
L’ispirazione è partita dalla splendida poesia di Jacques Prévert, che tra le altre cose dà il titolo a questa storia (vi lascio la traduzione sotto questo messaggio). Ma Alicante è anche una leggenda, che racconta l’amore tra la principessa Cántara e il giovane Alì. Se vi va, leggetela, perché anche lì si tratta di un amore travagliato, finito sì in tragedia - come avviene in molte leggende - ma che rappresenta la purezza del sentimento.
A prestissimo,
 
Vocina e Grillo (che torneranno in grande spolvero)
 
Alicante (traduzione)
Un’arancia sulla tavola
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto tu
Dolce presente del presente
Freschezza della notte
Calore della mia vita
   
 
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